Le cronache di Narnia: il leone – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 02 Apr 2025 20:00:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 His Dark Materials: Lyra e la Repubblica dei Cieli https://www.carmillaonline.com/2020/03/03/his-dark-materials-lyra-e-la-repubblica-dei-cieli/ Mon, 02 Mar 2020 23:01:28 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=58040 di Walter Catalano

Tra il 1995 e il 2000 Philip Pullman, scrittore britannico fino ad allora prevalentemente dedito alla letteratura per bambini e young adults, compone una trilogia fantasy che, unendo l’avventura fantastica a una riflessione teologica e filosofica leggibile a più livelli di complessità, diventerà un intramontabile long seller superando nell’apprezzamento dei lettori, oltre che nella valutazione dei critici, perfino la quasi contemporanea saga dell’Harry Potter di J.K. Rowling. Stiamo parlando di His Dark Materials, da noi Queste oscure materie, composta da “Northern Lights” (La bussola d’oro), “The [...]]]> di Walter Catalano

Tra il 1995 e il 2000 Philip Pullman, scrittore britannico fino ad allora prevalentemente dedito alla letteratura per bambini e young adults, compone una trilogia fantasy che, unendo l’avventura fantastica a una riflessione teologica e filosofica leggibile a più livelli di complessità, diventerà un intramontabile long seller superando nell’apprezzamento dei lettori, oltre che nella valutazione dei critici, perfino la quasi contemporanea saga dell’Harry Potter di J.K. Rowling. Stiamo parlando di His Dark Materials, da noi Queste oscure materie, composta da “Northern Lights” (La bussola d’oro), “The Subtle Knife” (La lama sottile), “The Amber Spyglass” (Il cannocchiale d’ambra). Il titolo rimanda ad un verso del Paradiso perduto di John Milton messo ad epigrafe del primo volume:

«In questo abisso selvaggio,
Il grembo della natura e forse la sua tomba,
Né di mare, né terra, né aria, né fuoco,
Ma tutti questi al concepimento mischiati
Confusamente, e quindi sempre in conflitto,
Finché il creatore onnipotente ordini loro
Da queste oscure materie di creare altri mondi,
In questo abisso selvaggio il cauto demonio
Sta ai margini dell’inferno e intanto osserva,
Ponderando la sua traversata…»

Il riferimento poetico ovviamente non è casuale, perché l’opera è un’aspra critica nei confronti della religione, soprattutto del cristianesimo, e una difesa dell’ateismo, del panteismo e di un radicale laicismo, che l’autore concepisce in aperta polemica contro Le cronache di Narnia di Clive Staples Lewis, ciclo letterario da lui considerato meramente propagandistico e nocivo per lo sviluppo intellettuale dell’infanzia. Pullman ha studiato ad Oxford, città dove è ambientata la sua trilogia, e Università presso la quale furono docenti sia Lewis che Tolkien, i fondatori di quell’High Fantasy, epico, mistico, e arcaicizzante, a cui invece egli contrappone una rilettura Low Fantasy, moderna e iconoclasta. Anche Tolkien, pur amico di Lewis e membro come lui del gruppo degli Inklings, ebbe in verità a criticare, sebbene con minor acrimonia, il ciclo di Narnia, rinfacciandogli la caoticità spesso incoerente del Secondary World evocato e soprattutto i riferimenti diretti alla religione: una storia fantasy non si scrive per fare proselitismo.

Così Queste oscure materie inizia con una bambina che si chiude in un armadio, proprio come ne Il leone, la strega e l’armadio, primo romanzo pubblicato della saga di Narnia, ma il Bildungsroman metafisico dell’undicenne Lyra Belacqua sarà antitetico a quello dei giovani protagonisti di Lewis. Lyra, la classica orfanella dickensiana – almeno così appare all’inizio della storia – vive ospite al Jordan College, in una Oxford che però non è esattamente quella del nostro mondo, qui la tecnologia si è evoluta in modo diverso, esistono macchine, apparecchiature elettriche e si vola, ma solo con dirigibili e mongolfiere – un’ambientazione piuttosto vicina allo steam punk – ; i canali fluviali sono attraversati dalle barche dei Gytziani – un popolo nomade erede di un’antica saggezza, modellato sui Sinti e i Rom – ; in Lapponia e nell’Artico vivono streghe con poteri straordinari (come volare su di un ramo di pino-nuvola, o diventare invisibili assumendo un aspetto così insignificante da rendere impossibile essere notati) e bellicosi orsi corazzati parlanti, ma, soprattutto, ogni essere umano di quel mondo è accompagnato per tutta la vita e inseparabilmente da un daimon: la propria anima proiettata all’esterno in forma totemicamente animale e di sesso inverso rispetto al possessore (l’animale è sempre fluttuante e mutevole per i bambini, ma si stabilizza in una forma definitiva alla fine della pubertà). Come i loro “padroni” anche i daimon hanno un nome: quello di Lyra si chiama Pantalaimon.

Venuta fortunosamente in possesso di un Aletiometro (dal greco Alétheia: Verità), strumento simile ad una bussola d’oro in grado di rispondere veridicamente a qualsiasi domanda tramite un complesso sistema di simboli che la bambina interpreta invece intuitivamente senza alcuno studio, Lyra viene a scoprire l’esistenza della Polvere, una misteriosa particella invisibile se non fotografata con speciali filtri e che si deposita sugli esseri umani, in particolare sugli adulti: un’organizzazione religiosa chiamata Intendenza Generale per l’Oblazione, diretta da Marisa Coulter (che si rivelerà in seguito come la madre di Lyra), si occupa di studiare il fenomeno compiendo oscuri esperimenti sui bambini e, per evitare che si sviluppino interpretazioni diverse da quelle decise da loro, vale a dire eresie, fa imprigionare Lord Asriel, il luciferico esploratore polare, idolatrato zio ma in realtà padre di Lyra. L’Aletiometro, in possesso della ragazzina funziona proprio comunicando con la Polvere, per questo la Chiesa, e con essa tutti gli esponenti del Magisterium – l’organizzazione politico-religiosa che detiene il potere (iconograficamente ricalcata sulla chiesa cattolica, ma ideologicamente più simile al calvinismo) – compresa la signora Coulter, credono che la Polvere sia la prova fisica del peccato originale e che perciò vada debellata e distrutta per mezzo dell’intercisione, cioè l’amputazione del daimon dai bambini prima della fine della pubertà, rendendoli incapaci di provare sentimenti e senza volontà “come zombi” ma proteggendoli così dall’influenza del peccato. Lyra, nel primo romanzo, cercherà di salvare i bambini rapiti dagli Ingoiatori di cui sua madre è il capo, con l’aiuto dei Gyziani, delle streghe di Serafina Pekkala, dell’aeronauta texano Lee Scoresby, e dell’orso corazzato Iorek Byrnison. Nel secondo volume della trilogia, La lama sottile, la fisica Mary Malone, proveniente dal nostro mondo, con cui Lyra entra in confidenza, sta svolgendo esperimenti sulla Polvere: ha scoperto che questa si deposita anche sui manufatti degli uomini e che vi rimane sopra per millenni. Malone scoprirà che la Polvere non è altro che la materia che forma gli Angeli e di cui si alimenta l’intelligenza umana. Nell’ultimo volume, Il cannocchiale d’ambra, incontreremo uno strano popolo, i Mulefa – quadrupedi ungulati ma non vertebrati con gli arti disposti a losanga e muniti di una proboscide prensile – che vivono in simbiosi con la Polvere, da loro chiamata Sraf (come il riverbero del Sole sull’acqua) e sono in grado di vederla ad occhio nudo e intuirne la reale importanza: senza la Polvere niente ci differenzierebbe dagli animali ed è necessario preservarla ad ogni costo, insieme al nostro libero arbitrio, simboleggiato per i Mulefa nel sacro simbolo del Serpente – il Tentatore nell’Eden – l’unico vertebrato del loro mondo. Per questo non è sufficiente solo combattere il Magisterium, ma è necessario abolire quell’Autorità Divina che ci rende senza volontà e più facilmente assoggettabili al suo controllo. Lyra, con l’amico e in seguito innamorato Will Parry – venuto dalla Oxford della nostra dimensione – riuscirà infine a preservare la Polvere salvando l’intero ventaglio delle specie pensanti di tutti i vari universi paralleli.

Per riuscire nell’impresa, Lyra e Will – qui Pullman segue gli archetipi mitologici della grande tradizione epica classica – come Odisseo o Enea, dovranno sperimentare la Nekyia, la discesa da vivi nell’Ade, dove libereranno finalmente le ombre imprigionate dei morti disperdendole nella natura e negli elementi, di nuovo alla luce del sole…”Quando eravamo vivi ci dicevano che, una volta morti, saremmo andati in cielo. E dicevano che questo cielo era un luogo di gaudio e gloria celeste, dove saremmo rimasti in eterno in compagnia di santi e angeli che lodano l’Onnipotente, in stato di beatitudine. Questo dicevano. Ed è questo che ha indotto alcuni di noi a dare la vita, e altri a passare anni in preghiera solitaria, mentre tutte le gioie dell’esistenza si sprecavano attorno a noi senza che noi le conoscessimo. Ma la terra della morte non è un luogo di premio o un luogo di castigo. E’ il luogo del nulla. Accoglie tanto i buoni quanto i malvagi, e tutti languiamo per sempre in questa penombra, senza speranza di libertà, o di gioia, o di sonno, o di riposo, o di pace. Ma ora questa ragazzina è venuta a offrirci una via d’uscita, e io la seguirò. Anche se ciò significasse l’oblio, amici, lo accoglierò a braccia aperte, perché non sarà comunque il nulla; saremo di nuovo vivi in migliaia di steli d’erba, in milioni di foglie, cadremo con le gocce di pioggia e spireremo nella fresca brezza, scintilleremo nella rugiada sotto le stelle e la luna fuori di qui, nel mondo fisico che è la nostra vera casa come sempre fu”.

 I due ragazzi per compiere la loro missione vengono in possesso dei vari oggetti di potere che danno il titolo ai rispettivi volumi, dopo la bussola d’oro, la lama sottile,  un coltello che permette di aprire portali da un universo all’altro e che può tagliare qualsiasi materiale e distruggere qualunque essere, perfino gli Angeli o lo stesso Dio. Nell’aprire finestre tra i mondi genera però gli spettri. E’ il coltello che sceglie il proprio possessore: la perdita dell’anulare e del mignolo della mano sinistra accomuna come segno distintivo tutti i portatori del coltello. Will riceverà il prezioso oggetto –  chiamato anche Esahettr, cioè “distruttore di Dio” – da Giacomo Paradisi, il precedente possessore, che lo riconosce come suo successore proprio da questa identica menomazione. Per ultimo il cannocchiale d’ambra è uno strumento costruito da Mary Malone nel terzo libro della trilogia: permette di vedere la Polvere come pulviscolo luminoso.

L’ultima battaglia sarà una sorta di rivincita del Lucifero del Paradiso perduto contro l’Autorità. Enoch, conosciuto anche come Metatron, è il Reggente del Regno dei cieli avendo imprigionato Dio, in preda alla demenza senile, in una lettiga di cristallo, e avendone preso il posto come capo degli angeli. Nell’ultimo libro Metatron combatterà contro i ribelli al Regno dei cieli, comandati da Lord Asriel e Marisa Coulter, padre e madre di Lyra, finalmente riuniti e riscattati dalle precedenti malefatte, decisi a liberarsi del potere divino per essere liberi. Attireranno con uno stratagemma che fa leva sulla sensibilità alle tentazioni della carne tipica degli angeli, il Reggente del Regno dei Cieli, nelle profondità di un abisso infernale, creato in seguito all’esplosione di una bomba interdimensionale, e riusciranno faticosamente a precipitarvelo con l’aiuto dei loro daimon, cadendo però entrambi giù con lui. Lyra e Will nel frattempo, si sono imbattuti nel vecchio Dio sulla lettiga-gioiello di cristallo in cui è prigioniero: è l’Autorità, un angelo molto anziano, il primo ad essersi formato dalla Polvere, nonché Re degli angeli a cui fa credere di essere il loro creatore, così come di tutto l’universo:  è il Dio della tradizione giudaico-cristiana, Autorità, Dio, Padre, Adonai ecc., ed ha creato le chiese nei vari mondi per poter controllare meglio gli esseri umani: “Will vide le mani della ragazzina schiacciarsi contro il vetro, cercando di raggiungere l’angelo e di rincuorarlo, perché era tanto vecchio, e tanto spaventato, e piangeva come un bambino acquattandosi nel cantuccio più lontano. […] I ragazzini aiutarono il Vegliardo a uscire da quella cella di cristallo; non fu difficile, perché era leggero come carta, e li avrebbe seguiti ovunque, non avendo una volontà propria e reagendo alla semplice gentilezza come un fiore al sole. Ma all’aria aperta non c’era niente che potesse impedire al vento di nuocergli, e con loro sgomento la sua forma cominciò a disgregarsi e dissolversi. In pochi istanti era svanito completamente, e il loro ultimo ricordo fu l’espressione di quegli occhi che ammiccavano accompagnata da un sospiro di profondo e stanco sollievo”.

 Alla fine del terzo libro Lyra e Will ormai non più bambini scoprono di essere innamorati, ma i loro daimon, ritrovati dopo il ritorno dal mondo dei morti e dopo che anche Will ha incontrato il suo (perché anche nel nostro mondo gli uomini hanno i daimon, ma dentro, non fuori) fanno loro sapere che non potranno restare insieme: i daimon infatti si ammalano e muoiono in poco tempo con i loro possessori se vivono troppo a lungo in un mondo diverso da quello d’origine. Poichè nessuna finestra può essere lasciata aperta per evitare la dispersione della Polvere (tranne una, e i due ragazzi decidono che sarà quella del mondo della morte), devono dirsi addio per sempre senza alcuna possibilità di rivedersi ancora. Will distruggerà il coltello per evitare tentazioni e ulteriori danni e tornerà nella sua Oxford insieme a Mary Malone. Così il Regno dei Cieli è ormai distrutto, il Paradiso perduto è stato riconquistato ed è sulla Terra. La frase finale dell’ultimo romanzo, pronunciata da Lyra, sarà: “Costruiamo la Repubblica dei Cieli !”.

Commenterà Pullman in un’intervista: «Il Regno dei cieli ci prometteva una serie di cose: ci prometteva la felicità, uno scopo per le nostre vite, l’impressione di avere un posto nell’universo, di avere un ruolo e un destino che erano nobili e splendidi: e così eravamo connessi alle cose. Non eravamo alienati. Ma ora che, almeno per me, il Re è morto, scopro di avere ancora bisogno di quelle cose che il paradiso mi prometteva, e non sono disposto a vivere senza quelle cose. Non credo che continuerò a vivere dopo che sarò morto, dunque se voglio ottenere quelle cose devo cercare di farle accadere – e incoraggiare altre persone a farle accadere – qui sulla terra, in una repubblica nella quale siamo tutti cittadini liberi e uguali, e responsabili

Una saga fantasy decisamente complessa e sui generis dunque, difficilmente inquadrabile entro gli orizzonti spesso angusti della “narrativa per ragazzi”. La polemica religiosa e la critica della teocrazia non cesseranno di interessare Pullman che nel 2010 pubblicherà Il buon Gesù e il cattivo Cristo (The Good Man Jesus and the Scoundrel Christ), sorta di Vangelo apocrifo immaginario il cui incipit è già da solo abbastanza emblematico: “Questa è la storia di Gesù e di suo fratello Cristo, di come nacquero, di come vissero e di come morì uno di loro. La morte dell’altro esula da questa narrazione”. Lo scrittore tornerà più volte al mondo di Lyra con La Oxford di Lyra (Lyra’s Oxford) del 2003, racconto sequel della trilogia dove la protagonista è ormai una ragazza di 15 anni e con una seconda trilogia ancora non conclusa: Il libro della polvere (The Book of Dust), questa volta non un sequel ma un “equel“, poiché la narrazione si svolge sia prima che dopo le vicende della trilogia principale. Il primo libro, La belle sauvage, del 2017, racconta le vicende di Lyra Belacqua, neonata, 12 anni prima di La bussola d’oro; il secondo libro, The Secret Commonwealth, uscito nel 2019, dove Lyra ha già vent’anni, non è stato ancora tradotto in italiano. La seconda trilogia, più cupa della precedente, avrebbe, secondo l’autore dovuto intitolarsi “His Darker Materials”.

Una saga di tale rilevanza intellettuale e spettacolarità visionaria non avrebbe potuto restare immune da tentativi di trasposizione per immagini, infatti il regista statunitense Chris Weitz, già nel 2007, tenterà l’impresa con La bussola d’oro (The Golden Compass), interpretato da una splendida Nicole Kidman nel ruolo di Marisa Coulter, Dakota Blue Richards in quello di Lyra, Daniel Craig come Lord Asriel, Eva Green come Serafina Pekkala, Sam Elliott come Lee Scoresby e Christopher Lee come capo del Magisterium. Nonostante il cast imponente e un budget più che ragguardevole il film, pur apprezzato da Pullman, edulcora hollywoodianamente le asperità della narrazione, semplifica e banalizza certi snodi e soprattutto smussa la polemica antireligiosa. Sebbene abbia incassato benino, il film scontenta i fan per queste carenze e viene comunque attaccato aspramente da gruppi religiosi e fondamentalisti: la produzione pertanto non ritiene opportuno proseguire, come inizialmente progettato, la realizzazione dei successivi episodi. Difficile credere che la conclusione del ciclo, con la defenestrazione di Dio, entità decrepita, fragile e stremata, potesse non venire considerata blasfema e non subire tagli o modifiche ancora più depauperanti.

Nel 2019 invece, tornati i diritti in mano all’autore, la coproduzione anglo-statunitense Bad Wolf and New Line Productions, per BBC One e HBO, realizza finalmente la serie televisiva His Dark Materials, basandola, questa volta in modo fedele e integrale, sull’omonima trilogia di Philip Pullman, che compare come produttore esecutivo. I primi otto episodi – sceneggiati da Jack Thorne, già autore di Shameless, Skins, This Is England  – riprendono tutto il primo tomo, La bussola d’oro, con alcuni elementi tratti anche da Il libro della polvere e l’anticipazione della storia parallela di Will Parry nel nostro mondo, prima dell’incontro con Lyra, che nella versione letteraria appare solo nel secondo volume La lama sottile. I registi Tom Hooper (Premio Oscar per Il discorso del re), Dawn Shadforth e Otto Bathurst (che ha vinto un Bafta per il suo lavoro nella serie TV Peaky Blinders e che ha diretto l’episodio di Black Mirror intitolato Messaggio al Primo Ministro) hanno già messo in lavorazione la seconda stagione: la fretta è dovuta all’età della protagonista, la quindicenne anglo-spagnola Dafne María Keen Fernández (già vista in Logan-The Wolverine), che potrebbe presto essere troppo cresciuta per risultare credibile come bambina. Gli altri attori principali, tutti efficaci sebbene meno iconici dei corrispettivi del film di Weitz, sono Ruth Wilson (Luther, The Affair) come Marisa Coulter, James McAvoy (il Fauno del primo adattamento de Le cronache di Narnia) come Lord Asriel, Ruta Gedmintas come Serafina Pekkala e Lin-Manuel Miranda come Lee Scoresby.

Le scelte scenografiche rendono più contemporanea e meno vittoriana/Steam Punk l’ambientazione – oltre a Zeppelin e aerostati vediamo anche un elicottero ed un grado maggiore di “modernariato” nell’oggettistica – mentre gli intermezzi su Will nella Oxford “reale”, in parallelo con quelli sul mondo visionario di Lyra, creano talvolta un qualche spiazzamento, sono assai intriganti invece gli effetti CGI per l’animazione dei daimon (il prevalentemente furetto di Lyra, la scimmia bionda della Coulter, il leopardo delle nevi di Lord Asriel, la lepre artica di Lee Scoresby, il grifalco di Serafina Pekkala, ecc.). Il risultato è complessivamente ragguardevole e infinitamente superiore al fantasy routinario del film di Weitz, anche se in questa prima stagione non si è forse raggiunto ancora un vero equilibrio nella selezione dell’immensa mole di materiali della saga letteraria in rapporto al target da raggiungere: la serie rischia di risultare troppo inquietante per i bambini e troppo semplicistica (rispetto alle componenti filosofiche e teologiche del testo) per gli adulti. Il dubbio sorge soprattutto in previsione dell’adattamento del terzo e ultimo volume, Il cannocchiale d’ambra, il più metafisico e difficile da affrontare. Ma c’è tempo ancora e le premesse sembrano comunque molto promettenti.

 

 

 

]]>
Divine Divane Visioni (Cinema porno 08/11) – 74 https://www.carmillaonline.com/2015/12/17/divine-divane-visioni-cinema-porno-0811-74/ Thu, 17 Dec 2015 21:03:45 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27148 di Dziga Cacace

Nella voglia più totale nel discorso trasparente

ddv7401826 – Il labirintico e irritante Inception di Christopher Nolan, USA/Gran Bretagna 2010 Esce il film e tanta critica pavida e prezzolata ne esalta le qualità tecniche e il gioco di scatole cinesi. Amici fidati, però, son tutti bestemmie e stridore di denti e mi chiedono di fare giustizia di siffatta creazione cinematografica. Allora vado alla guerra, mi metto l’elmetto e scendo in trincea per una visione che quanto a trituramento di palle m’è sembrato seconda a poche. Attenzione: non una cagata tout court, ci [...]]]> di Dziga Cacace

Nella voglia più totale nel discorso trasparente

ddv7401826 – Il labirintico e irritante Inception di Christopher Nolan, USA/Gran Bretagna 2010
Esce il film e tanta critica pavida e prezzolata ne esalta le qualità tecniche e il gioco di scatole cinesi. Amici fidati, però, son tutti bestemmie e stridore di denti e mi chiedono di fare giustizia di siffatta creazione cinematografica. Allora vado alla guerra, mi metto l’elmetto e scendo in trincea per una visione che quanto a trituramento di palle m’è sembrato seconda a poche. Attenzione: non una cagata tout court, ci mancherebbe, ma questo Inception m’è parso un assembramento laocoontico di suggestioni senza un’anima, un calore, un’emozione. È un film freddo, dal coinvolgimento nullo, affascinante come una tavola logaritmica e divertente tale e quale. In due parole è un film rompicapo e rompicoglioni, dove sei trascinato nel sogno del sogno nel sogno del protagonista e siccome quello che vedi potrebbe essere qualunque cosa, compreso il subcosciente di DiCaprio stesso (intendo l’attore, tanto vale tutto), all’ennesima discesa nel regno di Morfeo ti scappa un rotondo e sveglissimo vaffanculo. Certo: grandi effetti speciali e al tecnologico Nolan verrebbe da dirgli anche “bravo”, sennonché alla terza invenzione realizzata col computer chi se ne strabatte il cazzo, eh. Avrai una bella RAM ma sto vedendo un film, mica un numero di bravura del tuo processore, eddài. Il thriller onirico (di cui mi rifiuto categoricamente di ricostruire la trama, arrangiatevi) è impreziosito dallo struggimento d’amore del protagonista, ma siccome han tutti facce da fessi il dramma non mi tocca manco per niente, zero empatia, anzi, quasi penso che gli stia bene a Leo sempre a frignare col suo faccione gonfio, tanto l’Oscar te lo scordi. E poi ‘sto crucipuzzle dura quasi 2 ore e mezza, una cosa che dovrebbe essere resa illegale. Carina Marion Cotillard, il resto non m’interessa. Ed è questa è la cosa grave: questo cinema che crea – giocoforza, visti gli incassi – immaginario, è sterile, ci abitua all’indifferenza se non al mero apprezzamento del dato tecnico, a quella soddisfazione un po’ ottusa che prelude al non-pensiero. Non avendone uno neanche io non so dire molto di più. Amen. (Dvd; 17/2/11)

DDV7402825 – Leccato e convincente: Valentino: The Last Emperor di Matt Tyrnauer, USA 2008
Valentino: un ometto dall’incarnato bronzeo e con una testa che pare l’abbiano pucciato in una pozza di pece. Tutto azzimato, la boccuccia a culo di gallina e l’espressione corrugata di chi è costretto a vivere in un mondo che non è mai all’altezza dei suoi ideali di eleganza. Ecco, questa è l’idea che ho di uno dei più stimati e famosi haute couturier di sempre. Idea che il film conferma in parte, regalandoci però diverse sorprese in un ritratto brioso e intelligente. Sì, c’è tutto quello che ti aspetti e che di solito passa per luogo comune: modelle stragnocche esilissime trattate come cerbiatte decerebrate, jet set con gentaglia perennemente abbronzata vestita da pagliaccio e accompagnata a fighe di plastiche, tutti fatti e rifatti, specchio di un’ineleganza morale che è il nulla infiocchettato e tirato a lucido. Ma il ritratto riesce comunque a essere affettuoso, intrigante, pure indiscreto, e qui risiede il suo vero valore documentario. La troupe è impicciona al limite del fastidioso e chi è spiato talvolta se ne rende conto e ce lo ricorda e sembra miracoloso che un ritratto così dall’interno del mondo della moda sia arrivato sullo schermo. Lode al regista (che conosce benissimo questo ambiente, è un inviato speciale di Vanity Fair) che non si è mai fermato e ha sguinzagliato i suoi operatori anche quando educazione e opportunità lo avrebbero sconsigliato. Valentino ha le prevedibili – e anche giustificate – scheccate isteriche, i collaboratori sembrano tutti dei gran cialtroni, impegnati a cinguettare i complimenti al capo, ma si distinguono lo staff di artigiane, autentiche operaie della sartoria, sempre a rammendare l’orlo di una crisi di nervi, e soprattutto il grandissimo Giancarlo Giammetti, già compagno di Valentino e – da quarant’anni – mente imprenditoriale del gruppo. Fasti, ville faraoniche, sci a Gstaad, cagnolini carlini insopportabili, un lusso incomprensibile che diventa contraddittoria opera d’arte proprio per la sua unicità folle, irraggiungibile dai comuni mortali. Gran bel film, divertente e curioso, se non avete preclusioni ideologiche. (Dvd; 12/2/11)

DDV7403827/828 – Cineforum Cacace: Il monello di Charlie Chaplin, USA 1921 e Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio di Andrew Adamson, USA 2005
Il dilemma del sabato pomeriggio: Elena dorme – finalmente – e bisogna occupare Sofia che invece è carica come una sveglia. Però siccome dopo pranzo abbiamo tutti l’abbiocco e finché la belvetta non si risveglia è meglio recuperare energie… allora cineforum Cacace, alé! Scelgo io il primo film (son papà mica per niente, eh) e Il monello è sempre felicemente patetico, liberatorio e tenerissimo. Ha la sua bella età, ma mi piace senza condizioni e alla fine Sofia si è molto commossa, quasi come me. A margine le vicende reali di Jackie Coogan che ho ovviamente raccontato alla piccina per metterla in guardia: il bambino clamoroso diventerà miliardario, la mamma fedifraga gli fotterà tutto, andranno per vie legali e lui se la caverà con l’aiuto di Chaplin, tra gli altri, per trovare infine pace da adulto facendo lo zio Fester nella famiglia Addams. Sì, è proprio lui, quel simil-Galliani in black and white che schioccando le dita ha resistito nei palinsesti tivù fino DDV7404agli anni Novanta. E vabbeh. Poi il secondo film lo sceglie la primogenita e mi tocca Le cronache di Narnia, pellicola che mi ha straziato l’apparato genitale, con l’apice dell’apparizione della mia nemesi, Tilda Swinton, qui conciata da nefasta principessa del ghiaccio, diafana e bruttissima e sicuramente voce in attivo della produzione non necessitando imbellettamento alcuno per risultare così mostruosa (per la cronaca, con questo tranello si è vinto pure l’Oscar per il miglior trucco). Ad ogni modo siamo durante la Seconda Guerra Mondiale (si scriverà così, in maiuscolo? Cos’ha fatto per meritarselo?) e quattro fratelli scoprono un passaggio verso un mondo parallelo, la cui porta è dentro un armadio. Per cui fanno avanti e indietro tra qui e là e la cosa piace molto a Sofia. A me no – anche perché la visione di un armadio significa: “Metti in ordine il caos stocastico creato dalle tue figlie” – e infatti ho visto il film sonnecchiando un po’ e non so di chi sia la colpa, se della mia stanchezza o della fiacchezza di ‘ste Cronache pallose. (Dvd; 19/2/11)

DDV7405829 – La classe non è acqua: Il circo di Charlie Chaplin, USA 1928
Esattamente come sabato scorso, doppio film e stesso copione: non potendo portare Sofia al circo, porto Il circo a casa. Film meno conosciuto di Chaplin eppure splendido e di una sensibilità rara. Si ride (parecchio), si ammirano l’abilità mimica clamorosa, le gag oliate alla perfezione e il consueto patetismo di fondo che lascia un sentimento struggente. Il Vagabondo rinuncia all’amore, per amore e con amore, una generosità che è stato complicato spiegare a Sofia, comunque conquistata. Ricordavo affascinante e prepotentemente erotica Merna, l’acrobata di cui s’innamora Chaplin e sulla cui inquadratura si apre il film. Avevo ragione: lei oscilla verso la cinepresa, a gambe larghe infilate negli anelli del trapezio, e la sua bellezza anni Trenta, in camicia da uomo, con quel taglio di capelli e quello sguardo, continua a essere un mio feticcio erotico, spia precisa di certe turbe sessuali ampiamente psicanalizzabili. Ma non è questa la sede. (Dvd; 26/2/11)

DDV7406830 – Mah: Le cronache di Narnia: il principe Caspian di Andrew Adamson, USA/Gran Bretagna 2008
Nel primo pomeriggio pretendo il dovere, un Chaplin, e verso sera concedo il piacere di un blockbuster recente. Che trovo più divertente del primo episodio: c’è un’epica battaglia finale, un duello con Sergio Castellitto che si piglia a pattoni con il maggior dei quattro fratelli, e c’è pure Pierfrancesco Favino, nero e fosco, ma meno stronzo di Castellitto (peraltro bravissimo in un ruolo decisamente cartoonesco). Tanta animazione digitale – molto riconoscibile – scene grandiose ma non così grandiose… insomma, è come se mancasse il manico. Voglio dire: Peter Jackson è un geniaccio e nel Signore degli anelli è tutto al top della creatività e della realizzazione, qui manca sempre qualcosa. Poi passa, okay, e per Sofia funziona, ma mi sembra che le lasci poco, a livello d’immaginario. Fa due salti, insomma, ma finito il film, stop. A me – confesso se non si fosse ancora capito – ‘sta saga non piace. (Dvd; 26/2/11)

DDV7407831 – Il volgarmente allusivo Quattro bassotti per un danese di Norman Tokar, USA 1966
È un classico della mia infanzia che – durante l’infanzia, appunto – ho sempre saggiamente evitato. Ma nella vita arriva sempre il momento giusto e me lo vedo a 41 anni suonati. Commedia familiare con cane danese combinaguai perché cresciuto assieme a dei bassotti in realtà più pestiferi di lui: grandi baraonde, case sfasciate, catastrofismo consumistico esibito con compiacimento. Diverte per modo di dire, ma ovviamente le mie figlie apprezzano (ma neanche tantissimo: visto due volte e poi basta, per fortuna), pregustando di ripetere le imprese canine in casa mia. È un ritratto dell’american way of life anni Sessanta, con casa dal doppio garage, giardinetto per barbecue, letti separati, arredamento tra prairie style e Movimento Moderno. Il poliziotto mantiene la quiete, la città è pulita e l’unico problema lo danno, appunto, dei cani. Visione dolciastra e reazionarissima della società: ecco perché gli innocenti hippie facevano tanto paura a gente così. Messo da parte che il titolo è già un’allusione pesante a una scatenata gang bang cinofila, il grosso danese è ovviamente metafora di un pisello enorme e la coppia umana protagonista litiga e non tromba proprio per la fallofobia della moglie. Quando questa accetterà di farsi devastare la vulva-casa dai cinque quadrupedi come da titolo, la pace familiare sarà ricomposta e al posto di avere figli simulacro (come evidenziato dalla prima scena, dove regna l’equivoco che la donna sia incinta) ne faranno uno vero. Però questo me lo sto raccontando io perché il film rimane ‘na gran rottura de cazzo. (Dvd; 5/3/11)

ddv7408832 – Approvo L’armata delle tenebre di Sam Raimi, USA 1992 e combatto i Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti, Italia 2006
Visto almeno 18 anni fa al cinema Odeon di Genova, assieme a Barbara in una sala pressoché deserta (ricordo solo un’altra coppia di disadattati come noi): c’eravamo divertiti molto e rivedendo stasera il film con la cugina Ale è facile capire il perché. L’armata delle tenebre è uno spasso sfrenato, infantile, una moltitudine di gag senza tregua. Grana grossa e grande ironia, talvolta un po’ di noia (la seconda parte, dopo l’inizio folgorante e prima del finale epico), ma tutto sommato rimane la piacevole sensazione di vedere un film che il regista si è divertito a fare, pensando ogni volta come stupire lo spettatore con una vaccata più esagerata di quella precedente. Non riesco a fare paragoni con La casa e La casa II che non vedo da troppo tempo, ma qui il gore è diventato commedia slapstick ed è tutto, ma tutto tutto proprio, buttato in caciara comica. Bruce Campbell ha una faccia straordinaria, squadrata e ottusa; la bellona di turno è insignificante; la messa in scena stupisce, con grandangoli estremi e montaggio sincopato, con accelerazioni e parti più classiche. Poi, posso dir tutto, ma Raimi rimane un magnifico discolo, senza aspirazioni “alte” un po’ segaiole alla Coen ma con una più sincera adesione al sense of wonder che il cinema un tempo sapeva dare, senza aver paura di usare trucchi magari riconoscibili ma più veri ddv7409di quelli in CGI. Poi ho visto anche venti minuti di Fascisti su Marte, prima di cedere, schiantato dal peso improponibile del film di Guzzanti. Che è un genio e lo ha dimostrato molte volte in tivù e a teatro, ma che qui toppa clamorosamente, perché uno sketch televisivo che durava (e valeva) a malapena tre minuti non può diventare un film da novanta. L’uso ricercato del linguaggio da Istituto Luce, l’ambientazione folle, i personaggi stralunati e tutto quello che vuoi… ma già al quinto del primo tempo ne hai le palle pienissime, come al terzo cucchiaino di caviale: ottimo, ma stucca e presto subentra la nausea. E poi, a Venezia nel 2003, la sera precedente la prima di Fame chimica c’era la ricca festa di presentazione di Fascisti su Marte, non ancora completato (sarebbe uscito tre anni dopo! Tre!). Ovviamente il bel mondo dello spettacolo italiano e della critica era lì a scofanarsi salatini e cocktail e il mattino dopo alla proiezione di Fame chimica non c’era un giornalista (o presunto tale) a pagarlo. E la faccenda mi ha lasciato un po’ d’amarezza, ecco. Però il problema di Fascisti su Marte è che non c’è un film, ma solo un’idea (e neanche di cinema). E allora se non c’è il film non c’è neanche lo spettatore, mi dispiace. (Dvd; 11/3/11)

ddv7410835 – L’epocale La pantera rosa sfida l’ispettore Clouseau di Blake Edwards, Gran Bretagna/USA 1976
Eeeh, questa è storia patria. Liceo e università son stati scanditi da questo film, spesso accompagnando la visione con dosi generose di erba simpatica. Con immutata stima e fiducia propongo il film a Sofietta che, vista l’età, non ha bisogno di coadiuvanti naturali o chimici al riso e si diverte molto a seguire l’impossibile rivincita dell’ex ispettore capo Dreyfus contro Clouseau, l’uomo che l’ha fatto uscire pazzo. Si parte col ritorno a casa dell’imbranato ispettore; segue un epico duello col domestico Cato in agguato e da lì è un dipanarsi di situazioni farsesche assolutamente spassose. Su tutte spiccano l’interrogatorio tenuto in una casa di campagna (con mazza ferrata in faccia a una possibile testimone) e l’epico confronto finale con Dreyfus, tutti in preda al gas esilarante. In mezzo un po’ di fuffa e qualche gag sorniona ma anche un passo diverso che forse bisognerebbe apprezzare di nuovo, dove il ritmo è dato anche dalle pause e dalle attese, accumulando sapiente tensione comica. Herbert Lom – che interpreta Dreyfus – è eccezionale, isterizzato dalla stolida ma caparbia capacità di Clouseau/Sellers di distruggere tutto, dovunque arrivi, esattamente come Hrundi Bakshi in Hollywood Party o tanto Jerry Lewis. Culto assoluto della mia gioventù, sorvolo su alcune stupidaggini per proclamarlo anche della mia vecchiaia. (Dvd; 26/3/11)

ddv7411840 – Altro che locura: A Single Man di Tom Ford, USA 2009
Una giornata nella vita di un prof di letteratura inglese, gay, che elabora il lutto dell’amante pensando al suicidio. Ma incontra un lolito che sembra Tom Cruise con un lampo d’intelligenza negli occhi e ci ripensa. E poi il resto ve lo scoprite da soli, vedendovi il film, che se no che ci sto a fare qui, io, il cantastorie? Realizzato da un noto stilista americano di cui il mio ricercato guardaroba non conosce testimonianza, A Single Man è ovviamente film raggelato di superba eleganza, composto ai limiti dell’affettazione ed evita la fiera della gaytudine ozpetekiana o di tanto cinema corrente, dove sembri obbligato a fare il pazzeriello se no non rispetti i luoghi comuni etero che vogliono tutti gli omosessuali sfrenatamente affetti da locura. Alla fin fine, è bello da vedere, A Single Man, un po’ meno seguire… ma è un problema mio che mi annoio coi drammoni. E per una bella messa in scena, i dialoghi mi sembrano invece artefatti, ma non giova la traduzione italica tutta impostata e declamata. Vecchio problema, sempre attuale, di solito risolto con l’inverificabile affermazione che “abbiamo i migliori doppiatori del mondo”, un po’ come i portieri per il calcio. Coppa Volpi a Venezia 2009 a Colin Firth, bell’ometto anzichenò. (Dvd; 17/4/11)

ddv7412841 – La mediocrità commerciale de La rapina perfetta di Roger Donaldson, Gran Bretagna 2008
Questa solenne cacata è il classico film che si proclama “basato su una storia vera” e che capisci subito che è inventato di sana pianta: la vicenda è ispirata a una rapina avvenuta nel 1971 (l’11 settembre, tanto per cambiare), di cui mai si son trovati i colpevoli della banda del buco né recuperata la refurtiva, per cui… Comunque furono coinvolti servizi segreti e Scotland Yard, tra verità inconfessabili di politici, rivoluzionari di contorno e della principessa Margret. Mah. Il fatto è che io sono a Genova per la santissima Pasqua, senza il consueto gineceo del Cacace di contorno, e papà ha deciso che si vuol vedere questo crime movie di cui ha ben letto. A torto. Tra l’altro, per non so quale vaccata feng shui il salotto dei miei ospita un’assurda trovata di mia madre: una sorta di fontanella in moto perpetuo che istiga la pisciata compulsiva. Con questa sgradita colonna sonora supplementare vedo mediamente annoiato il prodotto di un regista appassito eppure capace secoli fa di un grandissimo film, Senza via di scampo (erede e remake del bellissimo The Big Clock). Qui, Donaldson ci mette solo arida professionalità e la pellicola è anonima, sicuramente ritmata ma senza cuore né simpatia. Gli attori han facce da cazzo, la ricostruzione storica è di maniera e non ha una briciola del fascino che, per esempio, trovavi nel televisivo Life On Mars. Colonna sonora originale fuori luogo (pomposa e ritmicamente pompata, ‘nammerda) e qualche recupero ovviamente godibile (T.Rex, Kinks), ma mi pare tutto artificiale, “commerciale” nel senso deteriore del termine e le inquadrature inclinate insensatamente mi confermano la natura paracula del prodotto. Mettiamoci poi un doppiaggio dove tutti declamano manco si trattasse di Shakespeare e ho detto tutto. L’apice pestilenziale è dato dalla scena in cui il boss dei rapinatori (l’insipido Jason Statham) va dalla moglie a mollare il malloppo: questi sono braccati dal MI5, dai mafiosi, c’è già scappato il morto e lei gli fa la scenata di gelosia perché paventa il tradimento con una complice… Ma per piacere, vergognatevi: voi che l’avete scritto e tu, proprio tu che l’hai girato. (Diretta Sky HD; 23/4/11)

ddv7413842 – Pure il terzo episodio: Le cronache di Narnia – Il viaggio del veliero di Michael Apted, USA/Gran Bretagna 2010
Ennesimo episodio di queste Cronache, un po’ Signore degli anelli, un po’ stracciamento di coglioni. Al terzo episodio ci si concentra sui fratellini più piccoli, anche perché i maggiori hanno facce grottescamente cambiate (va detto che tutti e quattro i protagonisti son diventati vieppiù orrendi, crescendo). Grandi avventure, tradimenti, conversioni e lieto fine di prammatica. Se hai 6 anni, è azzeccato, e siccome io ormai non ne ho di più, mentalmente, lo vedo con Sofia senza patemi. È il migliore film del terzetto di Narnia: ritmato, colorato, combattuto, senza troppe divagazioni e doppi, tripli, quadrupli finali. Comunque il regista Michael Apted (Incident at Oglala, Gorilla nella nebbia… e un sacco di altre cose) è uno strano: un incrocio incredibile di umanità e arido professionismo, boh. (Dvd; 1/5/11)

ddv7414843 – Inaspettato Fantastic Mr.Fox di Wes Anderson, USA 2009
I Tenenbaum era una stronzata graziata da un innegabile fascino visivo, trucchetto sensoriale che ha guadagnato a Wes Anderson immeritati e superficiali fan. Stavolta il regista ha però una storia di Roald Dahl su cui lavorare, non delle suggestioni scoordinate, e vi applica il suo gusto per il bizzarro, con calligrafismo compiaciuto e – lo concedo – anche qualche svisa intelligente. Ne viene fuori un bel film, una novella per bambini (o quasi) estremamente felice anche per adulti. Musiche intelligenti di Alexandre Desplat, colori intensi, ottime ambientazioni e caratterizzazione dei personaggi riuscita; i dialoghi e alcune situazioni evitano la banalità dei film infantili e – non so se per merito del regista o dell’autore originale – il risultato c’è, nonostante una certa frenata nello sviluppo narrativo a metà film. Molto carino, rivisto più volte grazie all’entusiasmo di Sofia ed Elena. (Dvd; 6/5/11)

ddv7415845 – Io non capisco Guerre stellari – L’impero colpisce ancora di Irvin Kershner, USA 1980
Fiabona bellica, stavolta, che parte subito con una battaglia sulla neve, tipo resistenti finlandesi contro la prepotenza sovietica. Ma forse sono io un po’ fissato. Comunque, a neanche quattro anni dal primo episodio della saga (in realtà quarto: quando all’epoca lo dicevo, nessuno mi credeva), a Luke è cascata la faccia e sembra un vecchio bolso. Yoda (praticamente un pupazzo dei Muppet) lo addestra come Jedi facendogli fare ridicoli esercizi di equilibrismo. Intanto Han Solo ha continue schermaglie d’amore litigarello con la principessa Leila, diventata anche lei un cesso spaziale (e se ripenso poi all’autobiografia di Carrie Fisher intitolata Non c’è come non darla… boh, mi dico: il problema è chi se la prende). Film considerato a posteriori molto riuscito, ha avuto incassi stratosferici: a me pare un po’ una palla al cazzo e neanche un anno dopo arrivava Blade Runner e quella lì sì che era fantascienza adulta, mica questa pappa che potrebbe essere un bignamino di mitologia greca per gli yankee, tanto è ancorata a miti annacquati, a figure retoriche, a prove e ricompense. Mah. Sono evidentemente io sbagliato che non capisco la mistica di Guerre stellari. E giuro che mi farebbe piacere far parte del club, ma non c’è verso, non ci riesco. Comunque al momento del confronto edipico con Darth Fener, dopo la ferale rivelazione, Sofia subito si volta verso di me e mi dice convintissima che non crede che Luke sia suo figlio, che deve essere un tranello. Li educhi al dubbio e questo è il risultato. (Dvd, 19/5/11)

(Continua – 74)

@DzigaCacace usa Twitter male

Qui altre Divine Divane Visioni, pensate

]]>