La grande bellezza – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dove la terra scotta: intervista a Mauro Gervasini https://www.carmillaonline.com/2016/03/24/29105/ Thu, 24 Mar 2016 21:01:57 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29105 di Dziga Cacace

Mauro Gervasini, amico e collaboratore di Carmilla, dirige dal 2013 FilmTV, l’unico settimanale italiano che si occupi esclusivamente di cinema. Abbiamo parlato con lui dello stato attuale della settima arte.

d_Ra8LXN_400x400Partiamo con un argomento che a Carmilla sta molto a cuore: esiste ancora un cinema di genere o ormai s’è rimescolato tutto? Esiste, ma il problema è che – specialmente nel cinema americano – alcuni generi sono stati fagocitati dalla tivù. Pensa al noir poliziesco o a quello che un tempo si chiamava “Serie B”, cioè quel [...]]]> di Dziga Cacace

Mauro Gervasini, amico e collaboratore di Carmilla, dirige dal 2013 FilmTV, l’unico settimanale italiano che si occupi esclusivamente di cinema. Abbiamo parlato con lui dello stato attuale della settima arte.

d_Ra8LXN_400x400Partiamo con un argomento che a Carmilla sta molto a cuore: esiste ancora un cinema di genere o ormai s’è rimescolato tutto?
Esiste, ma il problema è che – specialmente nel cinema americano – alcuni generi sono stati fagocitati dalla tivù. Pensa al noir poliziesco o a quello che un tempo si chiamava “Serie B”, cioè quel cinema col coltello tra i denti, fatto con budget risicati ma che era la palestra e il luogo della sperimentazione per un sacco di registi… ecco, quello oggi lo trovi nelle serie televisive, meno sul grande schermo.
Per il poliziesco il problema è cominciato negli anni Ottanta. Se penso a cos’è stato il poliziesco negli anni Settanta, c’è da mettersi le mani nei capelli. Vale anche per la fantascienza… forse l’unico genere cinematografico che può permettersi qualche sperimentazione è l’horror, che ha un andamento ciclico: l’horror estremo intanto non può andare in televisione. Poi in questi anni c’è stato un boom di certo horror francese, titoli come Martyrs, a Frontiere(s), tutti film abbastanza tosti… e devo dire che mi capita ogni anno – soprattutto grazie al festival di Torino – di vedere due o tre film horror che mi fanno alzare un sopracciglio… penso a Babadook o allo strepitoso It Follows, grandissimo.
Essendo un genere antitelevisivo, ecco, l’horror resiste. Certo, poi in tivù ci sono The Walking Dead o The Strain di Guillermo Del Toro, ma questo mi pare un genere che ha ancora cartucce da sparare e che non è stato ancora dissanguato. In crisi, invece, è – come dicevo – il poliziesco americano. Per fortuna che c’è ancora il noir francese, che ha una sua dignità e distinzione rispetto al genere televisivo. Un film come Le resistance de l’air è un ottimo polar, fatto e finito.
Il problema vero è che Hollywood lavora moltissimo sui brand consolidati. Adesso avremo un nuovo Alien. Una saga che ha 35 anni… cosa si può aggiungere di nuovo, a quel film?

Dicevi della tivù: ecco, possiamo considerare le serie televisive una nuova forma di racconto cinematografico?
Assolutamente no! Sono una cosa diversa, e vanno valutata per quel che sono: un campo da gioco differente con linguaggio e regole differenti. Ce ne sono di strepitose e anche di bruttissime ma insomma reputo fuorviante e anche un po’ pretestuoso questo dibattito sulle serie che stanno soppiantando il cinema.
C’è piuttosto un discorso da fare sul cinema americano che sta vivendo una profonda crisi identitaria, dovuta appunto al fatto che molti generi che erano tipicamente hollywoodiani sono stati demandati a una produzione di tipo televisivo, ma questo è ben diverso dal dire che le serie tv sono il nuovo cinema.

Presenza di ganci narrativi a profusione, trame orizzontali distese, ritmo continuo… la tivù sta cambiando comunque il linguaggio a cui siamo abituati? E cambierà anche come raccontare sul grande schermo?
I linguaggi sono diversi ma naturalmente si compenetrano e dal punto di vista narrativo ci sono stati sicuramente nuovi stimoli. Più che altro sono e saranno una componente sperimentale. Perché le serie hanno nella sceneggiatura il vero punto di forza.
Prendiamo i Soprano – la serie che io ho preferito: ricordo delle sequenze strepitose, ma è il testo la cosa più sconvolgente, l’elaborazione narrativa… Se vogliamo da questo punto di vista c’è un rapporto molto stretto tra cinema e tv, e penso al lavoro di Aaron Sorkin, però qual è la differenza? Nelle serie di David Chase ogni puntata viene diretta da un regista diverso, ma la serie rimane di David Chase.
The Social Network e Steve Jobs, sono due film interamente scritti da Aaron Sorkin ma il primo, girato da David Fincher, è un gran film, mentre il secondo asseconda in modo più fedele Sorkin e dal punto di vista cinematografico è molto meno interessante.

Anche dall’altra parte dello schermo sta cambiando la percezione: si vedono sempre più film in televisione, sul computer, sui tablet. Come crescono le nuove generazioni di spettatori?
Allora, bisogna stare attenti ai luoghi comuni: la maggior parte degli spettatori che si recano al cinema, in sala, ha meno di 25 anni. Il vero problema è la generazione dai 40 anni in su, che si è impigrita.
Il pubblico di massa più giovane comporta anche il successo di un cinema tagliato su quel gusto. Fa fatica il cinema più classico, più adulto e che magari ha una seconda vita in sale d’essai, nei cineforum… la filiera è lunga, per fortuna.
18655Il consumo su piccolo schermo ha certamente portato a una minore attenzione a quello su schermo grande ma è un problema antico. Da spettatore, io ricordo molto di più un film visto al cinema di uno in tivù, ed è raro che mi appassioni a un film visto in televisione – a meno che non sia un classico che magari non posso rivedere su grande schermo, con rammarico.
Ti faccio un esempio: Dove la terra scotta, è un cinemascope di Anthony Mann del 1958. L’ho visto su un 32” con un dvd che rispettava la ratio, un’ottima edizione. Ecco: è un capolavoro di cui mi rimarrà però il dispiacere di non averlo visto proiettato.
Prendi poi l’ultimo Tarantino: è un 70 mm – che non è un formato, attenzione – e se non lo vedi nelle condizioni giuste perdi tutto il lavoro sulla profondità che quella definizione consente…

Come ha reagito il cinema italiano in questi ultimi anni: la crisi ha attivato energie? O date mazzate finali?
Allora: nel 2013 ho fatto un gioco in cui ho chiamato i lettori di FilmTv a votare il loro film italiano preferito dal 2000 in poi. Poi ho ripetuto questo gioco negli anni successivi su altri temi, ma la partecipazione sul cinema italiano è stata veramente straordinaria. Attenzione: chiedevo non solo un voto, serviva anche un testo breve. Il film più votato dei primi 12 anni del secolo è stato Le conseguenze dell’amore di Sorrentino, del 2004; il secondo più votato è stato Pane e tulipani di Soldini, del 2001, con uno scarto veramente minimo. Guarda caso film d’inizio millennio. Pochissimi i film recenti. Forse non rappresenta nulla ma credo che il cinema italiano abbia avuto una forte crisi nei primi anni del Duemila, crisi da cui credo stiamo uscendo solo adesso. C’è grande fermento e disordine. Si continua a fare cinema d’autore e negli ultimi 3, 4 anni, un documentario come Sacro GRA ha incassato più di un milione di euro. Ha vinto a Venezia, certo, ma non è così automatico che questo significhi incassi sicuri. E, ripeto, è un documentario.
Il giovane favoloso, su Leopardi, ha avuto un successo di pubblico inatteso per un film con quella difficoltà, se vuoi.
E secondo me c’è un fermento anche nel cinema più popolare. Penso a Smetto quando voglio, che è una commedia intelligente lontano dalla piattezza di altre commedie banali, piatte. Sono segnali disordinati, frammentati – quest’anno ci sono le sorprese di Lo chiamavano Jeeg Robot o Perfetti sconosciuti – ma, forse anche grazie al successo internazionale di film come La grande Bellezza, c’è finalmente un’attenzione diversa nei confronti del nostro cinema.

FilmTv 2013-39Senti, come sei arrivato alla direzione di FilmTV?
Io ho collaborato a FilmTV nelle sue varie fasi, dal 1998: ero un collaboratore con intensità variabile! Poi tre anni fa mi hanno fatto la proposta di diventare direttore e mi sono resettato nei confronti del giornale: ho dovuto reinventarmi perché la responsabilità e le mansioni sono chiaramente diverse.

E lo hai cambiato molto, FilmTV?
L’ho cambiato, sì. Il mandato era di non stravolgerlo: FilmTV vive di uno zoccolo duro molto fedele, affezionato e consolidato che non avrebbe apprezzato delle rivoluzioni strutturali esagerate, per cui l’ho cambiato un po’ secondo i miei gusti e la mia idea di giornale. Credo anche di averlo semplificato, spero nella migliore accezione del termine.
Noi purtroppo non riusciamo a fare abbonamenti fisici, solo digitali – in crescita, molto – comunque vendiamo tra le venti e le venticinquemila copie settimanali, certificate ADS.

Il web è pieno di appassionati che scrivono di cinema: questi contributi influiscono sul lavoro critico più ufficiale?
Io li chiamo – rubando la definizione a qualcuno che non ricordo! – i cosiddetti saccopelisti della critica, nel senso che purtroppo hanno contribuito a rendere meno autorevole chi scrive di cinema e non lo fa solo a scopo informativo ma anche per fare analisi e critica. Purtroppo è diventata dominante soltanto la cosiddetta “critica impressionista” con questa brevità imposta dai social network, magari con toni accesi, ed è la morte del ragionamento.
Dire se un film sembra bello o sembra brutto è veramente il campo della soggettività più assoluta. Più che critici si diventa tifosi: pensa a La grande bellezza, che sui social è stato visto – e commentato – come una partita di calcio…

Mi stai facendo venire grandi sensi di colpa per le cose che pubblico su Carmilla!
Ah ah! È colpa del Cacace!

Ultima cosa: per una serata ideale, cosa ti regali al cinema?
Ah, non si scappa: I cancelli del cielo… ma oggi voglio consigliare Dove la terra scotta di Mann: recuperatelo, è fantastico!

]]>
La grande bellezza https://www.carmillaonline.com/2014/04/04/la-grande-bellezza/ Thu, 03 Apr 2014 22:01:40 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=13666 Pensierini di Dziga Cacace

???????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????553 – La grande bellezza di Paolo Sorrentino, Italia/Francia 2013 Mi violento e accetto la proposta di Barbara, ché in fondo ha ragione pure lei: sabato al cinema. Propone il San Carlo dove ho visto diversi film negli anni Novanta, tutti rigorosamente proiettati trapezoidalmente in maniera grottesca. Rifiuto. Allora c’è il Centrale, che ha solo 100 posti. Accetto. Ci avventuriamo in centro sulla vecchia Ka, fradicia di pioggia, ma la fortuna aiuta gli audaci: troviamo posto vicino alla sala e poi, arrivati a dieci minuti dalla proiezione, anche dentro. Seconda fila. Quando vedi i puntini dello schermo [...]]]> Pensierini di Dziga Cacace

???????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????553 – La grande bellezza di Paolo Sorrentino, Italia/Francia 2013
Mi violento e accetto la proposta di Barbara, ché in fondo ha ragione pure lei: sabato al cinema. Propone il San Carlo dove ho visto diversi film negli anni Novanta, tutti rigorosamente proiettati trapezoidalmente in maniera grottesca. Rifiuto. Allora c’è il Centrale, che ha solo 100 posti. Accetto.
Ci avventuriamo in centro sulla vecchia Ka, fradicia di pioggia, ma la fortuna aiuta gli audaci: troviamo posto vicino alla sala e poi, arrivati a dieci minuti dalla proiezione, anche dentro. Seconda fila. Quando vedi i puntini dello schermo significa che sei un po’ troppo appiccicato, ma me ne faccio una ragione perché ci rendiamo conto subito che questo non è un film che si possa vedere in tivù o sul computer. È visivamente straordinario, montato benissimo e fotografato in modo scintillante da Luca Bigazzi, stabilendo un’imbarazzante distanza figurativa con tanto anonimo cinema italiano. Tutto l’apparato di supporto è al massimo livello: la scelta della musica, mai banale (anche quando estremamente easy e kitsch, vedi Sinclair vs. Carrà o l’atroce remix house di Tu vuo’ fa’ l’americano); i volti e le interpretazioni del cast (tutte facce che raccontano storie solo a vederle, specialmente le donne: Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Serena Grandi, Isabella Ferrari), i dialoghi, essenziali e (furbescamente) aforistici e citabili. La vicenda, narrata per brevi flash e sequenze più corpose, è sostanzialmente il bilancio di una vita: Jep Gambardella, giornalista dominus delle notti romane e un tempo romanziere con un ormai introvabile esordio, riflette guardando la povertà del presente, la vacuità del mondo che lo circonda, risolvendosi infine a riprendere a scrivere: solo la bellezza ci salverà. Forse.
All’inizio sembra un film sull’Italia devastata di oggi, osservandone il profilo più effimero (le terrazze romane di pseudo intellettuali, gli insulsi spettacoli d’arte concettuale, la vita notturna della capitale), poi man mano che il film cresce intorno alla figura di Toni Servillo (gigione, sì, ma se lo può permettere, sinceramente) la morale diventa universale e il nostro paese è solo lo sfondo perfetto per la riflessione di Sorrentino e del suo personaggio che proustianamente rievoca quando ha perso l’innocenza e la bellezza, il ricordo della quale lo porterà di nuovo a scrivere. I critici si sono scannati tra detrattori ed esaltatori, tirando fuori a più riprese La dolce vita, che fotografava con amarezza l’Italia del boom, mentre questa Grande bellezza ne sancisce la fine, dove “tutto è solo un trucco”, come la grande illusione del cinema dimostra. Certo, c’è Roma, c’è un giornalista e c’è un finale di speranza su un volto femminile innocente, quasi a ricordarci che non si possa fuggire da Fellini, ma il paragone mi sembra pigro per tanti motivi e la poetica del regista napoletano è autonoma e ha del miracoloso oggi, in una cinematografia nazionale che fa quasi sempre della povertà una scusante a priori. Là, in Fellini, c’era un giornalista che assisteva alla crisi di fede di una nazione che diventava ricca (e la crisi passava dall’intellettuale suicida al popolino in attesa di miracolo, tutto mentre il Cristo volava via alto nel cielo di Roma), qui in Sorrentino è tutto rovesciato: l’Italia che diventa povera (non solo materialmente) è lo sfondo della crisi personale di un uomo che la fede la ritrova. Se formalmente alcune cose rimandano a Fellini (più Roma che La dolce vita, e sicuramente non la struttura, nel riminese sempre per lunghe sequenze, qui più frammentata), è proprio diversa la sostanza e mi stupisce che bastino un nano, qualche suora e un prelato goloso per cascare nell’equivoco semplificatorio (e nessuno che invece colga nel prefinale l’omaggio alla serenità bertolucciana in quel dolly che ascende mentre diverse coppie ballano in un prato). E poi – se vogliamo dirla tutta – ci sono anche tantissimo Pasolini, molto Flaiano, Scola e tutta quella modalità visiva di rappresentazione metafisica da De Chirico in giù, e se la citazione o il rimando sono funzionali al racconto e non fini a se stessi, non vedo il problema.
Poi, oh, io non sono all’altezza di un commento serio (e tanti che ho letto sui quotidiani meriterebbe di finire dentro il film, polverizzati dall’ironia di Gambardella e inchiodati alla loro inutilità), ma lo ammetto: sono stato ubriacato da questa Roma vista attraverso il filtro barocco dell’artificio (come quando la Ferilli cammina nella galleria prospettica del Borromini, a Palazzo Spada). Una vertigine iconografica da far girare la testa, travolti da muri rossi e mattoni sbreccati, marmo, fontane, acqua e antiche dimore di nobili decaduti, statue, turisti che muoiono per troppa bellezza, suore e preti e cardinali, pini mediterranei e giardini e rovine e monumenti, il Tempietto del Bramante e il Colosseo, teatro, yoga e danza e vibrazioni inesistenti ma spacciate per tali, tatuaggi, abbronzature, droghe e iniezioni di collagene e plastiche facciali e corporee perché questa è l’Italia: un corpo in disfacimento martoriato dalla chirurgia estetica per mascherare cosa siamo diventati.
“Roma ti fa perdere un sacco di tempo” e ti emoziona, ti sconvolge, ti mette di fronte a una bellezza ineguagliabile e tanto più schiacciante se paragonata alla bruttezza attuale, intellettuale e antropologica. E ti tradisce, come ricorda Verdone che torna al paese, deluso: “Che cosa avete contro la nostalgia?”. Io niente, figurati che ho nostalgia anche degli anni Ottanta… ci pensavo ieri: chi era Spadaccia? Si può avere nostalgia di Gianfranco Spadaccia? Mah!
La consapevolezza che Gambardella acquisisce dopo due lutti, un ennesimo compleanno e un’inaspettata prova d’amore (in ordine sparso “Alla mia età una bella donna non è abbastanza”, “È stato bello non fare l’amore con te” e ancora “Che belle persone che siete!”) mi ha conquistato e commosso, come son stato emozionato alle lacrime dal breve incontro con madame Ardant (questo è il cinema!) o sorpreso dal trovare l’impunito Venditti al ristorante.
E poi, ne La grande bellezza, non c’è il consueto piagnisteo contro gli altri, sentendosi gli unici puliti e giusti: il protagonista sente la sua appartenenza al marciume che deride e, certo, questa ambiguità può dar fastidio. È un’ironia reazionaria che diventa anche autoassolutoria, perché Gambardella e Sorrentino fan parte del mondo che criticano e non se ne chiamano fuori radicalmente, ulteriore (involontario?) segno di quell’identità nazionale che il film fotografa in modo impietoso.
La grande bellezza Cacace 2Ma queste son letture dovute anche a come critica e politica hanno accolto il film, e mi pare che affrontino solo uno dei versanti. È il lato esistenziale che viene sottovalutato (perché si presta poco anche a considerazioni, se non che questa è una storia che abbiamo già sentito: non avvertite profumo di fragole?) ed è lì che trovo – a differenza della freddezza troppo spesso rimproverata al regista – un calore nella narrazione, avvolta dalla luce soffusa e rosata che incendia Roma al tramonto e all’alba. Il regista partecipa la disillusione, la consapevolezza e infine la ritrovata felicità di Gambardella (“Il futuro è meraviglioso, Stefa’”), ci fa vedere l’amarezza di Verdone (erano ANNI che lo volevo in un ruolo drammatico, non a fare la macchietta: non è vero che è sempre se stesso, qui c’è dolore!) o la profondità ignorante della Ferillona (perfetta, tutto sommato) che sta affrontando il dramma della malattia con la sola voglia di vivere.
Mi lascia perplesso la meccanicità del finale (il miracolo coi fenicotteri e la “santa” simil Madre Teresa che ricorda l’importanza delle radici con grottesco didascalismo), ma m’è talmente piaciuto il film che avrei già voglia di rivederlo, per goderne ancora. E son pochi i film che mi hanno provocato questa reazione in tempi recenti. Ah: l’Oscar, giusto. Siccome la visione di Roma è folgorante si presagisce una vittoria. Gli americani amano le cartoline dall’Italia, si sa, ma qui di cartoline – se la cartolina è la banalizzazione del bello – io ne vedo poche, mentre il testo, come grammatica e significati, mi sembra lontanissimo dalla comprensione di Hollywood. O forse no. Boh, vedremo. (Cinema Centrale, Milano; 1/2/14)
P.s.: mi ero sbagliato, tanto per cambiare: il film vince l’Oscar e subito parte la consueta divisione dell’Italia tra pro, contro e superiori annoiati. Mediaset lo manda in onda due giorni dopo la vittoria (con audience stratosferica) e a quel punto tutti possono dire la loro, con epica punteggiatura di commenti su Facebook e Twitter minuto per minuto, come se si trattasse di una partita di calcio. La politica si appropria del film, proponendo cittadinanze onorarie e quant’altro, equivocando il titolo con un’esaltazione della capitale. Di suo Sorrentino ci mette un’atroce pubblicità per la 500 di Lapo (“La piccola grande bellezza”) che mi fa ripensare criticamente tutto l’entusiasmo sincero che ho messo nello scrivere questo pezzo un’ora dopo che ero uscito dal cinema: dovrei aspettare sempre almeno un anno prima di scrivere, innanzitutto per capire, poi per elaborare.
E se ho dimenticato qualcosa significa che non ne valeva la pena.

]]>
Made in Italy https://www.carmillaonline.com/2014/03/09/made-in-italy/ Sun, 09 Mar 2014 22:39:50 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=13327 la-grande-bellezzadi Alessandra Daniele

”I privilegiati depressi: fanno pure più schifo dei privilegiati contenti” (”La Terrazza” – Ettore Scola, 1980)

Oggi qui ci sarebbe potuta essere una recensione de La Grande Bellezza, ma non ho retto, mi sono addormentata dopo la prima mezz’ora, al centesimo stereotipo pseudo-felliniano riciclato. Ormai la patacca agli americani gliel’abbiamo appiccicata, possiamo smettere di fingere che sia un buon film. Possiamo anche smettere di fingere che sia un film. Gli americani in fondo sono ingenui. Hanno persino creduto che Putin si sarebbe lasciato portare via l’Ucraina sotto [...]]]> la-grande-bellezzadi Alessandra Daniele

”I privilegiati depressi: fanno pure più schifo dei privilegiati contenti” (”La Terrazza” – Ettore Scola, 1980)

Oggi qui ci sarebbe potuta essere una recensione de La Grande Bellezza, ma non ho retto, mi sono addormentata dopo la prima mezz’ora, al centesimo stereotipo pseudo-felliniano riciclato.
Ormai la patacca agli americani gliel’abbiamo appiccicata, possiamo smettere di fingere che sia un buon film. Possiamo anche smettere di fingere che sia un film.
Gli americani in fondo sono ingenui. Hanno persino creduto che Putin si sarebbe lasciato portare via l’Ucraina sotto il naso senza reagire.
Il genio italico invece non si smentisce: anziché abolire le elezioni come un dittatore qualsiasi, o truccarle come un presidente qualunque, Renzi e Berlusconi hanno fatto cartello come Roche e Novartis e inventato una legge elettorale che rende le elezioni definitivamente inutili, perché allo stato attuale può produrre solo un altro parlamento schizofrenico e ingovernabile, e di conseguenza l’ennesimo governissimo di larghe intese.
Il Cotechinum è persino peggiore del Porcellum di Calderoli: Renzi ha battuto un altro record. ‘L’educazione è il futuro dell’Italia” ha detto questa settimana, ma intendeva ”education”, cioè l’istruzione. Il suo spin doctor gli rivende gli slogan di Obama tradotti con Google Translate.
Il suo programma di riforme costituzionali concordato con Berlusconi prevede l’eliminazione delle province, e la castrazione del Senato, che – casualmente – sono fra i pochi punti del Piano di Rinascita Democratica non ancora realizzati.
Il suo programma economico prevede temporali.
Dai mercati è arrivata una reazione tiepida e sonnolenta come una pisciata notturna. Dall’Europa è arrivato il solito cazziatone: il Rigore potrebbe uccidere l’economia italiana, ma non c’è ancora riuscito, quindi ce ne vuole un’altra dose.
Intanto nel Grande FraGrillo continuano le eliminazioni strappalacrime, e le polemiche con la stoica conduttrice Boldrini. Da quando sono stati autorizzati a frequentare i talk show, abbiamo scoperto il tratto comune a tutti i capoclasse del M5S: la spocchia. Il fatto che in realtà non contino un cazzo, e siano anche loro, come gli espulsi che disprezzano, appesi ai capricci padronali della ditta proprietaria del marchio M5S, rende la loro boria petulante particolarmente ridicola.
La grillata della settimana è stata la secessione. Il ghost writer di Grillo gli rivende gli slogan di Bossi tradotti con Babelfish.
A sinistra del PD, sempre più naufraghi s’aggrappano alla scialuppa di Tsipras rischiando di rovesciarla come la Costa Concordia. È comprensibile quindi che Tsipras in Italia abbia sempre un po’ la faccia del trentenne che ha dato una festa per qualche amico coetaneo, e s’è ritrovato l’appartamento invaso da imbucati sessantenni che bevono, litigano, e vomitano sul tappeto.
È la democrazia Made in Italy.
Per quanto tutto questo oggi possa sembrarci patetico e insensato, fra qualche anno, filmato e condito con due tette, due suore, e quattro cartoline, agli americani piacerà.

]]>
Paolo Sorrentino: La grande bellezza https://www.carmillaonline.com/2013/06/09/paolo-sorrentino-la-grande-bellezza/ Sat, 08 Jun 2013 22:03:47 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=6462 di Mauro Baldrati

Sorrentino_Servillo_-apertuMentre digitavo nel campo “cerca” di google: “la grande”… è subito apparso La grande abbuffata. Così ho avuto un flash inaspettato: non sarà che tra i numerosi riferimenti attribuiti all’ultimo film di Sorrentino potrebbe esserci anche il film di Ferreri? Entrambi sono produzioni italo-francesi. Non che sia significativo, ma nel Grande Nulla che si sprigiona da La grande Bellezza, viaggio per immagini in territori urbani desertificati, non potremmo iscrivere anche il deserto esistenziale di vite fallite dei quattro amici che decidono di farla finita mangiando?

Vite fallite. La vita di Jeb Gambardella, il nostro navigatore (e anche narratore) [...]]]> di Mauro Baldrati

Sorrentino_Servillo_-apertuMentre digitavo nel campo “cerca” di google: “la grande”… è subito apparso La grande abbuffata. Così ho avuto un flash inaspettato: non sarà che tra i numerosi riferimenti attribuiti all’ultimo film di Sorrentino potrebbe esserci anche il film di Ferreri? Entrambi sono produzioni italo-francesi. Non che sia significativo, ma nel Grande Nulla che si sprigiona da La grande Bellezza, viaggio per immagini in territori urbani desertificati, non potremmo iscrivere anche il deserto esistenziale di vite fallite dei quattro amici che decidono di farla finita mangiando?

Vite fallite. La vita di Jeb Gambardella, il nostro navigatore (e anche narratore) non sembra all’insegna del fallimento. E’ diventato “il re dei mondani”, conosce tutti i salotti romani più esclusivi, dove entra trionfalmente, e scrive su un importante giornale. Però anche sì. E’ anche un fallito. Come scrittore. Almeno secondo il loro punto di vista, l’unico che concepiscono, che prevede il successo, e quindi il fallimento. Ha scritto un unico libro, molti anni prima, poi più nulla. Qualcuno gli chiede: perché non ne scrivi un altro? Era grande quel libro. Ovviamente non sappiamo se sono complimenti sinceri, essendo il film sovrappopolato di personaggi bugiardi, costruiti. Però Jeb a un certo punto fornisce una risposta interessante e geniale: “Mah, perché esco troppo la sera”.

E’ una risposta che avrebbe potuto fornire anche Swann, uno dei personaggi più importanti della Recherche, e uno dei più amati dal suo autore, Marcel Proust. Perché Jeb è anche questo: uno Swann moderno, così disincantato, così raffinato, così arguto, amico di principesse e di contesse, e soprattutto così pigro. Swann sta scrivendo un saggio su Vermeer, da anni. Ma non lo conclude mai. Proust ci informa che è soggetto a crisi di accidia, si siede al tavolo ma non combina niente. Così si agghinda e se ne va per salotti. Anche Jeb non combina nulla, a parte sprecare tempo. Perché questo è uno dei grandi segnali della Recherche: non il tempo perduto, inteso come nostalgia, come memoria di ciò che è finito, ma tempo sprecato. Lo spreco di tempo, di vita. Proprio come la vita sprecata di Jeb, della quale è anche cosciente, come appare qua e là, tra una scena e l’altra, tra una performance e l’altra. Attimi di riflessione, forse di crisi esistenziali. Ma sono brevi cenni, perché la crisi, se esiste, non si manifesta compiutamente nella body-narrazione del personaggio. Non è diffusa. Bisogna intuirla. Bisogna volerla vedere.

Sorrentino_VerdoneLa grande bellezza è anche un film sulla crisi esistenziali, sul vuoto, sul degrado dei rapporti umani. Ma le infinite sfaccettature, le digressioni narrative sulla pura visionarietà delle scene, dei movimenti di macchina, delle comparsate di attori-icone del cinema non solo italiano (Serena Grandi, più felliniana che mai, Verdone in una delle sue classiche macchiette, Fanny Ardant, Sabrina Ferilli molto sexy, addirittura Venditti nel ruolo di se stesso che mangia da solo in un ristorante), non permettono una sintesi compiuta delle metafore. C’è dentro molto materiale, citazioni cinematografiche e letterarie, la decadenza dell’alta società, della stessa città, con punte di grande cinema, come sempre in Sorrentino. Ma sembra che il regista non voglia sbilanciarsi troppo, non si voglia schierare. Prende qua e là ciò che gli serve, ma lo spoglia per così dire del contesto, delle radici.

Così Jeb prende da Swann, ma solo qualche aspetto. D’altra parte questa era la tecnica di Proust. Prendeva campioni di personaggi reali, e li assemblava. In un ristorante, dove sta cenando con Sabrina Ferilli, con la quale andrà a letto senza fare nulla, perché è la figlia di un vecchio amico (“è stato bello non fare l’amore”, dice, mentre giacciono sul letto seminudi, con l’immancabile sigaretta – la solita ossessione di Sorrentino per il tabagismo estremo), di fronte allo sventurato figlio di un’amica miliardaria che lo invita a concentrarsi su Proust, risponde: “meglio concentrarsi sul menu”. Questo Swann non l’avrebbe mai detto. Non avrebbe mai espresso questo cinismo, così italiano, questo disincanto rassegnato.

Per cui in Jeb c’è anche altro. C’è Marcello, il navigatore de La dolce vita, il film più citato come principale riferimento de La grande bellezza. In effetti molte scene sono ultra dolcevitiane. Lo stesso Fellini, tra l’altro, cambiava spesso registro narrativo, e indugiava sulle scene come ricerca sull’immagine in sé. Cinema del cinema insomma. E la festa della nobiltà nel castello viterbese, così atroce, che fece impazzire Warhol (tra l’altro in queste scene figurava anche la futura Chelsea Girl Nico come attrice), irrompe più volte nel film di Sorrentino. Spreco, vuoto centrale, cicaleccio nel deserto esistenziale, pose, falsità, pazzia, la voce umana che si alza nel silenzio del nulla. Una delle centinaia di frasi sparate nello spazio profondo da Winnie, la donna piantata nella sabbia di Giorni felici di Beckett, potrebbe essere il manifesto de La grande bellezza: “Eh, sì, così poco da dire, così poco da fare, e una tale paura, certi giorni, di trovarsi… con delle ore davanti a sé, prima del campanello del sonno, e più niente da dire, più niente da fare, che i giorni passano, certi giorni passano, passano e vanno, senza che si sia detto niente, o quasi, senza che si sia fatto niente, o quasi”.

Sorrentino_ServilloMa Jeb non riesce ad avere quella punta di malinconia sempre incombente di Marcello. Diciamo che contiene una parte di Marcello, ma più moderno, più adeguato al nostro tempo. Per lo più Sorrentino indugia coi primissimi piani sul viso di Toni Servillo (dimostrando di avere recepito gli stilemi hollywoodiani, l’uso intensivo del primissimo piano sulle star), come se noi, spettatori, potessimo – dovessimo? – scoprire stati d’animo o riflessioni non dichiarate nel personaggio-sfinge. Fellini, e Proust, amano i loro personaggi, anche quando li dipingono con un sarcasmo che rasenta il sadismo. Nel film di Sorrentino c’è come un maggiore distacco, che iscrive alcune scene, soprattutto nella prima parte, pure girate con maestria, a un inevitabile, quanto non voluto, virtuosismo.

Questo film ha spaccato la critica. Non accade spesso. C’è chi ha gridato alla “cagata pazzesca”, chi al quasi capolavoro. Chi ha detto che è il nuovo Dolce vita del terzo millennio, chi si è indignato per questo paragone blasfemo. E’ un dato interessante. Smuovere gli ormoni di certi “critici”, sempre così omologati, sempre servizievoli verso le veline della produzione, è un ottimo risultato. Significa che circola l’energia, in qualche modo, e tocca corde sensibili, perfino in chi la sensibilità l’ha sostituita da tempo col mestiere e con la superficialità.

Ma: per concludere: dov’è la grande bellezza? Forse nella vivacità delle immagini, nello stile raffinato e innovativo delle inquadrature, nelle carrellate di personaggi? Nelle scenografie romane? Nelle belle musiche di Lele Marchitelli? Nella ricerca di un senso, di una identità? O forse nel finale, con inquadratura su Jeb-Servillo, che rappresenta una sorta di miniatura del Temps retrouvé, e una svolta nel “positivo”, nella vita? Qui è indispensabile il giudizio, arbitrario e necessario, dello spettatore, che non si preoccupa di doverlo esprimere, ma solo di sentirlo, metabolizzarlo come risposta multipla, o dubitativa. Perché il recensore, per quanto si impegni, una risposta certa non riesce a trovarla.

]]>