La febbre del sabato sera – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Divine Divane Visioni (Cinema di papà 07/08) – 62 https://www.carmillaonline.com/2014/09/18/divine-divane-visioni-cinema-papa-0607-62/ Thu, 18 Sep 2014 20:44:26 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17191 di Dziga Cacace

Ma come diavolo ci difendiamo? A parolacce?

ddv6201661 – Sesso, sangue e ricatto in Hostel di un sadico, USA 2005 Sono di passaggio da casa dei miei, a Genova, e la pigra scanalata serale – noi genitori non più adusi neanche all’accensione del televisore – ci cattura subito. Ogni film sembra una evasione liberatoria, anche la più clamorosa vaccata. Incappiamo in questo Hostel e intuiamo subito che da questa golosa porcatina sarà difficile staccarsi, come capita con quei fantastici snack malati, pieni di sale, zuccheri e colesterolo che se apri il pacchetto, dici «solo una» e poi [...]]]> di Dziga Cacace

Ma come diavolo ci difendiamo? A parolacce?

ddv6201661 – Sesso, sangue e ricatto in Hostel di un sadico, USA 2005
Sono di passaggio da casa dei miei, a Genova, e la pigra scanalata serale – noi genitori non più adusi neanche all’accensione del televisore – ci cattura subito. Ogni film sembra una evasione liberatoria, anche la più clamorosa vaccata. Incappiamo in questo Hostel e intuiamo subito che da questa golosa porcatina sarà difficile staccarsi, come capita con quei fantastici snack malati, pieni di sale, zuccheri e colesterolo che se apri il pacchetto, dici «solo una» e poi te lo devi finire. La prima parte del film, preparatoria, è irritante nella sua linearità, con degli imbecilli studenti americani in Interrail e che hanno praticamente la patata tatuata in fronte. Beh, anch’io ero partito per il classico viaggio post liceo pieno di aspettative verso leggendarie valchirie pronte a sbranarsi il bel pezzo di manzo che ero. Invece era finita che m’ero messo con Barbara. Perlomeno fino a stasera, visto che durante la visione del film borbotta più volte. I protagonisti, comunque, beati loro, si fanno una drogata tappa copulativa ad Amsterdam e son tentati dal colpo grosso: sono attirati a Bratislava per trombare ancor più, alla grandissima. E trombano, con gran sollazzo di regia (Eli Roth) e spettatore lubrico: ci manca che Barbara mi asciughi la bavetta alla bocca. Però per troppa foga e amor di figa i due rimangono invischiati in un gioco mortale: il film allora prende quota e c’è una certa astuta cattiveria visiva e narrativa che non lesina pelle, sia nuda che lacerata e sanguinolenta. Il film si pretende sia ambientata in Slovacchia, ma siamo nella Repubblica Ceca e la fauna locale che appartiene alla categoria “macrognocche da infarto”, viene esibita abbondantemente senza nascondere la natura maschile e maschilistica di questo esercizio sadico, rivolto a un pubblico preciso. Son moralista? Macché! Mi piacciono pure le donne nude – pensa te – ma mi dà fastidio il ricatto quando è così scoperto, senza nessuna astuzia se non l’esibizione (in cui casco a piedi giunti, è chiaro. E capisco anche il protagonista: il chiavatone che si fa vale una mutilazione permanente). Comunque: ritorno in me e faccio il prof dalla voce nasale: il problema generale di Hostel è essere un film che fa dell’esposizione oscena la sua ragione. Un po’ come quella stronzata di Saw, horror efferato, cinematograficamente furbetto e di cui mai vedrò i seguiti, neanche sotto tortura, quella tortura. (Diretta Sky; 6/10/07)

ddv6202662 e 663 – L’ha scritto Balzac E.R. (Anno 3 e 4) di Michael Crichton e Aa.Vv., USA 1996/97
Vi è mai successo? Avete voglia di un bel filmone fluviale, una di quelle faccende che rimani nel buio della sala, o tramortito sul divano, e pensi: questi personaggi sono vivi. Io li conosco, gli voglio bene, devo sapere cosa gli accadrà domani. Perché per quella porzione di tempo che ti ha preso il film tu sei entrato nella loro vita, nei loro problemi, hai condiviso la loro felicità o i drammi, i dubbi, i successi e le sconfitte. Ecco: penso a La maman et la putain… Leaud dove sarà ora? Starà ancora parlando e parlando, indeciso su cosa fare della sua vita? Beh, avevo voglia di una cosa così e mai mi sarei aspettato di trovarla in un serial televisivo. Perché la tivù di solito banalizza, attutisce, tranquillizza, consola, distrae, addormenta. E invece ecco che quel E.R. che ho schifato per tanti anni mi dimostra che può avvenire anche il contrario. Intendiamoci, ero esaltato anche dalle prime due serie ma con queste terza e quarta stagione si ascende ad ancora più alte sfere celesti. Si tratta di un capolavoro. È la Commedia Umana del ventesimo secolo, il documento visivo più completo per capire cosa siano gli Stati Uniti, degli anni Novanta e di oggi: lavoro, Aids, razzismo, rapporti uomo donna, omosessualità, disgregazione della famiglia, assistenza sanitaria, classismo, ricerca medica, mutuo, povertà, droga, delinquenza, armi, consumi, le gang, gli homeless, il Capitale, la vita e la morte… c’è tutto, con uno sguardo democratico, mai estremista, talvolta cerchiobottista ma mai falso o moralista (è lo show, credo, più visto di tutti i tempi: queste serie viaggiavano su una media di 30 milioni di spettatori. No, dico: 30 milioni. Intesi?). Ottimo il cast, il montaggio, le musiche, il ritmo, la regia, la psicologia dei personaggi, la verosimiglianza quotidiana e anche esistenziale. Tutto. Perfetto. Quando lo vedeva solo Barbara mi stava sul cazzo (E.R., non lei), poi, visto in originale l’episodio pilota della prima serie, sono rimasto completamente schiavo. È l’optimum televisivo: l’Heimat che gli americani non sanno di aver prodotto. E so già che un giorno dovrà arrivare a conclusione. E dove finiranno tutti loro, eh? E io? Argh. (Dvd; ottobre e novembre 2007)

ddv6203665 – Il finto The Prestige di Christopher Nolan, USA 2006
A Genova, per un blitzkrieg weekend, con pupattola al seguito. Dopo cerimonie voodoo, scongiuri e pratiche animistiche per addormentarla, ci concediamo un film e papà ci precede, un po’ aggressivo, come a dire di non cominciare a rompere: “Ho un dvd ottimo, con responsi critici da favola”. Ahia, qui finisce a schifio. Lo produce dalla borsa e io faccio la faccia un po’ così, da vera merda. Siccome si irrita subito perché distruggergli i film che mi propone è il mio sport preferito, lo ammansisco dicendogli che anche l’amico Pif lo ha trovato splendido, per intreccio e sorprese. Lo vediamo e, invece, sarò io un genio, ma mi erano chiari tutti gli inghippi con abbondanti mezz’ore di anticipo. E siccome io NON sono un genio vuol dire che il film è una vaccata. E per la cronaca mio padre non ha invece capito una mazza e s’è pure addormentato. Messo in scena benissimo, The Prestige è però freddo e lunghetto e sembra il compitino di un primo della classe che vuole sempre stupirti, sennonché a Nolan il prestigio non viene per nulla, secondo me. Con Memento il regista ci riusciva prima di diventare noioso, qui no. Il cast gronda dollari e oltre ai divetti Hugh Jackman e Christian Bale ci sono anche il classico Michael Caine, l’elegante David Bowie e la fatalona Scarlett Johansson, che com’è fotografata qui sembra una caricatura: è alta un metro e un barattolo, la forma del viso ricorda quello di un divieto di sosta con labbra carnosissime e ha tette che la precedono di un quarto d’ora buono. No, non è sessismo mio, è sessismo loro, credetemi. Vabbeh, film che passa ma che delude anche. L’unica cosa che mi ha divertito è stato Bowie nella parte dello squinternato e geniale Tesla. Basta. Comunque Pif ha messo su un suo programma su MTV, Il testimone, ed è bellissimo, questo sì. Semplice nella forma, ricchissimo nella sostanza: un distillato di intelligenza del mio piccolo amico, uno che farà carriera, son sicuro. (Dvd; 7/12/07)

ddv6204666 – Una porcata, Homecoming di Joe Dante, USA 2005
Papà ci riprova e mi dice, mani avanti: “Oh, Joe Dante! Ci siamo capiti? Dante!”. Beh, ne ho letto qui e là e in effetti molti critici erano in erezione marmorea per ‘sto filmetto. L’idea di partenza è folgorante (i cadaveri dei soldati USA morti in Iraq riemergono da sottoterra perché vogliono votare contro Bush) ma lo svolgimento è paratelevisivo a voler essere generosi, con attori che non se li imbarcherebbero neanche i Legnanesi in una replica parrocchiale. Mamma mia che brutto, una schifezza umiliante. Siccome Dante è pur sempre Dante, gli perdonano qualunque cosa, ma già La seconda guerra civile americana era una stupidaggine che si sgonfiava dopo aver semplicemente letto il riassunto sui quotidiani. E anche stavolta c’è solo un’intuizione e non un adeguato sviluppo nonché una forma degna di tal nome. E poi mi hanno un po’ rotto il cazzo gli americani liberali che della guerra in Iraq si ricordano sempre le vittime statunitensi e mai i centomila civili iracheni stecchiti (a volare bassi con le stime). Più gli altri (soldati, ribelli, pure terroristi) che son uomini anche loro. Se per loro un filmetto così è buono per pulirsi la coscienza, io aggiungo che mi ci pulirei qualcos’altro. E dài, eh. (Dvd; 8/12/07)

ddv6205667 – L’inaspettato Munich di Steven Spielberg, USA 2005
Non pago, dopo due cocenti delusioni, papà insiste ancora con le sue proposte cinematografiche e stavolta fa centro nella maniera più inusitata. Vedo il dvd di Spielberg e comincio a lamentarmi. Perché diverse cose sue recenti mi hanno irritato e certa poetica infantile non mi piglia più, non so. Che poi sa mettere in scena – e chi dice di no – però, boh. “Ma lo guardiamo, papà, dài, non offenderti”, e… ammazza che film! Va come un treno, è sottilmente ambiguo, per nulla compiacente, ricco e pure appassionante, limpidissimo e zeppo di fughe di “genere”. Insomma: il capolavoro che non ti aspetti, snobbato dal grande pubblico al botteghino e rifiutato sdegnosamente dagli israeliani (il che fa capire molte cose). Voglio dire: quale azione terroristica è risultata mai più odiosa dei fatti di Monaco, dell’uccisione di quegli atleti israeliani nel luogo dove dovrebbe vigere la tregua olimpica? Quanto può aver allontanato dalla comprensione della causa palestinese quell’atto? Eppure Steven (ebreo, sempre attentissimo alla memoria del suo popolo) riesce a metterci anche il punto di vista *loro* e si sforza di capirlo e costringe lo spettatore a mettersi in discussione come il protagonista, chiedendosi il senso della vendetta, del sangue che non lava altro sangue, ma ne farà versare ancora. E dove siano la ragione e il torto. Oh: mai amato troppo Spielberg, ma un film così mi fa perdonare tante cose. Per me – in un ambito mainstream e con cotanta paternità – perfetto. (Dvd; 9/12/07)

ddv6206669 – Ancora un capolavoro: Grizzly Man di Werner Herzog, USA 2005
Film incredibile, scomodo, folle e irritante come sa essere la vita. E la morte. Lo sguardo glaciale di Werner, senza giudizi, sull’esistenza irregolare di Timothy Treadwell, un ambientalista sui generis che ha deciso di votarsi all’impossibile convivenza con dei grizzly, cari e buoni finché non han fame. La storia è perlopiù narrata attraverso i filmini che Treadwell ha realizzato (un centinaio di ore di materiale, accuratamente selezionato e montato), accompagnati dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto (l’ex fidanzata, la sorella, un medico, una guardia forestale), tipi che non paiono meno strani dell’oggetto dell’investigazione filmica. Ma Herzog, come sempre, sembra chiederci: qual è la normalità? E possiamo piegare la natura ai nostri desideri? Le immagini documentarie di Treadwell sono curiose e danno un sapore particolare e agghiacciante al racconto, anche se ci vengono negate le sequenze finali della sua vita, che viviamo solo attraverso lo sguardo allucinato della sorella che invece le vede. Scelta etica che diventa anche cinematograficamente potentissima. Gran film, tanto per cambiare, tra l’altro musicato da quel genio che è Richard Thompson, uno dei miei musicisti preferiti (definizione preferita: “suona come se Chuck Berry fosse uno scozzese cresciuto in Libano”; in Italia quanti saremo ad avere tutti, ma dico proprio tutti, i suoi dischi?). (Dvd; 14/12/07)

ddv6207672 – Droga tagliata un po’ male: 24 – Stagione quattro di Aa.Vv., USA 2005
Siccome sono rimbambito ho visto la quarta serie prima della terza. Amen, più mistero ancora. In realtà non si gioca tanto sui tradimenti, perché è una serie un po’ fascistona e schematica, con buoni e cattivi schierati, morale busheggiante e arabi amorali, pronti ad ammazzare i figli. Stavolta non c’è teoria del complotto, ma pura e semplice azione. Jack Bauer agisce trasgredendo ordini e protocolli, risolvendo quello che i burocrati culi di piombo affrontano con leggerezza, incompetenza e lentezza. E intanto fa secchi un centinaio di arabi (o simili, anche se sono iraniani per gli yankee è la stessa cosa) traspiranti e puzzoni, anche quando plurilaureati. Per salvare la faccia ci sono anche arabi buoni che denunciano le attività dei fratelli cattivi. Unica (involontaria?) contraddizione: il discorso del cattivone di turno, tale Marwan, alla nazione americana, che riassume in due frasi la rabbia di chi odia la politica USA. Lo fa in maniera così precisa e ficcante che dubito che chi l’abbia scritta non ne intravedesse la verità. Rispetto alle prime due serie è tutto un po’ raffazzonato: più di un personaggio è dimenticato durante la narrazione (puf! Scomparsi!), molte volte gli impicci nascono da leggerezze francamente incoerenti (mancanza di uomini, tecnologia o abilità) e lo schema narrativo (indizio, ricerca del personaggio, interrogatorio, tortura, successo) è ripetuto troppe volte. Grande adrenalina, poco fosforo. Me ne farò una ragione. (Dvd; dicembre 2007 e gennaio 2008)

ddv6208674 – Il tristanzuolo Kontroll di tale Antal Nimrod, Ungheria 2004
Un film autoriale ungherese che trovo poco risolto: quando si bordeggia la commedia si ride a denti così stretti che ti fai male. Nelle parti drammatiche o poetiche è invece tutto sfuggente o un po’ banalotto. Bellissima fotografia sotterranea (il film è ambientato nella metropolitana di Budapest), okay, qualche attore dalla faccia interessante, una certa tenerezza, ma non cerchiamo scuse: Kontroll risulta – stringi stringi – una magiara rottura di coglioni come poche. (Dvd; 26/1/08)

ddv6209681 – Lo storico Barbarella di Roger Vadim, Francia/Italia 1968
Siccome l’hanno visto in milioni, siccome di Jane Fonda manca poco che si veda anche una gastroscopia, siccome i costumi li ha disegnati Paco Rabanne, siccome la psichedelia fantascientifica arrivava alle masse (virata pop e vagamente cartoonish), siccome c’era la liberazione sessuale, siccome tutte queste cose, Barbarella è un film che va visto. Lo faccio e mi ritengo autorizzato a definirlo una cagata dove salvo solo il grandissimo Ugo Tognazzi, perché il timbro della sua voce è splendido e perché – perlomeno sulla scena – si bomba la Fonda. Mi direte: ma questo film aveva un senso allora, non oggi, e l’erotismo e bla bla. Okay, ma io l’ho visto adesso, c’è già YouPorn e son nervoso, per cui fatevene una ragione. (Dvd; 29/2/08)

ddv6210682 – Scappo in Madagascar, di Eric Darnell e Tom McGrath, USA 2005
Un filmetto piacevole che ci mette mezz’ora ad ingranare e poi cresce bene. Il tratto un po’ spigoloso non mi piace granché ma molte scene (per presenza di masse – la tribù di lemuri imbecilli –, o architetture – Grand Central Station) non sono niente male. Il gioco citazionistico è spinto al massimo per dare motivo d’interesse agli adulti a seguire una vicenda abbastanza esile e perfetta per i pupattoli. Talvolta funziona (La febbre del sabato sera) altre è pura menzione (Momenti di gloria). Ma Madagascar si fa vedere, coinvolgendoti con la stupidità assoluta dell’orgiastico Re Julien o della pattuglia di stolidi ed efficaci pinguini che vogliono tornare in Antartide. Tra miraggi carnivori, comicità demenziale e anche un’insospettabile scorrettezza politica, viene fuori un film per bambini e adulti rimbambiti. Per cui ottimo per me. Ricordo diverse critiche perché sostanzialmente gli animali, ritornati al loro habitat naturale, ripensano nostalgicamente alla cattività urbana: come sempre l’ironia è un vento gelido che sfiora i polemisti da quotidiano. (Diretta Tv, Italia1; 4/3/08)

ddv6211683 – L’incredibile Zardoz di John Boorman, Gran Bretagna 1973
Solamente gli anni Settanta potevano partorire una cosa così: un film magnificamente astruso nei dialoghi e nel racconto della società futura e contemporaneamente sempliciotto nello svolgimento narrativo (e comunque complicato da rivelazioni che arrivano poco a poco). Costumi tra l’inventivo e il risibile, scenografie di plexiglass coloratissime e una generale atmosfera psichedelica e drogata, esaltata da una fotografia splendente; Sean Connery irsutissimo e seminudo, con uno slippino in pelle molto sadomaso a infagottare il pacco, l’adorata Charlotte Rampling sempre splendida. Fu un insuccesso clamoroso e la cosa non mi stupisce. Però gli vuoi bene, perché un film costa miliardi e c’è un matto, Boorman, che li ha messi di tasca propria per concedersi questa follia che oggi ha un immenso valore nel raccontarci come si poteva far cinema allora. E cosa passa talvolta nella testa degli uomini. (Dvd; 8/3/08)

ddv6212684 – La mitologica visione di Medea di Pier Paolo Pasolini, Italia/Francia/Repubblica Federale Tedesca 1969
Assente Barbara per le vacanze pasquali, procedo a uno spietato repulisti della videoteca, valutando per ogni cassetta qualità della registrazione, futura obsolescenza, reperibilità con altre fonti. Sarà una banalità, ma ormai su Youtube trovi veramente di tutto, è la nastroteca virtuale galattica dove c’è ogni cosa. Per il resto, il proibito, connessione veloce e peer to peer e – mulo o torrente – trovi il resto. E se proprio non lo trovi vai su Amazon e non rompere più le palle, dài. Eliminando le vhs ho sacrificato decine di film e spezzoni di Springsteen, Negrita, Gialappa, Fuori orario, amenità varie e Blob… anche se qualcosa mi sono rivisto, non ho saputo resistere. Come Fede che mette le bandierine durante le regionali del 1995, i funerali di Falcone, l’arresto di Giovanni Brusca, di nuovo Fede in orgasmo durante l’attacco all’Iraq del 1991, Achille Occhetto che piange alla Bolognina, Giuliano Ferrara tracimante in ogni dove, il sonoro ceffone di Roberto D’Agostino a Vittorio Sgarbi, Enrica Bonaccorti che becca un concorrente telefonico che risponde (esattamente: “Eternit”) prima della domanda del cruciverbone, Antonella Clerici che dichiara che pensa sempre al cazzo… Poi, messo via Miracolo a Milano (regalato, non buttato, ma l’ho visto almeno 5 volte), ho pensato che voglio più bene a Vittorio De Sica (il primo De Sica) che a Rossellini (specialmente l’ultimo). E che Herzog è immenso, specie quando la sua vita finisce nei film in cui ne racconta altre (e le vhs di Werner le ho tenute tutte). E che come certo cinema sperimentale degli anni Venti e Trenta, così libero, inventivo e geniale non c’è stato più niente. Poi ho rivisto il corto The Waiting Room di Jos Stelling, piccolo capolavoro erotico, e a spizzichi e bocconi Sign ‘O’ the Times esagerato film concerto con Prince al top: tutto feeling e ritmo, che grande chitarrista! Ma qualcosa l’ho assunto anche integralmente, tanto da elaborare un giudizio più meditato: è il caso di questa Medea di Pasolini. E il giudizio è: epico stracciamento di palle. E poi – scusate – hai sempre la sensazione che le masse rurali, che PPP metteva davanti alla cinepresa, non capissero una mazza di quello che dovevano fare. Attori presi dalla strada, dell’Anatolia però. Vedi gente che a comando fa qualche movimento, con sguardi persi verso la cinepresa, e poi si ferma come ad aspettare un cenno d’assenso. Una sensazione straniante, se vogliamo salvare la regia; un effetto tra il comico e il tragico se dobbiamo dire la verità. Perché Pasolini era un genio, è chiaro. E se decidiamo che l’ingenuità registica e narrativa siano un valore, va bene, era anche un bravo regista (che io, personalmente, ho sempre amato). Però francamente preferisco che l’inquadratura sia un po’ più curata, magari non traballante; così come il montaggio. E gli attori, pure. Se no vedersi una cosa come Medea diventa un continuo giustificarsi col tuo angelo custode cinematografico che ti ricorda che dovrebbe essere un capolavoro. La scelta delle location è formidabile (specialmente la Piazza dei miracoli di Pisa), i colori e i costumi sono molto evocativi. La vicenda – se conosci il Mito – è abbastanza leggibile; altrimenti è un florilegio di dialoghi al contempo declamatori ma anche doverosamente esplicativi – se no non si capirebbe veramente una minchia – seguiti da ellissi siderali e silenzi agghiaccianti che menano gran strage di spettatori. Ritmo, manco a parlarne. Maria Callas appare in un’intervista prima del film e non è quel che si dice una strafiga, ma è simpatica, molto intelligente e soprattutto affascinante: sprigiona energia ed erotismo. Poi la vedi nel film ed è veramente mostruosa, truccata come un reperto archeologico, boh. Medea l’ho visto con impegno meritevole di miglior ricompensa dopo aver già rinunciato a Parigi ci appartiene di Jacques Rivette: al quindicesimo del primo tempo ho avuto il sospetto che mi stesse crescendo un terzo coglione e ho deciso che poteva bastare: dialoghi ammorbanti, montaggio sgradevole, attori con facce da culo, vicenda che non mi intriga e densa di nomi che dimentico appena sento. Sarà colpa mia, ma non ho più l’età. (Vhs da RaiDue; 16/3/08)

ddv6213685 – A bocca aperta davanti agli Appunti per un’Orestiade africana di Pier Paolo Pasolini, Italia 1970
L’idea è: cerchiamo nella giovane Africa libera gli attori e le location per girare il mito di Oreste. Accompagnati dalla voce del Poeta, il film gira quando PPP si dimentica di associare Oreste e company alle immagini e racconta ciò che vede. Quando invece spiega il delirante progetto a degli studenti africani a Roma ci sono momenti spiazzanti, da supercazzola. Del resto rispondere a Pasolini che chiede se sia meglio ambientare l’Orestiade nell’Africa di allora (1970) o della prima decolonizzazione (1960), sembra uno scherzo crudele, oltre tutto fatto a gente che parla l’italiano stentatamente. L’impressione fortissima è che con questa specie di documentario il Pierpa si sia pagato il viaggio in Africa (col nasale Alberto Moravia al seguito, sai che spasso), oppure abbia messo una pezza a un progetto finito (ma anche pensato) male ed astruso. La musica originale è di quell’altro mio idolo che è Gato Barbieri, che però a un certo punto è vittima di un pentimento della regia in corso d’opera. Non bastassero le difficoltà precedenti, Pier Paolo si chiede: e se la tragedia fosse cantata? Giuro. Così, su atonale e ululante musica free, due cantanti neri devono anche impersonare Agamennone che scazza con Clitemnestra, raggiungendo vette degne del prof. Biscroma di Bracardi. Questo filmettino da oltre 60 minuti l’ho visto perché buttare via un nastro registrato 12 anni fa senza neanche dargli una possibilità mi sembrava brutto. Diciamo che è stato un omaggio alla mia passata passione cinefila. Che, grazie a dio, è passata. (Vhs da RaiTre; 17/3/08)

ddv6214686 – La burla Echelon controllo totale di un cialtrone, Francia 2002
Il documentario che dovrebbe raccontarci come siamo controllati in ogni nostra mossa comunicativa: cellulari, Internet, Sms, etc. Solo che è tutto narrato (da tale David Korn-Brzoza) in modo fiacco senza neanche la cialtronaggine croccante di un Voyager televisivo, per dire (e non basta usare il widescreen per fare cinema: serve un’intenzione). La fatidica rivelazione del complotto mondiale contro la nostra privacy è gestita coi piedi, buttata lì, quasi non fosse importante. L’ho mollato dopo dieci minuti di improperi: non si fa così, se no poi diventa tutto teoria del complotto e le denunce vengono attribuite ai soliti paranoici, eh. (Vhs da Tele+; 17/3/08)

(Continua – 62)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

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Divine divane visioni (Urlando furioso 04/05) – 56 https://www.carmillaonline.com/2013/11/29/divine-divane-visioni-urlando-furioso-0405-56/ Thu, 28 Nov 2013 23:01:45 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=10730 di Dziga Cacace

Mi sembra che abbiamo chiarito tutto e io, allora, me ne andrei… (Fantozzi)

ddv5601547 – Il capolavoro Divorzio all’italiana di Pietro Germi, Italia 1962 Quanta magnificenza. È una mattinata luminosa a Champoluc. Barbara allatta Sofia e commette l’errore di chiedermi di accendere la tivù, per passare il tempo. RaiTre. Fuochi d’artificio su sfondo nero, la scritta Lux e la prima scena del film di Germi. Siamo catturati, prigionieri, mani in alto, e non proviamo a fuggire, macché: Divorzio all’italiana è un masterpiece ineludibile: ritmatissimo, trascinante, zeppo di battute e situazioni, con interpretazioni memorabili e una regia sempre [...]]]> di Dziga Cacace

Mi sembra che abbiamo chiarito tutto e io, allora, me ne andrei… (Fantozzi)

ddv5601547 – Il capolavoro Divorzio all’italiana di Pietro Germi, Italia 1962
Quanta magnificenza. È una mattinata luminosa a Champoluc. Barbara allatta Sofia e commette l’errore di chiedermi di accendere la tivù, per passare il tempo. RaiTre. Fuochi d’artificio su sfondo nero, la scritta Lux e la prima scena del film di Germi. Siamo catturati, prigionieri, mani in alto, e non proviamo a fuggire, macché: Divorzio all’italiana è un masterpiece ineludibile: ritmatissimo, trascinante, zeppo di battute e situazioni, con interpretazioni memorabili e una regia sempre in movimento, avvolgente come il caldo del sud che rende abulico il magnifico don Fefè Cefalù di Marcello Mastroianni. Girato a Ragusa, fotografato e musicato magistralmente, è uno di quei film in stato di grazia, dove nulla sembra fuori posto. Don Fefé vive nella solatìa Agramonte, da nobile spiantato in lento ma inesorabile declino. È sposato all’ignorante e soffocante Rosalia, ma ama la nipote Angela, una Stefania Sandrelli appena sbocciata. Per liberarsi della moglie c’è un solo modo: approfittare della vergognosa legge italiana che trova per il delitto d’onore bastevole giustificazione nelle corna dell’assassino. Il piano di Fefé è perfetto, tanto che il suo architettare e complottare è già commentato dalla stentorea voce dell’avvocato che – quando a processo – saprà toccare le giuste corde della corte: Rosalia finisce nella braccia dell’ingenuo Carmelo Patané. Il tradimento si consuma e la gente di Agramonte pretende che Fefé difenda il suo onore. Si beccherà tre anni e, uscito, sposerà finalmente Angela. Che però… Grandissimo film dal primo all’ultimo minuto, dove si misura tutta la distanza tra il cinema nostrano di ieri e quello sfiatato di oggi: la scrittura è raffinata e colta ma non rinuncia mai al divertimento, ricordandosi che un film è un’opera d’arte che può intrattenere. Capolavoro unico. (Diretta su RaiTre; 2/8/05)

???????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????548 – Un altro capolavoro: Hannah and Her Sisters di Woody Allen, USA 1986
Forse sbaglio, ma questo mi pare l’ultimo grandissimo film di Woody Allen. Dopo non sono mancati i film molto riusciti (Crimini e misfatti o Mariti e mogli), quelli non all’altezza dell’intuizione (Harry a pezzi) e quelli decisamente brutti (non li elenco, sono tanti, troppi). Qui, invece, Allen raggiunge l’equilibrio estremo tra commedia e dramma, sapendo essere leggerissimo e intensamente esistenziale. I personaggi di Hannah e le sue sorelle sono tra quelli tratteggiati meglio nella sua carriera, psicologicamente definiti con pochi essenziali colpi di pennino. L’uso magistrale delle diverse voci off ci porta in un’austera New York autunnale (i punti cardine sono tre Thanksgiving) in cui Hannah e le sue due sorelle vivono le loro storie d’amore, intrecciandosi e senza saperlo, ma aiutandosi e ferendosi. Perché si campa così, la vita è questa, e Woody lo racconta senza grandi proclami ma con sublime sommessità e la risposta al mistero del nostro passaggio sulla terra è in un film dei fratelli Marx. Film amaro più di quanto sembri, ma con una luce immensa in fondo. Cinematografia composta, pulita, tanto montaggio interno, una certa classe nella fotografia di Carlo Di Palma, musiche struggenti e grandissime interpretazioni che valsero l’Oscar a Dianne Wiest e Michael Caine. Nessuno premiò Barbara Hershey, ma idealmente lo abbiamo fatto Pier Paolo e io. Hannah e le sue sorelle lo vidi tre volte al cinema, all’uscita. Me ne innamorai e non m’è ancora passata. Ottimo. (Dvd; 2/8/05)

ddv5603549 – Il terzo capolavoro di fila: Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, Italia 1961
A giudicare dalla programmazione mattutina di RaiTre sarà un agosto interessante. Barbara non è tanto d’accordo, ma io conosco i miei polli e, anche se è una delle più belle giornate di tutti i tempi, con un cielo azzurrissimo sul Monte Rosa, basta farle vedere l’incipit del film e anche lei rimane stregata e condannata a seguirlo sino alla fine, con la piccola Sofia ignara e poppante. L’opera di Rosi è un capolavoro di equilibrio: perfetto come documento di controinformazione e come oggetto cinematografico, dove l’intersecarsi dei piani temporali è una scelta artistica impegnativa e felice. Il bandito Salvatore Giuliano, prima combattente per l’indipendenza siciliana, poi capobanda probabilmente al soldo della mafia, non viene mai fatto vedere in faccia, se non da morto. C’è una distanza, un’oggettività, per un personaggio sul quale anche la regia (e la sceneggiatura) pone più dubbi che certezze. Il vero protagonista emerge nella seconda parte ed è Gaspare Pisciotta, luogotenente di Giuliano, con antagonista Salvo Randone nella parte del giudice che tenta di dipanare una matassa ingarbugliata ancora oggi. Da buon film-inchiesta, Salvatore Giuliano talvolta soffre di didascalismo e la voce narrante risulta un po’ didattica, ma la visione non ne risente. Messa in onda perfetta, come ieri per Divorzio all’italiana, con pieno rispetto del formato originale. Si apprezza il clamoroso lavoro di De Venanzo sulla fotografia di volti e paesaggi (il film è stato girato on location), una ricerca cromatica e compositiva che credo – ed è brutto dirlo – oggi non sfiori neanche la minima parte dei direttori della fotografia italiani. (Diretta su RaiTre; 3/8/05)

ddv5604550 – Il tersicoreo Saturday Night Fever di John Badham, USA 1977
Il passare del tempo aveva idealizzato nella mia memoria il valore di questo astuto filmetto che seppe agganciare la declinante moda delle discoteche di New York e dintorni e rilanciarla, rendendola un fenomeno globale. La storia è nota: Tony Manero, bravo ragazzo (ma anche omofobico, razzista e maschilista) che di giorno fa il commesso e il sabato sera domina la pista della discoteca Oddissey 2001 (sic, c’è il giochino di parole), sogna di attraversare il ponte di Brooklyn e guadagnarsi una nuova vita “dove accadono le cose”, a Manhattan. Il desiderio si avvererà nell’immondo Stayin’ Alive, commesso da Stallone anni dopo: per ora Tony trova solo un instabile equilibrio tra amici rissosi, sesso facile, un posto di lavoro che sembra una condanna e una famiglia normalmente anormale. La regia è professionale ed anonima (Badham fu convocato al posto di John G. Avildsen – già Oscar con Rocky – a due settimane dall’inizio delle riprese) e se si fa notare è per qualche bestiale primo piano flou o per dei rallenti incongrui. La vera cifra stilistica la danno le tante scene di ballo, tecnicamente teatrali e semplicissime, ma coinvolgenti grazie a un montaggio dinamico. La sceneggiatura ha invece il pregio di restituire una dimensione urbana – quella al di là del ponte – per niente glamour. Il linguaggio e le situazioni sono crude, improntate a un realismo che non sembra di maniera. Dove lo script vacilla è nella definizione del rapporto tra Tony e la stronzetta snob Stephanie, ma tutto non si può avere, dài. Il film fece faville in tutto il mondo, lanciò il travoltismo e condannò una generazione al ballo, facendo dimenticare la dimensione live della musica. A posteriori un disastro, ma non voglio fare il moralista, anche perché la colonna sonora del film è oggettivamente clamorosa: impossibile resistere all’impulso irrefrenabile di agitare il bacino. E vi lascio immaginare le mie doti danzerecce, tipo ippopotamo in acido. Travolta è bravo: regge il film sulle sue spalle e ha la faccia giusta, tra innocenza, speranza e cattiveria. Il resto del cast è funzionale, a parte l’inespressiva Karen Lynn Gorney, la Stephanie compagna di ballo di Manero. A corredo del film un ottimo documentario di VH1: Travolta ricorda come salvò alcune scene di ballo (dando precise indicazioni al montatore) e come difese il suo personaggio, facendo allontanare Avildsen che tendeva a edulcorarlo. I comprimari sono invecchiati bene mentre la Gorney, che non ha mai più fatto un belino, ha anche la spocchia di comportarsi da diva. Poverina. (Dvd; 6/8/05)

ddv5605551 – L’andinistico (si dirà così?) La morte sospesa di Kevin McDonald, Gran Bretagna 2004
Complice nonna Mariella, ci concediamo una serata di cinema analogico, nella storica sala di Champoluc ospitata dalla vecchia chiesa. Qui ho esordito con Anche gli angeli mangiano fagioli nel 1979, e da lì in poi ho visto tanti altri filmoni e filmini, anche il mio primo Fantozzi con mia sorella che piangeva inconsolabile nella scena della Bianchina schiantata da una lavatrice la notte di Capodanno… Vabbeh. La morte sospesa è un bel documentario britannico che racconta, attraverso le testimonianze dei protagonisti e la ricostruzione della loro impresa, una delle più famose storie di alpinismo: quando Simon Yates dovette tagliare esattamente la corda, abbandonando l’amico Joe Simpson sulla cordillera andina. Com’è evidente, Joe è riuscito a tornare indietro per raccontarci la sua lotta per la sopravvivenza, ma sapere già com’è andata non toglie alcuna tensione a un racconto tesissimo, ben scandito, forse sfilacciato un po’ nel finale quando il calvario del protagonista angoscia lo spettatore. Ma non dubito che non sia una precisa scelta registica. Premiatissimo in giro per il mondo, non è un film solo per appassionati di montagna, anzi. Peraltro, l’alpinismo è pieno di queste storie: in questi giorni sono state riconosciute le spoglie di Günther Messner, fratello di Reinhold, scomparso sotto una valanga nel 1970, mentre i due tornavano dalla conquista del Nanga Parbat. Dopo 35 anni, il ritrovamento scagiona Reinhold dalle accuse di abbandono del fratellino. (Cinema Sant’Anna; 10/8/05)

ddv5606553 – La gradevole melassa di Orizzonte perduto di Frank Capra, USA 1937
“Non è possibile che voi rinneghiate la verità del vostro sogno migliore”. In questa frase è racchiuso il segreto del successo di un film che, giudicato con gli standard odierni, non può che risultare un pappone fiabesco molto infantile. E che di fiaba si tratti è subito evidente quando entra in scena un personaggio che si chiama Perrault, un vecchio decrepito che regna bonariamente su Shangri-La da qualcosa come trecento anni. Ma andiamo con calma: la Cina è sconvolta dalla guerra civile e dall’invasione giapponese. Robert Conway mette in salvo alcuni occidentali fuggendo da Shangai in aereo, ma viene dirottato in una edenica vallata tra le cime dell’Himalaya. A dispetto di ogni razionalità geografica, il clima è temperato e la gente vive benissimo. E soprattutto a lungo. Vien fuori che Robert – scrittore e avventuriero – è stato prescelto per succedere al morente Lama, il Perrault che si diceva. All’inizio i compagni di viaggio sono negativi, poi vengono conquistati dall’idilliaca condizione. Il pedante paleontologo Lovett, il furfante in fuga Barney e la zoccola malata e redenta (e guarita dalle acque miracolose di Shangri-La) Gloria sono ben felici di lasciarsi alle spalle guerre, disperazione e i problemi della vita quotidiana. Un po’ meno il fratello minore del protagonista, George Conway. Depressissimo, vuole tornare in USA e alla fine convince Robert che, a malincuore, abbandona l’indigena Sondra di cui s’è innamorato. Ma fuori dalla vallata George impazzisce e Robert torna alla civiltà solo dopo immani difficoltà. Resisterà poco e, nonostante lo diano tutti per morto, noi sappiamo che coronerà il suo sogno: tornerà infine alla Terra Promessa. Una favolona dove si mescolano esotismo, melò, avventura, paesaggi straordinari, un pizzico di erotismo e un tranquillizzante messaggio di pace. Non fosse per l’ambientazione, non siamo poi così lontani dal Capra degli eroi borghesi e democratici: in un’America sconvolta dalla Depressione e dalle poco rassicuranti notizie provenienti dall’Europa in fiamme, Orizzonte perduto invita a cercarci la nostra Shangri-La (termine che poi diverrà di uso comune), terra di moderazione, pace e armonia. È un sogno e tutto il film è pervaso da una statica atmosfera onirica. Fu un successo mostruoso, adatto a un pubblico sempliciotto, dove ogni svolta narrativa è abbondantemente anticipata e poi spiegata più volte. Però piacevole, anche se le due ore e mezza del rimontaggio filologico ci sono parse esagerate. Pier e io abbiamo fatto una velocissima introduzione al numeroso pubblico accorso al precario palatenda di Antagnod. Temperatura presunta, circa 6 gradi sopra lo zero: le condizioni meteorologiche ideali per presentare un film ambientato in Tibet. Durante la proiezione c’è stata un’emorragia di pubblico e alla fine ho accomiatato gli spettatori in fuga (era mezzanotte passata) con un patetico: “il dibattito lo faremo la prossima volta”, accolto da educati applausi, but thanks, no, thanks. Poi siamo andati al pub Valhalla a bere della birra. Musica a volume insopportabile, giovinastri esagitati, noi muti testimoni del passare del tempo. L’ultima volta qui sarà stata dieci anni fa e il gggiovane ero io, mannaggia. Orizzonte perduto, tratto da un romanzone di successo, si ispirava alle vicende di George Mallory, l’avventuriero e alpinista che scomparve nel 1924 tentando di conquistare la vetta del mondo. Nel 1999 il ghiacciaio dell’Everest, ritirandosi, ha rilasciato il suo corpo. Nessuno saprà mai se fosse arrivato in cima prima di Hillary e Tensing. (Palatenda, Antagnod; 15/8/05)

ddv5607554 – Il drammatico Citizen Berlusconi di Susan Gray, USA 2003
Trattasi di lacerante documentario trasmesso dalla tivù pubblica americana PBS nell’agosto 2003 e mai ripreso da alcun network italiano, chissà poi perché! L’unico modo per vederselo è comprarsi il Dvd: detto fatto. Non c’è niente che un italiano di media cultura e che legga ogni giorno i quotidiani già non conosca. Solo che i suddetti sono un campione esiguo della popolazione votante e le note vicende qui sono compresse in 55 minuti di narrazione stringata ed essenziale. E fa paura, perché è solo leggendo la sequenzialità delle azioni di Berlusconi nei confronti dei giornalisti non condiscendenti che ci si rende conto del continuo attacco alla libertà di stampa (e di opinione) in atto in questo paese delle banane. Il documentario – secondo anche l’ottica un po’ ipocrita statunitense, per cui quello è il problema più grave – si concentra sull’idiosincrasia di SB verso la stampa non asservita e fa una certa impressione vedere il film adesso, mentre un banchiere vicino al Cavaliere guida l’attacco di una gang di riccastri al Corriere della Sera. Riccastri della cui fortuna si sa poco (esattamente come di quella del Presidente del consiglio) e che, come nel caso di Ricucci, hanno entusiasticamente aderito ai provvidenziali condoni tombali proposti da questo governo. Un documentario come questo, ben montato e frizzante, ci mostra il perpetuo sfondamento di culo che come cittadini subiamo da una decina di anni, ormai dolorosamente abituati tanto da non accorgercene più. Certo, manca una visione più ampia, come una seppur minima riflessione sul ruolo della cosiddetta opposizione che è più spesso entusiastica acquiescenza, tanto la faccia è salva con qualche strilletto e amen. Ma gli yankee volevano il reale Citizen Kane, se no sarebbe diventato un film diverso, girato in tempo reale. E che non mi sarebbe interessato per niente: sono troppo stanco della politica o del suo simulacro dialettico. Io ho perso sempre, anche l’unica volta che credevo di aver vinto. (Dvd; 16/8/05)

ddv5608Titoli di coda
L’estate sta finendo ed è stata una stagione peculiare, punteggiata dagli aerei caduti. Non sarà di sollievo per le vittime, ma gli eventi – statisticamente – si concentrano. Il Genoa è finito in C1 ed è morto un mio idolo di gioventù, Ambrogio Fogar: adesso sui giornali è un tripudio di attestati di stima e amicizia, ma qualche anno fa mancava che si dicesse che gli stava bene, essere rimasto paralizzato. E in questa malinconia di fine agosto, decido di mollare il mio cinediario. Era cominciato tutto per caso, quando Hilda catalogava i film in vista della tesi e io, un po’ per imitazione e un po’ per necessità, avevo cominciato a segnarmi tutto ciò che vedevamo. Lei ha mollato dopo pochi titoli, io ho continuato e a modo mio. Erano noterelle, pareri, curiosità, svolazzi, citazioni e cose che dovevo tenere a mente, e poco a poco s’è trasformato in un diario pubblico e privato, sui film che vedevo e su come li vedevo, in quale situazione storica e personale. Non so se sono guarito dalla cinefilia, ma la passione è stata divorante e la curiosità inesauribile. Nottate in bianco aspettando Fuori Orario, cassette scambiate con gente sconosciuta, riviste illeggibili e raid verso cineforum improbabili. E con la scoperta della Rete altri titoli, altri nomi, altre cinematografie. Un delirio ubriacante.
In questo zibaldone ritrovo le illusioni e le delusioni di dieci anni, gli entusiasmi infantili, le storture collezionistiche, l’ansia cinefila di assaggiare tutto e di giudicare ogni cosa, confrontandomi, imparando, dimenticando, digerendo male quello che bulimicamente ingurgitavo.
Riguardo indietro e mi rivedo con indulgente tenerezza: è la stessa generosa mancanza di severità che mi ha fatto partorire ‘sta roba, che concludo però con qualche rimpianto. Non sono riuscito a vedere tutti i film che mi interessavano e di cui avrei voluto blaterare lasciandone testimonianza scritta: gli archeologi che troveranno queste recensioni non sapranno cosa ho magicamente elaborato sui Kurosawa, Leone, Fellini, Truffaut, Buñuel e Welles che ho visto prima del 1995. Poi, tra queste sciagurate pagine, mancano tanti cult personali, magari banali, ma che per un ragazzo degli anni Ottanta, nella suprema e beata ignoranza dell’innocenza, hanno rappresentato il Cinema. Penso ad Alien, Platoon, Il grande freddo, Fandango, Fuga per la vittoria, Fuga di mezzanotte: titoli cui sono legati un sacco di ricordi. E dove mettiamo tutte quelle pellicole bislacche, cui si vuole bene perché il ricordo rende tutto più dolce? Chi vi metterà in guardia da una sublime stronzata come Ufficiale e gentiluomo? E tutti i fantastici film di Pozzetto, come Ecco, noi per esempio, La patata bollente e Agenzia Riccardo Finzi praticamente detective? E l’intramontabile Top Secret?
Ho cominciato a scrivere non appena ho messo le mani su un PC. Pesavo 15 chili di meno, avevo i capelli molto lunghi e fumavo un pacchetto di sigarette al giorno. Studiavo, vedevo film, leggevo a più non posso e soffrivo per tutte le cose che ancora non conoscevo. Ed ero felice.
In dieci anni ho smesso di fumare, ho continuato a dedicarmi il più possibile a film, libri e musica e anche un po’ a lavorare. Ho continuato a conoscere gente, a parlare, a incazzarmi, a capire come riparare il mondo e a non riuscirci.
Oggi lavoro tanto, fumo di nuovo e ogni giorno cerco nuovi inutili progetti creativi che non porterò mai a termine. Convivo con Barbara, che ancora mi sopporta, e la piccola Sofia, che già mi ama. Sono felice, molto.
Ma anche un po’ inquieto.

Qui tutte le altre puntate di Divine Divane Visioni

(Fine – 56) 

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