Jeeg Robot – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 04 Jan 2025 21:07:55 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La figura femminile in un film e in 2 o 3 libri https://www.carmillaonline.com/2020/06/01/la-figura-femminile-in-un-film-e-in-2-o-3-libri/ Mon, 01 Jun 2020 20:24:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=60490 di Mauro Baldrati

Recentemente ho visto Lo chiamavano jeeg robot. Niente male. È un film in controtendenza rispetto ai blockbuster americani coi supereroi, sempre attraenti, palestrati, mezzo guerrieri e mezzo comici, platonici, puritani. Il nostro, Enzo Ceccotti/Jeeg Robot, interpretato da un cupo, scontroso Claudio Santamaria, non lo è per niente. Non ha amici, non ride mai. Fa una vita povera e arida. In comune coi suoi fratelli patinati, per fortuna, ha un superpotere vero (l’ultra forza), e non qualcosa di inutile, come se per distinguersi a tutti i costi [...]]]> di Mauro Baldrati

Recentemente ho visto Lo chiamavano jeeg robot. Niente male. È un film in controtendenza rispetto ai blockbuster americani coi supereroi, sempre attraenti, palestrati, mezzo guerrieri e mezzo comici, platonici, puritani. Il nostro, Enzo Ceccotti/Jeeg Robot, interpretato da un cupo, scontroso Claudio Santamaria, non lo è per niente. Non ha amici, non ride mai. Fa una vita povera e arida. In comune coi suoi fratelli patinati, per fortuna, ha un superpotere vero (l’ultra forza), e non qualcosa di inutile, come se per distinguersi a tutti i costi dallo stereotipo hollywoodiano l’eroe/non eroe dovesse per forza essere un tipo strambo, con un superpotere strambo. Enzo solleva un omaccio obeso che peserà due quintali e lo scaraventa in mezzo alla stanza. Sposta un intero tram. Strappa dal muro un bancomat. Sfonda a pugni lo sportello blindato di un portavalori.

I personaggi (pochi, essenziali, il che ci risparmia un faticoso inventario dei nomi) sono ottimamente rappresentati, soprattutto il malavitoso “Lo zingaro”, interpretato dal grande caratterista Luca Marinelli.

Uno solo non funziona. Anzi, se non rovina, quanto meno danneggia pesantemente il film: Alessia, la ragazza prima avversaria, poi amica e infine amante di Enzo. Querula, sciocca in modo imbarazzante, i suoi dialoghi con Enzo sono quanto di più noioso possano concepire un regista e uno sceneggiatore. Non vogliamo infierire, ma è spiacevole quando un’opera viene sfregiata da una caduta nello stereotipo. Alessia, fissata col cartone animato giapponese Jeeg Robot, di cui ci dobbiamo anche sorbire alcuni spezzoni, trasfigura in una creatura che vorrebbe essere pazzoide in modo creativo, dovrebbe far ridere e anche intenerire, invece, quando è possibile, ce la togliamo dalle scatole con l’avanzamento veloce.

Proprio questa figura femminile fallita mi ricorda invece uno dei tanti “compadri” (al femminile, commadri?) letterari: Linda, dal romanzo Il compagno, di uno dei più osannati, ma anche controversi autori del neorealismo in letteratura: Cesare Pavese. Anche lei è pazzerella, anticonformista, ma in quanto tale è perfettamente realizzata. E’ misteriosa quanto basta per ossessionare Pablo, che non sa quali segreti nasconda, quale doppia vita conduca. I loro dialoghi sono avvincenti, ne desideriamo sempre di nuovi, per capire, per sognare. Pavese non le applica la sua straziante misoginia, che invece troviamo qua e là, come una zavorra, nella sua opera. Un difetto che, purtroppo, ci impedisce di definire Pavese un grande scrittore; o meglio, è un grandissimo scrittore con un difetto. Perché non è riuscito a risolvere completamente questo sentimento nella narrazione, anche perché il suo rancore verso la donna (la madre? direbbe qualcuno) si porta dietro una tristezza e un senso di sconfitta che coprono il suo sistema vitale come un velo opaco.

Linda ricorda un’altra eroina che si caratterizza non solo per il detto, ma anche per il non detto, perché avvolta in un mistero impenetrabile: Mona di Henry Miller, la moglie un po’ pazza (l’autore è stato sposato con June Mansfield, poi ricoverata in un ospedale psichiatrico), disposta a tutto per aiutare il narratore Henry, scrittore sconosciuto e spiantato. Sappiamo che fa cose strane quando non è in scena, cose turche, cose disdicevoli. Forse si prostituisce con i ricconi, pur di guadagnare i soldi che permettano a Henry di andare avanti con la scrittura. Ma Miller non lo rivela, non alza il velo, perché proprio la qualità dello scritto permette di far intravedere i segreti del non scritto che fanno volare la fantasia. E Mona è viva, originale, una figura femminile carica di intensità.

E altre tre donne che in qualche modo si assomigliano, si completano: Albertine, Gilberte e Odette di Marcel Proust. Anche l’autore della Recherche è in qualche modo problematico con la donna (la madre? continuerebbe a dire quel qualcuno). Ma ne capolavorizza il mistero, che è insondabile, perché per quanto si accanisca, l’uomo, l’amante, non potrà mai svelarlo; e questa è la sua condanna, la sua discesa agli inferi. Il grande scrittore, per essere tale, usa i suoi demoni, li rende creativi, senza esserne vittima e ostaggio, come talvolta lo è Pavese.

Ma è vero anche il contrario. Madame Bovary non è misteriosa. Di lei sappiamo tutto. Se mente, sappiamo che lo fa e perché. É una sognatrice che vuole evadere dalla vita nell’alta società. E in questo è impotente, perché tutto è in mano all’uomo. Deve essere sottomessa, non ha, né può avere, alcun potere. L’unica sua risorsa è il corpo, l’amore, l’adulterio. E proprio in questa sincerità – che resta tale anche nella menzogna – sta la sua sconfitta. La sua tragedia. Che non è solo letteraria, ma lo è della donna come personaggio collettivo. E per questo diventa un’altra figura femminile di statura artistica immensa.

Questo confronto non ha lo scopo di peggiorare ulteriormente la povertà espressiva di Alessia, ma solo sottolineare come un regista e uno sceneggiatore, per essere “grandi”, debbano evitare di creare i personaggi in laboratorio, ma amarli, per renderli vitali. In Anna Karenina Tolstoj mette se stesso nella figura di Levin, per cui è dentro al romanzo, interagisce coi personaggi. Di Proust neanche a parlarne. Nella gelosia compulsiva di Swann per Odette c’è il suo amore, talvolta platonico ma ossessivo, per alcune donne, in particolare per Laure Hayman, mondana d’alto bordo, o cocotte, che è il modello principale di Odette.

(Le foto:June Mansfield, Laure Hayman, Madame Bovary)

]]>
La poetica di Goldrake https://www.carmillaonline.com/2017/01/19/la-poetica-di-goldrake/ Thu, 19 Jan 2017 22:00:37 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=36083 di Luca Cangianti

Guida super robot nacci

Jacopo Nacci, Guida ai super robot. L’animazione robotica giapponese dal 1972 al 1980, Odoya, 2016, pp. 302, € 17.00.

“Miwa, lanciami i componenti!” gridavano alcuni bambini tra gli anni settanta e gli ottanta, “Alabarda spaziale!” gli facevano eco altri. Molti genitori presero a preoccuparsi per il successo dell’animazione super-robotica giapponese. Silverio Corvisieri – che va ricordato per gli ottimi saggi storici sulla resistenza romana e sulla formazione comunista dissidente Bandiera Rossa – al tempo era membro della Commissione di Vigilanza Rai in [...]]]> di Luca Cangianti

Guida super robot nacci

Jacopo Nacci, Guida ai super robot. L’animazione robotica giapponese dal 1972 al 1980, Odoya, 2016, pp. 302, € 17.00.

“Miwa, lanciami i componenti!” gridavano alcuni bambini tra gli anni settanta e gli ottanta, “Alabarda spaziale!” gli facevano eco altri. Molti genitori presero a preoccuparsi per il successo dell’animazione super-robotica giapponese. Silverio Corvisieri – che va ricordato per gli ottimi saggi storici sulla resistenza romana e sulla formazione comunista dissidente Bandiera Rossa – al tempo era membro della Commissione di Vigilanza Rai in quota Democrazia Proletaria e sulla Repubblica condannò Goldrake e Jeeg Robot come violenti e reazionari.1 Il quotidiano Lotta Continua si schierò invece a favore,2 così come Gianni Rodari che dalle pagine di Rinascita, il mensile teorico del Pci, invitava a liberarsi dei pregiudizi personali per capire cosa rappresentassero gli anime: «Bisognerebbe chiedersi il perché del loro successo, studiare un sistema di domande da rivolgere ai bambini per sapere le loro opinioni vere… Invece di polemizzare con Goldrake, cerchiamo di far parlare i bambini di Goldrake, questa specie di Ercole moderno. Il vecchio Ercole era metà uomo e metà Dio, questo in pratica è metà uomo e metà macchina spaziale, ma è lo stesso, ogni volta ha una grande impresa da affrontare, l’affronta e la supera. Cosa c’è di moralmente degenere rispetto ai miti di Ercole?»3
Passarono gli anni e quei bambini andarono all’università: a Roma, a ridosso del movimento della Pantera, un corteo ludico di studenti di lingue straniere e filosofia attraversò i giardini di Villa Mirafiori intervallando la sigla di apertura di Atlas Ufo Robot a slogan della tradizione rivoluzionaria. Simili contaminazioni continuarono a verificarsi per tutti gli anni novanta nelle manifestazioni e nelle feste dei centri sociali dove la sigla di Jeeg Robot veniva accolta a pugno chiuso (o era un maglio perforante?).

Ora però sembra che un ex bambino di quella generazione sia andato ancora oltre realizzando una vera e propria poetica dell’animazione robotica: Guida ai super robot giapponesi di Jacopo Nacci, infatti, s’immerge nella struttura narrativa degli anime con competenze letterarie e filosofiche raffinate facendo emergere la trama profonda di una produzione artistica che è stata vittima di demonizzazione o, nel migliore dei casi, di superficiale interesse sociologico.
Nacci è rigoroso come un anglista alle prese con il canone shakespeariano. Per prima cosa elabora il profilo idealtipico del super robot. Esso è un gigante di metallo, è pilotato dall’interno da un eroe che grida il nome delle armi che sta per utilizzare, ha potenzialità altamente distruttive e difende la Terra da un nemico che vuole conquistarla inviando a ogni puntata un mostro diverso – anch’esso gigantesco. L’autore stabilisce poi un’attenta periodizzazione che inizia con Mazinga Z del 1972, passa per la canonizzazione del 1976 (Gaiking, Godam, Groizer X, Diapolon, Combattler V) per arrivare ai tardi prodotti di fine decennio. Dopo il 1980 il tema del super robot, il cui suffisso «indica un’impronta mitologica e soluzioni narrative che tendono al fantastico» cede il passo alla narrativa di guerra dei real robot. Infine Nacci affronta le dimensioni simboliche e narrative dissezionando le serie televisive e catalogandone temi, trame e personaggi.
Sul versante simbolico la Guida fa emergere dalla cosmogonia super-robotica – affollata di funghi atomici, lutti, distruzioni, controllo dei corpi e delle menti – il trauma della seconda guerra mondiale e il rapporto tra tecnica e immaginario nipponico: «storicamente la tecnologia era legata all’immagine dell’Occidente, ed è il campo sul quale le bombe di Hiroshima e Nagasaki hanno decretato nel modo più terrificante la vittoria dell’Occidente, ma proprio per questo è anche un campo sul quale si vorrebbe dimostrare una raggiunta parità, se non una vera e propria superiorità. Insomma la tecnologia è, nell’immaginario giapponese, un territorio – se non il territorio – di relazione, contaminazione e competizione tra il Giappone e l’Occidente». Tale simbolismo tracima anche nella struttura narrativa in senso stretto, dove l’eroe è quasi sempre un orfano che ha il compito di salvare l’umanità. Egli tuttavia è contaminato dal nemico: Hiroshi Shiba, il “pilota” di Jeeg, combatte contro malvage creature provenienti dal passato, ma, contraddittoriamente, in petto porta un’antica campana; Actarus è un extraterrestre che ha perso i propri genitori in una catastrofe che è alla base della stessa invasione aliena. Insomma il nemico è l’ombra dell’eroe: ha tratti fascistoidi, militareschi, statunitensi o mutuati dalla vecchia generazione giapponese; è animato da sete di potere e invaso dalla tecnica. Il decapitato Blocken e l’assemblato Pigman sono infatti cadaveri rigenerati, i micenei mostri semi-antropomorfi con parti meccaniche e organi duplicati, le bestie meccaniche di Mazinga Z giganteschi schiavi di metallo animati da istinti primitivi.
Molto interessanti sono i profili degli altri personaggi che ricorrono negli anime super-robotici. In primis il “padre della tecnica”, cioè il creatore del robot, il mentore. Egli dirige la base e la squadra dei “buoni”. Questa è formata da un gruppo di tre o cinque elementi. In formazione completa, oltre all’eroe, comprende: il grosso in funzione comica, il ragazzino come esperto di scienza e tecnica, la ragazza e lo smilzo. La figura femminile è connotata da stabilità psicologica e ferrea dedizione alla causa, anche se non vi è traccia di un arco di trasformazione paragonabile a quello dei personaggi maschili. La discriminazione di genere affiora poi in alcuni anime attraverso l’inferiorità dei robot femminili: quelli di Gō Nagai – l’autore di Jeeg e Goldrake – sono deboli e inutili, in Ginguiser il veivolo di Michi è costruito con degli scarti ed è l’unico che non si trasforma. Lo smilzo, infine, è cinico, sprezzante e in competizione con l’eroe. Ha spesso un occhio coperto da un ciuffo a testimonianza della sua natura misteriosa, introversa e inafferrabile: «il leader e il grosso incarnano rispettivamente lo spirito e la tradizione del samurai, lo smilzo incarna il ninja».

La Guida di Nacci è ricca di schede tecniche, glossari, cronologie e immagini. L’abbondanza d’informazioni tuttavia non inficia mai la piacevolezza della lettura e non sconfina nel nozionismo da nerd. Gli ex bambini degli anni settanta adesso sanno che avevano ragione. Non erano solo lame rotanti, tuoni spaziali e raggi gamma a suscitare il loro entusiasmo, ma, come ricorda Rodari, il mito eterno e mutevole dell’eroe sofferente in lotta contro le forze della reazione.


  1. “Un ministero per Goldrake”, La Repubblica, 7-8.1.1979. 

  2. “Bambini, tenete duro. Arriva Goldrake contro i genitori babbalei”, Lotta Continua, 10.4.1980. 

  3. “Dalla parte di Goldrake”, Rinascita, n. 41, 17.10.1980. 

]]>