Jean-Claude Juncker – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 18 Jan 2025 05:58:27 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Indipendenza energetica ed altre panzane/2 https://www.carmillaonline.com/2022/08/19/lindipendenza-energetica-ed-altre-panzane/ Fri, 19 Aug 2022 04:00:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73602 di Alexik

A questo link il capitolo precedente.

Indipendenti con una pistola alla tempia

L’inizio delle pressioni statunitensi per imporre al vecchio continente le proprie forniture di Gas Naturale Liquefatto (GNL) ha una data precisa: il 25 luglio del 2018. Quel giorno il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker si presentò al cospetto di Donald Trump nel tentativo di scongiurare l’estendersi della guerra commerciale che il presidente U.S.A. aveva simpaticamente scatenato contro i propri alleati europei, definendoli come “uno dei più grandi [...]]]> di Alexik

A questo link il capitolo precedente.

Indipendenti con una pistola alla tempia

L’inizio delle pressioni statunitensi per imporre al vecchio continente le proprie forniture di Gas Naturale Liquefatto (GNL) ha una data precisa: il 25 luglio del 2018.
Quel giorno il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker si presentò al cospetto di Donald Trump nel tentativo di scongiurare l’estendersi della guerra commerciale che il presidente U.S.A. aveva simpaticamente scatenato contro i propri alleati europei, definendoli come “uno dei più grandi nemici degli Stati Uniti”, ed imponendogli dazi del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio.
Con “la pistola alla tempia” – cioè la minaccia di estendere i dazi anche all’import di auto – Junker accettò il “rafforzamento della cooperazione strategica sull’energia”, cioè l’impegno ad aumentare le importazioni europee di Gas Naturale Liquefatto dagli Stati Uniti.1.
In cambio, naturalmente, Trump NON tolse all’U.E. i dazi sull’alluminio e sull’acciaio2, giusto per ricordare agli europei che la competizione interimperialista non guarda in faccia nessuno.

La svolta protezionista dell’irruento inquilino della Casa Bianca rappresentava un tentativo tardivo di invertire la rotta di quella globalizzazione neoliberista che per più di 20 anni gli Stati Uniti avevano imposto al mondo intero nell’illusione di poterla dominare, e che invece aveva dato avvio al declino della loro egemonia.
Il mondo gli sfuggiva di mano.
Dal suo ingresso nella W.T.O. nel 2001, la Cina si era trasformata nella più grande economia del pianeta3, attestando il proprio primato mondiale nella produzione manifatturiera, nel commercio internazionale, nell’entità delle sue riserve valutarie e degli investimenti esteri diretti4.

Emergeva – soprattutto – come primo detentore del debito pubblico statunitense e come primo esportatore di merci negli Stati Uniti, con un avanzo della bilancia dei pagamenti con gli U.S.A. intorno ai 400 miliardi di $ annui.
Attorno a lei, e alla sua alleanza con Brasile, Russia e India, si andava consolidando una nuova governance del mondo, capace di progettare una nuova divisione internazionale del lavoro, una nuova geografia degli scambi, nuove istituzioni finanziarie internazionali (parallele rispetto a quelle controllate dagli Stati Uniti), e la sostituzione del dollaro come moneta di riserva mondiale.
La perdita del controllo da parte degli U.S.A. veniva avvertita anche da una pletora di nuove potenze di media grandezza, che sgomitavano per ritagliarsi le proprie egemonie regionali senza più chiedere il permesso, mentre gli stessi alleati europei dimostravano velleità d’autonomia intensificando la cooperazione energetica con Mosca e proseguendo verso l’accordo sugli investimenti con Pechino.

Una ridefinizione degli equilibri che gli Stati Uniti – come è prassi in occasione di ogni cambio della guardia nell’egemonia mondiale – non potevano che tentare di contrastare con la guerra, che ai tempi di Trump era ancora limitata alla sua versione commerciale.
L’amministrazione Trump aveva riservato alla Cina le principali bordate della guerra dei dazi, con l’aumento delle tariffe doganali su 370 miliardi di dollari di merci cinesi importate.5
Ma anche l’Unione Europea (ed in particolare la Germania), troppo incline alla cooperazione col ‘nemico’ doveva essere disciplinata e richiamata all’ordine. L’aumento dei dazi serviva a ricordarle la sua condizione subordinata e, en passant, a ricondurre le sue politiche energetiche sulla retta via.

L’energia è un campo di battaglia

L’imposizione in Europa del GNL americano significava certamente garantire grosse iniezioni di profitti per le compagnie statunitensi dei combustibili fossili, che tradizionalmente determinano – negli States come altrove – le politiche dei governi di ogni colore.6
Ma non si trattava solo di questo.
Nella guerra globale l’energia è un campo di battaglia, e gli europei dovevano decidere da quale parte del campo schierarsi. Decidere se difendere l’egemonia americana rinunciando al gas russo, anche a costo di colpire le proprie popolazioni e i propri settori industriali, dilatare il debito pubblico e mandare in recessione le proprie economie.

Nel giugno 2017 – ben prima, dunque, che le truppe russe marciassero su Kiev – il Senato degli Stati Uniti votava a stragrande maggioranza l’approvazione di un disegno di legge che consentiva, fra l’altro, di sanzionare chi forniva capitali, servizi o altro sostegno a progetti per la costruzione, espansione, manutenzione di oleodotti o gasdotti per l’esportazione di energia russa.7
Il provvedimento rappresentava un attacco non troppo velato al gasdotto Nord Stream/2 (all’epoca già in costruzione), strategico per garantire l’approvvigionamento dell’industria tedesca in vista della dismissione delle centrali nucleari in Germania e dell’abbandono del carbone.8

Ufficialmente, le pressioni per rinunciare al gas russo venivano esercitate ‘per il bene degli europei’, per salvaguardarli dal potenziale uso delle forniture di gas come forma di pressione o rappresaglia (“energy weapon”) da parte di Putin.
Si citava a riguardo, come orrido precedente, la decisione presa da Gazprom nel 2014, dopo piazza Maidan, di annullare le agevolazioni sul prezzo del gas destinato all’Ucraina, contrattate in precedenza con l’ex presidente Viktor Yanukovych.
In quell’occasione il prezzo del gas per l’Ucraina salì da 268,5 $ a 485 $ per migliaio di metri cubi (mcm).9
Oggi che il prezzo europeo sul mercato libero del gas definito all’ hub di Amsterdam ha raggiunto i 2.500 $ per mcm10, nessuno grida contro il suo utilizzo come “energy weapon” da parte degli speculatori finanziari e delle imprese dei combustibili fossili.

Altro motivo di apprensione dell’amministrazione U.S.A. riguardava l’effetto potenzialmente dissuasivo che le abbondanti forniture di gas russo all’Europa potevano avere rispetto a nuovi investimenti nello sviluppo del GNL.
In Francia nel 2016 la Commission de Regulation de l’Energie aveva negato – analizzando le forniture già esistenti – la necessità economica di un nuovo gasdotto di interconnessione attraverso i Pirenei, capace di collegare la grande capacità di rigassificazione di GNL della Spagna con il più ampio mercato europeo.11

Fatti del genere non dovevano più accadere se si voleva che il GNL americano fluisse copioso attraverso la U.E., e a maggior ragione dopo che l’accordo fra Trump e Juncker cominciò a produrre i suoi effetti.
Da quell’incontro del luglio 2018 fino al gennaio 2022 le esportazioni di GNL USA verso l’Unione Europea sono cresciute di 22 volte.
Nel 2020 gli Stati Uniti sono diventati il primo fornitore in Europa di gas liquefatto.12

Probabilmente Trump non ammetterebbe mai di dovere buona parte di questo risultato alle politiche del suo predecessore, alla scelta, cioè, di Barak Obama di spingere sulla fratturazione idraulica per l’estrazione di gas e petrolio di scisto.  Una scelta – catastrofica dal punto di vista ambientale, sociale e climatico – che ha portato gli Stati Uniti ad uno status di sostanziale autosufficienza energetica.
Tale condizione ha permesso agli U.S.A. non solo un notevole vantaggio competitivo rispetto alle economie concorrenti, su cui pesa invece l’onere delle importazioni energetiche, ma anche di poter esercitare una maggiore aggressività nei rapporti internazionali.
Questo perchè, prima dello sviluppo dello scisto, la possibilità degli U.S.A. di imporre sanzioni contro paesi produttori di gas e petrolio era limitata dalle prevedibili conseguenze sui prezzi internazionali degli idrocarburi, di cui anche gli U.S.A., in qualità di importatori, avrebbero pagato pegno.
Da quando però loro produzione interna è tale da porli relativamente al riparo dalle dinamiche dei mercati internazionali, gli è molto più facile adottare la linea dura delle sanzioni, scaricando i costi di questo particolare capitolo delle loro guerre su quella parte di mondo che non produce energia e dovrà pagarla a un prezzo sempre più alto.  (Continua)

Immagini e grafici:

President Trump Visits Cameron LNG Export Terminal. Fonte: The White House. Foto di pubblico dominio.
China is the World’s Manufacturing Superpower. Fonte: Statista. Licenza CC BY-NC-ND.
Commissione Europea, EU-U.S. LNG TRADE. U.S. liquefied natural gas (LNG) has the potential to help match EU gas needs, gennaio 2022.


  1. Cat Contiguglia, Trump: EU is one of United States’ biggest foes, www.politico.eu, 15 luglio 2018. Anna Mikulska, A Closer Look at the Trump and Juncker Agreement, Kleinman Center for Energy Policy, 31 luglio 2018. 

  2. I dazi da entrambe le parti vennero revocati alla fine di ottobre 2021, sotto la presidenza Biden. Brahim Maarad, La guerra dei dazi tra Usa e Ue è finita, 31 ottobre 2021. 

  3. Sulla base della “purchasing power parity“. Relativamente al PIL è ancora in seconda posizione dopo gli U.S.A. 

  4. China’s Economic Rise: History, Trends, Challenges, and Implications for the United States, EveryCRSReport, 12 luglio 2006. Rosaria Amato, La Cina primo Paese al mondo per investimenti esteri diretti, La Repubblica, 25 gennaio 2021.  

  5. Le cifre si riferiscono al periodo 2018/19. L’aumento dei dazi sulle merci cinesi venne attuato previa investigazione sulla base della sezione 301 del Trade Act – che autorizza il presidente ad adottare ritorsioni contro pratiche di governi stranieri che limitino il commercio degli U.S.A. In: Elena Dal Maso, Gli Usa rivedono dazi sulla Cina per 370 miliardi dopo i giochi di guerra su Taiwan. Che cosa accadrà ora, Milano Finanza, 11 agosto 2022. 

  6. Va detto che Donald Trump ne incarnava particolarmente gli interessi, sia come esponente del negazionismo climatico che come promotore, nel corso del suo mandato, di 112 provvedimenti di deregulation ambientale, in gran parte a favore dell’industria petrolifera e gasiera. Come, ad esempio, il piano per l’estrazione di petrolio e gas nell’Arctic National Wildlife Refuge in Alaska, l’apertura alla trivellazione su 18 milioni di acri nella National Petroleum Reserve, il via libera alla costruzione del Dakota Access pipeline, l’abrogazione di norme sull’inquinamento da fracking, l’alleggerimento di quelle sulla sicurezza delle perforazioni petrolifere offshore, e così via. Per la lista completa vedi: Nadja Popovich, Livia Albeck-Ripka, Kendra Pierre-Louis, The Trump Administration Rolled Back More Than 100 Environmental Rules. Here’s the Full List, The New York Times, 20 gennaio 2021. 

  7. Rice University, Baker Institute for Public Policy, Russia’s Use of the “Energy Weapon” in Europe, Issue Brief 18 luglio 2017, p. 1 

  8. Decisioni prese da Berlino in seguito alla catastrofe di Fukushima ed agli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici. 

  9. Rice University, Baker Institute for Public Policy, Russia’s Use of the “Energy Weapon” in Europe, Issue Brief 18 luglio 2017, p. 3.  

  10. Gazprom avverte l’Europa: con l’inverno il prezzo del gas potrebbe aumentare di un altro 60%, Rai News, 16 agosto 2022. 

  11. Rice University, Baker Institute for Public Policy, Russia’s Use of the “Energy Weapon” in Europe, Issue Brief 18 luglio 2017, p. 5. 

  12. Concerned Health Professionals of New York and the Science, Environmental Health Network, Physicians for Social Responsibility, Compendium of Scientific, Medical, and Media Findings Demonstrating Risks and Harms of Fracking and Associated Gas and Oil Infrastructure, Ottava edizione, aprile 2022, pp. 11/18. 

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L’alba dei morti viventi https://www.carmillaonline.com/2018/05/30/lalba-dei-morti-viventi/ Wed, 30 May 2018 21:00:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46038 di Sandro Moiso

Il grottesco e ridicolo dramma in corso sulla scena politica italiana mi ha ricordato, in un primo tempo e a cent’anni esatti di distanza (ahi, potenza del teatro e dell’immaginario!), il pirandelliano “Giuoco delle parti”, scritto dall’autore siciliano nel 1918, in cui un marito cinico (Leone Gala) lascia correre la moglie Silia, volubile e capricciosa, tra le braccia dell’amante, il debole Guido Venanzi, completamente dominato dagli altri due. Lascia correre però soltanto per stringere poi un cappio mortale intorno al collo del più debole, con un colpo di scena [...]]]> di Sandro Moiso

Il grottesco e ridicolo dramma in corso sulla scena politica italiana mi ha ricordato, in un primo tempo e a cent’anni esatti di distanza (ahi, potenza del teatro e dell’immaginario!), il pirandelliano “Giuoco delle parti”, scritto dall’autore siciliano nel 1918, in cui un marito cinico (Leone Gala) lascia correre la moglie Silia, volubile e capricciosa, tra le braccia dell’amante, il debole Guido Venanzi, completamente dominato dagli altri due. Lascia correre però soltanto per stringere poi un cappio mortale intorno al collo del più debole, con un colpo di scena destinato a troncare in maniera irrefutabile la corrispondenza di amorosi sensi tra i due illusi. Rimediando però, allo stesso tempo, un marchio di infamia destinato ad accompagnarlo fino alla fine dei suoi giorni.
Mettete Sergio al posto di Leone, Matteo al posto di Silia e Luigi al posto di Guido e otterrete lo stesso risultato (che appunto non cambia col mutare dei fattori).

Ma il tormentone degli ultimi novanta giorni mi ha fatto anche ricordare che Amadeo Bordiga scrisse sul quindicinale “Il programma comunista” n. 14 del 1956 un compianto per Stalin: Plaidoyer pour Staline.
In tale articolo, proprio colui che fin dagli anni Venti si era erto ad intransigente avversario delle politiche che avrebbero portato l’Internazionale Comunista e l’URSS a diventare uno dei baluardi della controrivoluzione mondiale, si sarebbe trovato da solo a ripercorrere il percorso politico del suo avversario per dimostrare come ben poco, nel corso della Storia, sia dovuto alla volontà o alla personalità del singolo individuo. Proprio nel momento in cui, a tre anni di distanza dalla morte del “piccolo padre”, tutti i rappresentanti del perbenismo di destra e di sinistra si erano avventati come iene sulle spoglie di colui che, in occasione del XX congresso del PCUS svoltosi tra il 14 e il 26 febbraio di quello stesso anno, era stato accusato di tutti i “crimini” veri o presunti messi in atto dal regime e individuato come l’artefice di ogni errore seguito alla morte di Lenin.

Così fino a ieri, sarebbe stato possibile “compiangere” un governo ancora mai nato, contro cui erano stati indirizzati, fin dai primi giorni successivi alle elezioni del 4 marzo, gli strali della Sinistra, della Destra, del perbenismo, del filo-europeismo, dell’Europa germanica e di quella delle banche e della finanza, del berlusconismo, dell’anti-berlusconismo più scontato, dell’antifascismo più trito e di un antagonismo che di tale appellativo non riesce più nemmeno a salvare la facciata.

Un governo non nato, non solo per il possibile bluff di qualcuno dei suoi artefici, ma anche a causa di una rigida volontà di mantenimento dell’immutabilità sociale ed economica che si è mostrata dal 2011 in avanti e che è, sostanzialmente, conseguenza di un sistema di governo PD-Forza Italia che ha costruito il proprio potere finanziario e politico appoggiandosi sulle scelte più scellerate messe in atto dalla BCE, dai governi di Berlino e Parigi e dall’inconsistente parlamento europeo. Così, come aveva previsto Lucio Caracciolo, direttore della rivista mensile “Limes” e uno dei pochi, forse l’unico, commentatori politici italiani degni di essere ascoltati, affermando qualche settimana prima delle elezioni del 4 marzo che PD e FI avrebbero fatto di tutto per impedire un governo con i 5 Stelle, salvo poi tornare ad elezioni (nel corso dello stesso anno) in cui i populisti avrebbero trionfato.

Possibile governo che, dalla sua, avrebbe un risultato elettorale ottenuto attraverso la simultanea distruzione, avvenuta nelle urne da Nord a Sud, dei due feticci che insieme hanno governato l’Italia nel corso degli ultimi 25 anni: Berlusconi e il PD, in tutte le loro differenti formule elettorali. Uno scossone elettorale che ha rivelato, e pochi l’hanno colto, come gli italiani con tale voto abbiano cercato di togliere di torno i due falsi avversari che hanno inquinato la politica italiana; in cui berlusconismo e anti-berlusconismo hanno costituito l’esercizio di una fasulla opposizione sia di “Destra” che di “Sinistra”. Gioco in cui sono cascati quasi tutti, anche negli ultimi mesi e comprese alcune delle migliori penne di ciò che rimane di più vivace nel circo mediatico italiano.

Ma, in realtà, le ultime giravolte avvenute intorno al Quirinale con un frenetico via vai inconcludente ed inconsistente di un rappresentante del Fondo Monetario Internazionale come Carlo Cottarelli, la sua fuga dal retro del Palazzo, il disordine in sala stampa e negli studi televisivi, le affermazioni affrettate del giovane partenopeo, tutto avvolto nel tricolore e pentito dello sgarbo nei confronti del Presidente Mattarella, la paura degli economisti e dei commentatori di fronte alla salita dello spread e alla caduta dei titoli di borsa italiani oltre agli ondeggiamenti dell’uomo “con le palle” fascio-leghista, hanno infine ricordato al sottoscritto, ancora a quarant’anni di distanza, le prime, magnifiche immagini di disordine e caos mediatico fuori controllo di Dawn of the Dead (in Italia Zombi) di George Romero. E sinceramente a tutt’ora sembra, e si spera anche con soddisfazione dell’ esperto in tale settore Gioacchino Toni, l’impressione più corretta ed efficace da trasmetter ai lettori di Carmilla.

Il sottoscritto, poi, non ha mai nutrito simpatie per i 5 Stelle, fin dalla loro prima comparsata politica nel 2012 (qui), e tanto meno per il leghismo, ma quanto è accaduto in questi giorni (sostanzialmente la manovra di Mattarella per respingere il governo proposto originariamente dalle due forze politiche) più che rappresentare una vittoria del costituzionalismo contro l’avventurismo e il fascismo, ha rappresentato, definitivamente, la perdita di autonomia dei parlamenti nazionali, dei sistemi elettorali e della volontà dei cittadini rispetto alle regole stabilite degli interessi della finanza internazionale, dalle attuali classi dirigenti e del capitalismo tedesco.
L’affermazione di un autentico fascismo europeo che è, nonostante tutto, tutt’altro e, per ora, ben più autoritario e armato del fascismo verde-giallo nostrano della cui presunta sconfitta si nutrono con soddisfazione gli ancor troppi sinistrati mentali.1

Ma qui occorre aprire una parentesi per capire di cosa si parla quando si parla di Europa e di capitalismo finanziario. Se si pensa infatti a un blocco unico (modello SIM, Stato Imperialista delle Multinazionali) si è fuori strada tanto quanto chi alla fine degli anni Settanta produsse quel tipo di analisi politico-economica.2 Come ho affermato più volte il capitale è unitario soltanto nei confronti degli oppressi e degli sfruttati di ogni razza, genere e nazionalità, ma non nella sua intima essenza imperialistica ed espansionistica. Come le ultimissime decisioni sui dazi sull’acciaio e l’alluminio europei volute dal presidente americano confermano pienamente (qui).

Anche se, spesso, gli stessi suoi rappresentanti, proprio come è successo ieri, tranquillizzati da periodi troppo lunghi di funzionamento in modalità pilota automatico, perdono completamente la capacità di affrontare e rimettere nelle giuste bottiglie i demoni scatenati, indipendentemente dal fatto che questi siano costituiti dalla speculazione finanziaria, da un voto andato male oppure dal trambusto istituzionale, politico ed economico causato da un rappresentante dello Stato, forse, non all’altezza della situazione. Rivelando così che non solo valore e denaro sono meri feticci che, se male agitati, possono causare improvvise cadute e malattie peggio degli spilloni dei riti voodoo, ma anche che lo stesso pilota automatico, più volte evocato, potrebbe alla fine rivelarsi soltanto come una delle tante leggende metropolitane. Così anche come il termine Europa, di volta in volta sbandierato come un feticcio di irrinunciabile salvezza o come un mostro tentacolare dominato da una volontà maligna e da un’intelligenza onnicomprensiva.

L’Europa di cui si parla oggi è un’Europa a trazione tedesca, certo non più quella sperata dai suoi ideatori sotto il fascismo, quali Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il Manifesto di Ventotene.
E’ un‘Europa “unificata” dal trattato di Maastricht nel febbraio del 1992, un passo previsto all’interno del percorso di unificazione europea successivo all’avvio del Mercato Comune Europeo (MEC), ma avvenuto sostanzialmente poco dopo la riunificazione tedesca del 3 ottobre 1990. Una riunificazione che aveva avuto un immediato e pesante riflesso nell’esplodere delle guerre balcaniche, causate dal tentativo di alcune repubbliche (prima quella slovena, poi quella croata ) di correre al riparo di una Mitteleuropa tedesca e protetta dal marco (che già come moneta dominava gli scambi anche in Serbia).

Guerra che si basava sì anche sulle mai definitivamente risolte divisioni inter-etniche che soltanto il carisma di Tito era riuscito a sopire (e reprimere), ma che, in primo luogo, vide Francia e Regno Unito cercare di limitare immediatamente la novella espansione economica e politica della Germania riunificata verso l’Europa dell’Est che, proprio in quegli anni, sembrava essersi liberata dall’ipoteca ex-sovietica. Mentre Stati Uniti, attraverso la NATO, e Russia intervennero soprattutto per lasciare l’Europa cuocere nel proprio brodo di conflitti mai sopiti fin dal primo macello mondiale e non perdere la possibilità di interferire reciprocamente in un’area non secondaria dello scacchiere internazionale.

Maastricht doveva quindi servire anche ad ingabbiare Germania e marco in una rete di relazioni economico-politiche destinate, lasciando allo stesso tempo libertà di espansione al dinamismo economico tedesco, a portare beneficio anche agli altri rappresentanti dell’Unione Europea, magari trasformando il marco (che all’epoca era uno delle tre grandi monete di scambio a livello internazionale, dopo dollaro e yen) in una moneta unica (l’euro) in grado di rivaleggiare soprattutto con il dollaro.

Se non si capisce questo si continua a parlare inutilmente di aria fritta. Infatti Maastricht doveva servire a frenare l’evidente capacità espansiva del capitalismo e della moneta tedesca, sfruttandone allo stesso tempo le potenzialità di produzione e di assorbimento di merci (all’epoca soprattutto italiane), senza ripercorrere le strade assassine, che si stavano nuovamente affacciando ai confini d’Europa, che erano già state percorse due volte nel corso del XX secolo. Che poi all’interno dei promotori ci fossero paesi filo-tedeschi (come l’Italia) e anti-tedeschi (Francia e Gran Bretagna in particolare) non modificava affatto il profilo che l’Europa, unita da una moneta unica, avrebbe dovuto mantenere approfittando comunque della potenza economica tedesca come fattore di centralizzazione economico-politica. Fatta salva la possibilità per la Gran Bretagna di aderire a tale principi comunitari senza rinunciare alla propria moneta, la sterlina. Ancor importante sul mercato dei cambi.

Il trattato, entrato in vigore nel 1993, vide però, a partire dagli anni a cavallo tra i due secoli, i veri padroni della moneta unica, sostanzialmente i tedeschi, farsi rapidamente detentori del codice comportamentale di tale unione e sfruttare a loro vantaggio le norme monetarie, finanziarie e commerciali messe in atto. Anche senza una nuova guerra la Germania tornava, ed è effettivamente tornata, ai suoi vecchi, irrinunciabili obiettivi di controllo sul continente europeo e, in particolare sulla sua manodopera e il suo costo (in casa e fuori) (qui).

Il modello cui si fa quindi riferimento, quando si parla di europeismo e di adesione all’euro è dunque sostanzialmente quello fin qui delineato. Un accordo tra fratelli-coltelli in cui il cosiddetto asse franco-tedesco non è mai davvero decollato, come le frizioni tra Macron e Merkel hanno dimostrato ancora nelle ultime settimane (qui e qui)), mentre altri paesi, come l’Italia e la Spagna, hanno dovuto accodarsi in nome di un maggior vantaggio finanziario (usufruire di una moneta forte) destinato nel tempo a strangolare il tenore di vita dei lavoratori e dei propri cittadini, dopo un primo illusorio balzo in avanti.

Sostanzialmente, da qualche anno (diciamo dal 2011) la Germania di Merkel è passata all’incasso del prestito di benessere fasullo concesso a paesi come l’Italia con l’introduzione dell’euro. Spinta a questo anche dai rischi che la sua banca più importante, Deutsche Bank, sta correndo, dopo aver incamerato per anni titoli spazzatura e derivati sul debito italiano di cui sta cercando di incrementare la reddività (qui, qui e qui ). Motivo ulteriore di spinta per un rialzo del rendimento dei titoli di paesi come l’Italia (aumento del differenziale di redditività o spread) per poter guadagnare sui propri investimenti esteri mantenendo basso o addirittura negativo quello dei titoli emessi in Germania.
Così, con la macelleria sociale che ne è conseguita, è stato annunciato pubblicamente che la festa era finita, perché lo era anche su scala mondiale, altrimenti non si capirebbe l’irrigidimento delle politiche autarchiche statunitensi nei confronti soprattutto dei prodotti europei e tedeschi, visto che con la Cina Trump dovrà per ora, e per forza di cose, trovare ancora una quadra.

Qualcuno, proprio oggi (qui), ha affermato che la caduta delle borse di New York (-1,58%), di Parigi (-1,29%) e Francoforte (-1,53%) registrato ieri, sia dovuto alle affermazioni di Di Maio, Salvini e Savona (chissà poi perché non Mattarella) attribuendo così a dei semplici battilocchi la responsabilità di eventi che affondano le loro radici in un modo di produzione socialmente obsoleto e in un sistema finanziario destinati, ormai da parecchio tempo, ad un irreversibile e drammatico tramonto.Così come la crisi europea, cui tutti si stanno preparando facendo finta che non possa avvenire, è ormai all’ordine del giorno e non certo soltanto per colpa dei nostri miseri omuncoli. Miseri omuncoli impauriti e convinti allo stesso tempo di essere così determinanti sul piano delle relazioni politiche ed economiche internazionali. Ci vorrebbe il Principe Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio in arte Totò a dir loro, con maggiore autorevolezza: Ma mi faccia il piacere…

Intanto, negli ultimi anni, i nuovi paesi produttori (Cina e India), le nuove potenze locali (Turchia, Iran, Arabia Saudita) e vecchi avversari sono tornati in gran spolvero di attività diplomatica e militare (Russia) reclamando un nuovo posto al sole e gli Stati Uniti devono concederglielo oppure sostenere guerre locali destinate a ridurre il numero dei pretendenti alla ricchezza mondiale (magari cercando di eliminare i più scomodi, come l’Iran, e contenendo i più pericolosi dal punto di vista militare, come la Russia di Putin). Che poi questo si intrecci alle mille vie del petroli e del gas non è certo né secondario né, tanto meno, casuale.

L’Europa, da questo punto di vista è tagliata fuori e l’unificazione del comando e dell’azione diplomatica e militare resta soltanto un bel, e oramai sorpassato, sogno. La parola d’ordine continua ad essere quella del secolo appena passato: ognuno per sé e la Germania contro tutti o sopra tutti. Deutschland, Deutschland Über Alles! Prendere o lasciare, non c’è altra scelta. Il pilota automatico di cui si parla spesso, a proposito delle varie crisi economiche e politiche nazionali è essenzialmente un pilota di lingua tedesca, anche se poi tutti i centri e gli organismi finanziari cercano comunque ogni volta di speculare ed ingrassare a spese dei lavoratori e dei cittadini sempre meno garantiti di ogni paese reso più debole. Un gioco per il quale potenzialmente non può esserci, al momento fine (qui). Se non con il nuovo scatenarsi di un altro conflitto mondiale destinato a ristabilire un nuovo ordine dei vincitori. Preceduto magari anche da un’uscita proprio della Germania dal sistema dell’euro o, perlomeno, dalla creazione di due diverse euro-aree. Ipotesi tutt’altro che peregrina secondo numerosi osservatori finanziari e politici (qui).

In attesa di ciò, la maggioranza dei governi europei, talvolta a malincuore, ha scelto lo status quo, poiché diversi sistemi di governo oppure differenti gruppi di potere potrebbero rappresentare un salto nel buio, pericoloso sia per gli interessi tedeschi che per quelli dei suoi competitor (come la Francia). Da qui la risposta univoca e negativa che i rappresentanti dell’Unione hanno dato e continuano a dare ogni volta ad istanze di cambiamento dei rapporti e delle regole già stabilite. E da qui, dunque, un primo motivo dell’aborto, tutt’altro che spontaneo, intervenuto in occasione della mancata formazione del governo giallo-verde in Italia.

Forse perché la regola più condivisa è costituita dal fatto che non essendo l’Italia un paese qualsiasi, poiché è ancora il secondo paese industriale del continente europeo dopo la Germania, la realizzazione di un governo populista in loco potrebbe avere una deriva politica decisiva nei maggiori paesi (Francia e Germania) le cui elite, pur già potenzialmente avversarie, preferiscono ancora mantenere un ruolo direttivo all’interno dei propri confini. Per ora meglio cercare di ridimensionare gli obiettivi e i risultati dei cosiddetti populismi (ovunque sia possibile) e prender tempo, in attesa che qualcosa cambi. Tenuto conto, come ha sottolineato il quotidiano spagnolo El País del 24 maggio, che mentre i partiti populisti anti-europeisti erano 10 in Europa nel 2017, oggi sono saliti a 43. Mentre anche il fedelissimo governo di Mariano Rajoy sembra oggi traballare pericolosamente. Un autentico scenario da brivido per le prossime elezioni del parlamento di Strasburgo.

Paventato oggi con grande preoccupazione dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker alla plenaria a Strasburgo: «Entro un anno gli europei avranno votato per un nuovo parlamento europeo di cui nessuno conoscerà la composizione e che sarà differente da quella attuale, cosa che mi fa nutrire qualche inquietudine. – ha precisato Juncker – E vorrei che tutti noi ci impegnassimo in una sorta di contratto contro il populismo galoppante che possiamo vedere in Europa e in tutti i Paesi, compreso il mio» (qui).

Questo è il significato dell’autentico coup d’etat/coup de theatre realizzato da Sergio Mattarella che però, nella sua foga di zelante servitore, non ha realizzato di essere egli stesso expendable, al contrario di Re Giorgio che lo aveva preceduto. Gli errori si pagano, soprattutto quelli madornali, quelli che suscitano, invece di placarli, i demoni sopra citati. Prova ne sia la scarsa fiducia suscitata, anche nei possibili ministri, dall’uomo del Fondo Monetari Internazionale che, probabilmente non intascherebbe neanche il voto di fiducia da parte del PD (qui). E il ritorno alla proposta di un governo “politico” con i due giovani galletti (dalle creste però un po’ abbassate) sembra riproporre un gioco dell’oca politico in cui ogni volta che arrivano alla casella Savona i concorrenti devono tornare sui propri passi.

Certo è il fatto che se il governo SalviMaioConte non è ancora nato, non è dovuto soltanto all’intervento di forze esterne. Anche le contraddizioni al suo interno, non solo tra 5 Stelle e Lega, ma anche interne alle due stesse forze politiche (qui) hanno contribuito a paralizzarne l’azione. Cosa però che potrebbe essere superata nel corso dei prossimi giorni, con un più deciso schieramento a destra dei 5 Stelle. Le comparsate pubbliche negli ultimi giorni di un risorto Di Battista segnalano infatti un cambio di marcia e di argomentazione in vista della prossima campagna elettorale, in cui probabilmente il pallido e moderato Di Maio potrebbe essere messo da parte e sostituito da argomenti e personaggi più muscolari.

Mentre potrebbe farsi sempre più difficile la via di un’alleanza del centro destra in cui Berlusconi, pur precocemente liberato dai carichi pendenti, potrebbe non più avere lo stesso potere di attrazione fatale sugli elettori di destra e sulla Lega, considerato che quest’ultima avrebbe forse più da guadagnare elettoralmente da una sua autonomizzazione dal Cavaliere che non da un ulteriore rinsaldamento dei legami con lo stesso; debolezza segnalata anche dal brusco calo dei titoli azionari della società del Cavaliere che, nel giorno del calo del 2,3% della borsa milanese, sono scesi del 5% ovvero più del doppio, vuoi per ricatto finanziario e politico nei confronti di colui che stringe ancora i cordoni della borsa di Forza Italia e Lega, vuoi per sfiducia nella sua tenuta politica, unica garanzia per le aziende Mediaset. Dubbio che assale anche i fratelli minori dello stesso schieramento, la cui leader ha già deciso che piuttosto che perdere ulteriori voti della destra cosiddetta sociale a favore del programma fascio-leghista, sparendo dal quadro elettorale, sarà meglio piegarsi a Salvini e continuare a vivere nelle pieghe di un sovranismo meglio espresso a Varese che non a Roma.

Sovranismo che, una volta giunto al governo, potrebbe liberare tutte le proprie potenzialità repressive e autoritarie approfittando, come modello politico, proprio dell’azione esercitata da Mattarella, così come l’azione di Minniti ha favorito l’affermazione del dettato leghista sulla questione migranti e sicurezza, come si è accorto, sebbene in ritardo ed opportunisticamente, anche il presidente del PD Matteo Orfini (qui e qui).

L’ultimo dato “istituzionale” da segnalare è che la promessa del Presidente della Repubblica di voler salvare con il suo veto i risparmi degli italiani si è rivelata inconsistente fin da subito, considerato il fatto che nei due giorni successivi lo spread è salito fino a 320 punti e in Borsa il valore dei titoli italiani, prevalentemente bancari, ha continuato allegramente a scendere. Mentre il capo zombi di un governo nato già morto continuava a promettere aumenti dell’IVA e peggioramenti economici vari se il suo governo non avesse ricevuto la fiducia delle camere. Alla faccia del bon ton e del garbo che così tanti hanno rimpianto nelle trasmissioni televisive precedenti alla mancata realizzazione del governo giallo-verde.3 Il tutto contornato da un minaccioso clima da colpo di stato bianco in cui il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza dichiarava, dal 29 maggio e in previsione delle manifestazioni del 2 giugno, la necessità di blindare e proteggere le sedi delle istituzioni non solo a Roma ma in tutta Italia.

Tralasciando di completare adesso un quadro che potrebbe complicarsi ancora nei giorni e nelle ore a venire, occorre ora provare a delineare quali potrebbero essere le possibili strategie e tattiche che un movimento antagonista allo stato di cose presente dovrebbe sperimentare se davvero volesse opporsi autonomamente a tali trasformazioni e duelli in atto su scala nazionale ed europea.

Prima cosa da dire sarebbe che la partecipazione elettorale non ha, al momento, più ragione d’esistere, soprattutto se tale partecipazione invece di voler solo rappresentare una cassa di risonanza parlamentare per le lotte, volesse, come hanno immaginato alcune vecchie mummie sindacali e politiche annesse a Potere al Popolo, proporsi come parte di possibili alleanze di governo.
Se due forze, sostanzialmente conservatrici e nazionaliste come 5 Stelle e Lega, che pur a breve potrebbero essere pienamente riconosciute per un rilancio politico di un’unità nazionale destinata a far fronte all’inevitabile crisi dell’Europa di Maastricht, sono state bloccate in ogni modo nel loro tentativo di sostituirsi all’ancien regime di PD e FI, c’è da immaginarsi quale possibilità di affermazione parlamentare potrebbe avere una forza caratterizzantesi come di estrema sinistra (tenuto conto che oggi i media tendono a definire come tali le mummie di LeU, di Rifondazione o di Sinista Italiana).

Come seconda cosa non si parli più di democrazia parlamentare: non esiste. È stata definitivamente stracciata davanti agli occhi di milioni di cittadini in diretta televisiva.
Dalla Catalunya a Parigi fino a Roma la risposta del potere è una sola: lasciate ogni speranza voi che entrate nell’arengario politico, non avrete più ascolto e possibilità di soddisfazione delle vostre speranze, per quanto misere. E’ già di sabato 26 maggio la risposta di Macron, a nome di tutti gli oligarchi europei: Non saranno le manifestazioni oceaniche a poter modificare il nostro programma di riforme.

Nemmeno se i cittadini si rivolgono ancora a forze sostanzialmente conservatrici quali Lega, Movimento 5 Stelle o il Partito Democratico Europeo Catalano di Carles Puidgemont.
Per il capitale la riposta è per ora soltanto: guerra senza quartiere! Come dimostra, ad esempio, l’insegna elaborata dal comandante della gendarmerie francese operante sul territorio della ZAD, trattando tale operazione di polizia come un autentica operazione di guerra. E rivelando perciò definitivamente come, ormai da anni, qualsiasi operazione di polizia sia in realtà un’operazione di guerra, esterna o interna ai confini nazionali che sia.

Gli antagonisti, gli oppressi, i lavoratori, gli sfruttati, i migranti da oggi avranno davanti soltanto il Moloch del capitale e i suoi irreprensibili funzionari. I movimenti reali già lo sanno di non aver e di non poter avere governi amici, ma ora lo sapranno anche tutti coloro che, pur illudendosi e molto spesso tappandosi il naso, hanno riposto le loro speranze in partiti populisti che, ricordiamolo sempre, hanno raggiunto e raggiungerebbero ancora, la maggioranza dei seggi in Parlamento

Proprio per questo motivo sarà sempre più inutile inseguire quegli stessi partiti sul loro stesso terreno. Lo fanno meglio loro, liberi da considerazioni di classe poiché interclassisti, mentre la scelta dell’inseguimento costringerebbe il movimento antagonista a spingersi sempre di più sul terreno della Destra, non dal punto di vista sociale (milieu piccolo borghese deluso, sottoproletariato e proletariato privo di qualsiasi garanzia), ma proprio su quello ideologico.
Ricordiamoci sempre che molti membri delle S.A. (Squadre d’assalto) hitleriane, poi eliminate dalle S.S. nella Notte dei Lunghi Coltelli tra il 30 giugno e il 1° luglio 1934, provenivano da un’estrema sinistra delusa dai continui ondeggiamenti della politica della Terza Internazionale stalinizzata.

Dovremmo forse difendere ancora i confini nazionali, la democrazia parlamentare, una Costituzione buona per tutti gli usi e chiedere ancora il diritto di espressione a chi usa qualsiasi strumento politico, mediatico, economico e militare per negarcelo? Oppure quel fetido antifascismo, come quello oggi rappresentato da Renzi in qualità di mediano (qui), che si presenta solo, sempre e soltanto quando serve a compattare, in chiave elettorale, una sinistra divisa con i peggiori rappresentanti del vero fascismo istituzionale e del capitalismo finanziario? E, infine, dovremmo forse rimpiangere la vecchia moneta nazionale, così come sembrano fare le orrende pubblicità televisive sulle sue riedizioni in oro zecchino da parte del Gruppo poligrafico e della zecca di Stato (qui)?

No, se il capitale finanziario ha necessità, nel suo sviluppo di abbattere i confini nazionali e le istituzioni giuridiche sacre per la borghesia faccia pure. Se, come ha fatto il 29 maggio il commissario tedesco al bilancio europeo Oettinger. minaccerà ancora gli italiani o gli altri cittadini europei affermando che «i mercati insegneranno agli italiani come si vota» (qui), ci aiuterà soltanto nell’opera di distruzione dei feticci di una società ipocrita ed autoritaria, che sventola unità di intenti ma prepara immani conflitti imperialistici e di classe. Una società che parla di umanità, ma che sa offrire soltanto sofferenza, distruzione e sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sull’ambiente.

Non abbiamo nulla da salvare di questo Stato, non abbiamo interessi nazionali, non abbiamo territori vitali da difendere ad ogni costo e non accetteremo nessun appello alla loro difesa, sia che provengano da Destra come da Sinistra. Siamo tutti migranti e i confini ci sono soltanto di ostacolo, e lo sono ancora di più per le lotte. Il capitale ha lavorato per noi, non nei termini banali del progresso sbandierato per decenni dai rappresentanti di partiti liberali o di sinistra asserviti agli interessi di un indistinto sviluppo economico, ma rivelando il suo vero e autoritario volto.

Chi lo rappresenta evidentemente ha oggi tutto da perdere, tanto da doversi preoccupare anche soltanto per un banalissimo scossone elettorale, e poiché ce lo ha rivelato in maniera così meschina possiamo essere certi, al contrario, che noi avremo tutto da guadagnare e soltanto delle vecchie catene da perdere o da rivolgere come armi contro i nostri oppressori.
Il Re è nudo e il Kapitale anche e così i loro fasulli avversari istituzionali.
Affogheranno insieme nella tempesta che hanno scelto di scatenare.
Il tempo delle briciole cadute dal tavolo e dei piatti di lenticchie offerti in occasione delle promesse elettorali sta per finire perché noi vogliamo tutto.


  1. Devo qui ringraziare Nico Maccentelli per l’efficace definizione  

  2. Si veda L’ape e il comunista, (a cura del Collettivo Prigionieri Politici delle Brigate Rosse), “Corrispondenza Internazionale” N° 16/17, ottobre-dicembre 1980 poi ripubblicato per Pgreco, 2013  

  3. Si vedano le ridicole affermazioni di Lilli Gruber e Evelina Christillin nella trasmissione 8 e mezzo dell’8 maggio, in cui la prima rimpiangeva il bon ton chiedendo più garbo in politica, mentre la seconda paragonava lo sgarbo istituzionale di 5 stelle e Lega nei confronti di Mattarella al bullismo scolastico.  

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Vae Victis Germania / 1: Sulla loro pelle https://www.carmillaonline.com/2015/09/16/vae-victis-germania-1-sulla-loro-pelle/ Wed, 16 Sep 2015 20:00:58 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=25242 di Sandro Moiso

fotografo-foto-migrante-bambino-morto-turchia-043-body-image-1441382933Per diversi giorni i mass media, completamente disumanizzati e privi di qualsiasi autonomia di giudizio o di un’identità che non sia quella fornita loro dalle veline dei governi o dagli uffici stampa delle zaibatsu industriali e finanziarie internazionali, hanno cercato di convincerci che le recenti prese di posizione di Angela Merkel in tema di immigrazione fossero principalmente dovute alle foto del bimbo siriano affogato nel braccio di mare tra Turchia e Grecia mentre, con la sua famiglia cercava di raggiungere la salvezza da una guerra spietata e [...]]]> di Sandro Moiso

fotografo-foto-migrante-bambino-morto-turchia-043-body-image-1441382933Per diversi giorni i mass media, completamente disumanizzati e privi di qualsiasi autonomia di giudizio o di un’identità che non sia quella fornita loro dalle veline dei governi o dagli uffici stampa delle zaibatsu industriali e finanziarie internazionali, hanno cercato di convincerci che le recenti prese di posizione di Angela Merkel in tema di immigrazione fossero principalmente dovute alle foto del bimbo siriano affogato nel braccio di mare tra Turchia e Grecia mentre, con la sua famiglia cercava di raggiungere la salvezza da una guerra spietata e devastante che sta radendo al suolo ogni possibilità di convivenza civile in vaste regioni del Vicino Oriente.

Naturalmente nulla è più falso di questa “benevola” rappresentazione della cancelliera tedesca e degli altri capi di Stato europei che hanno versato lacrime di coccodrillo su una situazione politica, militare ed umanitaria che hanno ampiamente contribuito a creare, anche solo tacendo per viltà e/o convenienza sulle ragioni reali del conflitto in atto. Infatti quello a cui stiamo assistendo, con buona pace delle anime pie, non è un risveglio della “coscienza” europea ed europeista, ma soltanto un altro passo verso quel III conflitto mondiale di cui da tempo vado scrivendo.

La gestione del problema migratorio di centinaia di migliaia di profughi, esattamente come quello del possibile default o meno della Grecia, non risponde infatti a categorie di ordine morale o umanitario e, tanto meno, a quelle di carattere sociale o del pubblico bene. Risponde però, nel precipitare di una crisi economica, geopolitica e militare sempre più vasta a livello mondiale, alla domanda su chi debba comandare in Europa ovvero in una delle aree del globo con la più alta concentrazione di ricchezza accumulata e su come tale ricchezza accumulata debba essere investita e ricollocata all’interno della competizione inter-imperialista mondiale.

Al centro di questa domanda, e delle risposte che ne conseguiranno, non vi è l’interesse dei “popoli”, ma lo scontro tra due modelli diversi di sviluppo capitalistico: da un lato quello anglo-americano e dall’altro quello germanico. Modello quest’ultimo che già ha guidato due volte la Germania, nel coso del XX secolo a cercare di istituire un vasto territorio “vitale” per i propri interessi economici ed industriali che si estendeva e si estende, idealmente, dall’Atlantico al Volga e dal Mare del Nord al Mediterraneo. Un autentico lebensraum che, se nel corso del secolo passato ha assunto la forma dell’occupazione militare vera e propria, oggi cerca di manifestarsi principalmente attraverso il disciplinamento di ogni attività economica, finanziaria ed amministrativa, così come della forza lavoro, europea.

Il disciplinamento della forza lavoro europea era già stato al centro dell’azione germanica sul continente, soprattutto negli anni del secondo conflitto mondiale; così come ben dimostrarono i campi di concentramento tedeschi sparsi sul suolo del III Reich e della Europa Orientale occupata militarmente. E lo dimostrò altrettanto bene anche l’uso dei lavoratori “volontari” giunti dall’Italia alleata, così come ha testimoniato il lavoro storiografico di Brunello Mantelli e di Cesare Bermani,1 così come le illuminanti riflessioni, mai portate a compimento, di Karl Heinz Roth “sulla politica nazista nell’area sud-orientale europea, nel tentativo di leggere l’espansione nei Balcani anche come la costruzione di un mercato del lavoro europeo, e di interpretare la resistenza in paesi come l’ex-Jugoslavia o la Grecia come risposta anche a questa strategia”.2

Non a caso, nella fase attuale, dopo la riorganizzazzione e la ristrutturazione del lavoro e delle leggi che lo regolamentano, che ha visto sostanzialmente abolite le certezze e i diritti conquistati dal lavoratori nel corso delle lotte della seconda metà del secolo appena trascorso, si sta assistendo ad una sorta di ricollocazione internazionale della forza lavoro migrante sia dal Vicino Oriente che dal Nord Africa e dall’Africa Subsahariana.

Anche se negli ultimi giorni l’”accogliente” terra dei Lander sembra aver già ridotto gli accessi alle proprie città e ai propri territori, non vi è dubbio che l’accoglienza dei profughi siriani inaugurata dalla Merkel rivesta, ancor prima che quello di una risposta umanitaria ad una catastrofe di portata storica, un ruolo di riorganizzazione dei flussi di forza lavoro a basso costo verso il continente e il capitalismo europeo.

Così, come aveva già profetizzato sulle pagine dell'”Aspen Review” l’ex-ministro Giulio Tremonti a metà degli anni ’90, se “la povertà dell’Est dovrà entrare nelle buste paga dell’Ovest“, oggi è la povertà del mondo a dover contribuire a rendere “competitivi” i salari della classe operaia occidentale. La guerra produce miseria per una parte della società e fa accumulare profitti ad un’altra. Come sempre nel corso degli ultimi cento anni.

Si è parlato disordinatamente del fatto che i profughi provenienti dal Vicino Oriente insanguinato e, in particolare, dalla Siria appartengano alla piccola e media borghesia locale poiché, anche solo per affrontare i costi del trasporto clandestino, le spese affrontate per il viaggio non sono assolutamente sostenibili dalla manovalanza industriale e agricola di quei paesi. Una manodopera migrante, quindi, a diffuso tasso di scolarizzazione, ma che nel corso del viaggio, e a seguito dello spostamento, si lascia alle spalle uno stato di relativo benessere per essere sempre più sottoposta ad un processo di proletarizzazione. Non solo intellettuale.

Per una buona parte di loro la Germania non è la destinazione finale. Forse molti non intendono nemmeno fermarsi nell’Europa continentale, ma è indubbio che il controllo dei flussi costituisce una sorta di prova generale non di sopravvivenza o meno dell’unità europea, ormai messa seriamente in discussione dalla possibile sospensione del trattato di Schenghen e dagli effetti della crisi, bensì del ruolo predominante che la Germania ha avuto in questa, soprattutto a partire dall’istituzione della moneta unica.

Il controllo di questi flussi migratori diventa per la politica e l’economia tedesca determinante ai fini del comando sul lavoro e sull’economia su scala europea poiché, è inutile tentare di interpretare ciò che sta avvenendo sotto un’altra luce, per il capitalismo germanico la scala su cui muoversi non è mai stata quella meramente nazionale. Si potrebbe dire che è un capitalismo sì racchiuso entro confini territoriali molto più definiti di quelli inaugurati dalle super-potenze marittime (Gran Bretagna per il XIX secolo e Stati Uniti per il XX), ma che non hanno mai coinciso con quelli della pura e semplice “nazione”.

Si scontrano infatti, oggi come ieri, due concezioni economiche e geo-politiche, estremamente diverse tra di loro e conflittuali fin dalla loro ideazione tra il XIX e il XX secolo.
Da un lato il liberismo finanziario ed economico di Adam Smith, nato in una nazione che del mare aveva fatto la sua via di controllo dei commerci, della produzione e delle attività politico-militari su scala planetaria. Un capitale libero di agire in ogni angolo del globo e in grado di approfittare di qualsiasi occasione gli si parasse davanti e per il quale lo stato non deve essere che una complessa macchina diplomatico-militare in grado di garantirne interessi, proprietà e contratti senza mai, però, determinarne flussi, scelte e strategie di diffusione. Nato con i self-made men della guerra di corsa e della pirateria ai danni dei regni di Spagna e Portogallo e del prodotto dei loro imperi. Un capitalismo più interessato a scompigliare e destabilizzare gli assetti statuali e imperiali (altrui), più che a mantenerne le forme e le funzioni.

Per i capitali formatisi al di fuori della società inglese e che cercavano di opporsi alla superiorità economica della Gran Bretagna, il libero commercio di Smith risultava meno attraente. Fu, già nel 1789,, a onor del vero, un americano, Alexander Hamilton, a istituire uno stretto legame tra nazione, Stato ed economia, prevedendo la fondazione di una banca nazionale, la protezione delle manifatture nazionali mediante alte tariffe e notevoli imposte indirette.

Fu però un economista tedesco, Friedrich List, a riprenderne e svilupparne le idee nella prima metà dell’Ottocento. “Secondo List il compito della scienza economica, che già allora i tedeschi tendevano a chiamare «economia nazionale» (Nationaloekonomie) o «economia popolare» (Volkswirtschaft), invece di «economia politica», era di «realizzare compiutamente lo sviluppo economico della nazione» […] Non c’è bisogno di aggiungere che tale sviluppo doveva assumere la forma dell’industrializzazione capitalistica realizzata da una borghesia forte […] – e che – in sostanza , la nazione doveva possedere sufficiente estensione territoriale da formare un’unità in grado di svilupparsi. Nel caso in cui non raggiungesse questa estensione non avrebbe giustificazione storica3

Un’idea economica in cui Stato, territorio e controllo dei confini svolgevano una funzione centrale ai fini dello sviluppo. Una teoria della stabilità e della progressiva espansione geopolitica a partire da una ferma difesa degli interessi nazionali (si noti la vicinanza, precedentemente sottolineata, tra nazionale e popolare nella suddetta concezione). Lo “spazio vitale” di cui si parlava all’inizio insomma.

Anche se, a onor del vero, i due modelli economici non sono riscontrabili in forma pura in nessun dei processi di formazione delle potenze capitalistiche. La proposta di Hamilton, ad esempio, pose le basi per l’espansionismo statunitense sul continente nordamericano permettondogli di giungere al controllo di quei due oceani da cui sarebbe poi partito per un autentico “assalto al mondo”, mentre il cosiddetto “ordoliberismo” teutonico non può fare a meno di predicare una certa dose di “liberalizzazione”. Ma è chiaro che due così diverse concezioni del ruolo economico dello Stato nazionale e dello sviluppo capitalistico non avrebbero potuto far altro che produrre due concezioni geopolitiche estremamente diverse e in conflitto tra di loro. Che sembrano entrambe avere, però, proprio l’Eurasia al centro del loro interesse. Possiamo definirle come teorie dell’ Heartland (letteralmente: il Cuore della Terra) e del Rimland (la fascia marittima e costiera che circonda l’Eurasia e che si divide in 3 zone: zona della costa europea, zona del Medio Oriente e zona asiatica).

rimlan heartL’ideatore del concetto di Heartland fu un generale e geopolitologo britannico, Sir Halford Mackinder, che la sottopose alla Royal Geographical Society nel 1904. Il termine derivava dal fatto che tale vastissimo territorio era delimitato ad ovest dal Volga, ad est dal Fiume Azzurro, a nord dall’Artico e a sud dalle cime più occidentali dell’Himalaya.
Per Mackinder, che basava la sua teoria sulla contrapposizione tra mare e terra, l’Heartland costituiva il “cuore” di tutte le civiltà di terra, in quanto logisticamente inavvicinabile da qualunque talassocrazia. Teoria che egli condensava in una singola frase: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland; chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo; chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo».

A “coglierne” il significato politico per la Germania e l’Europa fu il generale, geografo e politologo tedesco Karl Haushofer che sottolineò, a partire dagli anni ’20 nella rivista “Zeitschrift für Geopolitik”, come le potenze marittime (la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti) avessero costruito una sorta di “anello” per soffocare le potenze continentali. A suo avviso le potenze marittime si ergevano come custodi dello status quo non solo attraverso il colonialismo inglese e francese, ma anche tramite l’ideologia wilsoniana che, attraverso il diritto all’autodeterminazione dei popoli, aveva contribuito allo smantellamento dell’impero austro-ungarico e del reich guglielmino e alla creazione di una serie di stati cuscinetto destinati a contenere il risorgere della potenza tedesca e l’espansione bolscevica in Europa, compromettendo seriamente “il diritto classico dei popoli”. Entrambi i temi, quello dell’inevitabile scontro tra potenze marittime e terrestri e quello del soffocamento dello jus publicum europeo, saranno poi ripresi da Carl Schmitt, giurista e filosofo tedesco vicino al regime hitleriano, negli anni precedenti e successivi al secondo conflitto mondiale.4

Il concetto di Rimland invece è frutto delle teorie elaborate da Alfred Thayer Mahan (1840 – 1914), che nel 1890, con il suo studio “The Influence of Sea Power in History”, definì la dottrina marittima degli Stati Uniti andando oltre la Dottrina di Monroe che, nel 1823, aveva già delineato una prima area di interesse statunitense su tutto il continente americano dal Canada alla Terra del Fuoco. Tale teoria sarà poi ripresa ed impugnata con forza da Nicholas Spykman che, pur essendo di origini olandesi, sarà di fatto il padre della geopolitica statunitense.

Spykman negli anni trenta rivisitò la geopolitica così come era stata concepita da Mackinder.
Contrariamente al geografo britannico, Spykman non credeva che il “cuore”, il perno geografica del mondo, come un focus economico e territoriale, dovesse essere situato nell’Europa Centrale o in Russia, ma sulle coste. Secondo lui, il centro del mondo è composto di terra costiera, che egli chiama “terra di confine” o “terre anello”, il Rimland per l’appunto. Spykman pensa che gli USA, in un modo o nell’altro, debbano controllare questo Rimland, al fine di imporsi come una superpotenza, e quindi dominare il mondo.

La teoria di Spykman fu adottata dagli strateghi americani sia nel corso del secondo conflitto mondiale che durante la Guerra Fredda e fu alla base della politica di contenimento messa in atto nei confronti dell’Unione Sovietica. Nulla ci impedisce di cogliere come tale teoria sia tutt’ora attiva per gli Stati Uniti , dal mar della Cina e dal Pacifico orientale fino al Medio Oriente attuale. Sia in chiave anti-russa e anti-cinese che anti- europea o, meglio, anti-germanica.

Un’ultima osservazione: il termine “geopolitica” fu creato dal geografo svedese Rudolf Kjellen nel 1904, che era stato preceduto in questo campo di studi dal tedesco Friedrich Ratzel, morto proprio in quell’anno. La geopolitica, che come scienza si occupa dello studio degli incessanti mutamenti territoriali per effetto del soggiorno dell’uomo, della sua azione e delle rivalità di potere che ne derivano, nasce quindi con il moderno imperialismo, quello che il britannico John Atkinson Hobson giunse a definire nel 1902 e sul lavoro del quale si basò poi il successivo “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo” scritto da Vladimir Ulianov detto Lenin nel 1916. Si potrebbe anzi dire che ne costituisce la vera scienza politica ed è per questo motivo che, apparentemente, ho condotto il lettore così lontano dall’argomento iniziale.

Eppure per affrontare i problemi che si pongono all’ordine del giorno, dalla crisi greca a quella ucraina e dalle guerre del Medio Oriente e del Nord Africa fino alle bibliche migrazioni che ne conseguono, occorre andar oltre le banali affermazioni di carattere umanitario, alle letture e agli interventi ispirati dalla carità cristiana o, ancor peggio, di stampo nazionalistico e/o populista, per quanto ammantate di sinistrismo spicciolo.
Quello che avviene ormai quotidianamente sotto i nostri occhi, sicuramente, non è stato pianificato in precedenza, ma le scelte anche contraddittorie e talvolta disordinate che vengono fatte dai governanti europei e non, sono il frutto di contraddizioni e tensioni che non derivano solo dal momento. Per affrontarle con lucidità, non affidandosi soltanto all’emozione del momento, occorre indagarle in profondità.

muroAnche perché l’attuale costruzione di muri e la susseguente chiusura delle frontiere, così come il braccio di ferro sulle quote, non possono preludere che ad altre guerre per ridefinire il comando capitalistico su economie, territori ed esseri umani, migranti e non. Anche qui, nel cuore dell’Europa. E il gran rifiuto opposto a Bruxelles dallo schieramento dei paesi dell’Europa dell’Est alle proposte di Jean Claude Juncker non costituisce soltanto un episodio di calcolo politico elettoralistico ispirato dal populismo e dal razzismo, ma un ulteriore passo in quella direzione.

(1 – continua)


  1. Brunello Mantelli, “Camerati del lavoro”. I lavoratori italiani emigrati nel Terzo Reich nel periodo dell’Asse 1938 – 1943, La Nuova Italia 1992 e Cesare Bermani, Al lavoro nella Germania di Hitler. Racconti e memorie dell’emigrazione italiana 1937 – 1945, Bollati Boringhieri 1998  

  2. Cesare Bermani, op. cit. pag. XI  

  3. Eric J. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismi dal 1780, Einaudi 1991 e 2002, pag. 35  

  4. Carl Schmitt, Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo, Adelphi 2002 e Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus publicum europaeum», Adelphi 1991  

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Estetiche del potere. Blu contemporaneo https://www.carmillaonline.com/2015/06/08/estetiche-del-potere-blu-contemporaneo/ Mon, 08 Jun 2015 21:00:29 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22922 di Gioacchino Toni

red_pill_blue_pillcopy1“You take the blue pill, the story ends. You wake up in your bed and believe whatever you want to believe” (Morpheus, Matrix, 1999)

Digitando su di un motore di ricerca immagini il nome di personaggi come Jean-Claude Juncker, Mario Draghi, Christine Lagarde, Angela Merkel, Barack Obama, David Cameron, Mariano Rajoy Brey, Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Vladimir Putin, Nicolas Sarkozy, Francois Hollande, Marine Le Pen ecc., si nota che, indipendentemente dal “colore politico”, il blu predomina ampiamente sia nell’abbigliamento che nei fondali dei convegni e degli studi televisivi. Il medesimo risultato [...]]]> di Gioacchino Toni

red_pill_blue_pillcopy1“You take the blue pill, the story ends. You wake up in your bed and believe whatever you want to believe” (Morpheus, Matrix, 1999)

Digitando su di un motore di ricerca immagini il nome di personaggi come Jean-Claude Juncker, Mario Draghi, Christine Lagarde, Angela Merkel, Barack Obama, David Cameron, Mariano Rajoy Brey, Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Vladimir Putin, Nicolas Sarkozy, Francois Hollande, Marine Le Pen ecc., si nota che, indipendentemente dal “colore politico”, il blu predomina ampiamente sia nell’abbigliamento che nei fondali dei convegni e degli studi televisivi. Il medesimo risultato si ottiene anche inserendo i nominativi di vecchie glorie vicine, come Tony Blair e George Bush (junior o senior), e lontane, come Margaret Thatcher e François Mitterrand. Anche digitando i nomi dei più influenti organismi economici o politici, ammesso siano distinguibili, come International Monetary Fund, World Bank, Goldman Sachs, European Union, United Nations, European Central Bank ecc., nuovamente trionfa il blu, in tutte le sue tonalità.

Il blu è rassicurante e viene percepito come colore poco connotato politicamente, è il colore del “buon senso”, che non spaventa, che lascia andare a letto tranquilli sapendo che per adeguarsi a quel colore non ci si deve esporre troppo. Nel mondo occidentale il blu, nelle sue varianti, pare essere di gran lunga il colore preferito da buona parte della popolazione, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza. L’abbigliamento, che è forse l’indicatore più efficace, se indagato sul lungo periodo, testimonia tale preferenza, indipendentemente dalle mode effimere che durano una stagione. Anche quando nei sondaggi il blu non viene indicato come colore preferito, facilmente risulta citato tra quelli “meno sgraditi”, ciò risulta importante perché la mancata ostilità è una carta decisiva in mano a chi intende esercitare il potere.
Matteo Renzi ospite a ''Porta a Porta''Il blu predomina anche negli studi televisivi di trasmissioni come Porta a porta e Domenica in, oppure risulta una presenza importante in Che tempo che fa e Servizio Pubblico. Domina in notiziari come Tg1, Tg3, Tg5, Studio Aperto, CNN Breaking News, Fox News, o coabita con il rosso od il verde in telegiornali come SkyTg24 o Tg La7. Se è pur vero che, in alcuni casi, come negli studi di BBC News e del Tg2, tende a lasciare la scena ad una gamma cromatica orientata al rosso, in generale si può comunque dire che il blu è il colore dominante dell’infotainment televisivo.

Michel Pastoureau, tra i massimi studiosi di storia dei colori, sostiene che, ai nostri giorni, “questo gusto pronunciato per il blu non è l’espressione di pulsioni o di motivazioni simboliche particolarmente forti. Si ha persino l’impressione che sia perché è simbolicamente meno ‘connotato’ di tanti altri colori (…) che il blu ottiene il consenso generale”. Che il successo del blu sembri derivare anche dalla sua scarsa connotazione simbolica è emblematico di come la società contemporanea risulti apatica, sempre più omologata, e di come anche quel residuo di volontà dell’individuo che mira ad essere riconosciuto come tale necessiti di una diffusa rassicurazione. Servono tante, rassicuranti, amicizie nei social network e quando si usufruisce dei dieci minuti di celebrità, le regole del gioco impongono la ricerca del consenso diffuso. Si tratta di un gioco perverso in cui l’individualità si cerca nell’omologazione. I creatori/venditori di moda conoscono bene i propri clienti, sanno perfettamente quanto questi siano sostanzialmente timorosi ed equilibristi, dunque ricorrono spesso a “veltronismi”: i “ma anche”. Per la donna elegante ma anche, al tempo stesso, sportiva… o viceversa, come preferite. Il frasario d’ordinanza è composto, probabilmente, da non più di dieci termini shakerati come nemmeno al vecchio Cabaret Voltaire zurighese…

m1Il blu, non è sempre stato fruito allo stesso modo, Pastoureau, nel suo Blu. Storia di un colore*, uscito in Francia nel 2002, ripercorre la sua storia in occidente dall’antichità fino ai giorni nostri, indicando come questo ha mutato più volte significato e modalità di percezione. “Considerato un fatto sociale, il blu e le sue alterne fortune rappresentano pertanto il ritratto in continuo divenire di una società, quella umana, costantemente impegnata a fissare e ridefinire la propria scala di valori”.

In ambito greco-romano il blu viene considerato un colore negativo, associato ai “barbari”. Il blu conosce una sorta di oblio per diversi secoli e, secondo lo studioso, diviene un colore di primo piano in Europa soltanto attorno al XII-XIII secolo associato, in ambito religioso, al mantello della Madonna, sino ad allora di colore scuro, grigio o nero. Da questo momento, per diversi secoli, blu e rosso rappresentano una vera e propria coppia di contrari (femminile/maschile; morale/festante ecc.). A partire dal Settecento le cose cambiano drasticamente, il regresso del colore rosso lascia spazio al definitivo trionfo del blu che si impone come colore preferito a livello europeo. In parte, il successo è determinato da questioni “pratiche” che hanno a che fare, a livello materiale, con i coloranti utilizzati nella tintura delle stoffe (dal naturale indaco all’artificiale blu di Prussia) ed, a livello simbolico, con l’associare il blu al progresso, all’illuminismo. Se un ruolo prioritario per il successo del blu si deve alle rivoluzioni americana e francese, non di meno vale il contributo dato sia dalla letteratura illuminista che da quella del primo romanticismo. In ambito romantico, ad esempio, il colore blu viene celebrato tanto dall’abito del protagonista del romanzo di Goethe, I dolori del giovane Werther, quanto dal fiorellino blu al centro dell’opera incompiuta di Novalis, Enrico di Ofterdingen. Il blu, già colore di moda nell’abbigliamento tedesco nella seconda metà del Settecento, viene ulteriormente rafforzato proprio dall’abito del protagonista del romanzo di Goethe, tanto che determina il diffondersi della moda dell’abito blu “alla Werther”. Il “blu romantico e malinconico” viene così “aureolato di tutte le virtù poetiche”.

Flag of european unionÈ in ambito francese, sottolinea Pastoureau, che il blu diviene il “blu nazionale, militare e politico”. Il blu, in Francia, appare negli stemmi reali già tra il XII-XIII sec. ma, alla vigilia della Rivoluzione, il colore della monarchia è il bianco. È con la Rivoluzione che il blu diviene il colore della Nazione. Il blu si trasforma, via via, da colore dei difensori della Repubblica, a colore dei repubblicani moderati fino a divenire emblema dei liberali o dei conservatori. Nella storia militare francese il blu viene già utilizzato dalle Guardie francesi, corpo di élite nato verso la metà del XVI sec., che fraternizza con gli insorti nel luglio del 1789, tanto che molti suoi uomini passano poi tra le fila della Guardia nazionale parigina mantenendo le vecchie uniformi ed aprendo la strada alla proclamazione del blu come colore nazionale in contrapposizione al bianco monarchico ed al nero clericale e della casa d’Austria. Con le guerre in Vandea il blu dei soldati della Repubblica assume una “dimensione ideologica”: blu repubblicano vs. bianco cattolico e reale. Successivamente al blu repubblicano si affianca il rosso dei socialisti. Dalla rivolta del ’48 il blu perde ogni connotazione rivoluzionaria fino a divenire il colore dei repubblicani moderati, poi dei centristi e, con la Terza Repubblica, della destra repubblicana.
In generale, buona parte dell’Europa, tra Otto e Novecento, finisce con l’adottare una simbologia cromatica analoga: il blu diviene prima emblema dei partiti repubblicani progressisti, poi moderati, infine conservatori. Alla sua sinistra spetta il rosso, alla sua destra il nero, il bruno o il bianco, colori di clericali, fascisti o monarchici. Balzato prepotentemente al centro della scena con la stagione della Rivoluzione francese, nell’abbigliamento, il blu, per qualche decennio, nel corso dell’Ottocento, viene soppiantato dal nero. Già ad inizio Novecento, però, il nero inizia ad essere affiancato da altri colori e, dopo la Prima guerra mondiale, il nero degli abiti maschili inizia a cedere il posto al blu marin a partire dalle colorazioni delle uniformi di vari corpi. Negli abiti civili il blazer rappresenta l’esempio più evidente del passaggio dal nero al blu.

Se il significato del colore blu è mutevole nel tempo, non di meno, allo stesso colore possono essere dati significati differenti, se non antitetici. In epoca recente, si pensi, ad esempio, a quel che hanno significato nell’immaginario novecentesco le “tute blu”; simbolo di un possibile riscatto proletario da una parte, e simbolo di un’irrazionale, quanto ingeneroso, tentativo di annullare l’ordine costituito dall’altro. In ambito diacronico, è curioso come sia mutato il portato simbolico nel corso di qualche decennio dell’indumento blu per eccellenza: i blue jeans. Passati di volta in volta da indumento da lavoro a pantalone contestatario, a prodotto di consumo, a capo recuperato e trasformato dal marketing della moda.

Matteo Renzi a Leopolda 13In epoca contemporanea, il blu sembrerebbe proporsi come risposta tranquillizzante ad uno stato d’animo emergenziale indotto quotidianamente dal mondo dell’economia e dai suoi portavoce (politici e mass media). Si crea il malessere nell’individuo per poi presentarsi come risposta sensata ed equilibrata, come a dire che si creano i presupposti per le guerre, poi si mandano i caschi blu.
Grazie al blu si ha un’umanità serena, liberata dai travagli emotivi e dalle incertezze materiali. Il blu è il colore più efficace per chi si presenta come fautore del buon governo, per chi dichiara l’intenzione di governare avendo a cuore la serenità diffusa e che richiede allo spettatore/elettore un sostegno che non lo costringe ad esporsi troppo: è un sostegno dato a distanza di sicurezza. Il blu è rassicurante, gli si possono dare in gestione i risparmi di una vita. Il blu è competente, sotto al pullover blu, il nuovo vate del progresso industriale indossa pur sempre la camicia d’ordinanza. Blu è pur anche il colore della pillolina miracolosa quanto una Duracel alcalina ma, dopotutto, rappresenta pur sempre un tranquillante per ansie da prestazione. Il blu è un colore rasserenante, è il colore di chi, con sobrietà, magari attraverso il telecomando, ti prende per mano e ti fa addormentare e “domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai”. Dalle nostre parti, più prosaicamente e con la sintesi comunicativa di cui Jerry Levis de noantri è maestro, si potrebbe semplicemente dire che il blu è il colore dello “staiserenismo”.

 

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blu*
Edizione economica: M. Pastoureau, Blu. Storia di un colore, Ponte alle Grazie, Milano 2008, 237 pagine, € 13,00

Edizione con apparato iconografico: M. Pastoureau, Blu. Storia di un colore, Ponte alle Grazie, Milano 2002, 216 pagine, €25,00

 

 

 

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