graphic novel – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dino Buzzati: un immaginario in espansione https://www.carmillaonline.com/2025/01/13/dino-buzzati-un-immaginario-in-espansione/ Sun, 12 Jan 2025 23:01:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=86288 di Luca Cangianti

Alberto Sebastiani, Expanded Buzzati. Tra letteratura e fumetto, Serra, 2024, pp. 184, stampa e ebook € 44,00.

Ricerca del senso della vita, angoscia dell’attesa, fluire del tempo, solitudine, ineluttabilità del destino, simbolismo dei luoghi. Sono questi alcuni dei temi emblematici di un classico della letteratura italiana contemporanea: Dino Buzzati, scrittore, drammaturgo, poeta, giornalista e pittore. Tale gamma creativa, già di per sé molto ampia, ha finito per trascendere la stessa persona dell’artista e ha creato un universo in espansione che spazia dagli spettacoli di marionette, al teatro, al cinema, alla televisione fino ai fumetti. A questo fenomeno è dedicato “Expanded [...]]]> di Luca Cangianti

Alberto Sebastiani, Expanded Buzzati. Tra letteratura e fumetto, Serra, 2024, pp. 184, stampa e ebook € 44,00.

Ricerca del senso della vita, angoscia dell’attesa, fluire del tempo, solitudine, ineluttabilità del destino, simbolismo dei luoghi. Sono questi alcuni dei temi emblematici di un classico della letteratura italiana contemporanea: Dino Buzzati, scrittore, drammaturgo, poeta, giornalista e pittore. Tale gamma creativa, già di per sé molto ampia, ha finito per trascendere la stessa persona dell’artista e ha creato un universo in espansione che spazia dagli spettacoli di marionette, al teatro, al cinema, alla televisione fino ai fumetti. A questo fenomeno è dedicato “Expanded Buzzati” di Alberto Sebastiani. Si tratta di uno studio di spessore accademico, ma scorrevole e godibile anche da un pubblico generico, interessato a capire come lo spirito del tempo metabolizzi e riproduca immaginario.

In primo luogo Sebastiani certifica, anche con dettaglio quantitativo, la presenza e la notorietà di Buzzati nel dibattito culturale attraverso un’analisi di 253 testi online. In secondo luogo individua due elementi alla base del processo generatore: «il corpo dell’autore, da persona a personaggio, e la sua opera in generale. Infatti, anche se Il deserto dei Tartari e Un amore sono senz’altro i romanzi più ripresi, l’espansione dell’universo narrativo di Buzzati non riguarda un singolo romanzo, ma la sua opera, o una sua buona parte.» E così ci imbattiamo, ad esempio, nelle indagini del giornalista-investigatore Odino Buzzi – alter ego dello scrittore –, protagonista seriale di quattro graphic novel ambientate negli anni sessanta. Un altro esempio sono le strisce di Sturmtruppen di Bonvi in cui una buffa sentinella nazi-tedesca viene lasciata a scrutare «l’orizzonten, e non appena arrifano i nemiken telefona al comando dando l’allarmen». Ovviamente, in omaggio al Deserto dei Tartari, i «nemiken» non si fanno vedere, ma la situazione permette all’anonimo «soldaten» di esporre una surreale ed esilarante cronaca immaginaria della missione. Altrettanto degno di interesse è il fumetto Topolino e il cappotto da 1 dollaro in cui il racconto buzzatiano La giacca stregata fa da ipotesto e dà vita a una parodia in cui «la celebre vicenda della giacca che elargisce soldi, strumento del patto con il demonio, diventa una storia natalizia a lieto fine».

Sebastiani considera il fumetto «come uno dei centri gravitazionali della narrazione contemporanea, uno dei luoghi della riscrittura delle relazioni e degli equilibri tra media e arti. Linguaggio verbo-visivo, di natura anfibia, capace di sfruttare in modo intensivo una intertestualità». Ricorda inoltre «come Buzzati stesso attingeva all’immaginario della pop culture, anche criticamente, per cui low e high culture erano entrambi presenti nel suo orizzonte culturale e tra le sue fonti.» Del resto questo scrittore non solo era un appassionato e competente lettore di fumetti, ma grazie alla sua opera sperimentale del 1969, Poema a fumetti, in cui rielabora in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice, è considerato anche l’antesignano della graphic novel.

«Ora, però», conclude Sebastiani, «Buzzati è diventato parte di quell’immaginario, a cui attingono autori letterari e fumettisti. Un dialogo che dimostra quanto Buzzati non solo appartenga, ma sia radicato e vivo, persino archetipico, in una tradizione narrativa, in prosa e per immagini, coerente con la sua produzione “anfibia”.» Una produzione che, immergendosi nell’inconscio collettivo, continua a generare nuove onde creative.

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Penss e la sua resistenza nelle pieghe del mondo https://www.carmillaonline.com/2021/10/03/penss-e-la-sua-resistenza-nelle-pieghe-del-mondo/ Sun, 03 Oct 2021 21:00:05 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=68510 di Paolo Lago

Jérémie Moreau, Penss e le pieghe del mondo, trad. it. di Stefano Andrea Cresti, Tunué, Latina, 2021, pp. 229, € 27,00.

I primi momenti narrativi della graphic novel dal titolo Penss e le pieghe del mondo, realizzata da Jérémie Moreau, sono dedicati alla contemplazione. Il giovane Penss appartiene a una tribù di uomini della preistoria ma non trascorre il suo tempo nella caccia e nella pesca, come fanno i suoi simili, unicamente intenti a procacciare il cibo per la sopravvivenza di se stessi e degli altri. Il ragazzo ama trascorrere il [...]]]> di Paolo Lago

Jérémie Moreau, Penss e le pieghe del mondo, trad. it. di Stefano Andrea Cresti, Tunué, Latina, 2021, pp. 229, € 27,00.

I primi momenti narrativi della graphic novel dal titolo Penss e le pieghe del mondo, realizzata da Jérémie Moreau, sono dedicati alla contemplazione. Il giovane Penss appartiene a una tribù di uomini della preistoria ma non trascorre il suo tempo nella caccia e nella pesca, come fanno i suoi simili, unicamente intenti a procacciare il cibo per la sopravvivenza di se stessi e degli altri. Il ragazzo ama trascorrere il suo tempo perduto nella contemplazione della natura. I primi quadri che Moreau (autore anche di La saga di Grimr, sempre tradotto per Tunué, premiato come miglior libro al festival di Angoulême) ci offre in questo suo nuovo lavoro sono la rappresentazione grafica della pura contemplazione. Si tratta di immagini in cui l’acqua di un ruscello appare contemplata da diversi punti di vista: disegni in cui è completamente assente la presenza umana. Soltanto dopo vediamo, in un ingrandimento, gli occhi del protagonista che la sta contemplando e allora si capisce che le immagini iniziali appartenevano, in un certo senso, alla sua soggettiva.

Anche successivamente, nel corso della storia, incontreremo altre tavole in cui la narrazione cede il passo alla contemplazione, all’immaginazione, ad una sospensione quasi incantata dell’incedere narrativo. Così afferma Penss nelle prime parole che pronuncia, anzi, che pensa: «O mondo… fluisci, danzi, colpisci, sibili, scintilli, abbagli… E credo proprio d’essere il solo a vedere la tua bellezza. Gli altri, tutti gli altri, passano la vita a correre». Tutti gli altri hanno un approccio più ‘pratico’ al mondo, finalizzato alla sua trasformazione per facilitare la sopravvivenza e gli spostamenti. Di fronte alla praticità, egli oppone la contemplazione, la fruizione pacifica e inerte della bellezza della natura. La tribù a cui il ragazzo appartiene rappresenta il senso pratico degli esseri umani e potrebbe essere l’antesignano di chi, perciò, anche oggi, ha con la natura un rapporto basato esclusivamente sull’utile e sul profitto come l’attuale società capitalistica che sventra montagne e distrugge vallate per costruire l’alta velocità a fronte di una resistenza che, con quella stessa natura, ha un rapporto più umano e contemplativo. Penss, per certi aspetti, in un mondo finalizzato all’utile e alla mera sopravvivenza, è un vero e proprio resistente, perché «tutte queste montagne, queste stelle sono infinitamente più belle di qualsiasi uomo. E noi non possiamo farci niente». La resistenza del personaggio è ravvivata da un approccio contemplativo e poetico all’esistente. Come già accennato, l’autore, per rappresentare graficamente l’atto della contemplazione, utilizza delle tavole che si succedono senza la presenza degli esseri umani e senza parole. In esse vengono soprattutto rappresentate quelle che il protagonista chiama le «pieghe del mondo».

Il mondo, per il protagonista, è infatti composto da «pieghe», una sorta di strati interconnessi che legano fra di loro ogni fenomeno vitale. In quest’opera di Moreau è possibile quindi incontrare anche un background filosofico che si rifà al pensiero di Leibniz ma soprattutto a quello di Gilles Deleuze, in particolare al suo saggio La piega. Leibniz e il Barocco. Il concetto leibniziano di «monade» viene ripreso da Deleuze e risemantizzato adesso da Moreau in chiave ecologista e comunitaria: secondo Penss non si può vivere come monadi, come organismi senza alcuna connessione fra di loro. È invece importante restare in connessione come in connessi sono tutti i fenomeni dell’esistenza sul pianeta che egli contempla. Quella che poteva apparire come una pura attività inerte diviene allora, in un certo senso, contemplazione attiva e, maggior ragione, resistenza. Lo stesso personaggio non intende affatto restare come una specie di «monade» separata rispetto al mondo, concepito come un sistema da sfruttare solamente per la sopravvivenza. Egli intende invece entrare in connessione con esso e plasmarlo e quindi scopre la possibilità di coltivare il terreno, di seminarlo ricavandone i frutti senza l’atto violento del cacciare. Da un punto di vista formale, i disegni mostrano spesso il personaggio in piedi o seduto come se fosse davvero inglobato dalla natura circostante, la quale si ingigantisce fino a far rimpicciolire la figura dell’essere umano. Quest’ultimo pare rimpicciolirsi anche nella rappresentazione grafica dei suoi sogni, nei quali lo si vede in balia di piante gigantesche.

Da un punto di vista grafico, il fumetto presenta innumerevoli suggestioni. L’autore alterna con grande maestria i colori più accesi, caldi e, se così si può dire, ‘caravaggeschi’ che rappresentano gli interni delle grotte illuminati da torce e fuochi a quelli più freddi e chiari dei paesaggi silenziosi e innevati. Suggestive sono anche le immagini notturne in cui domina il nero e in cui vediamo, in una sorta di montaggio alternato, da una parte il cielo e il paesaggio, dall’altra lo stesso Penss perduto nella contemplazione. Da un punto di vista narrativo e scenico, si può dire che prevalgono i momenti di contemplazione ma non mancano neppure diversi momenti in cui il ritmo si velocizza e l’azione si fa concitata. Spesso, al silenzio e alla contemplazione seguono situazioni in cui prevale il grido selvaggio puro e semplice oppure la parola gridata, rabbiosa, segnata dal dolore dell’impotenza umana di fronte alla morte e alle catastrofi.

La dimensione contemplativa, mentre il tempo scorre (l’autore è bravissimo a rendere l’alternarsi delle stagioni e lo scorrere di un tempo nella sua ciclicità naturale) sembra lentamente mutarsi in una dinamica di movimento. Le stesse foreste, gli stessi boschi sono in movimento perpetuo – osserva il protagonista – per mezzo del continuo fluttuare dei loro pollini e dei loro semi. Lo stesso protagonista giunge alla conclusione che per far pienamente parte della «piega» del mondo occorre unirsi ad essa e mutare, divenire nomade: «e se la soluzione migliore fosse rimettersi in movimento?» – si chiede Penss – «reinserirsi nella corrente che fa girare il sole, che fa avanzare le greggi e che ci porta dagli altipiani alle valli, dalle valli agli altipiani?». Forse «in questa grande danza» si cela «il segreto del più armonioso e duraturo dei dispiegamenti». Per vivere in connessione col mondo, alla fine, è necessario poter partecipare a questa «grande danza», essere nomadi e percorrere spazi. Ma, come scrivono Deleuze e Guattari in Mille Piani, sarebbe «un errore definire il nomade per il movimento»1, perché «il nomade sa attendere e ha una pazienza infinita»2 , proprio come Penss. Il movimento e la velocità possono essere anche dei percorsi mentali: essere nomadi dell’immaginario per poter giungere a inediti e inesplorati percorsi di liberazione. E forse è proprio questo il messaggio ultimo del paziente e contemplatore Penss e delle sue pratiche di resistenza.


  1. G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, trad. it. Castelvecchi, Roma, 2010, p. 452. 

  2. Ibid. 

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Il graphic novel tra Maus, Jimmy Corrigan, Sandman e Zerocalcare https://www.carmillaonline.com/2017/10/18/graphic-novel-maus-jimmy-corrigan-sandman-zerocalcare/ Tue, 17 Oct 2017 22:01:02 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=39863 di Gioacchino Toni

Punto d’incontro tra romanzo e fumetto, il graphic novel ha conosciuto negli ultimi tre decenni uno sviluppo importante ed a questo particolare media verbovisivo Stefano Calabrese ed Elena Zagaglia hanno dedicato il libro Che cos’è il graphic novel (Carocci editore, 2017).

Quello del graphic novel è un linguaggio che i due studiosi definiscono “vecchio-nuovo”; vecchio perché riprende le tecniche del fumetto introdotte tra il XVIII ed il XIV secolo da artisti come Wiliams Hogarth e Richard Felton Outcault e nuovo in quanto «il romanzo grafico è in grado di superare i fumetti tradizionali in profondità e sottigliezza: oltre [...]]]> di Gioacchino Toni

Punto d’incontro tra romanzo e fumetto, il graphic novel ha conosciuto negli ultimi tre decenni uno sviluppo importante ed a questo particolare media verbovisivo Stefano Calabrese ed Elena Zagaglia hanno dedicato il libro Che cos’è il graphic novel (Carocci editore, 2017).

Quello del graphic novel è un linguaggio che i due studiosi definiscono “vecchio-nuovo”; vecchio perché riprende le tecniche del fumetto introdotte tra il XVIII ed il XIV secolo da artisti come Wiliams Hogarth e Richard Felton Outcault e nuovo in quanto «il romanzo grafico è in grado di superare i fumetti tradizionali in profondità e sottigliezza: oltre a muoversi in ambiti creativi e forme estetiche assai differenti, esso può riutilizzare format discorsivi quali la biografia, l’autobiografia, l’indagine giornalistica e il reportage storico-cronachistico, il cosiddetto graphic-journalism» (p. 8).

Nel saggio di Calabrese e Zagaglia vengono passati in rassegna gli elementi semiotici che distinguono il graphic novel tanto dalle immagini fisse che dalle narrazioni verbali, visto che questo particolare linguaggio verbovisivo si presenta come un sistema semiotico caratterizzato dalla multimodalità (parole/immagini) e dalla simultaneità (con il tempo codificato secondo un “sistema spazio-topico”). Dal momento che su questa parte del volume ci siamo soffermati in un intervento pubblicato recentemente dalla rivista «Il Pickwick» [qua], dedichiamo questo scritto alla parte del saggio di Calabrese e Zagaglia che ripercorre, sin dalla nascita, alcune tappe importanti della storia della narrazione grafica con particolare attenzione ad alcuni rilevanti case study.

Il termine graphic novel viene introdotto sia per indicare una modalità testuale diversa rispetto a quella del fumetto che per presentare il prodotto come forma letteraria complessa indirizzata ad un lettore tendenzialmente adulto. I confini delineati da questa etichetta restano decisamente incerti: si tratta di un libro figurativo che racconta una storia lunga o diverse storie brevi, che ricorre ad una modalità seriale o autoconclusa, che generalmente rispetta le convenzioni tipiche del fumetto o veicola istanze autobiografiche, storiche, giornalistiche ecc. Secondo alcuni studiosi il termine viene coniato da Richard Kyle attorno alla metà degli anni Sessanta del Novecento per divenire d’uso alla fine del decennio successivo, ma è a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta che il termine ha iniziato ad indicare una tipologia testuale precisa e non più esperimenti editoriali frammentati ed estemporanei.

Inevitabilmente occorre partire dal fumetto, che secondo diversi studiosi prende vita negli anni Trenta dell’Ottocento e si sviluppa con la pubblicazione delle vignette nelle edizioni domenicali dei quotidiani americani. È soltanto a partire dagli anni Trenta del Novecento che i comic books permettono ai fumetti di essere commercializzati e distribuiti al di fuori dei quotidiani, prima per pubblicizzare altri prodotti, poi in maniera del tutto autonoma con protagonisti eroi e supereroi. «Con i supereroi degli anni Trenta e Quaranta, in inquietante simultaneità con l’imporsi delle dittature in alcuni paesi occidentali, il fumetto conosce grande fortuna e si espande sia come numero di lettori, sia per elaborazione di sottogeneri narrativi, sino a divenire un simbolo della nascente potenza culturale degli Stati Uniti» (p. 13).

Con gli anni Cinquanta e l’inizio della Guerra Fredda i supereroi risultano inadatti a “risolvere” la mutata situazione ed il clima politico-culturale nordamericano tende ad indicare nel fumetto uno strumento di corruzione morale, oltre che di scarso rilievo culturale. Nel 1954 in America entra in vigore il Comix Code, un vero e proprio codice di censura che proibisce, tra le altre cose, la rappresentazione della violenza e del sesso, la presenza di alcolici e tabacco e, soprattutto, vieta di criticare o irridere le autorità. Ad essere preso di mira, sottolineano Calabrese e Zagaglia, è specialmente il codice iconico, per la sua immediatezza ed a fare le spese di questa regolamentazione sono soprattutto le narrazioni gialle o horror anche se, nonostante le censure, negli anni Cinquanta non mancano produzioni interessanti, come nel caso della rivista satirico-demenziale “Mad” creata nel 1952 dal fumettista Harvey Kurtzman o di Master Race di Bernie Krigstein che nel 1955 affronta il tema dei campi di sterminio.

Nei primi anni Sessanta rinascono i fumetti di supereroi uscendo dal mero ambito adolescenziale e venendo a contatto con il mondo della pop art. Con il 1968 nasce anche il fumetto underground ed autori come Robert Crumb, Eric Stanton e Gilbert Shelton non mancano di realizzare opere satiriche, sessualmente più audaci, con riferimenti autobiografici e con una smaccata presenza di critica politica. Tali trasformazioni contribuiscono all’avvicinano del fumetto alla narrativa romanzesca.

Anche in Europa si danno importanti novità: sul finire degli anni Sessanta escono in Italia opere come Una ballata del mare salato (1967) di Hugo Pratt e Poema a fumetti (1969) di Dino Buzzati, mentre in Francia e in Belgio si pubblicano riviste destinate a restare nella storia come “Pilote” (dal 1959) e “Á Suivre” (dal 1978). Se l’ondata innovativa degli anni Sessanta tende a perdere slancio verso l’inzio degli anni Ottanta, insieme all’assopirsi delle spinte controculturali nel clima genereale del rappel à l’ordre, occorre evidenziare che si aprono comunque nuove strade soprattutto grazie a pratiche di autoproduzione.

È in questo periodo che le nuove narrazioni visive iniziano ad essere indicate come illustrated novel, graphic album, comic novel e graphic novel. Tra i primi autori del nuovo genere debbono essere ricordati illustratori inglesi come Alan Moore, Neil Gaiman, Warren Ellis e Grant Morrison. I due studiosi sottolineano anche l’importanza della rivista “Raw”, fondata nel 1980 da Art Spiegelman e Françoise Mouly, che nel corso di un decennio lancia in ambito statunitense autori come Charles Burns, Robert Crumb e Chris Ware. Nel corso degli anni Novanta il graphic novel definisce meglio alcune sue caratteristiche che lo differenziano sempre più dal fumetto tradizionale, e conquista un suo spazio editoriale e distributivo.

Calabrese e Zagaglia sottolineano come tale tipo di grafica narrativa abbia uno sviluppo internazionale che tocca, oltre gli Stati Uniti, anche il Sudamerica, l’Europa e l’Estremo Oriente. In Giappone, ad esempio, soprattutto a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, Osamu Tezuka realizza un vero e proprio “cinema di carta” che conduce allo story manga, un racconto a fumetti autoconcluso rivolto ad un pubblico di bambini ed adolescenti.

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, in Giappone, un gruppo di nuovi autori inizia a proporre akahon ispirati all’hard boiled e rivolti ad un pubblico adulto che aprono le porte al movimento gegicka, diffuso da riviste come «Kage» e «Machi», che abbandona le semplificazioni e le deformazioni dei manga in favore di uno stile molto più realistico. Se in un primo momento il gegika ha successo tra i giovani lavoratori delle grandi aree industriali scarsamente acculturati, successivamente, a partire dagli anni Sessanta, alcune produzioni gegika si prestano a dare voce alle proteste ed alla critica sociale di studenti, intellettuali ed attivisti politici.

Attorno alla metà degli anni Ottanta il mondo dei fumetti vede l’uscita di alcune opere che ne cambiano la fisionomia. Se per quanto riguarda l’universo dei supereroi la svolta può essere individuata nell’uscita di Watchman (1986-87) di Alan Moore e Dave Gibbson e Batman. Il ritorno del cavaliere oscuro (1986) di Frank Miller, è con Maus (1986) di Art Spiegelman che si assiste alla canonizzazione del genere graphic novel ed alla sua ascesa nell’ambito della cultura letteraria, tanto che nel 1992 l’opera di Spiegelman riceve una menzione speciale da parte del Comitato del Premio Pulitzer.

Maus, comparso la prima volta nel 1972 come short story in un’antologia, poi pubblicato in maniera frammentata da «Raw», viene poi pubblicato in due volumi distribuiti da Pantheon. Il lavoro di Spiegelman è incentrato attorno alla questione della Shoah e presenta due storie che si intrecciano: in una Vladek Spiegelman racconta al figlio, Art Spiegelman stesso, la sua esperienza dell’Olocausto in Polonia, mentre nell’altra storia si narra del rapporto problematico tra i due.

Il primo volume, Mio padre sanguina storia (A Survivor’s Tale. My Father Bleeds History) narra le vicende dei genitori di Art fino alla loro deportazione ad Auschwitz ed introduce i problemi tra padre e figlio. Il secondo volume, intitolato E qui sono cominciati i miei guai (And Here My Troubles Began) narra invece la vita dei genitori di Art all’interno del campo di sterminio e i loro tentativi, una volta sopravvissuti, di ricostruirsi una vita prima in Svezia, poi in America, fino ad un brusco ritorno al presente narrativo.

Secondo Calabrese e Zagaglia la «prima ragione della notorietà di Maus è la complessità del suo impianto narratologico, in grado di mixare simultaneamente più livelli diegetici, moltiplicando il potenziale semantico ed espressivo di ciascuno di essi» (p. 19). In Maus la narrazione comprende due diversi piani temporali e ricorre a due narratori: «gli eventi della Seconda guerra mondiale in Polonia vissuti dal padre si dipanano fianco a fianco, a riquadri alternati, con quelli del 1980 vissuti dal figlio a New York, e la narrazione si sposta in avanti e indietro, con improvvise analessi e prolessi tra la storia intradiegetica della sopravvivenza di Vladek alla persecuzione nazista e i suoi racconti extradiegetici al figlio Art, metanarratore che sutura le due storie e crea Maus. Così il lettore entra in un labirinto degno di un racconto di Borges: Vladek è un narratore verbale intradiegetico, Art agisce sia come narratore extradiegetico del plot all’altezza cronologica del 1980, sia come narratore visivo che assume le narrazioni extra- e intradiegetiche in un blend di potente fascino» (pp. 30-31).

Gli studiosi sottolineano come la narrazione in Maus risulti decisamente complessa ed aperta ad interpretazioni differenti, sulla falsariga dei romanzi modernisti e postmodernisti. «Il metanarratore Art opera su diversi livelli […] e questo raffinato cocktail dei suggerimenti di un narratore onnisciente con le conoscenze del tutto limitate e anguste del personaggio (controfigura del lettore reale) influisce sulla nostra capacità di orientamento […] Questa multimodalità permette ancora una volta la giustapposizione della rappresentazione oggettiva e soggettiva, dell’eterodiegesi e dell’omodiegesi, del passato e del presente, del discorso tra i personaggi e del discorso “interiore” di un personaggio» (p. 31). Inoltre, il confine tra il livello narrativo di Vladek che riguarda la storia della Shoah ed il livello narrativo post-testimoniale di Art, riferito al problema della memoria storica, è offuscato da metalessi visive in cui si miscelano passato e presente.

Visto che il padre di Art racconta un frammento reale della storia della Shoah, Maus potrebbe essere pensato come visual life-narrative, storia orale-grafica; non a caso il primo volume è stato premiato come “biografia”. «In realtà, Maus è domiciliato in uno spazio intergenerico e intersemiotico e la sua stessa ricchezza espressiva dipende radicalmente da questa ontologica, immanente interstizialità: la voce di Vladek domina il testo e, come in ogni storia orale del folklore, solo attraverso la storia personale di Vladek il lettore può comprendere gli eventi storici descritti. L’universale è nel particolare, tanto quanto l’autobiografia si dissolve in una biografia» (p. 32).

Circa il ricorso semiotico agli animali presente in Maus, gli studiosi sottolineano come questo non abbia soltanto lo scopo di teriomorfizzare una società cinica e corrotta ma anche, in modo opposto, di «antropomorfizzare una violenza senza volto e senza ragionevolezza» (p. 34). Se la presenza di uomini teriomorfizzati palesa che ogni rappresentazione visiva è una finzione, ciò, suggeriscono Calabrese e Zagaglia, frantuma «il dogma formale del realismo operando, con gli strumenti semplici di un graphic novel, la complessiva “desantificazione dell’Olocausto” […] Le metafore animali funzionano proprio in virtù delle loro profonde incongruenze, dove i conti semantici sembrano non tornare mai: il lettore tende a dare un’interpretazione generalista di topi come persone, piuttosto che degli ebrei come topi, e ciò accade in quanto uno dei segni distintivi della tradizione animale nei fumetti sembra essere la “curiosa indifferenza verso la natura animale dei personaggi”» (p. 35). Nei fumetti meno dettagliata è la raffigurazione di un personaggio, più ci si apre all’universalità ed all’identificazione empatica dei lettori; la semplicità dei disegni in Maus contribuisce dunque alla “universalizzazione” dei topi.

Con la pubblicazione di Jimmy Corrigan. Il ragazzo più in gamba sulla terra (Jimmy Corrigan, the Smatest Kid on Earth), uscito prima come serial fiction (1993-2000), poi nella versione one-shot (2000), Franklin Christenson Ware, più noto come Chris Ware, si rivolge direttamente ad un pubblico che egli stesso definisce nell’introduzione al volume del 2000, dotato di sufficienti «mezzi per intrattenere un dialogo semantico soddisfacente con il teatro pittografico ivi offerto» (Ware, p. 3, trad. it.).

Il racconto grafico di Ware si presenta indubbiamente di lettura complessa, con un tipo di impaginazione degerarchizzata e labirintica, strutturato secondo un «double plot a sviluppo elicoidale ove si rincorrono due storie ambientate in epoche diverse» (p. 60). La prima storia, ambientata negli anni Ottanta del Novecento, racconta del solitario trentaseienne Jimmi Corrigan che si trova inaspettatamente a dover incontrare il padre mai conosciuto prima, la seconda, ambientata a fine Ottocento, narra invece del rapporto tra il nonno ed il bisnonno di Jimmi. In entrambi i casi si tratta di storie che affrontano il difficile rapporto padre-figlio, «con i padri [che] giocano sempre un ruolo negativo [mentre] i figli incassano passivamente i colpi inferti dal contesto sociale e al tempo stesso vi si mostrano resilienti» (p. 62).

L’impaginazione proposta da Ware risulta decisamente innovativa; la forte regolarità geometrica, infranta dall’introduzione di microvarianti, conferisce alla pagina un aspetto che Calabrese e Zagaglia definiscono «quasi carcerario, claustrale almeno quanto la vita del protagonista […] La direzione abituale di lettura […] è smentita, o almeno sottoposta a forti turbolenze, poiché ciascuna planche si presenta come una combinazione di blocchi quadrangolari, dove l’immagine di grandi dimensioni costituisce un blocco unitario, mentre un mosaico di quattro, sei, otto, dodici piccoli panels ne costituisce un altro» (p. 63). Altra caratteristica importante segnalata dagli studiosi è l’uso della simmetria che viene utilizzata da Ware per enfatizzare le «opposizioni binarie che strutturano l’evoluzione spazio-temporale della storia, come ad esempio interno/esterno, passato/presente, giorno/notte» (p. 63).

Particolarmente interessante risulta l’approfondimento che Calabrese e Zagaglia dedicano al rapporto di Ware con i supereroi della sua infanzia. Secondo i due autori è possibile cogliere un parallelismo parodico tra la figura del supereroe e quella del padre assente; per certi versi Ware ha bisogno di eliminare una volte per tutte la figura del supereroe, propria dei fumetti, per poter dar vita al graphic novel. Si tratterebbe di una rottura necessaria con il mondo dell’infanzia (con i fumetti e con la figura del padre, pur se padre-assente) al fine di poter divenire adulti (dunque, artisticamente, poter entrare nel mondo del graphic novel). Ware, nella sua narrazione grafica, mette in scena il suicidio di un supereroe nell’indifferenza generale con tanto di titolone sul giornale. «Periodizzando i supereroi, il graphic novel diventa […] lo specchio critico del contesto storico-sociale» (p. 66). A questo punto gli studiosi individuano nel kidult il particolare tipo di lettore capace di specchiarsi in tale «labirintica parodia” del fumetto più mainstream» (p. 66).

In effetti, stando alle indagini effettuate in diversi paesi europei, mente il lettore-tipo di romanzi è soprattutto di genere femminile e di età compresa tra i trenta ed i cinquantaquattro anni, quello di graphic novel è invece in maggioranza di genere maschile e di età compresa tra i quattordici ed i ventiquattro anni. Si tratta dunque un soggetto «in fase di formazione permanente, che alimenta la propria Bildung attraverso porzioni massicce di visual storytelling. Proprio come la ricezione del romanzo settecentesco rifletteva le ansie del ceto medio, i graphic novel rivelano oggi i bisogni dei kidults e le loro ansie predittive circa un futuro sempre più impredicabile, irretito solamente da progetti a tempo determinato: narrazioni adatte ai tempi labili e a spazi empatici, fatte per rappresentare individualità uniche, ciò che spiega l’ambientazione realistica degli intrecci, l’attualità dei temi e la loro rilevanza storica […] Le peripezie vissute dai protagonisti diventano agli occhi dei kidults una parabola, un momento di passaggio da cui si esce trasformati, dove il fatto eccezionale di cui l’intreccio parla diventerà il momento in cui prende corpo una nuova identità” (p. 93). Non è un caso, fanno notare i due studiosi, che l’eroe del graphic novel non si trovi mai alla fine della storia nella medesima condizione esistenziale del punto di partenza.

Eliminati dalle storie i supereroi tradizionali, i protagonisti di graphic novel come Jimmy Corrigan errano alla ricerca di una collocazione all’interno di un mondo instabile e precario «in cui lo stato di crisi sembra essere il centro propulsivo dell’esistenza» (p. 67). È dunque con tale retorica del fallimento che il graphic novel, secondo Calabrese e Zagaglia, ha surclassato, almeno dal punto di vista qualitativo, il fumetto e, soprattutto, pare essersi conquistato un futuro tutto da scrivere e disegnare.

The Sandman (1988-96) di Neil Gaiman è da molti considerato una pietra miliare nella costituzione del graphic novel; si tratta di una delle pubblicazioni degli anni Novanta del Novecento che maggiormente ha contribuito a trasformare il formato della pubblicazione e l’estetica della narrazione grafica allontanandola dal fumetto tradizionale.

Ad essere ripreso in questo caso è proprio un supereroe, seppur minore, degli anni Quaranta del Novecento, dotato della facoltà di entrare nei sogni degli individui per poi proteggere i bambini dagli incubi. Gaiman trasforma il personaggio totalmente; il suo «Sandman viola le regole relativamente a ciò che rende un personaggio popolare nel settore dei fumetti dominato dai supereroi. Invece di criminali da combattere e vite da salvare, la preoccupazione del protagonista è quella di mantenere “The Dreaming”, ossia l’infinito orizzonte psichico in costante cambiamento che visitiamo ogni notte durante il sonno […] Tutto ruota intorno alla lenta trasformazione psicologica del protagonista: Sandman è la personificazione dei sogni e delle storie, un essere metafisico che ha pieno governo sulla vita dell’umanità. Egli è originariamente presente come un essere immortale: lui e i suoi fratelli creature divine immortali che si chiamano Destino, Morte, Distruzione, Desiderio, Disperazione e Delirio – sono i sette Eterni che incarnano e regolano l’esistenza umana» (p. 85).

In Sandman si rintracciano due livelli narrativi: uno è riconducibile alle diverse storie indipendenti derivate dalle pubblicazioni mensili, e l’altro sembra ricombinare le diverse storie in un unico grande affresco del personaggio. Si tratta comunque di una narrazione non lineare che salta avanti e indietro nel tempo a velocità diverse. «Tematicamente, Sandman si focalizza sull’idea di cambiamento e dell’inevitabile necessità di adattarsi alle trasformazioni dai contesti storico-ambientali, tanto che le arcature narrative della prima serie muovono da un Sandman riluttante alla metamorfosi e bisognoso di apprendere l’arte dell’adattamento; passo dopo passo si trova di fronte a esperienze che sconvolgono le sue certezze e lo conducono a rompere le sue abitudini, sino a mettere in discussione le proprie decisioni passate e le proprie credenze» (pp. 86-87).

Uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi tempi nell’ambito della narrazione grafica è sicuramente quello di Zerocalcare (Michele Rech), autore che, formatosi nell’ambito dell’autoproduzione grafica, nell’ambiente dei centri sociali romani, nel 2012 pubblica prima l’albo La profezia dell’armadillo, poi il graphic novel Un polpo alla gola, ottenendo, in entrambi i casi, un notevole successo.

«Zerocalcare può essere definito il primo fenomeno di una cultura giovanile italiana degli anni Dieci del nuovo millennio, capace di raggiungere un pubblico vasto ed eterogeneo ricorrendo ad un linguaggio inventato, uno slang giovanile romanesco postdialettale, che ricorda la lingua meticcia anglo-polacca di Vladek in Maus. Manifesto di una cultura pop che sa rappresentare un’ampia fascia di lettori e lettrici, l’abilità di Zerocalcare è quella di fotografare la condizione giovanile in cui i lettori si immedesimano totalmente: nelle storie di Zerocalcare è rappresentata la quotidianità di un trentenne contemporaneo, disoccupato, nevrotico e cinico, che viene messo alla prova e fallisce regolarmente affidandosi però a una coscienza ironica» (p. 132). Il protagonista di questi graphic novel è lo stesso Zerocalcare che si presenta, sostengono i due studiosi, come una sorta di hikikimori nostrano ed il punto di forza dell’autore sarebbe da ricercarsi soprattutto nel forte rapporto con i lettori.

Kobane Calling si proietta al vertice delle classifiche dei libri di fiction più venduti «anche se paradossalmente ciò avviene con un testo di graphic journalism declinato in prima persona e a focalizzazione interna, per cui la realtà di Kobane è restituita attraverso gli occhi, le nevrosi, i dubbi e le difficoltà oggettive del protagonista-autore. Per questo, il graphic reportage alterna vignette dal realismo quasi documentario a passaggi “cartoonati” per rendere al meglio l’iperrealismo della situazione» (pp. 132-133).

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La Patagonia senza confini di Jorge González https://www.carmillaonline.com/2015/09/16/la-patagonia-senza-confini-di-jorge-gonzalez/ Tue, 15 Sep 2015 22:01:40 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24826 di Simone Scaffidi L.

1cf5e5497e015bcbb2c0657e3f84b58cJorge González, Cara Patagonia, 001 Edizioni, 2013, pp. 280, € 29,00

Di questo romanzo a fumetti, suggestiva commistione di finzione e storia della Patagonia, impressionismo e naturalismo, in Italia se n’è parlato troppo poco, come spesso accade alle opere dei grandi disegnatori e fumettisti internazionali. Uscito in Francia e Spagna nel 2011 è il secondo lavoro di Jorge González pubblicato in Italia (2013), preceduto da Fueye. Il suono del Tango (2009) – un racconto migrante e sottoproletario dove il pastello incontra il bandoneòn in un potente amplesso di colori [...]]]> di Simone Scaffidi L.

1cf5e5497e015bcbb2c0657e3f84b58cJorge González, Cara Patagonia, 001 Edizioni, 2013, pp. 280, € 29,00

Di questo romanzo a fumetti, suggestiva commistione di finzione e storia della Patagonia, impressionismo e naturalismo, in Italia se n’è parlato troppo poco, come spesso accade alle opere dei grandi disegnatori e fumettisti internazionali. Uscito in Francia e Spagna nel 2011 è il secondo lavoro di Jorge González pubblicato in Italia (2013), preceduto da Fueye. Il suono del Tango (2009) – un racconto migrante e sottoproletario dove il pastello incontra il bandoneòn in un potente amplesso di colori e musica – e seguito dal più recente Ritorno in Kosovo (2014) scritto a quattro mani con il disegnatore Jakupi Gani.

La storia – alla cui sceneggiatura hanno partecipato Horacio Altuna, uno dei maestri del fumetto argentino, e gli scrittori Hernán González y Alejandro Aguado – si dipana lungo un secolo, geograficamente frammentata tra la Terra del Fuoco, la provincia di Chubut e Buenos Aires. Si apre con una battuta di caccia contro gli indigeni Yamana e Ona da parte dei mercenari al soldo dei proprietari terrieri inglesi, nell’anno 1888. Prosegue narrando la Patagania Ribelle degli anarchici e la feroce repressione degli estancieros e dello Stato argentino negli anni ’20; per toccare la dittatura militare degli anni ’70 e arrivare ai giorni nostri, all’indebita appropriazione da parte delle grandi multinazionali degli sconfinati territori della Patagonia. Un viaggio dunque dal bene comune e condiviso delle risorse naturali alla proprietà privata dei ruscelli, degli animali e delle montagne.

– Vuoi portarti un fucile?
– Laggiù non si scherza. È terra di Benetton.

Nell’opera di González la Patagonia, terra di confine per antonomasia, è un mondo senza limiti e contorni finiti, come la natura, il vento che soffia e la storia taciuta delle popolazioni indigene che abitano queste lande estreme. Della volontà di sconfinare lo stereotipo ne è testimone il tratto che sfuma, rievocando le grandi tele di Turner – guardare per credere pagina 32 tra le altre – e la potenza espressiva del colore che a contatto con l’acqua sgorga insistenti sinestesie. Ciò che è visivo quando passa dalle mani di González riesce a trasformarsi in sensazione uditiva o tattile, assenza di rumore o esplosione di movimento. L’autore sembra voler abbatere il muro che separa le arti e i sensi per dissolvere nei contrasti di luce e colore un confine che è il prodotto di un’umanità vorace nell’affermare le barriere dell’identità e della proprietà.

– …Questi indios non vogliono capire che nessuno tocca le mie pecore.

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La violenza della natura viene diluita, ma non per questo smorzata, con la violenza dei colonizzatori, dello Stato e delle multinazionali, raggiungendo lo scopo di ridurre la purezza e l’immagine mitica dell’una e dell’altra esperienza. I disegni, grazie al meccanismo sinestetico a cui si è accennato, rievocano le parole di due dei più grandi narratori e esploratori della Patagonia, coloro che forse meglio di tutti riuscirono a raccontare la radicalità e le contraddizioni politiche e naturali di questa terra: il cileno Francisco Coloane e l’argentino Osvaldo Bayer, anche se a loro non piacerebbe vedere il proprio nome attraccato a una nazionalità.

Quella di González è una storia che, come gli iceberg che doppiano Capo Horn, s’immerge negli abissi della memoria e delle rimozioni per regalarci un’immagine dura e non monolitica della Patagonia. Dalle tavole emerge la complessità di una montagna nel mare, la cui vetta spianata dai venti è solo il preludio superficiale della somma di storie ben più profonde, colme di umanità e riscatto, violenza e sconfitta.

Jorge González (Dear Patagonia, pág. 85)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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