Goffredo Parise – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 01 Apr 2025 20:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 “Il tessitore del vento” di Romano Augusto Fiocchi https://www.carmillaonline.com/2022/11/28/il-tessitore-del-vento-di-romano-augusto-fiocchi/ Mon, 28 Nov 2022 21:00:14 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=75006 di Serena Penni

L’ultimo romanzo di Fiocchi, dal felice titolo Il tessitore del vento (Ronzani Editore, pp. 370, euro 18,00), è un’opera leggibile su più livelli, ricca di spunti letterari (ma non solo) e, nel contempo, una narrazione accattivante, una sorta di giallo che tiene il lettore fino all’ultimo col fiato sospeso. Poiché questi, inevitabilmente intrappolato nel groviglio narrativo che Fiocchi ha saputo creare, non può non chiedersi, pagina dopo pagina, come si concluderà la vicenda, o meglio, che epilogo avranno le svariate vicende presentate; chi sono i buoni e chi i cattivi, chi sono [...]]]> di Serena Penni

L’ultimo romanzo di Fiocchi, dal felice titolo Il tessitore del vento (Ronzani Editore, pp. 370, euro 18,00), è un’opera leggibile su più livelli, ricca di spunti letterari (ma non solo) e, nel contempo, una narrazione accattivante, una sorta di giallo che tiene il lettore fino all’ultimo col fiato sospeso. Poiché questi, inevitabilmente intrappolato nel groviglio narrativo che Fiocchi ha saputo creare, non può non chiedersi, pagina dopo pagina, come si concluderà la vicenda, o meglio, che epilogo avranno le svariate vicende presentate; chi sono i buoni e chi i cattivi, chi sono le vittime e chi i carnefici. Soprattutto, il lettore si chiede chi si salverà, chi verrà assolto.

I personaggi che costellano la narrazione si impongono letteralmente all’attenzione del loro creatore, che da una parte, lo si intuisce, vorrebbe essere lasciato in pace, affogare una volta per tutte nel proprio silenzio, dall’altra sa bene che non potrebbe vivere senza di loro. Un simile approccio, in cui i personaggi sembrano uscire dal loro mondo di carta, riporta senz’altro alla mente Pirandello, solo che le figure inventate da Fiocchi, a differenza dei loro antenati, non sono affatto in cerca di un autore, bensì di sé stessi. Per trovare sé stessi, non possono fare altro che raccontare la loro storia e, insieme, cercare una verità che inevitabilmente sfugge. Questi personaggi escono dal water. E dunque dalle fogne – il mondo delle scorie, il luogo per antonomasia dove vengono relegati gli scarti del nostro quotidiano. Il narratore non può far altro che ascoltarli, seguirli nei loro tortuosi e intricati viaggi mentali. Sono le sue – le nostre – stesse ombre, le molteplici sfaccettature dell’esistenza.

Al centro della storia – per quanto sia possibile, in questo romanzo, parlare di una storia e di un centro – c’è Federico Grandi, sorta di doppio del narratore, come lui stesso lo definisce. L’uomo è caratterizzato da una violenta e inarrestabile passione per la scrittura, ma constata altresì di essere condannato al silenzio mediatico. Questo perché nessuno accetta di pubblicare i romanzi che ha scritto. Ed eccoci davanti al primo dramma di molti scrittori: il mondo dell’editoria obbedisce spesso a leggi e regole difficili da comprendere e da aggirare. Federico Grandi, tuttavia, è disposto a giocarsi il tutto per tutto pur di riuscire a vedere la propria opera stampata. Decide quindi di cedere al ricatto che l’editore Fongher gli propone: la morte in cambio della pubblicazione di tutti i suoi lavori. Perché solo così riuscirà davvero ad attirare l’attenzione del pubblico. Non “letteratura come vita”, per dirlo con le parole di Carlo Bo, ma letteratura in cambio della vita. Cosa deciderà di fare Federico è un mistero che solo in parte si chiarirà nel corso dei capitoli che costituiscono il romanzo. Suo alter ego, all’interno dell’opera, è Rubes Tavazzani, anima nera dal corpo abnorme, affetto da un virus immaginario che forse non è altro che la consapevolezza del proprio istinto autodistruttivo. Rubes una notte fa un patto con una creatura che è l’unico a poter percepire, la quale afferma di essere il diavolo. È lui che indagherà, fino a farne la propria stessa ossessione, sulla sparizione della giovane Laura e di sua nipote, ancora sedicenne, di nome Annella, trovando inquietanti analogie con un celebre dipinto: La tempesta di Giorgione da Castelfranco. Rubes arriverà a scoprire che il tempo esiste solo se gli si crede, e che passato, presente e futuro si possono racchiudere in uno stesso istante, dove ciò che non è stato coincide con ciò che non sarà mai.

In questo romanzo, ogni realtà, ogni situazione sembra ospitare anche la parodia di sé stessa, e così la poesia è rappresentata da un professore di origini slave soprannominato il Foscoletto, perché la sua casa si trova per l’appunto vicina a quella che fu del maestro, ovvero Foscolo. Il Foscoletto incarna altresì l’amore travagliato prima, stroncato poi. L’uomo era infatti l’amante di Laura, una delle due donne scomparse, ed era il padre della creatura che lei segretamente portava in grembo. Quando lo incontriamo, non gli resta che un’arte poetica dai toni ampollosi e il disprezzo di Alvise, padre di Laura, che non aveva mai accettato questa relazione. Sulla scena appaiono e scompaiono tanti altri personaggi: Isotta, moglie di Fongher, il padre di Annella (Scipio), sua madre Veronica, la dolce e premurosa Cristiana, cameriera del Danieli, dove Federico alloggia per terminare il suo romanzo, per citarne solo alcuni. Ognuno di loro è ansioso di rivelarci le proprie ambizioni, i propri sogni ma anche le proprie paure e le proprie meschinità; ognuno ambisce a dare la propria versione dei fatti. Del resto, in questo romanzo di Fiocchi, a narrare non sono solo le persone ma, similmente a quanto accadeva nella raccolta Racconti da un mondo offeso, dello stesso autore, anche gli oggetti – le pipe del poeta, la maschera di Annella. Tutto, sembra dire Fiocchi, racconta una storia, dietro a ogni cosa si nasconde un pezzo di verità. A parlare è anche Venezia che, con i suoi canali, le sue calli, le sue gondole, i suoi punti di ritrovo più caratteristici (il caffè Florian, l’hotel Danieli), è scenario d’elezione nel romanzo ma personaggio a sua volta. La Serenissima – dipinta con tinte oniriche, malinconiche e struggenti, tali da richiamare alla memoria i testi di autori quali Mann o Parise – è spettatrice addolorata e, insieme, rassegnata alla propria stessa decadenza; è una divinità stanca, piena di rimpianto per la propria morte, annunciata tanto quanto quella del protagonista. Nell’acqua di Venezia tutto inizia e tutto finisce, la vita si genera e nel contempo si annulla. Il cadavere della giovane Annella, ripescato dalle acque torbide della laguna, vuole forse simboleggiare anche la fine di un’epoca, di un sogno durato secoli.

Il romanzo di Fiocchi appare come una sorta di accusa contro un certo tipo di editoria e di informazione, in cui vince su ogni cosa la “notizia bomba” – in questo caso il suicidio dello scrittore, che dovrebbe avvenire il giorno stesso della presentazione del suo ultimo libro. Questo mondo ostile ed effimero sembra porsi come unico obiettivo quello di plasmare le masse, lasciando passare in secondo piano il valore intrinseco delle opere letterarie. Ma è anche un libro sulla difficoltà della scrittura, laddove implica, come accade per gli autori più autentici, guardarsi allo specchio, dialogare con i propri fantasmi di ieri, di oggi e di domani. D’altra parte, se scrivere è un’operazione ostica, per uno scrittore astenersene è impossibile, e ciò è dimostrato dalla la biografia di Federico Grandi, che compone un’opera dietro l’altra senza soluzione di continuità, con un’energia che appare insieme creativa e distruttiva. Con la sua ossessione, questo personaggio richiama in qualche modo alla mente Johann Ernst Biren, scoperto da Franzosini tra le Illusioni perdute di Balzac, il quale aveva il vizio compulsivo di divorare carta riempita d’inchiostro. La scrittura è conoscenza profonda di sé, e dunque la pubblicazione a tutti i costi si configura non come mero atto narcisistico ma come completamento della propria autorappresentazione. Il tessitore del vento è un’opera dalla struttura originalissima, un testo organizzato secondo un gioco di scatole cinesi, in cui quasi mai ciò che appare corrisponde a ciò che è. È un libro dal finale aperto, talmente ricco da lasciare al lettore, al termine delle sue quasi 370 pagine, la voglia di proseguire, di scoprire che fine faranno i personaggi di cui, per un tratto, ha seguito il cammino; la voglia di rincorrerli, per parlare ancora con loro, magari nelle tubature sotterranee, magari su una gondola o seduti comodamente al tavolino di un caffè elegante.

]]>
«Io sono una forza del Passato»: accenti ambientalisti in Pasolini https://www.carmillaonline.com/2022/07/24/io-sono-una-forza-del-passato-accenti-ambientalisti-in-pasolini/ Sun, 24 Jul 2022 21:00:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73076 di Paolo Lago

Se permettete, comincio con una piccola osservazione personale: penso che nella tipologia A della prova di Italiano dell’ultimo esame di maturità, un brano di Pasolini non ci sarebbe stato male (visto che quest’anno ricorre anche il centenario della nascita). Invece, gli studenti si sono ritrovati Verga e Pascoli. È bene chiarire: non ho niente contro Verga e Pascoli, un grande scrittore (un po’ conservatore e destrorso, ma vabbè) e un grande poeta, tra l’altro uno dei più amati dallo stesso Pasolini (che su Pascoli fece anche la tesi di laurea) [...]]]> di Paolo Lago

Se permettete, comincio con una piccola osservazione personale: penso che nella tipologia A della prova di Italiano dell’ultimo esame di maturità, un brano di Pasolini non ci sarebbe stato male (visto che quest’anno ricorre anche il centenario della nascita). Invece, gli studenti si sono ritrovati Verga e Pascoli. È bene chiarire: non ho niente contro Verga e Pascoli, un grande scrittore (un po’ conservatore e destrorso, ma vabbè) e un grande poeta, tra l’altro uno dei più amati dallo stesso Pasolini (che su Pascoli fece anche la tesi di laurea) e, tra parentesi, anche da me. L’aspetto più inquietante è che siamo nel 2022 e quelle tracce potevano essere tranquillamente le stesse di cinquant’anni fa. Inutile rinnovare le modalità dell’esame, inutile guardare continuamente al nuovo, quando al livello contenutistico dei testi proposti si rimane inesorabilmente indietro, in un ‘vecchio’ che non finisce mai di perseguitarci. Chi ha preparato quelle prove, evidentemente, proviene da luoghi ammuffiti e rivestiti di cancerosa burocrazia, la stessa dell’Italia degli anni Cinquanta. Quelle stesse prove puzzano di muffa e di cantina. Del resto, anche i programmi ministeriali puzzano di muffa: si potrebbe obiettare che, nei programmi di scuola, a Pasolini non ci si arriva nemmeno, per mancanza di tempo. E allora sarebbe venuto il momento di rivedere quelle programmazioni una volta per tutte. Non possiamo fermarci a Verga e Pascoli come cinquanta, sessanta, settanta anni fa.

Siamo nel 2022, anno che può riecheggiare il titolo del film 2022 I sopravvissuti (1973, di Richard Fleischer) e che ha già superato il futuristico 2019 in cui si ambienta Blade Runner (1982, di Ridley Scott). Ma siamo in un 2022 ben reale (in cui non sfrecciano astronavi e non si sono colonizzati nuovi mondi), afflitto da numerose problematiche che non lasciano indifferente nemmeno la letteratura, problematiche che Verga e Pascoli non si sognavano nemmeno. Forse chi ha preparato le prove di maturità non ha mai sentito parlare di ecocritica o ecocriticism, una nuova branca della critica letteraria di provenienza anglo-americana, che si occupa delle tematiche legate all’ambiente e all’ecologia. Siamo in un momento cruciale, in cui di fronte al surriscaldamento del Pianeta, di fronte all’inquinamento e all’emissione indiscriminata dei gas serra i governanti del mondo dovrebbero prendere decisioni immediate e irremovibili, smettendola di giocare alla guerra (che, tra l’altro, oltre a provocare la perdita di innumerevoli vite umane, sta devastando ancora di più l’ecosistema della Terra). Adesso, nel momento in cui sto scrivendo, l’Italia è investita da un’ondata di caldo e di siccità, il Po e i suoi affluenti sono in secca e la Pianura Padana sta sempre di più assomigliando allo scenario distopico, brullo e inaridito, descritto da Bruno Arpaia in Qualcosa, là fuori  (2016). Inutile dire che l’inquinamento ambientale è un problema particolarmente sentito dalle giovani generazioni che, giustamente, se la sono presa con i cosiddetti ‘adulti’ (soprattutto i governanti di cui sopra, che sanno investire il denaro pubblico solo in cacciabombardieri) perché stanno facendo poco o niente per un mondo nel quale loro, i ragazzi di adesso, saranno gli adulti di domani. Ma gli adulti di oggi non sono stati capaci – sembra – di farsi «acrobati del tempo», come, in modo suggestivo, ha scritto Carla Benedetti1. E poi, c’erano tutte le proteste dei Fridays for Future, un grande movimento degli studenti delle scuole medie e superiori, che stava montando e si sarebbe ingrandito a dismisura se non fosse stato inesorabilmente interrotto dall’emergenza Covid, dal lockdown, dai vari divieti di ‘assembramento’. Tutto finito, tutto imploso in un mondo devastato da un incubo. Anche nelle programmazioni scolastiche, nonché nei testi da proporre alla maturità, non si può più fare finta che questi problemi non esistano e vivere, come abbiamo fatto fino a adesso, in una sorta di aurea età dell’innocenza, in una inconsapevolezza separata dalla realtà. E la scuola non dovrebbe mai essere separata dalla realtà.

Ma allora, che c’entra Pasolini con l’ambiente e l’ecologia? C’entra, eccome se c’entra. D’altra parte, ogni volta che si voleva ricollegare Pasolini a tematiche ecologiche e ambientaliste, si è sempre tirato in ballo il famoso riferimento alla scomparsa delle lucciole, contenuto nell’articolo uscito sul «Corriere della Sera» il primo febbraio 1975 col titolo Il vuoto del potere in Italia e poi ribattezzato, nella raccolta degli Scritti corsari, come L’articolo delle lucciole. Certo, il riferimento all’inquinamento c’è ma si tratta solo di un fugace accenno in forma metaforica. Perché per Pasolini, qui, la scomparsa delle lucciole è soltanto una metafora per indicare la trasformazione del potere in Italia, prima della scomparsa delle lucciole e dopo la scomparsa delle lucciole2. Gli accenti ambientalisti in Pasolini, dei quali però qui possiamo offrire solo un rapido affresco, vanno ben al di là di questo articolo. Tali accenti prendono forma soprattutto nell’interesse per la trasformazione dello spazio, dell’ambiente italiano operato da un «Potere senza volto»3 fautore di rapide trasformazioni sociali. Il poeta e scrittore si concentra sul periodo del cosiddetto boom economico, che investe l’Italia nel secondo Dopoguerra. La società dei consumi, secondo Pasolini, appare apocalitticamente come un «nuovo fascismo» il cui «fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo»4. Come accennato, questo «Potere», oltre che omologare le coscienze degli italiani, secondo lo scrittore, distrugge anche lo spazio agrario e contadino dell’Italia preindustriale.

Nel titolo di questo intervento è riportato il verso «Io sono una forza del Passato», tratto dalle Poesie mondane, in Poesia in forma di rosa (1964). Leggiamo i versi successivi: «Io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d’altare, dai borghi / abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, / dove sono vissuti i fratelli»5. Da questi versi, Pasolini potrebbe apparire come un reazionario, un conservatore. D’altronde, il suo immaginario poetico ha creato due veri e propri universi in contrapposizione: da una parte, un universo arcaico e mitico, altamente idealizzato, dall’altra la modernità industriale e lo sviluppo, condannati senza requie. Addirittura, in una poesia appartenente alla raccolta La nuova gioventù (1975), dal titolo La recessione, composta nel 1974, inneggia alla recessione economica provocata dalla crisi petrolifera del 1973 (con tonalità che ci fanno pensare alla lontana alla «decrescita» di Serge Latouche): un mondo senza più automobili, perduto nel silenzio, con la gente che va a piedi, con gli antichi palazzi che torneranno al loro antico splendore, con le fabbriche inquinanti che crolleranno. Eppure, se guardiamo al di là delle apparenze, il pensiero di Pasolini potrebbe apparire molto simile a quello di un lucido e disincantato studioso della contemporaneità come Robert Kurz. Per il benessere degli individui, per la loro liberazione dalla ‘gabbia’ astratta del valore e della merce (si tratta, in fin dei conti, della stessa società dei consumi criticata da Pasolini, delineata dallo studioso tedesco in termini più strettamente marxisti), secondo Kurz, «è necessaria un’anti-modernità radicale ed emancipatoria, che non si limiti ad idealizzare qualche epoca del passato o qualche ‘cultura diversa’, conformemente all’antiilluminismo o all’antimodernità borghese, occidentale e ‘reazionaria’, ma che tagli i ponti una volta per tutte con la storia fin qui data, una storia di rapporti feticistici e di dominio»6.

Questa contrapposizione di universi – da una parte quello arcaico e contadino, dall’altra quello industriale e dello sviluppo – nell’opera di Pasolini assume diverse tonalità di tipo ambientalista. Ad esempio, nella poesia Il pianto della scavatrice, appartenente alla raccolta Le ceneri di Gramsci (1957), a piangere e a urlare è la scavatrice, cieco strumento di quel «Potere senza volto», che sta modificando il paesaggio italiano: «piange ciò che ha / fine e ricomincia. Ciò che era / area erbosa, aperto spiazzo, e si fa / cortile, bianco come cera, / chiuso in un decoro ch’è rancore»7. Il poeta fa riferimento alla costruzione dei nuovi quartieri alla periferia di Roma negli anni Cinquanta, alla distruzione della campagna, alla trasformazione dell’«area erbosa» in «cortile, bianco come cera». Questi sono anni in cui l’Italia ha veramente cambiato volto, è stata ricoperta di cemento ogni dove: un processo che poi ha continuato inesorabilmente anche negli anni successivi e che non ha lasciato indifferenti neppure altri scrittori e intellettuali come, ad esempio, Italo Calvino che, tramite la scomparsa delle foreste descritta ne Il barone rampante (1957), intendeva denunciare quella stessa cementificazione selvaggia presa di mira da Pasolini. Del resto, anche nel cinema dell’autore bolognese c’è sempre una contrapposizione di spazi: da una parte la campagna, dall’altra la città che sta inesorabilmente avanzando, con le sue mostruose periferie. Basti pensare a molte sequenze di Accattone (1961) o Mamma Roma (1962), in cui i personaggi sottoproletari si muovono in spazi quasi ‘infernali’ lambiti dai nuovi palazzoni (ambienti in mutamento presenti anche nella narrativa pasoliniana di quegli anni, soprattutto in Una vita violenta, del 1959). Si può ricordare anche Uccellacci e uccellini (1966), in cui i personaggi di Totò e Ninetto percorrono lembi di periferia romana solcati da nuove strade e circonvallazioni in costruzione, frammenti di collegamenti stradali che, probabilmente, andranno a costituire il nuovo «Grande Raccordo Anulare».

Pensiamo poi a Teorema, un film che esce nel 1968 contemporaneamente anche come romanzo. Il personaggio di Emilia (Laura Betti), la domestica della famiglia dell’alta borghesia milanese destrutturata dall’arrivo dell’Ospite sacro (Terence Stamp), una sorta di nuovo Dioniso, dopo la seduzione di quest’ultimo, abbandona lo spazio borghese della villa per recarsi al proprio paese di origine. Il piccolo paese appare come un lembo di campagna sopravvissuto all’edilizia avanzante, uno spazio che presto verrà sommerso e distrutto. Metaforicamente, Emilia si farà seppellire proprio in uno spazio liminale, là dove la campagna sta per essere aggredita dai palazzoni di periferia. Siamo in un cantiere edile, tutto d’intorno palazzi in costruzione e una scavatrice ferma, pronta a riprendere il suo lavoro di devastazione, una scavatrice che tanto somiglia a quella della poesia sopra citata. Sono passati poco più di dieci anni ma il processo di devastazione, per Pasolini, appare come interminabile. Un processo che ancora oggi sta continuando perché, come leggiamo in Violazione (2012) di Alessandra Sarchi, nei pressi delle grandi città, è praticamente impossibile trovare una casa di campagna che non sia vicino a tangenziali o centri commerciali: «Il possesso del verde, anche quello della propria casa, aveva a che fare molto di più di quanto la gente non volesse ammettere con tangenziali, centri commerciali, lottizzazioni insensate e quartieri dormitorio. Questa era la realtà»8. Emblematica è anche l’espressione «possesso del verde» usata da Sarchi: la campagna e la natura, a partire da quel boom economico che, secondo Pasolini, ha devastato l’Italia, si sono ormai trasformate in merci, acquistabili come i prodotti di un supermercato. L’ideologia del possesso sta ormai investendo anche gli spazi naturali.

Anche in Petrolio (postumo, 1992), il romanzo a cui Pasolini stava lavorando al momento della morte, vi sono diversi accenni a questa mutazione di spazi, foriera di sempre maggiore inquinamento. Nell’Appunto 3 d, Prefazione posticipata (Petrolio, non concluso dall’autore, è infatti costituito da una congerie di appunti), il personaggio demonico di Tetis inizia un lungo viaggio, dapprima a piedi e poi in treno. A un certo momento giunge lungo le rive di un fiume «dai rapidi argini pieni d’immondizia, che puzza acutamente. È tuttavia un’immondizia organica: mancano ancora completamente la plastica e il polistirolo»9. La scena è ambientata nel maggio 1960 e Pasolini tiene a precisare che, in quel tempo, ancora mancavano elementi inquinanti come la plastica e il polistirolo. Successivamente, nell’Appunto 62, Carmelo: la sua disponibilità e la sua dissoluzione, in una sequenza narrativa ambientata all’inizio degli anni Settanta, i personaggi di Carlo e Carmelo si ritrovano in un prato della periferia di Roma, descritto come pieno di immondizia e di rottami di macchine, intorno al quale si stagliano i palazzoni delle nuove periferie, tratteggiati come anonimi cubi di cemento, perduti nella caligine invernale. Si tratta di uno spazio descritto quasi come un nuovo inferno: «Più indietro ancora c’era un capolinea pieno di autobus, un cinema e, insomma, l’inferno»10. Anche l’Appunto 70, Chiacchiere notturne al Colosseo, mostra le strade romane notturne intorno al Colosseo come attraversate da immondizia e cartacce sporche trascinate dal vento. Le stesse immagini di una Roma notturna, percorsa da spazzatura vagante, vengono offerte da Goffredo Parise ne L’odore del sangue, scritto nel 1979 ma pubblicato solo molti anni dopo la morte dello scrittore. Parise offre uno scenario davvero ‘infernale’, uno spaccato di violenza urbana in cui il degrado ambientale diventa anche degrado sociale e morale, attuando anche un riferimento all’uccisione di Pasolini: «Erano non so più se le tre o le quattro, e Roma mostrava il suo volto notturno fatto sostanzialmente di spazzatura vagante, di qualche pantera della polizia, urlante, di ragazzi in giubbotti di cuoio che sfrecciavano rombando in motocicletta. Eccoli, erano loro i giustizieri della notte, quelli che avevano assassinato Pasolini, quelli che avevano stuprato le ragazze del Circeo, quelli che avevano bruciato un somalo dormiente su un letto di cartoni “per scherzo”»11.

In Petrolio, l’Appunto 70 introduce la lunga catabasi infernale che l’autore descrive nella sequenza di appunti denominata come Visione del Merda. Il «Merda» sarebbe un giovane di borgata ormai completamente abbrutito dalla società dei consumi dei primi anni Settanta. Nel momento in cui il protagonista Carlo affronta questa «visione», appaiono nuovamente le immagini di palazzoni di periferia, costruiti in lembi di spazio che prima erano campagna. La stessa spazialità rigida e geometrica dei palazzi, dei cortili e delle strade che li accompagnano e che formano percorsi obbligati da seguire, sembrano contribuire a manovrare le coscienze degli italiani, ormai abbrutiti dalla civiltà dei consumi. Le stesse immagini ritornano in una serie di appunti (121-124) intitolati La nuova periferia: palazzoni allineati gli uni agli altri «in forme gemelle»12, «ripetizioni di una stessa forma»13, i cui cortili sono caratterizzati da «vuoto assoluto». Del resto, sia in Petrolio che in molte altre sue opere, Pasolini tratteggia l’immagine quasi apocalittica di un mondo che sembra giunto alla sua fine: a partire da La Rabbia (1963), un documentario di una straordinaria forza poetica e tragica in cui, fra le immagini documentaristiche montate, ritorna ossessivamente lo scoppio della bomba atomica, fino a certi scorci paesaggistici di Roma in Poesia in forma di rosa, ad esempio ne La realtà, in cui leggiamo: «Poi compare Testaccio, in quella luce / di miele proiettata sulla terra / dall’oltretomba. Forse è scoppiata, / la Bomba, fuori dalla mia coscienza. Anzi, è così certamente. E la fine / del Mondo è già accaduta: una cosa / muta, calata nel controluce del crepuscolo»14. Se le immagini della Rabbia raccontano una bomba ben reale e terribile, che ha seminato morte e devastazione, i versi della poesia riecheggiano una bomba metaforica, che sta cambiando ambienti, spazi e coscienze degli individui.

L’inquinamento ambientale, per Pasolini, è anche inquinamento estetico. In un documentario dal titolo Pasolini e… la forma della città (1974), il poeta inquadra con la macchina da presa l’antica città di Orte. Muovendo l’obiettivo della macchina, a un certo punto, compare nel campo visivo un palazzo cubico, di nuova costruzione, che rovina la silhouette degli edifici medievali di Orte. La massa della città – dice Pasolini – è deturpata da qualcosa di estraneo, qualcosa che violenta in maniera abnorme quel paesaggio che, come molti altri scorci medievali in Italia, è stato dipinto dai grandi pittori del Trecento e del Quattrocento. Quegli scorci, ma anche qualsiasi insignificante vecchio muro appartenente ad epoche passate – afferma il poeta nell’intervista – andrebbero difesi con lo stesso accanimento con il quale ci battiamo per difendere un’opera di Dante, Petrarca o Boccaccio. Come scrive Serenella Iovino, «lo sguardo di Pasolini al paesaggio è cioè quello di un’etica dei luoghi, alla ricerca dei valori che vi si sono depositati nei secoli»15.

Per concludere, tornando al filo conduttore da cui siamo partiti, cioè la prova di italiano della maturità 2022, penso che di tematiche legate al pensiero di Pasolini (in relazione o no a temi ecologici) da proporre a un giovane studente ce ne sarebbero state tante, eccome. Ma, forse, di fronte alla gravità di molte problematiche che investono la società attuale, quel «Potere senza volto» – per utilizzare la definizione di Pasolini – continua a nascondere quel suo volto inesistente sotto la sabbia, come uno struzzo. Riproporre un testo di Pasolini avrebbe voluto dire anche riproporre la figura di un intellettuale disposto a lottare sempre e a non accettare nessun tipo di compromesso con qualsiasi potere, una figura che nell’Italia di oggi assomiglia sempre di più a quella di un latitante. E poi, a quel «Potere senza volto», intriso di oscuri rigurgiti di fascismo, credo che la figura di Pasolini, al di là delle facili ‘santificazioni’ e ‘riabilitazioni’, risulti ancora alquanto indigesta. Qualsiasi potere tende sempre a manipolare le menti dei cittadini per allontanarle dai veri problemi, seri e stringenti (e qui torna fondamentale la lezione di Pasolini), ora più che mai, in un universo digitalizzato in cui gli intellettuali, se ci sono, sono troppo impegnati ad autopromuoversi sui social. Siccità, caldo, fiumi in secca, alluvioni, eventi climatici estremi: sembrano lo scenario perfetto che, in molti film e romanzi distopici e apocalittici, prepara la catastrofe finale. Ma è estate, divertiamoci e, se dobbiamo pensare a un serio, stringente problema, c’è sempre la crisi di governo a tenerci compagnia.


  1. Cfr. C. Benedetti, La letteratura ci salverà dall’estinzione, Einaudi, Torino, 2021, p. 4. 

  2. Cfr. P.P. Pasolini, Scritti sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano, 199, p. 404 e seguenti. 

  3. Cfr. ivi, p. 313, l’articolo dal titolo Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo, uscito sul «Corriere della Sera» il 24 giugno 1974 col titolo Il Potere senza volto. 

  4. Cfr. ivi, p. 318. 

  5. P.P. Pasolini, Tutte le poesie, vol. I, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano, 2003, p. 1099. 

  6. R. Kurz, Ragione sanguinaria, trad. it. Mimesis, Milano-Udine, 2014, pp. 20-21. 

  7. P.P. Pasolini, Tutte le poesie, vol. I, cit., p. 848. 

  8. A. Sarchi, Violazione, Einaudi, Torino, 2012, p. 69. 

  9. P.P. Pasolini, Petrolio, ora in Id. Romanzi e racconti, vol. II, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano, 1999, p.1180. 

  10. Ivi, p. 1496. 

  11. G. Parise, L’odore del sangue, Rizzoli, Milano, 1997, pp. 90-91. 

  12. P.P. Pasolini, Petrolio, cit., p. 1765. 

  13. Ibid. 

  14. P.P. Pasolini, Tutte le poesie, vol. I, cit., p. 1100. 

  15. S. Iovino, Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, Edizioni Ambiente, Milano, 2015, p. 105. 

]]>
In fondo alla scrittura c’è ancora la notte https://www.carmillaonline.com/2018/12/29/in-fondo-alla-scrittura-ce-ancora-la-notte/ Fri, 28 Dec 2018 23:01:08 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=50221 di Paolo Lago

Diego Bertelli, Viaggio al termine della scrittura. Calvino Pasolini Bazlen Parise Cattafi, Le Lettere, Firenze, 2017, pp. 175, € 18,00.

Il recente, interessante saggio di Diego Bertelli, Viaggio al termine della scrittura, trae il suo titolo dal romanzo di Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte (1932). Se il finale del romanzo di Céline – quel “termine della notte” – non coincide con l’arrivo del giorno ma con il persistere di una “zona di crepuscolo”, rimanendo in sospeso come il percorso esistenziale del protagonista, “compiere un viaggio al termine della [...]]]> di Paolo Lago

Diego Bertelli, Viaggio al termine della scrittura. Calvino Pasolini Bazlen Parise Cattafi, Le Lettere, Firenze, 2017, pp. 175, € 18,00.

Il recente, interessante saggio di Diego Bertelli, Viaggio al termine della scrittura, trae il suo titolo dal romanzo di Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte (1932). Se il finale del romanzo di Céline – quel “termine della notte” – non coincide con l’arrivo del giorno ma con il persistere di una “zona di crepuscolo”, rimanendo in sospeso come il percorso esistenziale del protagonista, “compiere un viaggio al termine della scrittura” – scrive Bertelli – “significa sapersi trattenere in una zona ugualmente incerta: quella in cui la vita di chi scrive, avanzando secondo gradi diversi di consapevolezza, testimonia l’impossibilità di un suo compimento formale”. Opera letteraria come vita, finale come morte sono alcune delle suggestive analogie messe in gioco dal saggio, il quale si configura come uno studio incentrato soprattutto sugli aspetti formali delle opere analizzate: Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) di Italo Calvino, Petrolio (1992) di Pier Paolo Pasolini, Il capitano di lungo corso di Roberto Bazlen (1973), L’odore del sangue (1997) di Goffredo Parise e i diari inediti di Bartolo Cattafi. Tutti i testi presi in esame (un romanzo pubblicato in vita, tre opere postume e una serie di diari inediti) si situano in un arco di tempo compreso fra il 1973 e il 1979. Quello degli anni Settanta è un periodo, come nota l’autore, in cui lo strutturalismo da un lato e le teorie della ricezione dall’altro “provocano un depotenziamento enorme della figura dell’autore e della sua autorità”.

Il saggio di Bertelli pone a confronto fra di loro delle opere di indubbio fascino, delle opere che rappresentano in sé il magma della vita stessa e la cui scrittura si inerpica nelle suggestive volute degli esperimenti formali. Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino è un romanzo costituito da dieci incipit di possibili romanzi: un’opera che si sfalda e contemporaneamente si riafferma di continuo in una dimensione potenziale, in cui il lettore diventa il protagonista nel momento stesso in cui legge. Petrolio di Pasolini è un romanzo al quale l’autore stava freneticamente lavorando al momento della sua uccisione, nel 1975, ed è uscito postumo solamente nel 1992. Si tratta di un’opera ‘sperimentale’, costruito come “l’edizione critica di un testo inedito”, un “Satyricon moderno”, un vero e proprio “metaromanzo menippeo” (cioè un romanzo-saggio che riflette sugli stessi meccanismi letterari, legato alla linea culturale dell’antica satira menippea) in cui Pasolini inserisce delicati rimandi alla politica e alla società degli anni Settanta. Il capitano di lungo corso di Bazlen è un romanzo incompiuto e mai pubblicato, la cui parziale diffusione fu limitata a un circolo ristretto di amici. Il romanzo, elaborato in circa un ventennio (dal 1944 al 1965, anno della morte di Bazlen) si configura come una continua amplificazione di note esplicative data l’impossibilità, a detta dell’autore, di scrivere libri. Così, infatti, scrive lo stesso Bazlen: “Io credo che non si possano più scrivere libri. Perciò non scrivo libri – quasi tutti i libri sono note a piè di pagina gonfiate in volumi (volumina). Io scrivo solo note a piè di pagina”. L’odore del sangue di Parise, invece, è stato pubblicato postumo nel 1997 e nasce da un’esperienza di morte vissuta in prima persona dall’autore, dall’essersi trovato davanti la Gorgone e non aver chiuso gli occhi, come scrive Cesare Garboli nella prefazione al romanzo. Quest’ultimo è stato scritto da Parise nell’estate del 1979, subito dopo un infarto. Dopodiché venne sigillato dallo stesso autore e ripreso in mano e riletto solo nel 1986, poco prima della morte. I diari inediti di Bartolo Cattafi sono stati scritti dal 1971 al 1979 e interrotti soltanto dall’aggravarsi delle condizioni di salute del poeta. La scrittura diaristica di Cattafi tende alla concretezza e finisce per coincidere con lo stesso scorrere della vita, in un “viaggio al termine della scrittura” che è anche il termine della vita.

Vorrei concentrarmi adesso soprattutto su due fra le opere analizzate da Bertelli nel corso del suo ampio e ben articolato saggio. Si tratta di due romanzi molto diversi fra loro che però risultano straordinariamente vicini, sia dal punto di vista formale che, per certi aspetti, di contenuto: Petrolio di Pasolini e L’odore del sangue di Parise (dal quale Mario Martone, nel 2004, ha tratto un film). In entrambi i romanzi gli autori narrano una sorta di discesa all’inferno entro la cornice italiana di un preciso periodo storico, quello degli anni Settanta. Un periodo oscuro, attraversato da diverse contraddizioni ma connotato anche da ideali propositivi di lotta contro un sistema imposto dall’alto, falcidiati dal successivo decennio degli Ottanta. Sia Pasolini che Parise compiono una discesa nell’inferno della progressiva degenerazione sociale dell’Italia, un abbrutimento reazionario e meschino, lo stesso preso di mira dal movimento del Settantasette, il quale era invece mosso da istanze di liberazione del desiderio. Entrambi i romanzi sono l’estremo lascito testamentario e postumo di due vivaci intellettuali, due scrittori poco inclini a chinare la testa in ruoli precostituiti e irreggimentati. Petrolio si configura sostanzialmente come un romanzo politico, incentrato sulle oscure trame politiche ed economiche a cavallo fra anni Sessanta e Settanta, in un periodo in cui l’economia e l’azienda stavano rapidamente scalando la vetta del potere politico. L’Italia e Roma – siamo soprattutto nel 1974 e 1975 – sono presentati come un luogo infernale in cui l’abbrutimento fascista imperversa ogni dove, in cui i giovani, resi afasici ed inespressivi, sono ormai involgariti dalla pubblicità televisiva e dal conformismo delle mode. C’è una serie di appunti (Petrolio è infatti costituito da una congerie di appunti), intitolata “Il Merda” in cui è descritto un vero e proprio viaggio infernale (in uno schema modellato sull’Inferno dantesco) del borgataro Merda e della sua ragazza Cinzia, all’interno delle nuove periferie degradate. Il culmine di tale visione è la città di Roma che, vista dall’alto, assume la forma di una croce uncinata, a simboleggiare l’avvento di un nuovo nazismo, quello della degenerazione delle coscienze livellate dal progressivo benessere economico. Lo spazio urbano della Capitale è connotato da squallore e sporcizia mentre le strade sono invase dai rifiuti. Nell’Appunto 70, “Chiacchiere notturne al Colosseo”, le vie che circondano il Colosseo sono caratterizzate da squallore e solitudine, dal traffico incessante e da rifiuti e cartacce che vengono portati via dal vento.

Ne L’odore del sangue di Parise viene tratteggiato un impietoso affresco della Roma fine anni Settanta, specchio dell’intera Italia. A un certo punto, il protagonista io narrante si reca, di notte, sotto casa della moglie Silvia, irretita ormai nella relazione con un giovane fascista, e lo spazio che si trova dintorno possiede dei cupi risvolti infernali. Così sono descritti i giovani che percorrono le vie notturne della città: “Eccoli, erano loro, i giustizieri della notte, quelli che avevano assassinato Pasolini, quelli che avevano bruciato un somalo dormiente su un letto di cartoni, «per scherzo». Intravedo le loro facce, anche nella velocità della corsa. Parevano facce americane, alcune bionde e butterate, altre nere dai capelli ricci, di arabi americanizzati. Erano, nella loro anonima e meccanica criminalità, le facce di Roma”. Come in Petrolio, la città notturna è attraversata da “spazzatura vagante” mentre in lontananza si erge “un riverbero rossastro e fumoso come di incendio”, “vari piccoli incendi di mondezza accesi da ragazzi intorno a prostitute e travestiti che battevano in quella zona”. La città, che diviene quasi specchio e simbolo dell’intera Italia, è connotata da marcati tratti infernali, come nel romanzo postumo di Pasolini. Non a caso, Cesare Garboli, nella prefazione scrive che, ne L’odore del sangue, “c’è un inferno, e un romanziere che lo racconta”.

Petrolio e L’odore del sangue, formalmente simili perché ‘monumenti’ letterari postumi, non rifiniti, non conclusi definitivamente, escrescenze magmatiche della penna ancora calda dello scrittore, mostrano anche metaforicamente il baratro in cui stava precipitando la società italiana. Se il primo è esplicitamente un romanzo politico che racconta un momento delicato di passaggio e di mutamento del potere, anche per mezzo di immagini molto crude di carattere erotico, il secondo, mostrando gli abbrutimenti sadomasochistici cui si sottopone il personaggio di Silvia nella relazione col giovane fascista spregiudicato, mostra anche la progressiva degradazione dell’intera società, catturata perversamente dal benessere e dal qualunquismo galoppanti. Parise scrive il suo romanzo nel 1979: solo un anno dopo inizieranno gli anni Ottanta, gli anni del disimpegno, del rampantismo sociale, dell’eroina, della “Milano da bere”, del berlusconismo e delle televisioni private. Come scrive Bertelli al termine del suo saggio, tirando le somme della sua rigorosa disamina comparata, da un punto di vista formale “l’unico viaggio possibile al termine della scrittura è quello di chi sa trattenersi in una zona incerta, la quale è anche la più carica di attesa, perché a essa corrisponde la paradossale suggestione degli inizi”. Ma forse, se guardiamo in fondo alla scrittura di Petrolio e de L’odore del sangue, troviamo ancora la notte, una notte fonda che, agendo in profondità, ha obnubilato le coscienze negli anni del disimpegno fino ai più tetri risvolti politici e sociali della contemporaneità, dei giorni che proprio adesso ci troviamo a vivere.

]]>