Giorgio Bona – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Quali forze possono mutare la materia? https://www.carmillaonline.com/2024/10/04/quali-forze-possono-mutare-la-materia/ Fri, 04 Oct 2024 20:00:54 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=84700 di Giorgio Bona

Angelo Lumelli, La vecchiaia del bambino Matteo, pp. 240, € 20, Qed, Praia a Mare 2024.

A volte succede di procedere lungo il corso della vita con una scrittura che ti accompagna senza lasciarti un attimo, togliendo anche il respiro.

Dico questo perché non è facile seguire la ricerca dell’incantesimo come Angelo Lumelli ne La vecchiaia del bambino Matteo: un vuoto d’aria risucchia la mente dentro un vortice dove improvvisamente si scopre il mondo e, come accade, i ricordi del passato, quelli di cui non si può fare a meno, vanno mescolandosi con il presente. Se un viaggio [...]]]> di Giorgio Bona

Angelo Lumelli, La vecchiaia del bambino Matteo, pp. 240, € 20, Qed, Praia a Mare 2024.

A volte succede di procedere lungo il corso della vita con una scrittura che ti accompagna senza lasciarti un attimo, togliendo anche il respiro.

Dico questo perché non è facile seguire la ricerca dell’incantesimo come Angelo Lumelli ne La vecchiaia del bambino Matteo: un vuoto d’aria risucchia la mente dentro un vortice dove improvvisamente si scopre il mondo e, come accade, i ricordi del passato, quelli di cui non si può fare a meno, vanno mescolandosi con il presente. Se un viaggio dal passato diventa l’inizio verso una sognata libertà, questo viaggio rappresenta la scoperta della vita… e se la felicità è per natura anarchica e sovversiva allora ci si accorge che vale la pena inseguirla.

Non so quanto Matteo ci sia in Lumelli e quanto Lumelli in Matteo, ma in questa intensa narrazione che non tralascia un attimo il ritmo e non permette di rifiatare, ci sono cinquanta anni che corrono in fretta, dal dopoguerra fino a ritrovarsi nei conflitti dell’età contemporanea: di qui un’atmosfera di ciclicità storica che fa emergere il microcosmo dei personaggi quasi a offuscare un’idea di progresso.

Eccoci dunque in un momento prodigioso del 1900, all’inizio della nostra storia contemporanea, con tre bambini in una classe elementare degli anni cinquanta, in un paesino del Basso Piemonte, legati da una profonda e sincera amicizia che li accompagnerà fino ai giorni nostri.

I buoi usati dai contadini, le lampade a petrolio, gli attrezzi di un tempo in cui la tecnologia non aveva ancora cambiato tradizioni e usanze, si presentavano davanti agli occhi in una visione fiabesca, emanando qualcosa di miracoloso. E quando i tre bambini diventeranno adulti, trasferendosi in tre città diverse, Milano, Torino e Genova, non dismetteranno le loro attese sulla vita, ancora fluide durante l’infanzia ma destinate a non essere rispettate dal futuro.

Leggiamo l’estratto da un capitolo che ha per titolo Il grande volo dei tacchini.

 

L’impresa di saltare un giorno la scuola l’ho realizzato da solo, in quinta, senza motivo apparente. Volevo fare un peccato vero, documentato, non quei peccati nascosti che facevano pena!

Fu irresistibile: ho visto la gamba destra della maestra Concetta che scompariva dentro la porta: dall’alto in basso l’orlo della gonna a quadri, poi il polpaccio affusolato, poi la scarpa con il tacco alto – e la maestra aveva finito di entrare in classe!

Questa scena solenne, me l’ero meritata, guardandola da dietro l’angolo, dove mi ero fermato, sporgendomi pochissimo.

Non ero sicuro di voler saltare la scuola: mi sono trovato fuori ed era molto bello, molto strano.

Adesso potevo correre ovunque! – Fu allora che la libertà – chi l’avrebbe immaginato? Non seppe più cosa fare guardandosi intorno, interdetta, con una faccia da scema, un’incapace.

Si sentiva il suo imbarazzo – credo bene, dopo essersi spacciata per chissà chi, chissà cosa, come quella che apre le porte!

Allora non potevo saperlo, ma sentivo, seppure oscuramente, che il senso delle cose nasceva nello stretto, cioè dentro, non saprei come dire diversamente – dentro, non fuori – dentro, dove tutto è contato, conteso – che fare adesso? – senza i muri di casa, di scuola, l’odore di gesso, di cancellini?

Cosa stava facendo la maestra Concetta, ormai che erano quasi le dieci? – Era già passata tra i banchi? – Quante volte?

Fu allora che mi venne l’idea di usare la libertà contro se stessa – vediamo come la prende! – e mi avviai verso la scuola, tornando indietro – deciso a confessare la mia impresa, pronto alla punizione – che non arrivò – oh maestra Concetta! – finalmente liberato – sfuggito alla libertà, a gambe levate – ditemi voi!

 

D’altronde mentre la lingua del quotidiano è contraffatta e intransitiva, la lingua che viene da dentro nasce spontanea per diventare ricerca, come una piccola figlia da allevare e da crescere, bambina teoria di tanti passaggi della mente, attenta soltanto alla verità della propria testimonianza.

Ecco questo passaggio importante: tenere a mente o essere lì, sulla pagina, per cui tutta la poetica si esprime attraverso una lingua sotterranea che trova lo sgorgare di un’acqua limpida e pulita da una ricca sorgiva di piena consapevolezza, espressa in un linguaggio colto e profondo.

Il mondo dove si muove Matteo è di una totalità dinamica, la sua visione sembra non avere incertezze: lunghe riflessioni, certamente, lunghe pause di pensiero dentro un ritmo poetico incalzante, un adagio che il tempo ha frenato e ripreso a corrente alternata.

Tanto ci sarebbe ancora da dire di questo libro che è una fiammata nel cielo terso, forse perché questa narrativa avvicina la poesia e la accarezza, forse perché implica una sovversione dei sensi e dei sentieri lirici. Non c’è da capire, bisogna agire, perché la parola va assunta, sussurrata senza proclami o stridenti grida, la parola accarezza il cuore.

Il lavoro di Lumelli è un lavoro minuzioso e ricercato sulla lingua: il suo raccontare scava le parole, mostra attenzione ai particolari, al loro significato verbale, uno stare al mondo a testa alta senza finzioni. Lumelli in questo romanzo penetra in osmosi la membrana della poesia e la sua ricerca del testo si semplifica attraverso un ascolto che muove il linguaggio nella sua espressione più estrema e autentica.

Così le vibrazioni di una vita che si inoltra nel tempo si riverberano nella lettura della storia, e più profondamente come una pianta che ha radici nel sangue, nell’immensità dell’essere: non solo letteratura ma respiro e stella di un grande viaggio che attraversa mezzo secolo.

]]>
Turna su Il bel Santein https://www.carmillaonline.com/2024/08/09/turna-su-il-bel-santein/ Fri, 09 Aug 2024 20:00:42 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=83552 (Ancora su Sante Pollastri)

di Giorgio Bona

Tira vento a ottobre tra queste colline. La nebbia dà un senso di gelo e bagna i vestiti. Se si alza, torna la visuale di un cielo grigio, muto, quasi trasparente.

A Sante piaceva molto quel paesaggio nei dintorni di Novi. Gli ricordava lunghi tratti della campagna toscana: lo stesso odore di terra vergine, lo stesso sfocato tramonto che si schianta sul profilo frastagliato delle colline. Rimane diversa la tonalità dei colori, più tenue, più delicata.

In pieno pomeriggio, sempre che possa esserci pomeriggio a ottobre.

Umido che viene dallo Scrivia.

Foschia.

Fiato di [...]]]> (Ancora su Sante Pollastri)

di Giorgio Bona

Tira vento a ottobre tra queste colline. La nebbia dà un senso di gelo e bagna i vestiti. Se si alza, torna la visuale di un cielo grigio, muto, quasi trasparente.

A Sante piaceva molto quel paesaggio nei dintorni di Novi. Gli ricordava lunghi tratti della campagna toscana: lo stesso odore di terra vergine, lo stesso sfocato tramonto che si schianta sul profilo frastagliato delle colline. Rimane diversa la tonalità dei colori, più tenue, più delicata.

In pieno pomeriggio, sempre che possa esserci pomeriggio a ottobre.

Umido che viene dallo Scrivia.

Foschia.

Fiato di tabacco.

Il mondo da via Cavanna sembrava un puntino oscuro. Sante stava tornando a casa. Qui era nato e qui voleva morire, mondo brigante.

Un ratto passò vicino ai suoi piedi per andare a nascondersi sotto un cumulo di rifiuti.

Guardò intorno.

Deserto.

L’umidità gli diede uno schiaffo sul viso costringendolo ad inspirare. Si voltò a guardare la strada che aveva percorso. Era come distaccare il passato che soffiava sul collo. Ebbe la sensazione di soffocare, come andare in apnea.

 

(l’uomo nero)

(A un certo punto si girò ed era lì che lo osservando, la sua figura scarsamente illuminata, le braccia abbandonate, il volto in ombra).

(Parlò a se stesso Costante mentre pedalava, parlò del suo passato che si allontanava come il gruppo in fuga. C’era da recuperare, raggiungerlo).

 

Il suo stradinom era Pollastro, ma mica è così semplice, lũ, gram fiò, se le zecche si fanno strada pisciando nel sangue, perché di notte desiderava dormire sotto la rosa, sentendosi sicuro soltanto in braccio a so ma’.

Quando so pa’ gli mise in mano la vanga per la prima volta provò quanto era bassa la terra e bisognava piegare la schiena.

A scuola il maestro faceva vedere le lettere dell’alfabeto, la A, la B… alla C Sante aveva capito che era inutile tanta istruzione: ognuno deve aggiustarsi da sé, deve fare quello che vuole e il mondo intorno è tutto una finta.

 

A Sante sarebbe piaciuto diventare corridore professionista come il suo amico Costante. Lo guardava ammirato staccare il gruppo in volata per correre verso il traguardo.

È così. La vita va presa nel momento stesso in cui gli altri vogliono portartela via. Lui non ha voluto piegare la schiena su quella zappa perché la terra è bassa e non risparmia nessuno. Nessun diritto a questo mondo. Lo stato è il vero nemico. Borghese, fascista o comunista che sia.

 

(L’uomo nero)

(Era lì, sette litri d’aria dentro ai polmoni, con gli occhi che lacrimavano per il freddo e per la fatica. Guardò quell’ombra sfilarsi la maglia stropicciata e sudata e quando gliela porse non era più. Un leggero gemito lo colse e una specie di sorriso sulle labbra).

 

Oe, fascisti! Brutti e cattivi, sempre a dargli la caccia, a braccarlo. Lui correva più forte di Costante, sentiva di essere il vero campione. Lui che non volle piegare la schiena. Meglio bere Cortese di Gavi che chinarsi alla terra mangiando polenta e verza. Alla piola della salute si vendeva cancarone ai paisan che erano come le bestie, che alzavano il gomito cercando di fottere la morte giocando a cirulla e alla morra.

Bestie. Sì, bestie, animali domestici, can da pajè, abituati alla catena. Avevano paura della loro ombra. S’inciuccavano e ringraziavano la Madonna e tutta la fila di santi. Ruscavano e sgobbavano, dicendo sempre sì. Per questo si sono meritati la miseria.

 

Sante avvertì dei passi alle sue spalle. Si sentiva una lepre al fiuto del bracco. Deviò dalla strada di casa, cercò rifugio dalla Zena. Lo seguivano, aveva la loro banfa sul collo. Si appoggiò al banco, chiese da bere. Due degli inseguitori si misero al suo fianco, il terzo occupò posto da solo, ad un tavolo libero.

Sante ordinò alla Zena di versare un altro giro. I tre si mossero. Un colpo andò a conficcarsi sulle assi del pavimento. Fu un attimo di panico, quanto bastava per darsi alla fuga. Si buttò contro la finestra, spaccò i vetri e via.

In quel momento sentì il freddo pulsargli le tempie. Lo sparò gli sibilò accanto, gli fece fischiare le orecchie. Subito dopo le facce sgranate dei carabinieri lo immobilizzarono, insaccandolo come un maiale. Era una collisione di corpi, uno scambio molecolare che avvenne a forza di colpi. Sentì sangue nella saliva mentre deglutiva e i colpi non si arrestavano.

I carabinieri gli sentirono dire a denti stretti: bravi, siete stati bravi, ma non è ancora finita.

 

Sante prese la bicicletta e senza una meta precisa imboccò la strada per la Liguria. Verso Ovada il sole sembrava bucare la nebbia e accompagnarlo per qualche tratto.

Aveva il volto di Costante, la stessa smorfia di Costante quando la strada diventa liquida e il catrame sotto le ruote cuoce anche il sangue. Doveva provare a staccarlo e lui era lì, sempre al suo fianco.

Capì tante cose in quell’attimo. Ecco cosa indispone chi corre: vedere qualcuno al tuo fianco, che ti guarda negli occhi, che non ti fa capire cosa vuole fare ed essere consapevoli che al primo tornante ti lascia lì, a mangiare la polvere.

Dov’è quel demonio? Urlò. Mentre il sole era di nuovo nascosto dietro la nebbia e la pace dei campi sul ciglio della strada sembrava uno sberleffo, una risata.

Poi la nebbia si dissolse definitivamente. Il sole era davanti a lui e lo invitava ad andare avanti.

Potrei superarlo, disse. Restò un attimo a pensarci, tra le parole pronunciate a denti stretti e i pedali che divoravano l’asfalto. In quel momento colse l’ultimo raggio di luce che lo colpì in pieno volto e Costante pedalava formando un vortice nell’aria, fuggiva e colorava le invisibili traiettorie della vita.

]]>
Inevitabile quanto impossibile https://www.carmillaonline.com/2024/06/01/inevitabile-quanto-impossibile/ Sat, 01 Jun 2024 20:15:47 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=82887 di Giorgio Bona

Vladimiro Bottone, Il peso del sangue, pp. 332, € 19, Solferino, Milano 2024.

Il titolo del romanzo di Vladimiro Bottone non è meramente a effetto: il senso profondo della vita – che a volte occorre indagare non per interesse filosofico astratto ma per capire meglio la natura concreta degli esseri umani, e del mondo attorno – si raggiunge facendosi male, con ferite profonde, andando fino al sangue. E pesandolo per bilanciare sentimenti e contraddizioni: col risultato che a volte, quasi inaspettatamente, la Storia finisce col non avere la meglio sulle vicende individuali.

Siamo a Torino nel 1944. Una [...]]]> di Giorgio Bona

Vladimiro Bottone, Il peso del sangue, pp. 332, € 19, Solferino, Milano 2024.

Il titolo del romanzo di Vladimiro Bottone non è meramente a effetto: il senso profondo della vita – che a volte occorre indagare non per interesse filosofico astratto ma per capire meglio la natura concreta degli esseri umani, e del mondo attorno – si raggiunge facendosi male, con ferite profonde, andando fino al sangue. E pesandolo per bilanciare sentimenti e contraddizioni: col risultato che a volte, quasi inaspettatamente, la Storia finisce col non avere la meglio sulle vicende individuali.

Siamo a Torino nel 1944. Una città in guerra in un tempo di poco successivo all’8 settembre 1943. anche se la fine del conflitto è vicina. Le bombe degli alleati piovono dal cielo, ma fascisti e nazisti resistono alla difesa del fortino che sta per crollare. Myriam Pescarolo è una ragazza bella, colta, istruita e si trova in pericolo perché ebrea. Mentre tra le sue pareti domestiche irrompono i nazisti portando via la famiglia, il padre la fa passare per la ragazza di servizio e riesce a farla allontanare in incognito mentre i suoi saranno deportati. Rimasta sola, senza alcun riferimento, circondata da spie, delatori, profittatori, con pochi soldi in tasca per darsi alla fuga e che non dureranno a lungo.

Il Commissario Troise, napoletano appena trasferito a Torino con il compito di attivare la rete di informatori, vive in una casa appena confiscata a una famiglia ebrea. Troise è un agente speciale dell’Ovra che agisce con ampi poteri e ha carta bianca sulle sue decisioni, usa gli informatori trattandoli male perché dei delatori è il primo ad avere una scarsa stima.

 

Il Commissario non si è nemmeno scoperto la testa, entrando in casa d’altri. Così i tirapiedi al seguito: quest’invasione di facce grame, il trapestio delle loro scarpe porta con sé lo sporco della strada, il luridume della vita. Il Commissario è di proposito sgarbato. Ha fatto radunare i Pescarolo nell’ingresso del loro appartamento per notificare il provvedimento di arresto. Palesemente li considera peggio delle sanguisughe, alla stregua dei malfattori; in ogni caso la circolare Buffarini-Guidi equipara gli ebrei a una “nazionalità nemica”.

 

Un incipit che ti tira subito dentro la storia senza concedersi di divagare eccessivamente, disegnando uno scenario vivido, attraversato da lampi di emozioni fortissime. Queste pagine ci immergono nel bel mezzo della guerra civile. Nel frattempo Carlo, un giovane storico dell’arte che fa da informatore a Troise, comincia a capire che i figli del suo professore, Emanuela e Manfredi, sono coinvolti nella resistenza. Carlo ha perso la testa per Emanuela e non sopporta Manfredi e per questo si attiva per darlo con i suoi amici in pasto a Troise. Tra le pieghe di una Torino angosciata ecco che la vita di Myriam Pescarolo si incrocia con quella di Troise: sarà lui a salvarla dalla polizia e a condurla nel proprio appartamento facendola passare per sua sorella. Da quel momento tra i due scatterà una scintilla e nascerà un amore inevitabile quanto impossibile. Ma i due protagonisti sono due nemici, e il rapporto ha premesse molto difficili trovandosi contro la Storia: i due personaggi – ben delineati – sono assolutamente antitetici, e nel loro squilibrio l’anello debole è Myriam. È possibile amare un nemico della propria gente?

Un fatto realmente accaduto trova spazio in queste pagine a proposito di un ebreo che vendeva la propria gente: Myriam è fermamente convinta che quell’uomo spregevole vada immediatamente neutralizzato. Supera le pastoie del sentimento che la lega a Troise e aderisce così alla resistenza torinese, dopo aver stretto amicizia con Emanuela che scoprirà la sua vera identità.

Questo di Vladimiro Bottone è indubbiamente un romanzo storico perché ha molto a che vedere con la storia vera. Ecco spuntare per esempio il nome di Guido Leto (1895-1956), il capo dell’OVRA dal 1938 al 1945, che aderì subito al fascismo e iniziò a lavorare dal 1926 al fianco del capo della polizia Francesco Crispo Moncada (1867-1952), un fascista ben noto agli studiosi del ventennio e che avrà un ruolo importante anche in seguito. D’altra parte Il peso del sangue porta con sé ingredienti di altri generi narrativi, in particolare il noir – per le atmosfere e la vicenda nel dedalo di una città terrorizzata dalle imboscate, dalle soffiate, dalle delazioni. E insieme, tra rabbia e sopraffazioni, mette a nudo i sentimenti in maniera potente e spietata: e alla fine è l’amore, un amore che andrà controcorrente, a far superare tutte le paure.

]]>
Nemmeno John Wayne in soccorso del mito https://www.carmillaonline.com/2024/03/08/nemmeno-john-wayne-in-soccorso-del-mito/ Fri, 08 Mar 2024 21:00:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=81449 di Giorgio Bona

Pat Garrett, L’autentica vita di Billy the Kid, a cura di Aldo Setaioli, pp. 176, € 15, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2024.

La modernità avanza a discapito del vecchio West, con il tramonto del periodo più puro in cui i temerari eroi della frontiera diventano mortali perdenti senza onore e senza legge. Un libro, L’autentica vita di Billy the Kid, che è in sintonia con la memorabile colonna sonora di Bob Dylan (1973), affascinante ballata western crepuscolare dove lo spirito indomito della frontiera e l’illusione di un’amicizia che ha il sapore di eterno non riescono a fare [...]]]> di Giorgio Bona

Pat Garrett, L’autentica vita di Billy the Kid, a cura di Aldo Setaioli, pp. 176, € 15, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2024.

La modernità avanza a discapito del vecchio West, con il tramonto del periodo più puro in cui i temerari eroi della frontiera diventano mortali perdenti senza onore e senza legge. Un libro, L’autentica vita di Billy the Kid, che è in sintonia con la memorabile colonna sonora di Bob Dylan (1973), affascinante ballata western crepuscolare dove lo spirito indomito della frontiera e l’illusione di un’amicizia che ha il sapore di eterno non riescono a fare diga contro un processo di civilizzazione drogato dal cinismo del neocapitalismo emergente e da una giustizia che non è uguale per tutti ma al servizio dei potenti. La fine di un’amicizia, quella tra Pat Garrett e Billy the Kid, segna anche il tramonto di un’epoca che, andando incontro al “progresso” legato ad una nuova visione del mondo, vede smarrirsi all’orizzonte i suoi eroi, mandriani e fuorilegge, cavalieri solitari e rinnegati.

Pat Garrett rappresenta colui che sa interpretare questa nuova visione di un mondo in mutamento e il suo racconto si presenta come una lunga meditazione crepuscolare in conflitto tra le ceneri del vecchio e le scintille per accendere il nuovo che sta sorgendo. Una ballata tra rassegnazione e speranza che non lascia capire quale dei due stia nel vecchio o nel nuovo per la patina di nostalgia negli occhi.

In Pat Garrett e Billy Kid (Pat Garrett and Billy the Kid, appunto 1973) Sam Peckinpah ha portato sulla scena un western d’addio dalla vena malinconica con un saluto di commiato al vecchio mondo. Per Peckinpah le figure di Pat Garrett e Billy the Kid rappresentavano l’opportunità di regolare i conti con il passato: l’amicizia tra i due finisce nel momento in cui Garrett diventa uomo di legge e appunta la stella di sceriffo sul petto, mentre il secondo continua a seguire la strada del fuorilegge. La caccia non potrà che condurre a uno scontro all’ultimo sangue.

I primi riferimenti su Billy the Kid si hanno da Sallie, nipote di John Chisum, il ricco allevatore del New Mexico portato sullo schermo da John Wayne in un film del 1970 – appunto Chisum – con la regia di Andrew V. McLaglen: una pellicola che ripropone i due miti del vecchio West in ruoli non precisamente memorabili e sembra una traslazione bislacca, perché quando di parla di personaggi come Pat Garrett e Billy the Kid si pensa decisamente ad altro. Sallie divenne una figura importante nella regione, visse fino al 1934 e lasciò un diario di importanza storica con tanti riferimenti a Billy the Kid e a Pat Garrett che lei aveva conosciuto di persona.

Per la prima volta appare in traduzione italiana la biografia di uno dei più leggendari banditi del West, Henry McCarty (1859-1881), alias William H. Bonney, meglio conosciuto come Billy the Kid, la cui leggenda è altrettanto epica di quella di un altro mattatore, Jesse James (1847-1882). In questo libro la storia ci viene raccontata addirittura da uno dei protagonisti, che rivela con meticolosa dovizia di cronaca le gesta del bandito. A scriverla è colui che gli diede la caccia e lo uccise nel 1881, Patrick Floyd Jarvis Garrett (1850-1908) uno dei più popolari sceriffi del vecchio West. Fu cacciatore di bisonti, barista, cowboy prima di diventare sceriffo di Lincoln nel New Mexico. Garrett ebbe la nomina di Deputy U.S. Marshall (agente federale), incarico che gli permetteva di seguire i ricercati oltre i confini di ogni singolo stato. L’amicizia tra Garrett e Billy the Kid finisce quando il primo diventa sceriffo e riceve l’incarico di arrestare il secondo: lo farà ostinatamente, contro tutto e tutti, e la caccia non potrà che portare a uno spargimento di sangue.

Questo è sicuramente il libro più vero e più ricco di dettagli attendibili che si sia dedicato al Kid perché fu scritto a ridosso dei fatti e ci offre una lettura a caldo della storia del famoso fuorilegge. Certo è scritto da Pat Garrett, e come suggerisce la logica sarebbe bello sentire la versione opposta, quella di Billy. Ma questo libro ci offre uno spaccato del vecchio West senza quell’alone di romanticismo e di leggenda che la filmografia mescola come ingredienti quasi inevitabili. La fine di un’amicizia viene imposta dai tempi, all’improvviso: due visioni della realtà che hanno sempre viaggiato parallele, a un certo punto arrivano a un bivio. La fine dell’amicizia si conclude con la morte di Billy.

Di qui un libro doloroso, eppur straordinariamente vivo: e Pat e Billy rappresentano due modi di essere “eroi” con visioni diverse. Per questo Pat Garrett nel suo scritto non si sente di condannare il vecchio amico che ha fatto una scelta sbagliata. È molto lontano dalle visioni cinematografiche come Chisum, dove William Bonney il Kid viene visto come un romantico inguaribile, con quell’aria da eterno ragazzo che non vuole crescere. Niente di tutto questo. C’è nel libro una forza antica che affonda le radici nella realtà del vecchio West, quella che ci ha fatto sognare, e pagine come queste ci permettono di recuperare.

]]>
Disertare non è reato https://www.carmillaonline.com/2024/01/27/disertare-non-e-reato/ Sat, 27 Jan 2024 21:00:08 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80880 di Giorgio Bona

Non entriamo nel merito alla guerra Russia-Ucraina se non per riportare un dato degli effetti più drammatici: 234.000 uomini uccisi dall’inizio del conflitto senza contare le vittime civili. È un dato che ci fa ben pensare sulle inevitabili conseguenze che sta generando. Una guerra non rappresenta soltanto una seria minaccia alla stabilità dei paesi coinvolti, ma ha effetti collaterali che coinvolgono persone estranee e non belligeranti con seri rischi sulla sopravvivenza: diffusione della fame, impoverimento, migrazioni in cerca di rifugio; e sull’ambiente: degrado e inquinamento.

Una guerra che nelle sue dinamiche mostra analogie con quella del 1944 nella [...]]]> di Giorgio Bona

Non entriamo nel merito alla guerra Russia-Ucraina se non per riportare un dato degli effetti più drammatici: 234.000 uomini uccisi dall’inizio del conflitto senza contare le vittime civili. È un dato che ci fa ben pensare sulle inevitabili conseguenze che sta generando. Una guerra non rappresenta soltanto una seria minaccia alla stabilità dei paesi coinvolti, ma ha effetti collaterali che coinvolgono persone estranee e non belligeranti con seri rischi sulla sopravvivenza: diffusione della fame, impoverimento, migrazioni in cerca di rifugio; e sull’ambiente: degrado e inquinamento.

Una guerra che nelle sue dinamiche mostra analogie con quella del 1944 nella contesa tra Russia e Finlandia. Ecco molto in sintesi la ricostruzione di quei fatti.

Nel 1939 Stalin decise di riprendere i possedimenti che erano appartenuti alla Russia zarista e dopo una serie di negoziati con la Finlandia sulla cessione di alcuni territori, tutti falliti, i russi attaccarono. I russi erano molto più numerosi dei finnici ma la fama di questa guerra si propagò per la straordinaria resistenza di questi ultimi che riuscirono a tenere a bada la macchina sovietica per ber quattro mesi prima di arrendersi. L’Unione sovietica riprese i suoi territori e lasciò in pace la Finlandia che aveva evitato l’invasione e mantenuto l’indipendenza con una resistenza difensiva memorabile.

Ma non ci si fermò qui. Quando la Germania decise l’operazione Barbarossa cercò l’alleanza con la Finlandia di cui aveva bisogno per invadere l’Unione Sovietica da nord e la Finlandia si dichiarò parte del gioco.

Mentre nella prima fase fu la Russia il paese aggressore, in questo caso l’aggressione si verificò da parte della Finlandia insieme ai tedeschi e riuscirono a riconquistare i territori che avevano perduto: la Carelia, Ladoga e l’Istmo di Carelia. Ma la gloria ebbe una breve durata perché nel 1944 i russi scatenarono una controffensiva e i finlandesi persero tutti i territori che avevano riconquistato, riuscendo però a proteggere i propri confini. La Russia accettò la cessazione delle ostilità a condizione che la Finlandia interrompesse ogni rapporto con la Germania. Letteratura e cinema hanno esplorato i fondali di questa contesa portando a galla vicende inaspettate, storie incredibili.

Un grande contributo lo offre Kukushka, disertare non è reato, film di Aleksandr Rogožkin (Leningrado, 1949 – San Pietroburgo 2021) del 2002, ambientato durate gli scontri tra l’Armata Rossa e i nazisti nella Lapponia nel 1944, nella Penisola di Kola, in pieno territorio Sami. Finlandia 1944. L’esercito finlandese combatte contro l’Unione Sovietica accanto ai tedeschi.

Kukushka, che in russo significa cuculo, è il termine con cui i soldati dell’armata russa designavano i cecchini finlandesi.

Veikko (Ville Haapasalo) è un cecchino che cerca di disertare, mentre Ivan (Viktor Bychkov) è un soldato dell’Armata Rossa scampato per un soffio alla morte. Mentre l’armata rossa avanza, i finnici ritirandosi abbandonano Veikko incatenato a una roccia nella tundra dopo averlo accusato di tradimento e condannandolo a morte certa. A sua volta Ivan, tenente russo accusato di tradimento, deve essere processato. Durante il viaggio però la sua scorta viene massacrata da un’incursione aerea.

I due nemici, rispettivamente condannati a morte dai loro superiori per diserzione e tradimento, trovano entrambe rifugio nella fattoria di Anni (Anni-Kristiina Juuso), una vedova di guerra da oltre quattro anni che offre loro rifugio e ospitalità. I due, trovandosi a stretto contatto, impareranno a convivere.

Questo film spinge se non altro a ricordare che la guerra viene decisa dagli stati maggiori ma sul fronte ci sono i soldati, uomini del popolo. Un messaggio quanto mai pacifista, sobrio, a tratti malinconico che vuole lanciare un monito forte attraverso la storia, dove disertare non significa tradire ma dare un segnale contro quei poteri forti che hanno creato tali condizioni. Il tema è l’assurdità della guerra che viene superata da una sorta di convivenza tra i personaggi nonostante l’incapacità di comunicazione, perché parlano tutti lingue diverse: Veikko il finlandese, Ivan il russo e Anni il sami, una lingua uralica usata da minoranze norvegesi, finniche, svedesi e russe. Ognuno di loro quando inizia un monologo viene frainteso dagli altri e supererà queste barriere mettendo da parte le proprie identità nazionali. L’incomprensione linguistica permette loro di rivelarsi e di affrontare le problematiche della vita che il conflitto bellico ha generato in un ambiente selvaggio e terribile come la tundra e ancor di più metterà in discussione l’operato di una guerra inutile a tutti.

In letteratura un autore come Arto Paasilinna dona una vera e propria lezione di storia mettendo al centro della narrazione un eroe qualsiasi che rappresenta i pregi e i difetti di un popolo. Il titolo del libro, Sangue caldo, nervi d’acciaio (Iperborea, 2012) fa trasparire un certo tono di orgoglio nazionale che non traspare nelle sue pagine. Attraverso uno spaccato di vita che copre oltre un cinquantennio c’è la vicenda di uomini che hanno fatto la storia del paese ed è un’appassionante testimonianza su anni e fatti di tale storia durante il conflitto finnico-russo.

Un piacevole racconto che non rinuncia al ritmo dell’azione e mantiene il valore prezioso della memoria e di antichi legami familiari e nazionali. È una novità questo libro nelle opere di Arto Paasilinna, perché stavolta l’autore ha accantonato quell’aura di stravaganza che connotava i suoi scritti, per mostrare l’amore per la propria terra attraverso un romanzo storico con una trama realistica fino alla crudezza.

È il suo paese il coprotagonista della storia in uno dei periodi più drammatici, la Guerra d’Inverno attraverso una strampalata galleria di patrioti, anarchici e ribelli del quotidiano.

Anche contro la guerra in corso emergono durissime prese di posizione da parte di intellettuali e poeti: massimo esponente, Lev Rubinstein, colui che al ritorno delle sigarette Belomor, rimesse in commercio munite di filtro, definì il governo di Putin considerato socialismo dal volto umano “un gulag con il filtro”.

Lev Rubinstein, poeta e intellettuale russo, figura di spicco della cultura underground, padre del concettualismo russo è morto il 14 gennaio a Mosca, a 76 anni, dopo essere stato investito da un’auto pochi giorni prima, da un automobilista che non aveva rallentato davanti all’uomo che attraversava la strada. La sua morte nel secondo anno della catastrofe suona come un monito, lui che si era fatto promotore di una campagna antimilitarista.

La letteratura continua a mantenere una presa di posizione forte schierandosi contro la guerra e proprio per una poesia declamata a piena voce in una piazza a Mosca sotto la statua di Vladimir Majakovskij il poeta Artëm Kamardin è stato arrestato, picchiato, stuprato in casa mentre altri agenti minacciavano sua moglie nella stanza accanto, e poi condannato a sette anni di prigione.

Simile sorte quella toccata al suo collega Yegor Shtovba di soli 23 anni, condannato a passare cinque anni dietro le sbarre per l’intervento nella piazza dedicata al poeta simbolo della “rivoluzione tradita” che dal 1958 rappresenta nella capitale russa l’appuntamento di “poesia contro”.

L’arte in ogni sua forma non si tira indietro.

]]>
…e allora senti cosa fò https://www.carmillaonline.com/2023/12/08/e-allora-senti-cosa-fo/ Fri, 08 Dec 2023 21:00:08 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80257 di Giorgio Bona

Paolo Restuccia, Il sorriso di chi ha vinto, pp. 260, € 17, Arkadia, Cagliari 2023.

Mi ha accompagnato come la melodia e la profondità delle parole della musica di Stefano Rosso Il sorriso di chi ha vinto, nuovo romanzo di Paolo Restuccia. È un sequel del romanzo precedente, Il colore del tuo sangue (Arkadia, 2022), sempre con il medesimo personaggio, la protagonista Greta Scacchi, filmmaker giovanissima e indipendente non soltanto nel lavoro ma anche nella vita. Il vero interesse di Greta è quello di guardare il mondo attraverso un obiettivo, il singolo fotogramma dell’esistenza reale che immortala nel loro [...]]]> di Giorgio Bona

Paolo Restuccia, Il sorriso di chi ha vinto, pp. 260, € 17, Arkadia, Cagliari 2023.

Mi ha accompagnato come la melodia e la profondità delle parole della musica di Stefano Rosso Il sorriso di chi ha vinto, nuovo romanzo di Paolo Restuccia. È un sequel del romanzo precedente, Il colore del tuo sangue (Arkadia, 2022), sempre con il medesimo personaggio, la protagonista Greta Scacchi, filmmaker giovanissima e indipendente non soltanto nel lavoro ma anche nella vita. Il vero interesse di Greta è quello di guardare il mondo attraverso un obiettivo, il singolo fotogramma dell’esistenza reale che immortala nel loro emergere momenti salienti, vivi. E quel mondo è portato dentro il romanzo da Restuccia, scrittore, autore e regista radiofonico conosciuto per il programma satirico di Rai Radio Due “Il Ruggito del Coniglio”.

Mi piace pensare a questo romanzo come un libro le cui parole non sono tanto racconto ma vita concreta. I personaggi vivono più che raccontarsi e questa componente risuona fortissima al lettore.

Ed è per questo che mi è venuto in mente il cantautore romano nato a Trastevere. Ho avuto l’impressione che Paolo Restuccia ne abbia attraversato la strada, perché come nelle canzoni di Stefano Rosso la parola stessa suggerisce che la vita si vive e non si racconta.

Paolo Restuccia ha scelto come protagonista Greta, che gira con una videocamera portatile e riesce a cogliere dettagli e prospettive che a occhio nudo si perdono con facilità. Una ragazza forse superficiale all’apparenza, ma che maschera bene la sua vera personalità e l’intelligenza profonda.

Accanto a lei ritorna un personaggio del libro precedente, Tommaso Del Re, poliziotto sospeso dal servizio e che in questa storia funge da consulente per un canale televisivo, Crime Net. Torna anche Irene Russo, compagna di Greta con un ruolo di comprimaria. Dando prova di un grande talento affabulatorio Paolo Restuccia offre ai suoi personaggi una dimensione di vivida realtà.

Spesso il noir di casa nostra pone in scena la provincia italiana con tutte le sue contraddizioni. Il sorriso di chi ha vinto, ambientato a Roma, metropoli, capitale, si libera di un certo provincialismo ma insieme presenta alcune borgate come terra di frontiera, puzzle etnico dalle mille anime i cui problemi di identità portano il peso e le ferite della storia. Il sorriso di chi ha vinto evoca questa varia umanità, scandaglia il ventre molle di una Roma protagonista in sordina del narrare, offrendo – per così dire – il sorriso aspro di una città.

Interessante vedere Greta all’opera mentre si fa strada nei quartieri movimentati, tra personaggi equivoci, bar di aspetto discutibile e case popolari. La Roma di queste pagine varca i confini del realismo, perché è protagonista di quanto abbiamo perduto e di quello che si andrà dimenticando. E in questa città indifferente e spersa, rivestita di mistero, si rispecchia l’Italia intera: sullo sfondo un’umanità dolente, come un’immensa scacchiera dove si consumi una partita tesa, sinistra.

Indubbiamente l’attività di regista ha lasciato un’impronta sulla narrazione: Greta muove la storia dietro una videocamera in un modo che offre vigore e incisività alla narrazione, e non abbandona un istante il lettore. Come un abile giocatore che sposti i pezzi in modo mirato, giocando con le azioni dei personaggi per arrivare alla conclusione.

Che fine hanno fatto Daria Gentile e Carla Ferrara, due ragazze giovanissime scomparse senza un motivo plausibile nel centro della Città eterna? Il giovane attore Casemiro è morto per un abuso di droghe oppure è stato ucciso – e cosa fa la tonaca di un prete nel suo appartamento? Si trova coinvolto forse uno dei prelati della Chiesa della Perfezione di tutti i santi? Magari proprio il maestro che dirige una scuola di musica e un coro di giovani? A tale interrogativi cerca di dare una risposta Greta insieme all’amico poliziotto.

Mentre l’indagine procede, un oscuro personaggio sta allestendo una cappella per consumare qualcosa di indicibile e sullo sfondo si staglia con un ruolo di rilievo un’azienda farmaceutica… Molte sono le questioni aperte e, tra suspense e colpi di scena ma anche silenzi e allusioni, l’autore raccoglierà tutti i fili attraverso le indagini condotte da Greta: dove ogni immagine, ogni azione sono immortalate da flash istantanei.

Sono arrivato alla fine del libro e inizio a scriverne. Mi accompagnano le parole di Paolo che hanno lasciato il segno, i dialoghi, negli occhi mi restano le immagini mentre risuonano le parole di Letto 26:

 

Via della Scala stava là

ed io dal letto 26

sognavo la mia libertà

cercando fra i ricordi miei

se adesso vado per il mondo

mi guardi tanto strano tu

ma sono sempre un vagabondo

che ha in tasca cento lire in più.

]]>
Il senso di Mosca per l’esplosione psichica https://www.carmillaonline.com/2023/02/18/il-senso-di-mosca-per-lesplosione-psichica/ Sat, 18 Feb 2023 21:00:59 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76141 di Franco Pezzini

Giorgio Bona, La lacrima della giovane comunista, pp. 177, € 15, Arkadia, Cagliari 2022.

Cominciamo da un dettaglio apparentemente paradossale. La lacrima della giovane comunista che offre titolo a questo bel romanzo di Giorgio Bona è un cocktail dalla ricetta almeno losca, ma diciamo francamente tossica, per bevitori disperati (basti dire che tra gli ingredienti, oltre la vodka, contiene shampoo antiforfora, lacca per capelli e unghiolina): un mix che la dice lunga su tutta una realtà spuria e intossicante descritta in queste pagine. Ma la tristezza in quel nome sottesa [...]]]> di Franco Pezzini

Giorgio Bona, La lacrima della giovane comunista, pp. 177, € 15, Arkadia, Cagliari 2022.

Cominciamo da un dettaglio apparentemente paradossale. La lacrima della giovane comunista che offre titolo a questo bel romanzo di Giorgio Bona è un cocktail dalla ricetta almeno losca, ma diciamo francamente tossica, per bevitori disperati (basti dire che tra gli ingredienti, oltre la vodka, contiene shampoo antiforfora, lacca per capelli e unghiolina): un mix che la dice lunga su tutta una realtà spuria e intossicante descritta in queste pagine. Ma la tristezza in quel nome sottesa corre per tutto il testo – e questo si può dire senza spoilerare.

In Italia il nome di Venedikt Vasil’evič Erofeev (1938-1990) non è molto noto al grande pubblico. Della sua produzione, seminata in una vita tragicamente inquieta, tre edizioni sono più o meno disponibili solo dell’opera maggiore Moskva-Petuškì (Москва-Петушки, 1973), circolata in Unione Sovietica per la prima volta nel 1970 come samizdat e poi pubblicata, in russo, in Israele nel 1973: cioè Mosca sulla vodka, Feltrinelli, 1977, 2004; Tra Mosca e Petuški, Fanucci, 2003; e in ultimo Mosca-Petuškì: poema ferroviario, traduzione di Paolo Nori, Quodlibet, 2014. In tempi più recenti, ad arricchire il quadro è apparso Memorie di uno psicopatico (Записки психопата, 1956-58, redatto dopo l’espulsione dell’autore dalla facoltà di lettere), Miraggi edizioni, 2017. Ma rispetto alla quantità delle opere materialmente scritte da Erofeev, gran parte delle quali probabilmente perdute per sempre, si tratta di una porzione molto contenuta.

Non è strano dunque il magnetico interesse provato dalla voce narrante del romanzo, un docente universitario dell’Ateneo del Piemonte Orientale, all’offerta di un funzionario consolare russo, tal Viktor Demanenko, che sul punto di tornare in patria evoca promettenti possibilità di porre mano su materiali di quell’autore, non riabilitato – a differenza di tanti altri – dal nuovo corso. Il Nostro parte così per una Russia che nell’epoca immediatamente successiva alla Perestroika dimostra solo molto superficialmente un mutare di tempi. Con parecchia determinazione e altrettanta ingenuità il protagonista dovrà presto rendersi conto che a dispetto della sopravvivenza di truci apparati di polizia e orrendi funzionari che li utilizzano, tutto in Russia si vende: corpi e anime, a voler ricordare la profezia di Bulgakov sull’inatteso Visitatore a spasso per Mosca. Con la differenza che di comunismo in giro ora non se ne vede più neanche un grammo.

Sperduto nel dedalo di un labirinto che lo condurrà molto vicino all’ormai defunto scrittore, con la sensazione di essere continuamente sorvegliato, il professore finisce alla deriva di contatti umani untuosi e incerti, di notti di sesso retribuito in modo più o meno esplicito, di storie squallide o invece tragiche che gli renderanno chiaro il senso di esplosione psichica patito da Erofeev e dal suo piccolo mondo. L’evocazione d’ambiente di tutta una società in decomposizione e in caduta libera sul piano dell’identità, tra ricordi tragici e un presente ostentato di brutalità poliziesca, è condotta bene, con ombre nostalgiche per dimensioni affascinanti di un’altra Mosca del passato ed echi di una grande cultura in ostaggio di burocrati e piccoli profittatori. Quanto alle lacrime, ne troverà fin troppe – anche tragicamente genuine.

Tra le opere dell’autore Giorgio Bona, i romanzi Sangue di tutti noi (Scritturapura, 2012), ricostruzione dell’omicidio del dissidente comunista Mario Acquaviva, Le cicale cantano nel nostro silenzio (A&B Editrice, 2019) e Da qui all’eternit (Scritturapura, 2021), sulla vicenda dell’amianto di Casale Monferrato.

]]>