Gian Carlo Caselli – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Tutelare il gasdotto, soffocare il conflitto: tre sentenze contro il movimento No TAP https://www.carmillaonline.com/2021/03/21/tutelare-il-gasdotto-soffocare-il-conflitto-tre-sentenze-contro-il-movimento-no-tap/ Sun, 21 Mar 2021 09:00:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65471 di Alexik

“Espressioni come “una protesta pacifica” sono, dunque, non particolarmente utili per descrivere le nostre lotte.  “Protesta pacifica” non significa niente, perché dal punto di vista dello Stato e del Capitale, quando qualcuno si impegna in una protesta è, per definizione, non più in pace: l’atto di protestare è un rifiuto. È il rifiuto di uno status pacificato, è il rifiuto della pretesa che si debba accettare ogni cosa che viene imposta nel nome del progresso e dello sviluppo. Quando l’espropriazione viene contrastata dal rifiuto del soggetto, il soggetto diventa un [...]]]> di Alexik

“Espressioni come “una protesta pacifica” sono, dunque, non particolarmente utili per descrivere le nostre lotte.  “Protesta pacifica” non significa niente, perché dal punto di vista dello Stato e del Capitale, quando qualcuno si impegna in una protesta è, per definizione, non più in pace: l’atto di protestare è un rifiuto.
È il rifiuto di uno status pacificato, è il rifiuto della pretesa che si debba accettare ogni cosa che viene imposta nel nome del progresso e dello sviluppo. Quando l’espropriazione viene contrastata dal rifiuto del soggetto, il soggetto diventa un nemico.”

Potremmo partire dalle parole di Mark Neocleous, pronunciate proprio a Melendugno nell’ottobre 20181, per commentare le sentenze di tre procedimenti contro il Movimento No TAP, conclusi in primo grado il 19 marzo scorso con 88 condanne a pene variabili dai 3 mesi ai 3 anni abbondanti. Condanne raddoppiate, e a volte triplicate, rispetto alle richieste del PM, o inflitte anche a fronte della richiesta di assoluzione da parte del PM stesso.

Sanzionati, dunque, i “muri umani” eretti per impedire il passaggio dei mezzi del cantiere TAP, muri di persone indisponibili ad “accettare ogni cosa imposta nel nome del progresso e dello sviluppo”, come la costruzione di un’opera devastante, pericolosa, inquinante, climalterante.
Sanzionate le corna innalzate verso le truppe antisommossa e il dito medio contro l’elicottero in volo, i lanci di uova e di ciclamini, le violazioni dei fogli di via e le “inosservanze di provvedimenti dell’autorità”.
Condannati con il massimo edittale anche 17 compagne e compagni a cui  è stato negato lo status di parti lese, dopo essere stati braccati, feriti, umiliati, sequestrati mentre erano di ritorno dai cancelli del cantiere, dove avevano semplicemente intonato dei cori2. Inutile dire che nessuno procederà contro i loro aguzzini.

Per molti versi questa vicenda processuale infonde una persistente sensazione di dejavu, di cose già viste a circa 1.200 km a nord ovest, presso il Tribunale di Torino.
Per esempio, accomuna gli uffici giudiziari torinesi e salentini la costruzione di maxiprocessi “omnibus”, che raggruppano ipotesi di reato per  fatti commessi in diversi tempi e luoghi e, nel caso del maxiprocesso leccese,  anche completamente scollegati.
Potpourri giudiziari con tantissimi imputati, che tradiscono più la fretta di arrivare a condanna che la volontà di approfondire contesti, dinamiche e reali responsabilità.
Altro particolare comune è l’attrazione che esercitano i movimenti territoriali per i magistrati antimafia. Se Gian Carlo Caselli ha lasciato in Val di Susa un ‘ricordo indelebile’, il maxi processo No TAP ha potuto giovarsi sia di un PM che del giudice monocratico provenienti dai processi alla Sacra Corona Unita. Non si tratta probabilmente di un caso fortuito:

La nomina di un magistrato antimafia si inserisce in un solco già tracciato a livello nazionale, per cui si adottano le prerogative dell’antimafia nei reati di ordine pubblico. Da anni questa tendenza sempre più generalizzata associa i reati tipicamente ascrivibili all’area del dissenso e della conflittualità politica a quelli della criminalità organizzata, e lo fa attraverso l’accostamento dell’antimafia all’antiterrorismo… In questo modo nella prassi giudiziaria e nella strutturazione e interpretazione delle norme si è assottigliata, fino quasi a scomparire, la distinzione tra l’ambito del conflitto sociale e quello dell’eversione3.

Nella stessa direzione si colloca la scelta delle aule bunker come location dei  processi contro i movimenti,  scelta atta a suggerirne l’equiparazione con le grandi organizzazioni criminali.
Anche a Lecce, come a Torino, ci sono testimoni che pesano come piume ed altri come montagne. Infatti, secondo le dichiarazioni del giudice monocratico, “la testimonianza di un pubblico ufficiale è da considerarsi già di per sé veritiera”.
Anche a Lecce, come a Torino, i procedimenti che tutelano le grandi opere dalle proteste popolari corrono “ad alta velocità”4. I tre processi contro il movimento No TAP, con 126 imputati, sono arrivati a sentenza di primo grado in appena 7 mesi, con udienze pressoché settimanali, addossando alla difesa un carico di lavoro immane, anche per la mole di materiale videoregistrato da consultare.
Mentre il calendario delle udienze contro il movimento, nonostante l’emergenza COVID-19, non ha subito modifiche, un altro processo, che vede imputata per disastro ambientale la multinazionale TAP e le aziende appaltatrici, è stato rinviato per pandemia.
Forse nella prospettiva di poter onorare anche questa volta l’antica tradizione italica della chiusura in prescrizione dei procedimenti che riguardano i reati ambientali.

Foto di Baba Paradiso.

A Torino il Tribunale ha fatto da tempo da apripista nel comminare condanne pesanti anche nei casi il cui l’opposizione alle grandi opere si è espressa attraverso modalità assolutamente “gandhiane”.
Emblematiche a proposito le carcerazioni di Dana, Fabiola, e prima ancora di Nicoletta, condannate per aver parlato al megafono o tenuto uno striscione durante una breve manifestazione sull’autostrada A32 .
Il Salento ha seguito l’esempio, e anche sulle condanne del 19 marzo contro il movimento No TAP è stato buttato il carico da 11. Divers* compagni e compagne potrebbero varcare nel tempo la soglia del carcere se la situazione non viene modificata nei successivi gradi di giudizio.
Molte delle condotte sanzionate, in altri tempi (sempre più lontani), probabilmente non avrebbero comportato nemmeno l’apertura di un processo.
Ma c’era bisogno di dare un segnale, perché il gasdotto vuole continuare la sua corsa verso nord, sotto le forme di “Rete Adriatica Snam”, e non tollera altri ostacoli.

Nel dicembre 2020 il Consiglio Europeo ha approvato “l’obiettivo vincolante di una riduzione interna netta di almeno il 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030“, da raggiungere  …. anche tramite “tecnologie di transizione come il gas”, avvallando in questo modo la prospettiva dell’utilizzo del gas come sostituto del carbone.
[Che, per inciso, oltre ad essere un combustibile fossile, è un gas serra molto più potente della CO2, e la sua estrazione e trasporto comportano emissioni fuggitive in atmosfera tali da renderne l’utilizzo più climalterante del carbone stesso.]
Non vengono messi a rischio quindi dal Green New Deal europeo (anzi!) i 32 progetti di interconnessione del gas considerati “di interesse comune” dall’U.E., compresi il TAP, l’EastMed  (dai giacimenti al largo di Israele e Gaza fino alla costa di Otranto) e la Rete Adriatica Snam.
Quest’ultima promette di solcare con un tubo di  120 cm di diametro pieno di gas le aree a maggior rischio sismico della penisola, come la Valle Peligna, i paesi dell’hinterland aquilano, quelli dell’Umbria, delle Marche e dell’Emilia, fino a Minerbio.
In pratica, sfiorando gli epicentri dei più forti terremoti che hanno interessato l’Italia dal 1997 a oggi.
Attualmente il processo di autorizzazione della Rete Adriatica Snam nel tratto Sulmona/Foligno è ancora fermo in attesa di un adeguato studio sulla sismicità, ma esperienza insegna che spesso non bastano le barricate di carta a fermare opere devastanti.
Quando si renderà necessario anche in Abruzzo, Umbria, Marche ed Emilia innalzare “muri umani” contro le ruspe, l’esempio della sentenza salentina rappresenterà un sinistro precedente.

Per questo è il momento di dare un segnale di controtendenza, dimostrando che anche davanti a queste squallide operazioni siamo uniti e solidali con chi subisce rappresaglie per aver difeso i territori, con i loro ecosistemi e comunità umane, in Salento come altrove.
E anche per gratitudine, perché non dimentichiamo che proprio grazie alla Carovana No TAP e all’intervento informativo dei compagni salentini, si è innescato a Minerbio (BO) quel processo di coinvolgimento e attivazione di realtà locali che ha portato al blocco di un pericoloso progetto di sovrappressione degli impianti di stoccaggio del gas gestiti dalla Stogit. E di questo va dato atto proprio a quei compagni e a quelle compagne che oggi subiscono la criminalizzazione giudiziaria.

Support the fight !

Avanti NO TAP !


  1. Mark Neocleous, What is Pacification?, intervento al workshop “Policing Extractivism: Security, Accumulation, Pacification”, Melendugno (LE), 5-6-7 ottobre 2018. QUI la traduzione in italiano. 

  2. Ne abbiamo già parlato su Carmilla nella puntata n.  5 di “Il nemico interno” 

  3. Lecce: processo No Tap, aggiornamenti e qualche riflessione, Comunella Fastidiosa, 12/03/21. 

  4. Sulla velocità dei processi contro il Movimento No Tav, si veda, su Carmilla, la puntata n. 6 di “Il nemico interno“. 

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11 aprile: si parte e si torna insieme https://www.carmillaonline.com/2018/04/11/11-aprile-si-parte-si-torna-insieme/ Wed, 11 Apr 2018 03:00:17 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=44909 di Alexik

È prevista per oggi l’udienza in Cassazione sul maxiprocesso notav, dopo la condanna in appello di 38 compagni e compagne per la resistenza allo sgombero della ‘Libera Repubblica della Maddalena’ del 27 giugno 2011, e l’assedio al cantiere di Chiomonte del 3 luglio successivo. La Cassazione si pronuncerà su un processo surreale, che ha escluso dal dibattimento le testimonianze sulle violenze poliziesche, sui manifestanti feriti, sulle migliaia di lacrimogeni,  sull’uso dei gas CS. Un processo dove si è assistito al completo ribaltamento della realtà, al sabotaggio [...]]]> di Alexik

È prevista per oggi l’udienza in Cassazione sul maxiprocesso notav, dopo la condanna in appello di 38 compagni e compagne per la resistenza allo sgombero della ‘Libera Repubblica della Maddalena’ del 27 giugno 2011, e l’assedio al cantiere di Chiomonte del 3 luglio successivo.
La Cassazione si pronuncerà su un processo surreale, che ha escluso dal dibattimento le testimonianze sulle violenze poliziesche, sui manifestanti feriti, sulle migliaia di lacrimogeni,  sull’uso dei gas CS.
Un processo dove si è assistito al completo ribaltamento della realtà, al sabotaggio del diritto alla difesa, alla negazione del valore morale e sociale della lotta.
Per riaffermare questo valore, riannodiamo per un attimo i fili della storia.

La Libera Repubblica

Alla fine di maggio 2011, dopo l’annuncio dell’apertura del cantiere dell’alta velocità in Val Clarea, il Movimento No Tav organizzava un presidio alla Maddalena di Chiomonte per contrastare l’inizio dei lavori.
Nasceva così la Libera Repubblica della Maddalena.
Non era un semplice presidio. Migliaia di persone  – valligiani e solidali di ogni età, compagni di ogni credo, intellettuali, artisti –  sperimentarono quello  che Gian Carlo Caselli – ai tempi Procuratore Capo della Repubblica di Torino – ebbe a definire come “un fatto eversivo”.

Va ancora ricordata la cosiddetta ‘Libera repubblica della Maddalena’. Poco se ne è parlato, mentre la vicenda avrebbe meritato ben altra attenzione. Si è trattato di una “enclave” creata nei pressi del cantiere, con tanto di posti di blocco valicabili soltanto da coloro (forze dell’ordine comprese) che ottenevano il permesso dei sedicenti “repubblicani”. Dunque, un pezzo del territorio dello Stato italiano sottratto per qualche mese alla sovranità dello Stato medesimo. Un fatto che può serenamente definirsi “eversivo”.1

Non posso che convenire sulla definizione.
La Libera Repubblica – durata in verità 23 giorni e non “qualche mese” – era veramente un “fatto eversivo”, incomprensibile, inconcepibile, insopportabile per i guardiani dell’ordine costituito.
Un pezzo di territorio veniva  temporaneamente sottratto dal suo popolo (colui che, per Costituzione, dovrebbe detenere la sovranità) ad uno Stato che ambiva a violentarlo per fini speculativi, ed in quel pezzo di territorio si cominciavano a praticare forme di scambio non mediate dalla merce, forme di democrazia diretta al di fuori dei meccanismi fasulli della rappresentanza elettorale.

“Aver creato un posto dove il denaro non esisteva più, dove eravamo tutti uguali, dove di faceva  della cultura alta, dove si riusciva a discutere e a portare la cultura alta con dei termini bassi e facili che tutti potessero capire. Io ricordo le lezioni dei professori universitari, che tenevano lezioni ufficiali.
Mi ricordo una sera che è arrivata Margherita, che è una musicista che suona da dio la viola, e questa sul piazzale della Maddalena si è messa a suonare Bach.
Sembrava di essere in un altro mondo.
Un po’ più in là c’erano i ragazzi che stavano distillando la grappa. E questo mischiarsi, questo contaminarsi, questo unirsi, senza problemi, è stato un’esperienza incredibile. Avevamo gente che faceva da mangiare dal mattino alla sera, c’era la cucina aperta a tutte le ore. Si arrivava, si gioiva insieme, si cantava.
Era un’esperienza sconvolgente.
Non poteva durare. Doveva essere distrutta
”.2

L’assalto

Il 27 giugno 2011 la Libera Repubblica veniva definita illegale da un’ordinanza prefettizia (nonostante il presidio fosse stato regolarmente autorizzato dal Comune di Chiomonte),  notificata ai presenti  da più di 2000 agenti antisommossa seguiti da blindati, idranti, elicotteri e mezzi meccanici da demolizione.
L’attacco al presidio, popolato da centinaia di persone, veniva portato da più lati e preceduto da fitti lanci di lacrimogeni a base di gas CS, per impedire che i No TAV contrastassero lo sgombero facendo resistenza passiva.

Quella mattina abbiamo visto arrivare una imponente colonna con caschi neri e blu preceduta da un cingolato. Sembrava la scena di un film sull’ultima guerra mondiale.
Alcuni testimoni hanno riferito che molti manifestanti gridavano “mafia mafia” all’indirizzo della colonna, ed il fatto è vero; la colonna di FFOO era preceduta da un bulldozer della Italcoge, azienda molto chiacchierata in valle (chiacchiere poi dimostratesi fondate, da quello che si è saputo con le inchieste Minotauro e S. Michele).
Quel bulldozer abbatterà poi il cancello dopo abbondanti lanci di lacrimogeni CS al nostro indirizzo

In assemblea, la sera precedente si era deciso che, in caso di tentativo di sgombero avremmo attuato una resistenza passiva con i nostri corpi per rallentare l’avanzata delle FFOO per poi convergere tutti sul piazzale della Maddalena, lì ci saremmo seduti e fatti trascinare via a braccia. Cosa che non è stata possibile a causa del lancio di CS sul piazzale, prima che potessimo arrivarci”.3

Per la cronaca, i gas  CS sono considerati arma chimica in tempo di guerra, ma usati tranquillamente sui manifestanti in tempo di ‘pace’. Oltre alla forte lacrimazione, soffocamento, nausea, vomito, irritazione e ustioni cutanee, i CS possono provocare effetti a lungo termine  sui polmoni e vie respiratorie, cuore e fegato, causare danni oculari permanenti o aborti spontanei.  L’esposizione ai CS può generare alterazioni del corredo cromosomico.4
Il 27 giugno sul presidio e sulla gente in fuga nei boschi ne vennero sparati 270, anche ad altezza d’uomo.
Questo è il racconto di una giovane donna, rivolto a uno schieramento di celerini dalle espressioni ostentatamente indifferenti:

Io facevo parte di quelli che dovevano provvedere al soccorso delle persone. C’erano anziani che al mattino dicevano “Siamo qui anche noi. Siamo anziani. Io non posso credere che verranno ad attaccarci. Non vengono. Noi siamo persone pacifiche. Guarda, io ho ottant’anni. Io ho fatto la resistenza. Io sono qui, difendo la mia terra. State tranquilli, ragazzi, non vi attaccheranno. Siamo troppo pacifici”.

Ci siamo trovati nel prato, là sopra, che … cioè è una situazione … che voi avevate le maschere, magari non sentivate quello che abbiamo sentito noi. Io ero bocconi per terra, non riuscivo a respirare, mi sembrava di morire. Non avevo mai provato sta situazione, non sono abituata a fare le guerre di strada.
A soccorrere gli anziani, asmatici magari, non ce la facevo, stavo morendo.
Ho trovato quelli che voi chiamate insurrezionalisti, gli anarchici dell’area antagonista, i “violenti”, sono stati gli unici che ci hanno dato una mano, perché erano forse più preparati di noi a questa cosa. Ci hanno dato delle cose da mettere sul viso che ci hanno fatto stare meglio. Noi eravamo tutti completamente impreparati. 
Ci stavate ammazzando, eravamo sul bosco, e stavamo scappando perché oramai avevate preso il cantiere, cosa volevate di più? Ancora lacrimogeni nel bosco, con la gente che si saltava addosso per scappare”.5

Mentre il cancello del presidio vicino alla centrale elettrica veniva divelto dal Caterpillar, sul lato dell’autostrada le pinze demolitrici distruggevano il guardrail e le barriere per aprirsi un varco, sfiorando i corpi di chi cercava di frapporsi, arrampicato sulle reti.

Il giorno dopo lo sgombero gli attivisti di Pro-natura Piemonte, che erano tornati sul luogo per recuperare i materiali del presidio, trovarono le tende del campeggio tagliate a brandelli, sporcate di feci e di piscio.
Gli effetti personali sparsi  a terra, distrutti o derubati.
Una giornalista televisiva ci ha confermato di aver visitato il campeggio dopo l’occupazione dell’area da parte delle forze dell’ordine e di averlo visto intatto, con le tende chiuse: la devastazione e il saccheggio sono dunque avvenuti nelle 20 ore seguenti6
Lo scempio non era stato dunque attuato nella concitazione delle cariche, ma nella calma dell’occupazione militare, per  puro sfregio.

Oltre all’area di cantiere, anche quella del Museo archeologico – tombe neolitiche comprese – era stata circondata da una pesante recinzione di ferro e cemento, ed il Museo trasformato in campo base delle FFOO, al di fuori di ogni previsione dell’ordinanza prefettizia e del progetto del tunnel geognostico.
Parafrasando Caselli, la “porzione di territorio” era stata finalmente sottratta al dominio degli  eversivi …

… e  restituita alla sovranità dello Stato.

Gli effetti della riscossa dello Stato si estendevano anche oltre la Valsusa: a Venaria Anna Reccia, una pensionata 65enne veniva investita e uccisa da un blindato dei CC diretto al cantiere TAV. A Nichelino i Punkreas, di ritorno da un concerto, venivano gasati con spray urticante nella propria camera d’albergo da un gruppo di CC impiegati nelle operazioni a Chiomonte, che erano ospitati nella stessa struttura.
Intanto il movimento reagiva con la chiamata nazionale in difesa della Valle.

3 luglio: assedio al cantiere

Il 3 luglio decine di migliaia di persone accorsero da tutta Italia, accolti  dagli abitanti con generi di conforto, calore e riconoscenza.

“Per tutta la giornata abbiamo attraversato strade, paesi, sentieri aggrappati ai fianchi delle montagne, sempre accompagnati dalla presenza di Valsusini sorridenti, determinati e incazzati, che ci spronavano a continuare, che ci indicavano la via verso i sentieri, o la fontanella più vicina.
Che ci ringraziavano, anche quando stavamo solo arrivando verso il paese da cui si scendeva alla Maddalena, dove la battaglia era già iniziata…
Mentre ci prepariamo a scendere, una signora del paese rifornisce di maalox chi non ne ha, prepara limoni da portare giù, dà da mangiare a chiunque ne chieda e poi augura buona fortuna, e ringrazia”
.7.

I cortei partirono da Giaglione, da Chiomonte, da Exilles per accerchiare il cantiere da tutti i lati. Vennero attaccati.

Vedo feriti che vengono portati via a braccia. Un ragazzo con il volto coperto di sangue, che continuava a zampillare da sotto il naso. E’ stato colpito da un lacrimogeno, sparato direttamente al volto. Un altro poco dopo, con un dente e il labbro spaccato da una pietra lanciata da un poliziotto, ed un altro ancora con uno squarcio su una guancia“.8

A Ramat caricarono in paese:

Picchiano forte, iniziamo a correre tra le stradine di Ramats verso i boschi, dietro i consigli dei valligiani sempre così complici. “Prendete quel sentiero lassù, è lungo ma non vi beccano”. Io rimango giù, nelle strade di Ramats, non ho ancora raggiunto gli altri sul sentiero. La rabbia mi lascia davanti a loro che intanto aumentano. Arriva un altro plotone e penso ai miei compagni giù. Una signora sui cinquant’anni li riprende con il cellulare. Una manganellata in faccia e la buttano a terra: il marito, io ed un altro compagno ci mettiamo davanti, ci pigliamo qualche manganellata e corriamo via portando con noi la donna in lacrime per la rabbia“.9

Quel giorno piovvero sui cortei 4.357 lacrimogeni a base di gas CS: 2157 della polizia, 2000 dei CC e 200 della guardia di finanza.10
Numerosi  video inquadrano gli agenti antisommossa  mentre sparano i lacrimogeni ad altezza d’uomo, o tirano sassi sui manifestanti dall’alto dei ponti dell’autostrada.
Ne mostriamo uno per tutti:11

Il 3 luglio vennero fermate 5 persone. Sotto la custodia degli agenti tre di loro subirono gravi lesioni.
Due  manifestanti vennero trascinati per terra per quasi un centinaio di metri, ricevendo numerosi colpi. Il video Operazione Hunter mostra il pestaggio collettivo di uno di loro, con calci, manganelli e anche un bastone.
Grazie alle riprese uno degli agenti coinvolti, appartenente al reparto dei CC dei “cacciatori di Sardegna”, verrà riconosciuto in base a un tatuaggio, ma il procedimento a suo carico sarà archiviato.
Un altro compagno catturato ha subito la frattura di un braccio, del setto nasale, trauma cranico, ferite al capo, oltre che umiliazioni, insulti, minacce, omissione di soccorso e altre vessazioni.

Anche nel suo caso, il procedimento contro i responsabili delle torture è stato archiviato.

Nessuna archiviazione, invece, per i manifestanti accusati di aver reagito a tutto questo, sottoposti a un processo che rappresenta una dimostrazione da manuale di come possa essere esercitato il ‘diritto penale del nemico’.
Ma del maxiprocesso avremo modo di riparlarne.
Oggi dimostriamo la nostra solidarietà agli imputati partecipando ai presidi in Valle, a Roma, a Bologna ed alle dimostrazioni di affetto che da Sulmona a Melendugno costelleranno la penisola.

SI PARTE E SI TORNA INSIEME !


  1. G. C. Caselli, No tav. Da Roma a Susa isolare i violenti, Il Fatto Quotidiano, 23/10/2013 

  2. Alberto Perino, intervista a Radio Siani, 11 maggio 2017. 

  3. Dichiarazione spontanea al maxiprocesso di Guido Fissore, 3 ottobre 2014. 

  4. Massimo Zucchetti, Danni all’uomo e all’ambiente del gas lacrimogeno CS, 15 luglio 2014, pp. 15. 

  5. Video: Accade alla Maddalena di Chiomonte

  6. Mario Cavargna, Presidente di Pro Natura Piemonte, Cosa succede alla Maddalena di Chiomonte, 28 luglio 2011. 

  7. Bartebly-Bologna, E ad un tratto mi è parso che il bosco comiciasse a camminare…; Zero in condotta, 6 luglio 2011. 

  8. Idem. 

  9. Idem. 

  10. Manifestazione nazionale no tav del 3.7.2011.  Impiego di artifici lacrimogeni e mezzi speciali

  11. Vedi anche: La giornata di protesta sul fronte Giaglione [1/2], La giornata di protesta sul fronte Giaglione [2/2], Archiviato. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa

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Le emozioni del cuore, la freddezza della ragione, la realtà dei fatti. https://www.carmillaonline.com/2017/04/26/le-emozioni-del-cuore-la-d-della-ragione-la-realta-dei-fatti/ Tue, 25 Apr 2017 22:01:54 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37787 di Fiorenzo Angoscini

brigate rosse Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’, Volume I, DeriveApprodi, Roma, febbraio 2017, pagg. 550, € 28,00

Il lavoro di Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, si distingue per la vasta mole di documenti consultati. I molti materiali analizzati e di diversi archivi. La lettura delle relazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, lo studio degli atti giudiziari, delle indagini e varie perizie attinenti i numerosi processi relativi al sequestro e soppressione dell’esponente democristiano. La disponibilità di inediti colloqui con militanti protagonisti dell’ esperienza armata, della guerriglia diffusa, [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

brigate rosse Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’, Volume I, DeriveApprodi, Roma, febbraio 2017, pagg. 550, € 28,00

Il lavoro di Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena, si distingue per la vasta mole di documenti consultati. I molti materiali analizzati e di diversi archivi. La lettura delle relazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, lo studio degli atti giudiziari, delle indagini e varie perizie attinenti i numerosi processi relativi al sequestro e soppressione dell’esponente democristiano. La disponibilità di inediti colloqui con militanti protagonisti dell’ esperienza armata, della guerriglia diffusa, della lotta nelle carceri e le stragi compiute all’interno di alcune di esse: Le Murate ed Alessandria; nonché per i nuovi dettagli evidenziati, la segnalazione (ricordi, memorie) di particolari rimossi. La smentita di una recente dietrologia complottista con presenze ‘multiple, diverse ed eterogenee durante le fasi dell’azione in via Fani. Le deposizioni di testimoni oculari che smentiscono se stessi, motociclette con a bordo ignoti sparatori fantasma ed altro ancora.
Inoltre la loro ricostruzione favorisce il recupero e il riordino della memoria.
Quella colletiva e quella individuale: la nostra, di ognuno di noi.

Gli autori hanno dei significativi ‘precedenti’ relativamente agli argomenti trattati nel libro di recente pubblicazione.
Clementi, dieci anni fa, ha realizzato una “Storia delle Brigate Rosse”;1 anni prima aveva dato alle stampe uno studio che potremmo definire correlato al piano ‘Victor’, ossia come neutralizzare umanamente, politicamente, personalmente e mentalmente il presidente del Consiglio Nazionale DC qualora fosse stato liberato.2
Il piano da attuare in caso di morte dell’ostaggio, era stato denominato ‘Mike’.
Più semplice, prevedeva di informare tutta una serie di figure istituzionali, giudiziarie e politiche, isolamento immediato del luogo di ritrovamento del corpo, interdizione dello stesso ai famigliari, l’istituzione di un efficiente servizio d’ordine davanti lo studio e l’abitazione di Moro, fornire in forma dubitativa le informazioni a stampa e tv.

Persichetti, con Oreste Scalzone, ha scritto “Il nemico inconfessabile”3 e, quasi quotidianamente, su ‘Insorgenze.net’ conduce una sistematica azione di puntigliosa smentita e rettifica di notizie…false e tendenziose. Relativamente ad avvenimenti e fatti riconducibili alla lotta armata e suoi militanti, alla repressione, tortura, ‘omicidi’ di stato, alla politica e alla cultura.

Infine, Santalena, ha elaborato una tesi dottorato di ricerca all’Università di Grenoble su, “La gauche révolutionnaire et la question carcérale : une approche des années 70 italiennes” (8 dicembre 2014) con capitoli espliciti: “Dalle prigioni fasciste, alle prigioni in rivolta (1969-1973)”; “Dalla riforma alla controriforma: tra repressione, lotta armata ed evasione (1974-1977)”; “Le prigioni al centro del conflitto: tra lotta armata e gestione dell’emergenza antiterrorismo (1977-1987)”.

Dettagli e particolari
Addentrandosi nella lettura si incontrano alcuni dettagli, o particolari, che se non sconosciuti, sono sicuramente poco noti. Così, si apprende che, la mattina del 9 maggio 1978, lo spazio dove verrà ritrovata in via Caetani (a metà strada tra la sede nazionale della Dc e quella del Pci) la Renault 4 di colore amaranto con all’interno il corpo senza vita di Moro, era stato occupato la sera prima da Bruno Seghetti che vi aveva parcheggiato la sua vettura personale, una Renault 6 di colore verde. Questo per evitare intoppi o inconvenienti dell’ultimo minuto. Così facendo si era sicuri che il luogo prescelto per posizionare la macchina servita per l’ultimo trasferimento, e successivo ritrovamento del corpo senza vita del parlamentare democristiano non sarebbe stato ostacolato dalla presenza di altri veicoli inopportunamente parcheggiati al suo posto.

Un’altra questione poco considerata è l’azione svolta da Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino, quando è nominato difensore d’ufficio dal presidente della Corte d’Assise di Torino che deve condurre il giudizio (maggio 1976) contro il cosiddetto ‘nucleo storico’ (definizione sempre rifiutata dagli imputati) dell’organizzazione comunista combattente, dopo che i militanti delle BR avevano ricusato i propri avvocati di fiducia, diffidato la corte di nominarne d’ufficio ed erano, momentaneamente, riusciti a far vacillare i meccanismi classici dell’ordinamento giudiziario, rivendicando il diritto all’autodifesa, per condurre il cosiddetto ‘processo guerriglia’4 e far ‘saltare’ il dibattimento.

br-processo Nonostante l’accettazione delle superiori ragioni di stato, delegando la difesa tecnica ad altri otto avvocati dell’ordine torinese, il presidente della corporazione forense, approfittando del rinvio al 16 settembre 1976 – in attesa di un pronunciamento della Cassazione per redimere un conflitto di competenza territoriale tra Torino e Milano – al riparo da clamori mediatici, si fece promotore della proposta di promulgazione di una ‘leggina’ (come la definì in una missiva indirizzata al presidente del Consiglio nazionale forense) ad hoc che permettesse agli imputati che lo desiderassero di difendersi da soli.

Sempre durante il tentativo di costituire la corte per poter svolgere il processo, oltre alla nomina di ‘difensori tecnici’, si incontrarono notevoli difficoltà nell’individuare i giudici popolari, per la rinuncia ad accettare di molti di essi.
Per superare questo ostacolo scesero in campo i massimi dirigenti del Pci torinese, Giuliano Ferrara in testa, coadiuvato ufficiosamente da due magistrati della procura, Luciano Violante e Gian Carlo Caselli che, secondo il parlamentare ed esponente del Pci torinese Saverio Vertone, “Partecipava alle riunioni del comitato federale. Forse, ma non ne sono certo, prendeva anche la parola alle riunioni di segreteria…” Mentre l’elefantino (pseudonimo di G. Ferrara) partecipò ad “alcune riunioni con giurati del maxi-processo contro i brigatisti per convincerli a non rinunciare all’incarico” (M. Caprara).

Sempre Ferrara, rivendicava il merito al Pci di aver realizzato, e diffuso, il famigerato questionario contro il terrorismo che, alla domanda n. 5, invitava alla delazione.
…poi naturalmente offrivamo una mano, al di là della mano che dava lo Stato. Lo Stato offriva una sua protezione, noi potevamo aggiungere anche la nostra. (…) Per esempio case. Chiedevamo: ‘Dicci quali sono i tuoi problemi, se hai paura. Sappi che noi ci siamo”.
Tramite un suo ‘autorevole’ dirigente, G. Ferrara, il Pci si faceva Stato.

Prima delle Brigate Rosse e le militanze nel Pci
Già subito dopo la Liberazione si sono strutturati gruppi od organizzazioni Comuniste che praticavano la lotta armata. In diverse forme e modi. Dal Movimento Resistenza Partigiana-Movimento di Unità Proletaria di Carlo Andreoni, di cui, però, vanno chiarite alcune ambigue striature; alla “IX Divisione Stella Rossa Brigata clandestina ‘808’ “ di Armando Valpreda,5 presidente dell’Anpi di Asti, tra i promotori dell’ insurrezione di Santa Libera,6 fino a quel gruppo di bravi ragazzi che si ritrovavano presso la Casa del Popolo di Lambrate (Mi) per costituire la ‘Volante Rossa’.7 Per giungere a quei militanti emiliani (clandestini ed apparentemente senza organizzazione unificante) che hanno costellato le province reggiana, modenese, ferrarese e bolognese di numerosi fatti d’armi, principalmente eliminazione di fascisti e loro complici.

In anni più vicini al secondo biennio rosso italiano (1968-1969) ci sono esperienze di resistenza ed attacco armato che potremmo definire propedeutiche alla più significativa (per durata, numero di militanti ed azioni) organizzazione che ha ‘imbracciato il fucile’ e che viene ‘raccontata’ nel libro.
Il gruppo torinese costituito da Piero Cavallero, Danilo Crepaldi, Sante Notarnicola,8 Adriano Rovoletto, tutti militanti del Pci operaista delle ‘Barriere’ proletarie di Torino. “Già nel 1959 abbiamo compiuto la prima azione e siamo andati avanti fino al 1967, momento del nostro arresto. Piero era il coordinatore delle sezioni Pci della ‘Barriera di Milano’ , una circoscrizione popolare con circa 70.000 abitanti. Io, ero stato segretario dell’organizzazione giovanile del partito (Fgci) a Biella e contavamo circa 3.000 iscritti. Agli inizi degli anni sessanta avevamo capito che non eravamo più sintonizzati con il ‘partito’. Troppo ingessato, conformista e non più ‘rivoluzionario’9 .

Un’altra compagine di militanti iscritti al Pci, sezione “Rino Mandoli” di Ponte Carrega a Genova, che ha intravisto ‘l’ora del fucile’, è quella che volgarmente e mediaticamente è stata battezzata XXII Ottobre, attiva a Genova dal 22 ottobre 1969 (data di costituzione) al 26 marzo 1971, giorno della rapina al fattorino dello Iacp. In realtà, colui che è indicato come uno dei fondatori della pattuglia di nuovi partigiani, Mario Rossi, anche se con reticenze, distinguo e cautele, afferma: “Condividendo la posizione dei Gap, diventammo in pratica il gruppo Gap di Genova come c’erano già a Milano e Trento. Però, l’ho detto e lo ripeto ancora, siamo sempre stati autonomi rispetto alle altre formazioni che si stavano formando o che erano già attive altrove”.10
.
L’esperienza di Rossi, e la lettura del libro di Clementi-Persichetti-Santalena, ci offrono l’occasione di approfondire anche un altro aspetto, relativo a militanti delle prime formazioni armate, ma anche delle Brigate Rosse: la loro provenienza, l’appartenenza e l’agire politico.
Nella testimonianza raccolta da Donatella Alfonso (giornalista de “La Repubblica”) Rossi ribadisce,
Io, di fatto, mi sento ancora un militante del Pci degli anni Sessanta…In quegli anni lì ti capitava di frequentare il Partito soprattutto sul posto di lavoro, nelle sezioni di fabbrica, perché sentivi il polso dell’operaio che era quello che ti insegnava a lavorare e poi pensare…(Noi) ci eravamo tutti forgiati anche con il 30 giugno del ’60, quando Genova ha respinto il congresso del Msi. Lì c’eravamo tutti e l’ultima volta che ho visto davvero il Partito comunista in piazza è stato quel giorno, con i partigiani e i portuali con il gancio in mano”.

Nella ricostruzione delle sue scelte politiche, svela anche un particolare emblematico, “…un altro fatto che non ho mai raccontato per non mettere in imbarazzo nessuno, ma io ho continuato ad avere la tessera del Pci: finché non è morto, un vecchio compagno di Genova me l’ha rinnovata tutti gli anni, anche quando ero in carcere…Sembra assurdo, ma io non sono mai stato espulso dal Partito comunista”.

feltrinelli Queste due organizzazioni ‘minori’ e precedenti al dispiegarsi delle BR e di altre formazioni con struttura nazionale anche se con diffusione a macchia di leopardo (Nuclei Armati Proletari e Prima Linea) insieme ai Gruppi d’ Azione Partigiana costituiti da Giangiacomo Feltrinelli (operativi a Trento, Milano e Genova, i cui militanti in maggioranza, e sostanzialmente, sono confluiti nelle Brigate Rosse dopo la morte dell’editore,14 marzo 1972) sono stati un insieme di più ‘iscritti’ al Partito (Nelle inchieste sui Gap sono stati indagati G.B. Lazagna, Marisa e Vittorio Togliatti, nipoti del Migliore, ed altri ancora molto ‘vicini’ al Pci) che si sono mossi collettivamente, ma ci sono anche sintomatiche individualità o compagni semi-organizzati, con contatti personali. L’editore milanese presta la sua pistola (una Colt Cobra) a Monika Ertl, nome di battaglia ‘Imilla’, quando il primo aprile 1971, ad Amburgo, uccide Roberto Quintanilla Pereira, rappresentante del governo boliviana in Germania e boia di Ernesto Che Guevara.11

Clementi e coautori ricordano il caso di Maria Elena Angeloni, la zia di Carlo Giuliani, dilaniata – insieme al militante cipriota Georgios Christou Tsdikouris – dall’auto bomba che stava indirizzando verso l’ambasciata statunitense di Atene (2 settembre 1970) ed iscritta alla sezione 25 Aprile del Pci milanese. “Ai funerali di Elena, a Milano, per la Resistenza greca c’è Melina Mercouri. Ci sono i compagni, gli amici, i militanti del Pci. A titolo individuale. Il Partito non c’è. Anche se ufficialmente sostiene la Resistenza. Il segretario della sezione 25 aprile viene costretto dalla Federazione a strappare la matrice della tessera di Elena”.12

Un altro esempio evidenziato in “Brigate Rosse. Dalle fabbriche alla ‘campagna di primavera’” è quello di Angelo Basone, operaio alle presse di Mirafiori, delegato sindacale e dirigente della sezione di fabbrica del Pci, mai espulso dal partito, inserito nella lista dei 61 operai da licenziare e militante noto e riconosciuto dell’organizzazione con la stella a cinque punte. Condannato per partecipazione a banda armata, prigioniero politico nelle carceri speciali.

Quelle sopra ricordate sono le biografie politiche di alcuni militanti comunisti (militanti del Pci) che hanno intrapreso la lotta armata. Militanti politici a tutto tondo, che partecipavano all’attività di sezione, contribuivano al dibattito durante le riunioni, intervenivano ai congressi di partito, organizzavano manifestazioni e comizi, redigevano e distribuivano volantini, diffondevano la stampa: il quotidiano ‘L’Unità’, i settimanali ‘Vie Nuove’ e ‘Noi Donne’. Non giocavano a fare i soldatini.

La più significativa, probabilmente, è la coerente traiettoria disegnata da Prospero Gallinari. Già militante, a Reggio Emilia, dell’ organizzazione giovanile del Pci, dal 1968 con doppia tessera, anche quella del Partito13 quando ne viene espulso (1969) per indisciplina, partecipa alle riunioni del ‘Collettivo Politico Operai-Studenti’, detto ‘Gruppo dell’appartamento’ (poi CPM-Sinistra Proletaria di Re). Dopo un’infelice (così la definisce nella sua autobiografia) esperienza (1971-1972) nel Superclan di Corrado Simioni, aderisce ufficialmente alle Brigate Rosse, divenendone uno dei militanti più rappresentativi.

Mario Moretti, quando Gallinari muore, lo ricorda così: “Il nome di battaglia di Prospero era Giuseppe e non è certo per caso. Se l’era scelto con molta ironia ma per un vecchio comunista quel nome vuol dire qualcosa. Prospero è uno dei compagni di fiducia e di linea, è lui che guida la battaglia politica con Morucci nella colonna romana. Prospero è il marxismo-leninismo, tutto quel che ci succede, ascese e cadute, lui lo legge alla luce del rapporto tra partito e masse, avanguardia e masse. Pensa che è là che manchiamo. Viene dall’esperienza emiliana, per lui il partito è tutto, la coerenza politica è tutto, e ha un senso morale fortissimo. Ognuno vive la sconfitta in maniera diversa… per lui, se le cose tornano sui paradigmi marxisti-leninisti va bene, e di lì non si muove neanche se gli spari. Quando le Br si esauriscono, spera in una continuità in qualcosa che non siano le Br. Il che a mio parere non ha senso, e gliel’ho detto, pur con il grande rispetto che ho per lui. Prospero è uno di quelli con cui mi intendevo, è d’acciaio, proprio d’acciaio, è fatto così, è un vecchio contadino del Pci. Prospero è importantissimo. Ciao, Prospero”.14

Anche Andrea Colombo,15 in altra prospettiva ed ottica, gli rende gli onori della Politica: “Prospero Gallinari era una persona meravigliosa. Molti lo sanno ma temo che pochi lo scriveranno. Invece è bene che sia detto. Era generoso, altruista, coraggioso. Era uno di quelli di cui si dice ‘col cuore grande’…Era un uomo d’altri tempi. Un militante comunista di quelli che per due secoli hanno fatto la storia. Un partigiano nato per caso a guerra finita. Da ragazzo si faceva chilometri a piedi per andarsi a leggere l’Unità nel bar del paese più vicino alla fattoria in cui era cresciuto. Da uomo fatto era ancora quel ragazzo. Con noi, ragazzi di movimento, che negli anni ’70 il Pci lo odiavamo e lo combattevamo aveva pochissimo a che spartire. ‘Io – mi ha detto una volta – sono sempre stato un militante del Partito comunista italiano e, anche se ti sembrerà strano, in tutte le organizzazioni di cui ho fatto parte ho sempre rappresentato l’ala moderata’ “.

La costituzione delle BR
Gli artefici di questo primo volume, a cui altri ne seguiranno, hanno ricostruito dettagliatamente come, e quando, si è costituita la prima, e più importante, organizzazione armata italiana del dopoguerra con un’ ampia ramificazione su quasi tutto il territorio nazionale. Quali sono stati gli organismi, collettivi e comitati politici che hanno contribuito alla sua fondazione. Più sopra abbiamo sottolineato come questo lavoro sia di aiuto e stimolo al recupero della memoria, anche per questo motivo lo consideriamo un testo utile e fondamentale.

Da Trento, un apporto sostanziale lo hanno fornito Margherita Cagol e Renato Curcio che, poi, con Mauro Rostagno (Movimento per una Università Negativa) sono ‘migrati’ a Verona, per poter aver un respiro politico maggiore, dove hanno collaborato con il ‘Centro d’informazione’ che pubblicava la rivista ‘Lavoro Politico’ diretta da Walter Peruzzi. Successivamente, quasi tutta la redazione aderì al Partito Comunista d’Italia, che poi si scisse in ‘linea nera’ e ‘linea rossa’.

Curcio e ‘Mara’ aderirono a quest’ultima, fino a quando, agosto 1969, ne vennero espulsi insieme a Peruzzi ed al ‘trentino’ Duccio Berio. Da Verona si trasferiscono a Milano, ed incontrarono i Compagni del Collettivo Politico Metropolitano (poi Sinistra Proletaria), i Compagni dei Cub Pirelli, Alfa, Sit-Siemens, Marelli, nonche i componenti dei Gruppi di Studio della Sit e della Ibm. Quest’ultimo, qualche anno dopo, realizza un importante lavoro di ricerca sulla multinazionale statunitenese: “IBM, capitale imperialistico e proletariato moderno”.16 Ma anche nei quartieri della cintura periferica ci sono realtà ‘autonome’ che iniziano una certa critica politica: comizi volanti, diffusione di materiale di propaganda e militare, prevalentemente incendio di automobili di capetti e fascisti.

Particolarmente radicato, nel quartiere Lorenteggio-Giambellino, il “Gruppo Proletario Luglio ’60” comunista autonomo. Animatori e aderenti a questo organismo sono tutti (un centinaio) ex militanti iscritti alla sezione Pci di quartiere, intitolata al partigiano ‘Giancarlo Battaglia’. Come partigiani sono il militante storico del rione: Gino Montemezzani, uno dei pochi maoisti ad avere incontrato personalmente Mao Tse Tung,17 e Giacomo ‘Lupo’ Cattaneo, successivamente combattente comunista nelle Brigate Rosse. Del comitato “Luglio ’60” fanno parte anche i nove fratelli Morlacchi,18 figli di una ‘famiglia comunista’. In sei saranno perseguitati per costituzione e partecipazione a banda armata: le BR. Pierino, oltre ad essere uno dei promotori dell’organizzazione è stato anche nel primo comitato esecutivo con Curcio, Cagol e Moretti.

A Reggio Emilia, la gran parte dei componenti il ‘Collettivo Politico Operai-Studenti’ provenivano dal Pci e dalla Fgci, ed insieme agli organismi sopra ricordati, oltre ad un gruppo di compagni di Borgomanero (No) e uno del comprensorio Lodi-Casalpusterlengo (allora provincia di Milano) si ritrovarono a dibattere e discutere, a fine dicembre 1969 presso la locanda ‘Stella Maris’ di Chiavari (Ge) e, poi, al ‘congresso di fondazione’ in quel seminario-convegno di tre giorni che si svolse presso la trattoria ‘Da Gianni’, frazione Costaferrata, zona appenninica della provincia reggiana nell’agosto 1970. Così, sostanzialmente, si costituirono le Brigate Rosse.

Memoria ed oblio
Spesso si ripete che la memoria è un ingranaggio collettivo. Ma è anche uno strumento ‘sovversivo’. I tre ricercatori, autori di questa complessa ricostruzione umana, storico e politica ci forniscono l’occasione per coniugare le due azioni. Gli episodi, all’interno di questo primo volume, sono numerosi, alcuni ci hanno colpito particolarmente. Ricordiamo quelli che ci sembra abbiamo una maggior valenza politica.

Quello di maggior spessore e ‘peso’, in tutti i sensi, è relativo al famigerato (vale la pena ribadirlo) scandalo Lockheed. Gli autori lo ricordano19 con precisione. “Lo scandalo Lockheed era nato dalle rivelazioni della Commissione d’inchiesta statunitense guidata dal senatore Frank Church, secondo le quali la compagnia Lockheed aveva pagato tangenti in molti paesi per vendere la produzione bellica agli eserciti nazionali. Per quanto riguardava l’Italia, si trattava di tangenti per l’acquisto di 14 aerei C-130 comprati dal governo italiano tra il 1972 e il 1974, di aerei F-104S e di carri armati Leopard. Accanto a Gui (Ministro degli Interni e moroteo, nda) fu coinvolto anche il ministro della Difesa Mario Tanassi mentre, sempre secondo le rivelazioni statunitensi, dietro alcuni nomi in codice (Antelope Cobbler e Pun) si nascondeva un ex presidente del consiglio…Il nome in codice ‘Antelope’, secondo le rivelazioni americane, indicava un presidente del Consiglio negli anni dal 1965 al 1970, coinvolgendo dunque, oltre a Moro (1963-1968), il governo cosiddetto balneare di Giovanni Leone (giugno-novembre 1968) e quello di Mariano Rumor (dicembre 1968-luglio 1970). I tre smentirono ogni coinvolgimento e il 29 aprile l’ambasciatore statunitense notò che, nel farlo, avevano dato l’impressione di ritenersi colpevoli a vicenda”.

Repubblica Moro Dal momento che non condividiamo, né abbracciamo, nessun tipo di teoria complottista e dietrologica, specifichiamo subito che non attribuiamo a nessuno dei citati colpe precise, però ricordiamo…E ricordiamo che giovedì 16 marzo 1978, il giorno del rapimento Moro, sulla prima pagina del quotidiano “La Repubblica” c’era questo ‘box’: “Antelope Cobbler è Aldo Moro?” che rimandava ad un articolo interno: “Antelope Cobbler? Semplicissimo Aldo Moro, presidente della DC”.

Non ci dilunghiamo oltre perché non è necessario. Rileviamo che la notizia poteva essere approfondita, verificata, confermata, smentita. Come tutta la vicenda delle cosiddette ‘bare volanti’, così erano anche chiamati i Lockheed F-104, che si concluse con le condanne dei ‘soli’ Tanassi (Psdi), del suo segretario personale, dei rappresentanti italiani della Lockheed e dell’allora presidente di Finmeccanica (a partecipazione statale). Non sappiamo come finì la falsa (?) accusa del quotidiano diretto da Eugenio Scalfari contro Moro.

Con la loro ricostruzione, Clementi, Persichetti, Santalena, ci aiutano a rideterminare i tempi e modi con cui sono state istituite le carceri speciali, la ‘settimana rossa’ dell’Asinara, le battaglie di Pianosa e Saluzzo, lo sciopero della fame di Nuoro, proprio per superare e smantellare le fortezze disumane: Kampi. La costruzione ed inaugurazione del primo super-carcere femminile: quello di Voghera e la manifestazione-con cariche bestiali e tante botte ai partecipanti-del luglio 1983, per la sua neutralizzazione. La ‘mano libera’ concessa a Carlo Alberto Dalla Chiesa e al suo nucleo speciale antiterrorismo. L’introduzione dell’uso sistematico della tortura contro gli arrestati per farli parlare.
Già dal 1975, con Alberto Buonoconto, poi Enrico Triaca, Cesare Di Lenardo, Paola Maturi, Sandro Padula, Emanuela Frascella, purtroppo tanti altri.

E proprio all’istituzionalizzazione di questa pratica crudele e ai molti casi riscontrati, gli autori di ‘Brigate Rosse’ dedicheranno approfondimenti ed adeguato spazio nei prossimi volumi. Senza tralasciare il sequestro D’Urso, Dozier e dei quattro rapimenti della ‘campagna di primavera’: Cirillo, Taliercio, Sandrucci e Peci. Non trascurando la nascita del Partito Guerriglia, del distacco della Walter Alasia, dell’annuncio della ritirata strategica e della fine di un’esperienza.
Così come il massacro di via Fracchia a Genova e l’esecuzione di Roberto Serafini e Walter Pezzoli a Milano.
“La storia continua”.20

N. B. Questo è il primo di tre contributi relativi a lotta armata, carcere, proletariato extra legale, realizzati prendendo spunto da altrettante recenti pubblicazioni. Oltre a questa di Clementi-Persichetti-Santalena, le prossime saranno l’autobiografia di Pasquale Abatangelo “Correvo pensando ad Anna”, e “L’albero del peccato”, pubblicato, grazie a Giorgio Panizzari, aggiornato e notevolmente ampliato rispetto all’edizione del 1983, diffusa a firma ‘Collettivo prigionieri comunisti delle Brigate Rosse’. (F.A.)


  1. Marco Clementi, Storia delle Brigate Rosse, Odradek Edizioni, Roma, 2007  

  2. Marco Clementi, La ‘pazzia’ di Aldo Moro, Odradek Edizioni, Roma, 2001  

  3. Paolo Persichetti-Oreste Scalzone, Il nemico inconfessabile. Sovversione sociale, lotta armata e stato di emergenza in Italia dagli anni settanta ad oggi, Odradek Edizioni, Roma, 1999  

  4. Jacques M. Verges, Strategia del processo politico, Einaudi, Torino, 1969  

  5. Nel saggio di Laurana Lajolo, I ribelli di Santa Libera. Storia di un’ insurrezione partigiana. Agosto 1946, il leader degli insorti, ‘Armando’, “…insieme ad alcuni compagni, costituì, dopo la liberazione, un gruppo clandestino denominato ‘808’ in onore di un potente esplosivo e che, di fronte al progressivo atteggiamento di clemenza dei giudici nei confronti dei fascisti, decise di assumersi il compito di fare giustizia.”  

  6. Alice Diacono, L’insurrezione partigiana di Santa Libera (agosto 1946) e il difficile passaggio dal fascismo alla democrazia, anno accademico 2009-2010; Giovanni Rocca (Primo), Un esercito di straccioni al servizio della libertà, Art pro Arte, Canelli (Cn), 1984; Laurana Lajolo, I ribelli di Santa Libera. Storia di un’insurrezione partigiana. Agosto 1946, Edizioni Gruppo Abele, Torino, marzo 1995; Giovanni Gerbi, I giorni di Santa Libera, otto puntate su “ L’eco del lunedì”, settimanale di Asti, ottobre-novembre 1995; Marco Rossi, Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane dopo la Liberazione. 1945-1947, Edizioni Zero in condotta, Milano, 2009; Claudia Piermarini, I soldati del popolo. Arditi, partigiani e ribelli: dalle occupazioni del biennio 1919-20 alle gesta della Volante Rossa, storia eretica delle rivoluzioni mancate in Italia, Red Star Press, Roma, giugno 2013  

  7. Cesare Bermani, La Volante Rossa. Storia e mito di ‘un gruppo di bravi ragazzi’, Colibrì Edizioni, Milano, 2009; Carlo Guerriero-Fausto Rondelli, La Volante Rossa, Datanews, Roma, 1996; Massimo Recchioni, Ultimi fuochi di Resistenza. Storia di un combattente della Volante Rossa, DeriveApprodi, Roma, 2009; M. Recchioni, Il tenente Alvaro, la Volante Rossa e i rifugiati politici italiani in Cecoslovacchia, DeriveApprodi, Roma, 2011; Francesco Trento, La guerra non era finita. I partigiani della Volante Rossa, Edizioni Laterza, Roma-Bari, 2014  

  8. Sante Notarnicola, L’evasione impossibile, Feltrinelli, 1972  

  9. Da una conversazione con Sante Notarnicola, 14 aprile 2017  

  10. Donatella Alfonso, Animali di periferia. Le origini del terrorismo tra golpe e resistenza tradita. La storia inedita della banda XXII Ottobre, Castelvecchi Rx, Roma, 2012  

  11. Jurgen Schreiber, La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl, casa editrice Nutrimenti, Roma, 2011  

  12. Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, DeriveApprodi, Roma, 2015  

  13. Prospero Gallinari, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse, Bompiani Overlook, Milano, 2006  

  14. Mario Moretti, Per Prospero, 14 gennaio 2013  

  15. Gli Altri online, 14 gennaio 2013  

  16. Sapere Edizioni, Milano, 1973  

  17. Gino Montemezzani, Come stai compagno Mao?, Edizioni LiberEtà, Roma, 2006  

  18. Manolo Morlacchi, La fuga in avanti. La rivoluzione è un fiore che non muore, Agenzia X, Milano, 2007  

  19. nn.14 e 15, pag. 149  

  20. P. Gallinari, Un contadino nella metropoli, cit.  

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