Giacomo Debenedetti – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 18 Apr 2025 22:31:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Ripellino, un magico prosatore https://www.carmillaonline.com/2024/03/18/ripellino-un-magico-prosatore/ Mon, 18 Mar 2024 21:00:08 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=81772 di Paolo Lago

Giuseppe Traina, Primaverile ripelliniano. Su Ripellino prosatore, Mucchi, Modena, 2023, pp. 124, euro 16,00.

La scrittura saggistica di Angelo Maria Ripellino non è semplicemente una scrittura saggistica, come si potrebbe intendere nel senso comune della parola. Una scrittura, cioè, oggettiva, fredda, distaccata, razionale, pacata, sorta dalla scienza accademica e non dal cuore. E direi che di scritture siffatte, all’interno della critica letteraria, al giorno d’oggi ce ne sono anche troppe. È per questo che oggi si fa sempre più forte la mancanza di una penna come quella di Ripellino, grande studioso e slavista, poeta e scrittore, della cui [...]]]> di Paolo Lago

Giuseppe Traina, Primaverile ripelliniano. Su Ripellino prosatore, Mucchi, Modena, 2023, pp. 124, euro 16,00.

La scrittura saggistica di Angelo Maria Ripellino non è semplicemente una scrittura saggistica, come si potrebbe intendere nel senso comune della parola. Una scrittura, cioè, oggettiva, fredda, distaccata, razionale, pacata, sorta dalla scienza accademica e non dal cuore. E direi che di scritture siffatte, all’interno della critica letteraria, al giorno d’oggi ce ne sono anche troppe. È per questo che oggi si fa sempre più forte la mancanza di una penna come quella di Ripellino, grande studioso e slavista, poeta e scrittore, della cui produzione saggistica l’opera più nota è probabilmente Praga magica (1973). Ripellino è sicuramente un magico prosatore, artefice di una scrittura critica evocatrice di dimensioni ‘altre’, una scrittura capace di aprire varchi verso un altrove narrativo e poetico che non può restare imbrigliato nella fredda scrittura critica. Perciò, ogni saggio di questo autore si può leggere come un romanzo o come una poesia, facendo attenzione alle figure di stile e di suono, alle immagini evocate e magicamente rappresentate, come in un rituale sciamanico.

Recentemente è uscito un breve saggio che abbraccia, nei suoi punti essenziali, con attenzione e rigore, l’intera produzione critica e saggistica di Ripellino. Si tratta di Primaverile ripelliniano. Su Ripellino prosatore di Giuseppe Traina, che per la prima volta distende uno sguardo analitico sulle prose del grande slavista siciliano. Come rende noto l’autore nella premessa, dopo questa analisi della prosa ripelliniana, farà uscire un altro studio dedicato all’opera poetica di Ripellino, dal titolo Autunnale ripelliniano. Adesso, sotto il rigoroso e capace occhio analitico di Traina c’è, appunto, la produzione saggistica dello slavista (che, poi, come vedremo, definire Ripellino semplicemente “slavista” è sicuramente riduttivo): la sua critica letteraria, la sua critica d’arte, la sua scrittura politica, la sua critica teatrale lasciando da parte – poiché sicuramente estrinseca ad un discorso incentrato sulla saggistica – la prosa narrativa di Storie del bosco boemo.

Il viaggio nella prosa critica ripelliniana comincia con il già ricordato Praga magica, vero e proprio capolavoro di Ripellino nonché frutto del lavoro e dello studio di una vita. Non è un caso che Traina abbia scelto come titolo del primo capitolo del suo libro, dedicato a Praga magica, “Il flâneur”. Si tratta infatti di un’opera di viaggio, di movimento, di scoperta incessante della città “vltavina” (cioè attraversata dalla Vltava, la Moldava), per utilizzare una definizione dello stesso Ripellino. È quest’ultimo a definire Praga magica come “un libro sconnesso, sbandato, a frastagli, scritto nell’insicurezza e nei mali, con disperàggine e con pentimenti continui, con l’infinito rimorso di non conoscere tutto, di non stringere tutto, perché una città, anche se assunta a scenario di una flânerie innamorata, è una dannata, sfuggente, complicatissima cosa” (Einaudi, Torino, 1973, p. 22). Ripellino è un “flâneur” che, con uno sguardo incantato, si muove incessantemente per Praga e ci conduce alla scoperta dei suoi risvolti più magici e misteriosi, dei palazzi antichi e vetusti – quelle “nere casacce streghesche, sorgenti di maleficio” – dell’arte cupa e meravigliosa che si nasconde nei suoi vicoli, delle arcane vetustà e incantamenti del quartiere ebraico, del Golem, di Rodolfo II e dell’Arcimboldo, degli spettri e delle superstizioni, dei percorsi e delle suggestioni kafkiane. Tra l’altro, Franz Kafka (insieme ad altri autori boemi) è uno dei principali protagonisti letterari del libro che, come altri misteriosi e spettrali personaggi, compare preferibilmente di notte (una frase che ricorre diverse volte, nella narrazione di Praga magica, è infatti la seguente: “Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka torna a via Celetná, vestito di nero”). Lo scrittore, nelle magiche pagine ripelliniane, diviene egli stesso un personaggio magico. La penna di Ripellino, muovendosi come un Omero o un Apollonio Rodio, inanella i luoghi come perle sulla collana di parole del poeta – come scrive Bertrand Westphal riguardo alla geografia letteraria delle opere antiche. È il suo sguardo a caricare di senso nuovo ogni angolo di Praga, un senso nuovo dominato dalla sua capacità medianica di incantatore.

Traina, giustamente, sottolinea la pluralità di stili e di registri sottesa alla tessitura del libro: alla melanconia spesso infatti subentra una “felice buffoneria e una «condizione clownesca»”. Né si deve dimenticare che Ripellino è un autore per il quale gioca un ruolo estremamente importante l’immaginario circense legato all’attorialità e alla clownerie, alla dimensione spettacolare in senso positivo. Praga magica – secondo Traina – si configura quindi come “un libro-specchio di straordinaria leggibilità: dove l’estro funambolico di certe pagine e la precisione filologica di altre richiamano strettamente i precedenti risultati della saggistica ripelliniana e le meravigliose poesie delle sue sillogi, agglutinandosi in un’immagine da orafo che è squisitamente praghese e rodolfina”.

Il secondo capitolo, intitolato “Il saggista”, prende in esame due saggi di Ripellino: Il trucco e l’anima, dedicato alla cultura teatrale russa del primo Novecento, e Letteratura come itinerario nel meraviglioso, una raccolta di saggi pervasa da uno straordinario senso di unitarietà. Anche in questi saggi-romanzi (in Ripellino la forma saggio è in continua metamorfosi e si dilata inevitabilmente verso altri lidi narrativi), Traina rileva peculiari tratti stilistici dello studioso e poeta, come l’iperbole lessicale, la ricerca del neologismo e le neoformazioni linguistiche, la predilezione per il “sinonimo anticato, da vocabolario”. Tali peculiarità stilistiche conducono la prosa ripelliniana verso il territorio del “barocco del Novecento”. D’altra parte, in questi saggi si trovano diversi “spiragli stranianti aperti sull’oggi, che possiedono, di volta in volta, una valenza «politica» o morale di stampo benjaminiano che ben appartiene al Ripellino maggiore: al poeta, al saggista, al testimone del tempo che ha vissuto”. L’apertura verso sempre nuovi orizzonti nonché il fastidio per il settorialismo accademico che imbriglia gli studiosi esclusivamente ad una disciplina è espresso nell’Introduzione a Letteratura come itinerario nel meraviglioso dove rivendica l’anti-accademismo del proprio lavoro critico: “Fin dall’inizio la slavistica fu da me concepita come evasione dalla «slavistica» e dalle indagini «specializzate» per pochi savi – come inusitata riserva di tesori poetici e pretesto di comparazioni (Einaudi, Torino, 1968, p. 5). Come chiosa Traina, in queste parole troviamo “la scelta dell’anti-accademismo come contravveleno esistenziale e l’opzione per la slavistica come volano d’una vocazione da comparatista sommo”. Ripellino è stato infatti un “comparatista sommo” che, per poter districarsi nell’intricato (allora sicuramente meno di oggi) mondo accademico, ha dovuto imboccare una via di ‘specializzazione’.

Il capitolo successivo di Primaverile ripelliniano è dedicato al “critico delle arti visive” e viene quindi analizzata la raccolta di saggi dal titolo Il sogno dell’orologiaio, curata da Alfredo Nicastri nel 2003. Anche i saggi di critica d’arte sono pervasi della magia lessicale e stilistica che avvolge le parole del Ripellino critico letterario: un ingrediente “inconfondibile” che, in questo caso, “rivela particolarità retoriche, sintattiche e prosodiche che lo arricchiscono”. Anche da un punto di vista tematico e contenutistico, lo studioso utilizza spesso le opere d’arte analizzate come uno specchio nel quale rivedere ciò che gli sta più a cuore come, ad esempio, nel caso di Paul Klee: “Nelle opere di Klee Ripellino ritrovava uno specchio delle proprie predilezioni: la presenza dell’opera buffa, della clownerie, del teatro, anche di marionette”. Un articolo dedicato a Chagall, invece, ripropone un andamento diaristico ed autobiografico caro allo studioso. Qui, Ripellino passa con straordinaria disinvoltura dal ‘fuori’ al ‘dentro’ di un quadro del pittore russo: come scrive Traina, “la descrizione della folla che s’assiepa alla mostra trapassa analogicamente nell’ecfrasi della folla che popola i dipinti di Chagall”. Ripellino critico d’arte – pensando che l’arte sia inscindibile dalla letteratura – diviene poi anche poeta e inserisce nei suoi excursus critici delle poesie dedicate ai suoi amici artisti Dorazio e Perilli.

A chiudere il saggio di Giuseppe Traina incontriamo un capitolo dal titolo “Il reporter”, dedicato agli articoli raccolti prima in I fatti di Praga e poi in L’ora di Praga, nei quali è possibili incontrare di nuovo lo stile inconfondibile del Ripellino “saggista-poeta e poeta tout court”. Ripellino, qui, seguendo l’urgenza dei fatti praghesi da raccontare nei mesi del 1968, adotta la forma del reportage: rapida, disinvolta, dominata più dai fatti che dalle parole. Sono articoli redatti per “L’Espresso” nei mesi precedenti e immediatamente successivi l’agosto 1968, quando giunsero a Praga i carri armati sovietici. La rabbia e il dolore, negli articoli successivi all’agosto – come scrive Traina – sembrano stemperarsi “in un sentimento più tipico di Ripellino, in una malinconia struggente di cui sente, sia pure a distanza, il riverbero nell’azione residua dei suoi amici praghesi, almeno di quelli che sono rimasti, che non sono riparati in esilio”.

Dulcis in fundo, Primaverile ripelliniano è arricchito da una postfazione di Luigi Weber dal titolo “Necessità di Ripellino”, in cui lo studioso ribadisce la necessità, oggi, di un saggio critico su Ripellino prosatore; un vuoto ben riempito, appunto, dal volume di Traina. Weber sottolinea poi l’importanza ancora maggiore di questo studio poiché va a colmare anche il vuoto dato dalla mancanza di studi critici sulla saggistica e, nella fattispecie, sulla grande saggistica italiana contemporanea. Allora, a fianco di Ripellino possiamo ricordare, fra gli altri, Giuseppe Antonio Borgese, Mario Praz, Giacomo Debenedetti, Cristina Campo, Piero Camporesi, Carlo Ginzburg, dei quali viene tracciato un quadro delle opere più significative. Perché la critica “è l’esercizio più prossimo alla fantasia” e si trova nella libertà straordinaria di penetrare il reale e consegnarlo alla complessità. La critica e la saggistica letteraria, cinematografica, teatrale, artistica dischiudono mondi e immaginari liberati e ciò vale soprattutto per Angelo Maria Ripellino, che scriveva una pagina critica nello stesso modo in cui scriveva una poesia o un racconto. Perché la critica dovrebbe essere sempre creatività, arte, libero immaginario e meno che mai mero esercizio accademico.

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Julien Green, Vertigine https://www.carmillaonline.com/2017/04/23/julien-green-vertigine/ Sat, 22 Apr 2017 22:01:00 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37803 di Gioacchino Toni

green_vertigine_coverJulien Green, Vertigine, a cura di Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia, Nutrimenti, Roma, 2017, pp. 232, € 17,00

Julien Green (1900-1998), nato a Parigi da famiglia americana, è autore di racconti, drammi, saggi, romanzi. Fra i suoi romanzi più celebri, anche in Italia, ricordiamo Mont-Cinère (1926), Adrienne Mesurat (1927), Leviatan (1929; tradotto nel 1946 da Vittorio Sereni), Il visionario (1934), Varuna, (1940; uscito in Italia nel 1953 nella traduzione di Camillo Sbarbaro), Moira (1950). Di grande interesse la sua opera autobiografica, suddivisa in diversi volets, e la sterminata produzione [...]]]> di Gioacchino Toni

green_vertigine_coverJulien Green, Vertigine, a cura di Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia, Nutrimenti, Roma, 2017, pp. 232, € 17,00

Julien Green (1900-1998), nato a Parigi da famiglia americana, è autore di racconti, drammi, saggi, romanzi. Fra i suoi romanzi più celebri, anche in Italia, ricordiamo Mont-Cinère (1926), Adrienne Mesurat (1927), Leviatan (1929; tradotto nel 1946 da Vittorio Sereni), Il visionario (1934), Varuna, (1940; uscito in Italia nel 1953 nella traduzione di Camillo Sbarbaro), Moira (1950). Di grande interesse la sua opera autobiografica, suddivisa in diversi volets, e la sterminata produzione diaristica, che occupa ben sedici volumi.

Nel 2015 l’editore Andrea Palombi (Nutrimenti) e Filippo Tuena (all’epoca direttore della collana “Tusitala”) hanno affidato a Giuseppe Girimonti Greco la curatela della raccolta Viaggiatore in terra (il cui titolo deriva da quello del primo racconto, già uscito nel 1959 nella “Biblioteca delle Silerchie” del Saggiatore, nella traduzione di Leonardo Sinisgalli e con un’importante nota di Giacomo Debenedetti); per tradurre questi cinque racconti – tutti scritti o concepiti quando Green era poco più che ventenne, ma che presentano una certa varietà di tono e atmosfera: dalla ghost story al bozzetto naturalistico-melodrammatico – si è scelto di far dialogare due traduttori letterari ‘puri’ (il curatore e Francesca Scala) e due scrittori-traduttori (Ezio Sinigaglia e Filippo Tuena). In appendice figurano cinque ampie note ai testi firmate dai singoli traduttori.

Se questa prima esperienza di traduzione a più mani aveva offerto al lettore italiano la possibilità di apprezzare ben tre racconti ancora inediti nel nostro paese – Le chiavi della morte, Maggie Moonshine, Leviatano o L’inutile traversata (da non confondersi con il romanzo) –, interamente inedita in Italia è la raccolta di venti racconti Vertigine (titolo originale: Histoires de vertige), uscita, sempre per Nutrimenti, nel marzo di quest’anno. L’équipe di traduttori si è arricchita per l’occasione di una quinta voce, quella di Lorenza Di Lella, che si è fatta interprete dei testi più apertamente fantastico-meravigliosi della silloge. I testi di Vertigine appartengono a diverse stagioni (si va dagli anni Venti alla metà degli anni Cinquanta), il che spiega, anche qui, la varietà di toni e atmosfere; è tuttavia possibile individuare due filoni principali, all’interno della raccolta, che rimandano a due numerose famiglie di personaggi, peraltro tipicamente greeniani: i bambini tiranneggiati dagli adulti e le donne sole.

[I due curatori – Girimonti Greco e Sinigaglia – firmano una Nota ai testi che dà conto, in una serie di brevi paragrafi, dei temi, dei motivi ricorrenti, degli stilemi e delle personali ossessioni di Green, molte delle quali di matrice autobiografica. Presentiamo qui di seguito il paragrafo relativo alla Bella provinciale, preceduto da un breve estratto del racconto – Ringraziamo l’editore per la gentile concessione – ght]


La bella provinciale [estratto]

[…]

Attraversò il cortile come in sogno e sospinse una porta dai vetri multicolori. Sulle scale l’aspettava l’odore umido e austero che ben conosceva, un odore di convento sotto il quale trapelava il profumo ingenuo del vaso di garofani che stava sul davanzale di una finestra. Stéphanie si chiedeva talvolta se non fosse per via di quelle scale che veniva a trovare Marcelline, o di quel cortile che pure le metteva voglia di morire. Ma oggi veniva a trovare Marcelline per lei stessa, perché aveva qualcosa da dirle e qualcosa da ascoltare da lei. Ma che cosa, dunque? Stéphanie avrebbe preferito non darsi una risposta: si affidava all’ispirazione, avrebbe deciso sul momento… ma salendo i lunghi gradini che si dispiegavano come un ventaglio aperto a metà si figurò la noia delle frasi che sarebbe stato necessario scambiarsi. Rimpianse allora di non potersi attardare per le scale, sedersi su un gradino e andarsene dopo aver continuato a fantasticare ancora un po’; ma Marcelline ormai l’aspettava e non avrebbe capito, e c’era inoltre quella strana angoscia la cui morsa già si allentava un poco a così breve distanza dalla persona irrequieta e positiva che, a dieci metri da lei, dietro un paio di pareti e di porte, stava disponendo in un piatto i biscotti da offrirle, e progettando nel frattempo le sue astute domande.

[…]

Oltrepassarono insieme le tenebre di un ingresso dove si inciampava in pile di scatoloni e si trovarono quindi al centro di una stanza le cui finestre oscurate da tende di tulle giallo lasciavano filtrare una luce incerta. Nell’angolo più oscuro un divano di reps nascondeva come vergognandosene le sue forme di dubbio gusto, affiancato a destra da un tavolo con i piedi a zampa di rospo e a sinistra da una bassa poltrona, che una mente calcolatrice aveva piazzato là come opere di fortificazione. Si disegnava così una specie di rettangolo, in un intento che Marcelline credeva segreto ma la cui evidenza saltava agli occhi anche dei più ingenui.


La bella provinciale [Nota al testo]

Julien_Green_1929_Come di consueto, alla fine di questo racconto rimane al lettore una curiosità insoddisfatta, una domanda formulata fin dalla prima pagina e cui nessuno ha dato risposta: perché è in lutto, in lutto stretto, Stéphanie? Tuttavia si deve riconoscere che non ha nessuna importanza saperlo. Quel che conta è che la narrazione colga “la bella rossa” a una svolta decisiva della sua vita. Che abbia perso prematuramente il marito o che sia in lutto, com’è assai più probabile, per la morte del padre, Stéphanie si trova ad avere più libertà di quanta ne avesse prima. A differenza di quello stuolo di donne abbandonate alla loro solitudine che costituiscono forse la popolazione di personaggi più numerosa di Vertigine, Stéphanie è ancora padrona del proprio destino. La chiave del racconto sembra situarsi in quell’immagine di sofferenza che il finestrino del taxi, come uno specchio di fortuna, le rimanda all’improvviso. È in quel momento che Stéphanie capisce l’importanza della sua scelta di andare a trovare Marcelline, la sola persona con cui possa parlare, la sola a cui possa rivelare il nome dell’uomo che è entrato da poco nella sua vita (e il fatto che si chiami Fabien, come il ragazzo dalla “bellezza pagana” spiato nella sua stanza dal cuginetto innamorato molte pagine prima, può risultare – a seconda delle sensibilità – più spiegabile o più inquietante se si pensa che i due racconti sono stati scritti a una sola settimana di distanza l’uno dall’altro: il 22 settembre 1944 quello, il 29 questo). Così Stéphanie va da Marcelline a chiedere consiglio, e ci va come andrebbe da uno psicanalista: attraversa un cortile gonfio di ricordi, sale rampe di scale dagli odori ben noti, sente placarsi l’angoscia al semplice pensiero delle “astute domande” che le saranno rivolte e, nello stesso tempo, è insofferente dei noiosi preliminari che l’aspettano. Poi, entrata in casa, viene accompagnata al “quadrilatero”, protetto da adeguate “opere di fortificazione”, all’interno del quale Marcelline esercita le sue “doti strategiche” (pp. 190-191). In un curioso ma efficace capovolgimento, se non dei ruoli, delle posizioni relative, la paziente Stéphanie siede in poltrona mentre l’analista Marcelline si allunga “come una nuotatrice nelle profondità del divano”, che ben rappresentano quelle dell’inconscio altrui. I toni insolitamente umoristici della seconda parte del racconto e soprattutto del finale si direbbero di buon auspicio per il futuro della bella provinciale.


Julien Green, Vertigine – Traduzione di Lorenza Di Lella, Giuseppe Girimonti Greco, Francesca Scala, Ezio Sinigaglia, Filippo Tuena

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