gasdotti – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Estrattivismo pandemico/4 https://www.carmillaonline.com/2020/09/29/estrattivismo-pandemico-4/ Tue, 29 Sep 2020 06:00:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62931 di Alexik

[A questo link il capitolo precedente.]

Come da manuale, la recessione che viene – la peggiore, secondo l’OCSE, dal dopoguerra – sta imprimendo un nuovo impulso all’aggressione del profitto contro i territori. L’illusione che la crisi pandemica potesse portare ad un ripensamento sull’assurdità di questo modello di sviluppo si è dissolta molto in fretta, a fronte della capacità del capitale (infinitamente maggiore della nostra) di trasformare le crisi in opportunità. Sul piano normativo le conseguenze di tale aggressione si traducono in forma di deroghe alle tutele ambientali, [...]]]> di Alexik

[A questo link il capitolo precedente.]

Come da manuale, la recessione che viene – la peggiore, secondo l’OCSE, dal dopoguerra – sta imprimendo un nuovo impulso all’aggressione del profitto contro i territori.
L’illusione che la crisi pandemica potesse portare ad un ripensamento sull’assurdità di questo modello di sviluppo si è dissolta molto in fretta, a fronte della capacità del capitale (infinitamente maggiore della nostra) di trasformare le crisi in opportunità.
Sul piano normativo le conseguenze di tale aggressione si traducono in forma di deroghe alle tutele ambientali, provvedimenti a sostegno delle attività estrattive o dell’agroindustria, deregulations degli appalti per le grandi opere, rilancio del finanziamento pubblico di infrastrutture devastanti.

È una tendenza generale e molto chiara che ha preso corpo, seguendo modalità differenti, dall’Australia alle Americhe, dall’Indonesia al Belpaese.
Iniziamo dunque questo excursus  sulle ultime controriforme a partire dalle deregulations di casa nostra, che verranno trattate un po’ più nel dettaglio, visto che ci riguardano da vicino.
Mi scuso in anticipo con i lettori e le lettrici se il linguaggio risulterà a volte tecnico e poco leggero, invitandol* ugualmente a soffermarsi a meditare sui punti che verranno fra poco elencati, perché ognuno di essi è illuminante.

Il 14 settembre è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la conversione in legge del Decreto Semplificazioni1, che “al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19” stabilisce alcune cosette, del tipo:

– che gli affidamenti di appalti pubblici di lavori fino alla soglia di rilevanza comunitaria (5.350.000 ) che abbiano iniziato il procedimento entro la fine del 2021 possano svolgersi senza gara2.

– che “gli interventi infrastrutturali caratterizzati da un elevato grado di complessità … o che comportano un rilevante impatto sul tessuto socio – economico” possano essere affidati alla gestione commissariale anche al di fuori dei casi di straordinaria necessità  ed   urgenza.

– che fino alla fine del 2023 per le grandi opere infrastrutturali si possa derogare alle procedure del dibattito pubblico, previste dal Codice dei contratti pubblici alla voce “Trasparenza”3, con tanti saluti ad ogni residuo simulacro di “democrazia partecipativa”.

– che le sentenze definitive del TAR che bloccano un’opera per vizi emersi negli atti autorizzativi o nella valutazione di impatto ambientale, possano essere bypassate.

–  che i gasdotti godano di procedimenti autorizzativi semplificati, con buona pace dei proclami sulla lotta ai cambiamenti climatici.

– che le procedure semplificate valgano anche per l’esplorazione e lo stoccaggio geologico di biossido di carbonio, esentando – fra l’altro – dalla valutazione ambientale gli stoccaggi di CO2 fino a 100.000 tonnellate.

– che per le opere realizzate in variante dei piani portuali e aeroportuali non sia più obbligatoria la Valutazione Ambientale Strategica (VAS)

– che i Comuni non possano introdurre limitazioni generalizzate (se non intorno a siti sensibili) alla proliferazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche, o incidere sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. Previsione chiaramente rivolta a bloccare il moltiplicarsi di ordinanze comunali contro l’installazione del 5G, e che impedisce l’adozione da parte degli enti locali di una maggior tutela da tutte le forme di inquinamento elettromagnetico.

Questa panoramica, non esaustiva, sui punti salienti del provvedimento avrebbe  potuto essere ancora peggiore, se 170 gruppi e associazioni non ne avessero denunciato il contenuto in tempo utile, riuscendo a bloccare ulteriori nefandezze previste nella prima stesura4.
Ma anche così emendato il decreto, che ora è legge è, nel suo genere, un “capolavoro”.
Con un solo provvedimento il governo giallo rosa è riuscito infatti ad ampliare a dismisura la discrezionalità nella scelta del contraente negli appalti pubblici, e con essa le potenzialità per le assegnazioni di tipo nepotistico/politico/mafioso/clientelare, depotenziando al contempo le responsabilità degli amministratori per abuso d’ufficio e danno erariale.
È  riuscito a trasformare le procedure emergenziali in regole per la gestione ordinaria degli appalti, prevedendo per le grandi opere – a partire dalle prime 40 elencate nel piano #italiaveloce – il controllo verticistico di commissari di nomina governativa, legittimati ad operare in deroga alle leggi in materia di contratti pubblici.
È  riuscito a ridurre ulteriormente i già risicati spazi per il controllo delle opere da parte della cd società civile, nonché le possibilità di opposizione tramite i ricorsi ai tribunali amministrativi, la costruzione di “barricate di carta”.
Ha esteso il “modello Genova” dal ponte sul Polcevera a tutte le grandi opere, esempio di come un crimine del profitto contro una popolazione e un territorio possa essere chiamato a pretesto per colpire altre popolazioni e altri territori, che subiranno le colate di cemento, le devastazioni ambientali, l’esautoramento dalla decisionalità sui propri luoghi di vita.

Il decreto semplificazioni può essere considerato un manifesto su ciò che il governo Conte bis, ma soprattutto i soggetti economici che decidono le politiche energetiche e industriali di questo paese, intendano per “transizione energetica” e “green new deal”.
Le disposizioni del decreto che riguardano le infrastrutture energetiche vanno nella direzione esattamente contraria a quella di una via d’uscita dall’economia fossile.
Questo nonostante l’enfasi con cui ministri e governatori insistono, da qualche tempo, sulla “decarbonizzazione”, che nelle loro intenzioni si riferisce però – sulla base di una traduzione dall’inglese volutamente distorta – all’uscita dal carbone, mentre il significato del termine “decarbonization” indica invece l’uscita dal carbonio, cioè da tutti i combustibili fossili, metano compreso.
L’operazione, che gioca volutamente su questa ambiguità, è quella di far passare la “transizione energetica” come  transizione dal carbone al metano, sia nella conduzione delle centrali termoelettriche (a partire da Cerano) che per i grandi impianti industriali, omettendo il fatto che il metano incombusto  genera un riscaldamento dell’atmosfera 80 volte superiore a quello della CO2 (calcolato sui 20 anni), e la sua estrazione e trasporto comportano ogni anno perdite fisiologiche in atmosfera di centinaia di milioni di metri cubi di gas fortemente climalterante.

Un altro tassello del “green new fossil deal” prossimo venturo consiste nello sviluppo degli stoccaggi di CO2 nel sottosuolo.
Un’operazione la cui logica, ancora una volta, non  è finalizzata alla sostituzione delle fonti fossili, ma a prolungarne ulteriormente l’uso, nascondendo sotto il tappeto i prodotti della loro combustione.
Il decreto semplificazioni ha considerato idonei allo stoccaggio i giacimenti esauriti di idrocarburi situati a mare, una previsione che sembra costruita attorno all’ENI e al suo progetto di apertura, nei pozzi esausti al largo di Ravenna, del più grande hub del mondo per lo stoccaggio di anidride carbonica, che prevede l’iniezione sotto i fondali di una quantità di CO2 compresa tra 300 e 500 milioni di tonnellate. Il tutto in zona sismica e soggetta a forte subsidenza.
In sintesi, le compagnie petrolifere che hanno contribuito (e continuano) a determinare il disastro climatico, si apprestano a trarre nuovo profitto  da nuove infrastrutture “green” ad alto impatto ambientale. (Continua)


  1. Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.», Legge di conversione n. 120 dell’11 settembre 2020 (GU n.228 del 14-9-2020 – Suppl. Ordinario n. 33). 

  2. E’ possibile ricorrere all’affidamento diretto – cioè alla scelta puramente discrezionale – per gli appalti fino a 150.000 (prima la soglia era di 40.000 ), oppure  alla procedura negoziata per gli altri. La procedura negoziata prevede che la stazione appaltante inviti, senza bando pubblico, un certo numero di operatori economici a sua scelta fra cui selezionare il contraente. La disposizione vale anche per gli appalti pubblici di servizi e di forniture le cui soglie di rilevanza comunitaria son un po’ più variegate (vedere qui). La materia è stata già oggetto di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia nel 2003, per violazione della Direttiva 2004/18/CE che prevede la possibilità di evitare un bando di gara in ipotesi molto limitate 

  3. D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 22 e D.P.C.M. 76/2018 

  4. AAVV, “Decreto semplificazioni, così sono devastazioni” . Attacco a bonifiche, acqua, partecipazione dei cittadini, valutazione di impatto ambientale e clima, 27 luglio 2020, pp. 27. 

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Estrattivismo pandemico https://www.carmillaonline.com/2020/07/09/estrattivismo-pandemico/ Thu, 09 Jul 2020 07:00:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=61231 di Alexik

Ci avevamo sperato, dal chiuso delle nostre case, osservando sorpresi l’aria della pianura padana tornare trasparente, la biodiversità riapparire e la fauna selvatica avventurarsi, timida, attraverso il cemento degli spazi urbani. Toccavamo con mano, durante il lockdown,  la dimostrazione di come sarebbe bastato fermare questo sistema di produzione, questo modello di mobilità, questo consumo insensato di roba inutile, perché la natura cominciasse a riprendersi ciò che è suo. Avevamo sperato che fosse diventata chiara a tutti la possibilità concreta di un cambiamento radicale, ma sapevamo, in cuor nostro, che avevamo [...]]]> di Alexik

Ci avevamo sperato, dal chiuso delle nostre case, osservando sorpresi l’aria della pianura padana tornare trasparente, la biodiversità riapparire e la fauna selvatica avventurarsi, timida, attraverso il cemento degli spazi urbani.
Toccavamo con mano, durante il lockdown,  la dimostrazione di come sarebbe bastato fermare questo sistema di produzione, questo modello di mobilità, questo consumo insensato di roba inutile, perché la natura cominciasse a riprendersi ciò che è suo.
Avevamo sperato che fosse diventata chiara a tutti la possibilità concreta di un cambiamento radicale, ma sapevamo, in cuor nostro, che avevamo vissuto solo una fragile tregua nell’aggressione del capitale agli ecosistemi e ai territori, un rallentamento che precede la rincorsa.
Ed anche che come tregua aveva fin troppe eccezioni.

Segnali provenienti da tutto il mondo ci avvertivano che gran parte delle attività di maggiore impatto sull’ambiente e sulle comunità non solo stavano proseguendo ‘as usual’, ma approfittavano della pandemia per espandersi e riorganizzarsi.
Segnali che andavano tutti nella stessa direzione, delineando una dimensione mondiale del fenomeno, con una serie di caratteristiche ricorrenti, come  – per esempio – l’inclusione sistematica nell’elenco dei ‘servizi essenziali’ di attività ad altissimo impatto ambientale e sociale.

Molti settori impattanti non hanno conosciuto fasi di arresto, ed hanno continuato ad operare anche quando si sono trasformati in fulcri di contagio, trasmettendolo  alle comunità dei territori dove operavano.
Il lockdown non li ha colpiti, ma piuttosto li ha sottratti al controllo delle popolazioni e dei militanti, costretti in casa e privati della libertà di  movimento, e sempre più soggetti ad aggressioni favorite dal coprifuoco: violenze poliziesche, arresti arbitrari e, soprattutto in America Latina, esecuzioni extragiudiziali.
In generale la militarizzazione dei territori, dispiegata in tutto il mondo con il pretesto della pandemia, è stata un poderoso deterrente per le proteste sociali e ambientali, facendo da copertura per la violenza selettiva contro gli attivisti, dispensando cariche e sgomberi su presidi e manifestazioni.
Una violenza che non potrà che intensificarsi, perché ciò che si prepara per il futuro è un ulteriore salto di qualità nello sfruttamento della Natura, che ci verrà venduto come l’unica scelta possibile per ‘riattivare l’economia’ di fronte alla recessione mondiale che viene.

La devastazione ambientale è … un “servizio essenziale”?

Una molteplicità di governi ha esentato dal blocco della produzione per l’emergenza Covid le imprese estrattive, minerarie e petrolifere, la costruzione di grandi opere e di infrastrutture per il trasporto degli idrocarburi o per la produzione di energia, sebbene non abbiano nulla a che fare con il soddisfacimento dei bisogni immediati delle popolazioni colpite dalla pandemia.

In Italia è stata inserita fra i ‘servizi essenziali’ la costruzione del  gasdotto TAP/Snam, grazie alla libera interpretazione del dettato del DPCM del 22 marzo, che dava il via libera al proseguo delle attività di trasporto e distribuzione del gas.
Una misura che, a buon senso, si riferiva alle reti distributive già esistenti e funzionanti, ma che con una evidente forzatura è stata estesa anche ai cantieri in corso d’opera.
Sulla “essenzialità” di un nuovo gasdotto, va detto che nel solo mese di aprile 2020 i consumi di gas in Italia sono calati di oltre il 23%,  circa 1,3 miliardi di metri cubi in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, seguendo un forte trend negativo  già visibile dal novembre scorso.
Comunque,  in piena pandemia, i lavori di avanzamento nelle province di Lecce e di Brindisi sono continuati a pieno ritmo, spiantando altri uliveti, aprendo voragini, attingendo dal sottosuolo enormi quantità di acqua, inquinando le falde, e tuttora continuano in spregio ad ogni normativa visto che il 20 maggio scorso al TAP è scaduta anche l’Autorizzazione Unica.

Torchiarolo (BR), ex uliveto, ora cantiere SNAM.

Il cantiere è andato avanti nonostante fosse stata  messa in quarantena una delle navi utilizzate da TAP per l’analisi dei fondali, è proseguito nonostante l’infortunio mortale di un giovane operaio, e nonostante la richiesta di sospensione per motivi di sicurezza da parte di sette sindaci salentini, motivata dall’avvicendarsi nei turni di centinaia di lavoratori, le cui condizioni sono state così descritte da un operaio ai microfoni RAI:

Quelli della sicurezza hanno le mascherine a norma, noi lavoriamo con la carta igienica e il rischio di contagio è altissimo: in uno spogliatoio siamo 10-15 operai e non abbiamo nemmeno i 20 centimetri di distanza uno con l’altro”.

Dello stesso tenore la denuncia di due deputate del gruppo misto:

Guanti e mascherine non a norma indossate anche per due tre giorni, operai che arrivano settimanalmente dal Nord, spogliatoi con 20 persone senza protezioni, distanze di sicurezza non rispettate, controlli farsa della Asl, che avvisa preventivamente i dirigenti sul giorno dei controlli, così da renderli perfettamente a norma”.

Uscendo dal Belpaese e attraversando l’oceano, una simile declinazione del concetto di ‘servizio essenziale’ la ritroviamo  in Messico, dove il governo progressista presieduto da Andrés Manuel López Obrador ha ritenuto – nel paese latinoamericano con il più alto numero di morti di Covid (più di 25mila) dopo il Brasile – che la priorità nazionale fosse quella di autorizzare a colpi di decreto l’inizio dei lavori per la costruzione del  ‘Tren Maya’.
Si tratta di una linea ferroviaria ad alta velocità lunga circa 1.500 kilometri che dovrebbe avere lo scopo di far scorazzare i turisti attraverso cinque Stati messicani, da Palenque a Cancun, con prezzi prevedibilmente al di fuori della portata della maggior parte degli abitanti dello Yucatan.

L’operazione è ad altissimo impatto ambientale e sociale in termini di esproprio di terre, espulsione e delocalizzazione delle comunità (prevalentemente indigene), deforestazione, prosciugamento delle sorgenti, distruzione di  habitat ed ecosistemi, interruzione e sbarramento dei percorsi degli animali selvatici e dei collegamenti fra i villaggi.
Il tracciato della linea ferroviaria vorrebbe impattare su 709 siti archeologici,  attraversando 15 aree naturali protette, fra cui la Reserva de la Biosfera de Calakmul (Campeche), riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio mondiale dell’umanità, dove vive l’80% delle specie vegetali dello Yucatan. Assieme alla Reserva de Sian Ka´an (Quintana Roo), anch’essa minacciata dal Tren Maya, ospita centinaia di specie animali.1

Tutto questo viene messo a rischio da un’infrastruttura enorme, che sarà finanziata per il 90% da capitali privati (in buona parte internazionali), costruita ad uso e consumo degli interessi degli appaltatori e dei settori immobiliare, turistico (resort, grandi catene alberghiere), agroindustriale ed energetico.
Un’infrastruttura che promette devastazioni maggiori, perché è solo un tassello di un progetto di interconnessione  più vasto della stessa penisola, e che comprende aeroporti, autostrade, assieme a nuovi gasdotti, raffinerie ed alla costituzione di Zone economiche speciali, aree deregolamentate e defiscalizzate dove è massimo l’arbitrio contro i lavoratori e la natura.

Sulla popolarità di una simile opera, probabilmente lo stesso López Obrador nutriva qualche dubbio, tanto da volerne affidare la realizzazione di ampi tratti direttamente all’esercito.
Infatti il progetto ha incontrato una fiera opposizione popolare, con in prima fila l’EZLN e i movimenti indigeni, anticapitalisti e antipatriarcali, che per ora hanno segnato un punto a favore: qualche giorno fa un tribunale ha accolto la richiesta del popolo Maya Chol, determinando la sospensione definitiva di «qualunque opera che non sia di puro mantenimento delle vie già esistenti», per l’intero periodo di emergenza sanitaria.

Il Tren Maya è rimasto temporaneamente in sospeso, ma il Messico presenta altri fronti aperti.
Il Governo infatti è tornato alla carica con il Corridoio Transistmico, un mega progetto di trasporto merci intermodale che dovrebbe collegare il Golfo del Messico all’Oceano Pacifico attraverso l’istmo di Tehuantepec.
Si tratta di un sistema interamente finalizzato all’integrazione e allo scambio sul mercato mondiale, che attraverserà gli stati di Oaxaca e Veracruz.
Il corridoio, che prevede una linea ferroviaria AV, strade, porti, la costruzione di un gasdotto,  l’ampliamento della raffineria di Minatitlan, lo sviluppo di 10 nuove aree industriali e l’istituzione di una ‘Zona franca’, oggi viene sbandierato dal ministero dello sviluppo economico messicano come la via per uscire dalla crisi causata dal Covid-19.

Ma i militanti delle comunità sanno bene che il corridoio non è la via d’uscita, ma la crisi:

Le persone vedranno e saranno colpite da tutti i problemi e dai rischi che una strada ad alta velocità genera, con l’interruzione del traffico di persone e animali. Le strade bloccheranno i sentieri naturali.
Tutta l’infrastruttura che deve essere costruita attorno a una ferrovia prenderà il controllo della terra delle persone, rovinerà la loro vita naturale e li impoverirà di più. Approfondirà la disuguaglianza economica nell’area. Pochi, pochissimi, ne trarranno beneficio, e la stragrande maggioranza, ancora una volta, vedrà deprezzare il valore della propria attività e della propria terra, che servirà solo da piattaforma di passaggio
”.

Così come le comunità Zapotecos e Ikoots, riunite nella Asamblea de Pueblos de Istmo en Defensa de la Tierra, sanno che il megaprogetto, la cui costruzione verrà presidiata dalla Guardia Nazionale per garantire la serenità degli imprenditori, “porterà una nuova ondata di violenza, repressione, saccheggio, spoliazione, militarizzazione e guerra per i beni naturali”.
E le comunità Ikoots conoscono la violenza: l’hanno appena subita a San Mateo del Mar (Oaxaca), che dista solo 30 km da Salina Cruz, uno dei terminali del corridoio.

Un’epidemia di violenza

Il 21 giugno scorso, militanti dell’Unione delle Agenzie e delle Comunità Indigene Ikoots, mentre si avviavano a una riunione, si sono fermati presso ciò che sembrava un posto di blocco sanitario per il Covid-19, e invece era un’imboscata. Attaccati con armi da fuoco per ore da un gruppo armato legato ad un politico locale, in 15 sono stati assassinati, anche dopo esser stati torturati, lapidati, bruciati vivi. Molti sono rimasti feriti.
La comunità  ikoots ha una lunga storia di lotte e di opposizione ai grandi parchi eolici, lotte che hanno intralciato anni fa molti interessi speculativi nella regione.
Ma negli ultimi tempi, le aggressioni contro gli ikoots sono aumentate nel contesto dell’inizio di lavori per il corridoio, in particolare l’ampliamento dei frangiflutti e delle scogliere del porto di Salina Cruz, ai quali si oppone la maggioranza delle comunità poiché questo implicherebbe l’irreversibile alterazione dell’ecosistema lagunare, sul quale basano la loro vita e la loro cultura ancestrale. (Continua)


  1. Ana Esther Cecena, Josué Vega, Avances de Investigacion, Tren Maya, Observatorio Latinoamericano de Geopolitica, dicembre 2019, pp. 52. 

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Alla canna del gas https://www.carmillaonline.com/2017/11/18/alla-canna-del-gas/ Sat, 18 Nov 2017 06:05:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41703 di Alexik

Domenica scorsa, in piena notte, il paese di Melendugno (LE) è stato messo in stato d’assedio per imporre manu militari la ripresa dei lavori del gasdotto TAP. Un’ordinanza prefettizia ha consegnato per un mese intero l’abitato e le campagne all’arbitrio di un nutrito schieramento  di polizia e carabinieri. Circondata la zona di San Basilio, sede del cantiere della Trans Adriatic Pipeline, sequestrati per 12 ore gli attivisti del presidio di protesta, ostruiti con alte cancellate gli accessi alle campagne circostanti, mentre le camionette sbarravano il transito verso [...]]]> di Alexik

Domenica scorsa, in piena notte, il paese di Melendugno (LE) è stato messo in stato d’assedio per imporre manu militari la ripresa dei lavori del gasdotto TAP.
Un’ordinanza prefettizia ha consegnato per un mese intero l’abitato e le campagne all’arbitrio di un nutrito schieramento  di polizia e carabinieri.
Circondata la zona di San Basilio, sede del cantiere della Trans Adriatic Pipeline, sequestrati per 12 ore gli attivisti del presidio di protesta, ostruiti con alte cancellate gli accessi alle campagne circostanti, mentre le camionette sbarravano il transito verso la marina di San Foca, isolata dal resto del paese.
Impossibile raggiungere il cimitero nel mese dei morti, e gli uliveti carichi di frutti nel momento del raccolto. Posti di blocco ovunque fermavano chi andava al lavoro, i mezzi della nettezza urbana, e perfino lo scuolabus.
Non poteva passare nessuno, tranne i veicoli della multinazionale.

Il pretesto dell’ordinanza faceva riferimento alla ‘possibilità di infiltrazioni anarco-insurrezionaliste’, ma la rappresaglia è stata rivolta contro il paese intero, colpevole di essersi opposto alla grande opera strategica.
Ma strategica per chi?

La Trans Adriatic Pipeline (TAP) è la parte finale del ‘Corridoio Sud’, un gasdotto lungo quasi quattromila chilometri, che parte dal giacimento azero di Shah Deniz 2.
TAP è la prosecuzione della  South Caucasus Pipeline (SCP), il tratto dall’Azerbaigian alla Georgia, e della Trans Anatolian Pipeline (TANAP) – ancora in costruzione – che attraverserà la Turchia fino al confine greco di  Kipoi.
Da Kipoi la pipeline si snoderà lungo 878 chilometri. Toccherà la massima altitudine a 1800 metri tra i rilievi albanesi e la massima profondità a 820 metri sotto il livello del mare.


Se nessuno la ferma, approderà in Salento, a San Foca, rovinando una delle spiagge più belle del litorale e le attività umane (pesca, turismo) che garantiscono il reddito di chi ci vive.
Poi proseguirà a terra spiantando uliveti fino alla centrale di decompressione, circondata da torce inquinanti.
Torce a freddo che produrranno atmosfere esplosive: una bomba piazzata in mezzo ai 27.000 abitanti dei comuni di Melendugno, Vernole, Calimera e Castrì, ed a 800 metri dalle case più vicine.
La TAP avrà il suo termine a Melendugno, ma il gas continuerà la sua corsa, convogliato per  55 km (con l’espianto di altre migliaia di ulivi) fino a Brindisi per confluire nella costruenda Rete Adriatica SNAM.
La Rete Adriatica, che dovrebbe raccogliere anche il metano di altri due gasdotti (il Poseidon e l’Eagle LNG Terminal & Pipeline) risalirà la penisola per 687 km fino a Minerbio (BO), attraversando nel percorso zone altamente sismiche, già interessate dai disastrosi terremoti degli ultimi anni.
Per amplificare l’effetto del prossimo sisma la SNAM ha già previsto la costruzione di una bella centrale di compressione del gas presso Sulmona.
Oltre il nodo di Minerbio, il gas verrà canalizzato verso la Svizzera attraverso Passo Gries e verso l’Austria, a Tarvisio1.
Insomma è un gas da esportazione.

Che l’obiettivo non sia principalmente il mercato italiano è evidente, dato che i consumi nazionali (ben lungi da tornare ai livelli pre-crisi), si aggirano intorno ai 70 miliardi di m3 l’anno, mentre la capacità di importazione attraverso le infrastruttura già esistenti  raggiunge già ora i 140 miliardi di m3 l’anno.
I supporters del progetto sostengono che l’aumento dell’offerta del gas determinerà una diminuzione del prezzo a vantaggio dei consumatori, usando la stessa retorica che aveva accompagnato a suo tempo la costruzione di un’altra infrastruttura “strategica”, il rigassificatore Olt di Livorno.
Realizzato da privati, ma rimasto di fatto inutilizzato, il rigassificatore è stato soccorso da una sorta di assicurazione, finanziata dalle bollette, che copre gran parte dei mancati incassi in caso di inattività: nel 2015 ci è costato 83 milioni di euro.
Proprio un bel ‘vantaggio’ per i consumatori !
Le infrastrutture definite come ‘strategiche’ godono infatti del cd ‘fattore di garanzia’, che comporta che gli eventuali mancati incassi dei privati vengano risarciti attraverso un aumento della bolletta del gas.
Una misura rivendicata dal presidente della ‘Autorità per l’energia e il gas’ Guido Bortoni: “Le infrastrutture strategiche rispondono a un interesse generale: è giusto perciò che il loro costo sia in parte sostenuto anche nelle tariffe”.
Chissà se il fattore di garanzia’ verrà applicato anche a TAP e Rete Adriatica, in nome ‘dell’interesse generale’.
Ma, continuiamo a chiederci, l’interesse generale di chi ?

Dell’Europa che ha bisogno di gas‘, ci dicono.
Le stime di Gazprom e dell’ENI prevedono infatti una domanda europea di gas naturale in forte crescita: dai 478 miliardi di m3 del 2014 ai 632 del 20352.
Ma … l’interesse generale che ci viene sbandierato ad ogni nuova conferenza sul clima, non dovrebbe consistere nell’abbandono dei combustibili fossili per scongiurare l’irreversibilità del riscaldamento globale ?
Con estrema naturalezza, i rappresentanti dei governi delle potenze industriali fingono periodicamente di interessarsi al contrasto dei cambiamenti climatici, proprio mentre rinforzano le politiche energetiche che li determinano.
Non pagheranno loro il prezzo delle inondazioni, della siccità, della desertificazione, dello scioglimento dei ghiacciai, dall’innalzamento degli oceani, dei conflitti e delle migrazioni epocali che tutto questo comporta.

18 maggio 2016: Calenda e Tsipras inaugurano la Trans Adriatic Pipeline a Salonicco.

Dunque, dicevamo: l’Europa avrà bisogno di gas.
E non di un gas qualsiasi, ma di gas indipendente !
E’ infatti ormai una questione prioritaria rompere il giogo della sottomissione energetica nei confronti di Mosca, dimostrando orgoglio e intransigenza nella strategia della fermezza a fianco dell’alleato ucraino!
La preoccupazione in tal senso è così alta che la Germania ha ratificato il raddoppio del North Stream, il gasdotto che già unisce direttamente, attraverso il Baltico, Vyborg, in Russia con Greifswald nella Repubblica Federale.
Il progetto Nord Stream/2, sostenuto da diverse compagnie europee (fra cui l’anglo-olandese Shell, le tedesche Uniper e Wintershall – controllata dalla Basf – la francese Engie e l’austriaca Omv) permetterà alla Germania, all’Olanda, alla Gran Bretagna, alle Repubbliche Ceca e Slovacca, all’Austria e all’Italia di non interrompere gli approvvigionamenti di gas russo qualora Mosca provveda, nel 2019, a chiudere definitivamente a Kiev i rubinetti.

Dettagli come questo inducono il sospetto che tutta questa retorica antirussa in fatto di gas sia solo un’immensa cortina di fuffa.
Fin dall’inizio, la Trans Adriatic Pipeline ci è stata spacciata come una modalità indispensabile di diversificazione delle fonti energetiche che ci avrebbe permesso di alleggerire la dipendenza da Mosca, grazie all’apporto degli immensi giacimenti azeri.
Il fatto è che probabilmente i giacimenti azeri non sono poi così immensi.
Secondo Simon Pirani, Direttore di ricerca dell’Oxford Institute Energy Studies intervistato da Report:
Il Consorzio Tap dichiara che arriveranno 10 miliardi di metri cubi di gas per poi passare a 20. Ma non capisco dove prenderà quest’altra parte di gas. Sappiamo che i giacimenti attuali nel 2023 saranno in declino…. L’Azerbaigian ha da poco chiesto alla Russia di importare del gas per soddisfare i propri bisogni. Se non ne ha per sé, quanto ne avrà da esportare in Europa?“.
Non è dunque impossibile che dal TAP scaturisca l’odiato gas russo, comprato e rivenduto dagli azeri, come del resto non è impossibile che il gas russo arrivi tramite il Turkish Stream, il gasdotto dalla Russia alla Turchia attualmente in costruzione, che si andrà ad intersecare con la TAP all’altezza di Kipoi, sul confine turco/greco.

Pirani continua dicendo: “Se poi vogliamo parlare di prezzo, secondo le nostre stime, sia il gas russo che quello liquido proveniente dagli Stati Uniti costeranno meno del gas che arriverà dall’Azerbaigian“.

In pratica, gran parte degli argomenti utilizzati per farci accettare la costruzione della Trans Adriatic Pipeline non hanno fondamento: dalle necessità del mercato interno, al calmieramento dei prezzi, all’indipendenza da Putin.
Se dunque non è il supremo interesse nazionale a giustificare l’assedio di Melendugno, in difesa di quali interessi prefetto e questore hanno disposto cotanto spiegamento di forze? (Continua)

 

 


  1. Snam Rete Gas, Piano di realizzazione di nuova capacità e di potenziamento della rete di trasporto. Anno Termico 2015/2016, p. 25. 

  2. Demostene Floros, Dal South al Turkish Stream: Ankara gioca la carta russa, in ‘Limes’ n. 5/2015, pp. 136/137. 

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Oltre i limiti dell’Occidente https://www.carmillaonline.com/2017/09/28/oltre-limiti-delloccidente/ Wed, 27 Sep 2017 22:01:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40663 di Sandro Moiso

Peter Frankopan, LE VIE DELLA SETA. Una nuova storia del mondo, Mondadori 2017, pp.725, € 35,00

Per decenni, se non addirittura secoli, le ricostruzioni della storia del mondo trasmesse dalla scuola e dalla ricerca storica occidentale hanno fatto perno sul Mediterraneo e sull’Europa come centro di irradiazione della civiltà e del progresso umano. Facendo grazia giusto al Vicino Oriente e alla Mezzaluna fertile nel ricordare il loro contributo allo sviluppo dell’agricoltura e delle prime società statuali.

In realtà questa ricostruzione, sostanzialmente giudaico-cristiana e greco-romana nelle sue origini, è stata vieppiù rafforzata dalla conquiste imperiali messe in atto [...]]]> di Sandro Moiso

Peter Frankopan, LE VIE DELLA SETA. Una nuova storia del mondo, Mondadori 2017, pp.725, € 35,00

Per decenni, se non addirittura secoli, le ricostruzioni della storia del mondo trasmesse dalla scuola e dalla ricerca storica occidentale hanno fatto perno sul Mediterraneo e sull’Europa come centro di irradiazione della civiltà e del progresso umano. Facendo grazia giusto al Vicino Oriente e alla Mezzaluna fertile nel ricordare il loro contributo allo sviluppo dell’agricoltura e delle prime società statuali.

In realtà questa ricostruzione, sostanzialmente giudaico-cristiana e greco-romana nelle sue origini, è stata vieppiù rafforzata dalla conquiste imperiali messe in atto dalle potenze coloniali attraverso le quali si sono imposti, in patria e all’estero, non solo i principi economici del nascente e del successivo tardo-capitalismo, ma una visione del mondo e dei destini dell’uomo che ha fatto dell’Occidente il centro di irradiazione di civiltà, saggezza, giustizia, libertà e sviluppo economico.

Una visione deformata della storia degli ultimi cinque millenni che è servita sostanzialmente a giustificare il predominio prima europeo e poi statunitense sul mondo intero, di cui il white man burden ha costituito uno dei tanti corollari razzisti ed ipocriti; dimostrando così come le odierne “narrazioni tossiche” abbiano radici piuttosto lontane.

Da qualche tempo, però, l’ascesa di nuove potenze mondiali come la Cina e l’India (solo per citare le due più importanti) ha costretto anche la storiografia occidentale, ed in particolare anglo-sassone, a fare i conti con le nuove realtà emergenti e con le fasulle verità propinate nei corsi scolastici ed universitari per così tanto tempo.

Di questa nuova attenzione per una diversa storia del mondo è testimone il testo di Peter Frankopan, docente di Storia bizantina all’Università di Oxford, senior research fellow al Worcester College e direttore dell’Oxford Centre for Byzantine Research, uscito in lingua originale nel 2015 e pubblicato recentemente in Italia da Mondadori. Attenzione che testimonia in maniera evidente come la storia, e soprattutto la sua interpretazione, sia tutt’altro che immutabile e sia invece piuttosto influenzata dal variare delle condizioni socio-economiche e cultural-politiche che sono alla base della sua produzione.

Come afferma l’autore, citando un testo dell’antropologo Eric Wolf sui popoli senza storia: “La storia della civiltà comunemente e pigramente accettata è una storia in cui «l’antica Grecia generò Roma, Roma generò l’Europa cristiana, l’Europa cristiana generò il Rinascimento, il Rinascimento l’Illuminismo. L’Illuminismo la democrazia politica e la rivoluzione industriale. L’industria, unita alla democrazia, a sua volta ha prodotto gli Stati Uniti, dando corpo ai diritti alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.» Mi resi conto immediatamente che questa era proprio la versione che mi era stata raccontata: il mantra del trionfo politico, culturale e morale dell’Occidente. Ma questo resoconto era fallace; c’erano altri modi di guardare alla storia, modi che non implicavano di guardare al passato dal punto di vista dei vincitori della storia recente.”1

Il Mar Mediterraneo, con il suo significato di centro della Terra, e successivamente gli Oceani avevano finito col divenire il centro non solo dei traffici economici, ma anche dell’interpretazione della storia del mondo, fornendo così alle potenze talassocratiche 2 (Atene, Roma, Spagna, Olanda , Gran Bretagna e Stati Uniti) una giustificazione e un ruolo determinante nello sviluppo non delle, ma della civiltà.

In realtà il cuore del mondo, il Mediterraneo vero, era stato costituito per secoli dalle società e dalle civiltà che si erano sviluppate all’interno dell’enorme massa continentale costituita dal Vicino e Medio Oriente, dalla Russia, dall’altipiano iranico e dai territori desertici e/o montuosi che si estendevano dal Caucaso fino alla Cina e all’India, passando per l’Afghanistan e l’Himalaya.
Un’area emersa enorme che ancora oggi comprende quasi i due terzi della popolazione mondiale.

Ma che già millenni or sono aveva costituito il terreno sul quale si erano formate le prime civiltà urbane, i primi traffici internazionali con i conseguenti scambi non solo di merci e prodotti ma anche culturali e si erano incrociate le filosofie e le interpretazioni cosmologiche destinate a dar vita alle grandi religioni. Non solo monoteistiche.
Fu su questo ponte tra l’Est e l’Ovest che circa 5000 anni fa vennero fondate grandi metropoli, fu qui che le città di Harappa e Moenjo-daro, nella valle dell’Indo, fiorirono come meraviglie del mondo antico, con popolazioni che ammontavano a decine di migliaia di abitanti e strade che si connettevano in un sofisticato sistema fognario che non sarebbe stato uguagliato in Europa per migliaia di anni.3

E mentre oggi uno dei motivi che spingono a riflettere su quale sia stato per millenni il vero centro del mondo può essere una conseguenza della crescita economica cinese che rappresenta attualmente il 17% dell’economia mondiale, va ricordato che anche questa “recente scoperta” è semplicemente il frutto di una rimozione secolare del fatto che almeno fino agli albori del XVIII secolo proprio la Cina avesse costituito l’economia più importante del pianeta, rappresentando da sola, nel XV e XVI secolo, tra il 25 e il 30% dell’intera economia mondiale. Come è sintetizzato nella tabella pubblicata qui di seguito.

E’ chiaro che quell’economia, insieme a tutte le altre che la circondavano e ad essa erano correlate, aveva costituito il fondamento di traffici e aperture di via di terra che sarebbero poi andate sotto il nome di Via o vie della Seta,4 che per secoli avrebbero costituito il maggior canale di collegamento tra Est e Ovest.

La storia di queste vie è tracciata da Frankopan attraverso venticinque intensi e densissimi capitoli, ognuno caratterizzato da un tema centrale indicato nel titolo: La Via delle Fedi, La Via della Rivoluzione, La Via dell’Argento, La Via dell’Oro nero, La Via del Grano, La Via della Guerra e così via, soltanto per citarne alcuni. Sottolineando come “per secoli, prima dell’era moderna, i centri intellettuali di eccellenza a livello mondiale, le Oxford e le Cambridge, le Harvard e le Yale, non si trovavano in Europa o in Occidente, ma a Baghdad e Balkh, a Bukhara e a Samarcanda. C’era una buona ragione perché le culture, le città e i popoli che vivevano lungo le Vie della Seta si sviluppassero e progredissero commerciando e scambiandosi le idee, imparavano e prendevano a prestito gli uni dagli altri, stimolando ulteriori avanzamenti […] Il progresso era essenziale, come sapeva anche troppo bene, più di 2000 anni fa, uno dei sovrani del Regno di Zhao, nella Cina nord-orientale, a un’estremità dell’Asia. «Avere talento nel seguire le strade di ieri» affermava re Wu-ling nel 307 a.C. «non è sufficiente a migliorare il mondo di oggi.»5

Osservando meglio i territori di cui si occupa il libro ci si accorgerà come essi appartengano in gran parte a quello che è stato definito Heartland,6 un concetto geopolitico di grande importanza e che ha visto come corollario quello di un Rimland, costituito dalla fascia marittima e costiera che circonda l’Eurasia, divisa in 3 zone: zona della costa europea; zona del Medio Oriente; zona asiatica.

Affinché una delle tre zone periferiche, quella rappresentata dall’Europa Occidentale, assumesse la rilevanza storica che le è stata successivamente attribuita occorse che , verso la fine del XV secolo, nell’arco di sei anni fossero gettate, a partire dal 1490 e grazie ai viaggi di Cristoforo Colombo e Vasco da Gama, le basi di una radicale rottura del ritmo dei ben consolidati sistemi di scambio precedenti. “D’improvviso, da regione isolata e stagnante, l’Europa occidentale si trasformò nel fulcro di un sistema di comunicazione, trasporto e commercio in costante sviluppo, diventando il nuovo punto mediano tra Oriente e Occidente. L’ascesa dell’Europa scatenò un aspro scontro per il potere e il per il controllo del passato. Mentre i rivali si fronteggiavano, la storia fu riplasmata per dare risalto agli eventi, ai temi e alle idee che potevano essere utilizzati ei conflitti ideologici che divampavano di pari passo con la lotta per accaparrarsi le risorse e conquistare il dominio delle rotte marittime. […] La storia veniva distorta e manipolata per creare una martellante narrazione in cui l’ascesa dell’Occidente risultasse non soltanto naturale e inevitabile, ma la continuazione di ciò che era accaduto in precedenza.7

Questa lettura delle trasformazioni avvenute non solo a livello socio-economico, ma anche a livello di immaginario culturale suggerisce a chi legge anche un’altra osservazione: ossia che mentre sulla terra e sulle vie che occorre seguire per gli spostamenti sulla stessa si sono sempre dovute ricercare strategie destinate a rafforzare i legami tra gruppi, società ed individui affinché possano essere conseguiti risultati positivi e collettivi (l’altra ipotesi sarebbe quella della guerra permanente per modificare gli equilibri, ma questa impedirebbe lo sviluppo degli scambi e il miglioramento dei rapporti tra culture diverse e complementari), sul mare e sugli oceani finirà con l’affermarsi quel principio individualista ed egoistico di cui la guerra di corsa e la pirateria organizzati dagli stati, come già ben sapevano Adam Smith e Daniel De Foe, costituiranno la manifestazione più evidente e, allo stesso tempo insieme al traffico oceanico degli schiavi, la base per la rapina su cui si fonda la prima accumulazione capitalistica.
Proseguendo in tale riflessione si potrebbe, poi, aggiungere che il dominio dell’aria e dei cieli hanno infine portato all’estreme conseguenze tale distacco dai principi umani di condivisione e collaborazione, come i bombardamenti a tappeto sulle popolazioni civili, lontane e invisibili per l’occhio di chi uccide, e l’uso omicida dei droni ben dimostrano ancora e soprattutto oggi.

L’arco di parecchi millenni che il testo di Frankopan ricostruisce giunge fino ai nostri giorni e ai conflitti attuali e non evita di ricordare come la riflessione “storica” che ha dato il via allo studio sull’importanza passata delle vie della seta nasca proprio dalla crisi dell’Occidente e dal suo ruolo di dominio nel mondo. Giungendo a sottolineare come i conflitti attuali, che sconvolgono il pianeta e in particolare molti territori toccati dalle antiche vie, siano dovuti alla necessità di ridefinire chi governerà il futuro e le vie della seta che stanno tornando a tracciarlo.

Al di là infatti dell’autentico ciarpame ideologico che sembra motivare sia le iniziative dello Stato Islamico sia le altrettanto fasulle “guerre per la libertà e la democrazia” promosse dagli Stati Uniti in quell’area a partire dalla prima guerra del Golfo nel 1991, ciò che l’autore sottolinea è che: “Da molti punti di vista, la fine del XX secolo e l’inizio del XXI si sono rivelati disastrosi per gli Stati Uniti e l’Europa, impegnati nella loro fallimentare battaglia per mantenere la loro posizione nei territori di vitale importanza che collegano l’Est con l’Ovest. Ciò che è apparso evidente negli ultimi decenni è la mancanza di prospettiva dell’Occidente rispetto alla storia globale, ovvero rispetto al quadro complessivo, ai temi più vasti e agli schemi più ampi che sono in gioco nella regione. Nelle menti dei pianificatori, dei politici, dei diplomatici e dei generali, i problemi dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Iraq sembrano distinti, separati e soltanto vagamente connessi tra loro.8 Azzardando un paragone, si potrebbe dire che la “cura” occidentale per i problemi della regione riproduce l’approccio medico occidentale per la cura del corpo: curare la malattia oppure la singola parte malata senza preoccuparsi del resto del corpo e delle conseguenze che la cura potrebbe avere sullo stesso o su altre sue parti.

Ma c’è ben di più in gioco, al di là dei maldestri interventi occidentali in Iraq e in Afghanistan, o dei tentativi di esercitare pressioni in Ucraina, in Iran o altrove. Da est a ovest, stanno ancora una volta rinascendo le Vie della Seta […] Sono tutti segnali che indicano che il centro di gravità del mondo si sta spostando, per ritornare nel punto dove è stato per millenni.9
Per potere affermare ciò ci sono ragioni evidenti, al di là dello sviluppo economico cinese: prima di tutto le ricchezze naturali della regione. Per fare un unico e significativo esempio, basti pensare “che le riserve combinate di greggio sotto il mar Caspio ammontano, esse sole, quasi al doppio di quelle di tutti gli Stati Uniti.10

Ma ai giacimenti petroliferi di grandissima rilevanza che si estendono dal Kurdistan al Kazakistan e alla Russia, occorre aggiungere l’enorme bacino carbonifero del Dombass e la presenza diffusa di ingenti quantità di gas naturali, di cui soltanto il Turkmenistan controlla il quarto più grande giacimento del mondo: 20.000 miliardi di metri cubi stimati. Seguono poi i giacimenti auriferi.dell’Uzbekistan e del Kirghizistan, secondi soltanto al bacino del Witwatersrand in Sud Africa. Senza contare e senza stare ad elencare tutte le are ricche di materiali preziosi quali il berillio, il disprosio e tutte le altre “terre rare”, indispensabili per l’industria elettronica moderna, oltre all’uranio e al plutonio.

La terra riveste poi una grande importanza per l’agricoltura, in particolare nella steppa russa caratterizzata da una vasta presenza di chernozem (letteralmente “terra scura”), molto fertile e ricercata, che caratterizza, ad esempio, gran parte del suolo dell’Ucraina.
Le nuove Vie della Seta possono essere costituite anche dagli imponenti gasdotti ed oleodotti per il cui controllo già si combatte più o meno distintamente e che, in alcuni casi, sembrano seguire esattamente i percorsi degli antichi mercanti. Gasdotti ed oleodotti che non convergono più soltanto su un unico centro di sviluppo centrato ad Ovest, ma anche verso la Cina e l’India.

Proprio attraverso di essi “la Cina si garantisce forniture di gas per i prossimi trent’anni, per un valore di 400 miliardi di dollari per l’intera durata del contratto. Questa somma astronomica, da pagare parzialmente in anticipo, offre a Pechino la sicurezza energetica a cui ambisce, oltre che giustificare il costo del nuovo gasdotto stimato in 22 miliardi di dollari, e garantisce a Mosca libertà di manovra e ulteriore forza nei rapporti con vicini e rivali. Non sorprende, quindi, che la Cina sia stato l’unico stato membro del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite a non ammonire la Russia per le azioni intraprese durante la crisi ucraina del 2014; la fredda realtà del commercio reciprocamente vantaggioso è un argomento molto più convincente della politica del rischio calcolato dell’Occidente.11

E poi, naturalmente, vengono i trasporti. “La rete dei trasporti, proprio come quella dei gasdotti, si è spaventosamente estesa negli ultimi tre decenni. Importanti investimenti nelle ferrovie transcontinentali hanno già aperto linee per il traffico merci lungo gli 11.000 chilometri della ferrovia Yuxinou, che collega la Cina con un grande centro di distribuzione nei pressi di Duisburg, in Germania […] Treni lunghi quasi un chilometro hanno cominciato a trasportare milioni di computer portatili, scarpe, vestiti e altre merci non deperibili in una direzione, ed elettronica, pezzi di ricambio ed apparecchiature mediche nell’altra, in un viaggio che dura sedici giorni, molto più veloce della rotta marittima dai porti cinesi sul Pacifico.12 Per questo motivo, oltre che per un minor costo del lavoro nelle sue province occidentali, la Cina ha iniziato a spostare importanti aziende in prossimità di quella che un tempo costituiva “la Porta di Zungaria, l’antica porta di ingresso all’Ovest del paese, dalla quale passano oggi i treni moderni.13

Fermiamoci un attimo e comprenderemo perché questo testo, così affascinante nella sua descrizione del passato, è così utile per la comprensione del presente. Anche per chi si vuole opporre al modo di produzione attuale e ai suoi principi, poiché il centro del mondo si sta spostando e il parto non sarà facile.
L’heartland sta trionfando sulle passate potenze marittime e lo dimostra anche il fatto che le merci possano oggi spostarsi più velocemente al suolo che non sui mari, così come è stato invece negli ultimi cinque secoli. Forse questo può aiutarci a comprendere anche l’attuale crisi delle grandi compagnie dedite ai trasporti marittimi di cui si è parlato recentemente anche su Carmilla.14

Così come il fatto che dalla Germania la ferrovia, di cui si è parlato sopra, proseguirà per la Francia e Parigi, senza dover superare barriere montagnose, ci spiega l’attuale indifferenza francese nel progetto dell’alta velocità in Val di Susa e del suo mefitico ed inutile tunnel di 57 chilometri. Chiarendo, altresì, perché la Germania, ancora una volta, tornerà obbligatoriamente ad oscillare come centro di interesse tra Occidente ed Oriente, tra Europa e Stati Uniti da una parte ed Eurasia dall’altra. Suggerendoci infine che tutte le interpretazioni puramente ideologiche, sia di destra che di sinistra, entrambe antiquate, sono perfettamente inutili per affrontare la tempesta che sta arrivando.

Come afferma lo stesso Frankopan: “L’era dell’Occidente è a un crocevia, se non al capolinea. […] Il mondo intorno a noi sta cambiando. Stiamo entrando in un’era in cui il dominio politico, militare ed economico dell’Occidente comincia ad essere messo in discussione, provocando un senso di incertezza inquietante15 e “Mentre le forze dell’ordine sono impegnate in un costante gioco del gatto col topo con chi sviluppa nuove tecnologie miranti al controllo del futuro, la battaglia per il passato sta ugualmente assumendo un’importanza decisiva nella nuova epoca in cui stiamo entrando.16 Con buona pace di Trump e dei suoi recenti e minacciosi discorsi alle Nazioni Unite, non certo rivolti soltanto alla Corea del Nord, che rivelano l’apprensione con cui la nazione padrona dei mari guarda allo sviluppo delle nuove vie della seta.


  1. Frankopan, pp.5-6  

  2. dal greco θαλασσα, mare, e κρατος, potere 

  3. pp.7-8  

  4. Come le avrebbe definite verso la fine del XIX secolo un importante geologo tedesco, Ferdinand von Richthofen: Seidenstraße, Vie della Seta.  

  5. pag.10  

  6. L’ideatore del concetto di Heartland fu un generale e geopolitologo britannico, Sir Halford Mackinder, che la sottopose alla Royal Geographical Society nel 1904. Il termine derivava dal fatto che tale vastissimo territorio era delimitato ad ovest dal Volga, ad est dal Fiume Azzurro, a nord dall’Artico e a sud dalle cime più occidentali dell’Himalaya. Per Mackinder, che basava la sua teoria sulla contrapposizione tra mare e terra, l’Heartland costituiva il “cuore” di tutte le civiltà di terra, in quanto logisticamente inavvicinabile da qualunque talassocrazia. Teoria che egli condensava in una singola frase: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland; chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo; chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo». Cfr: https://www.carmillaonline.com/2015/09/16/vae-victis-germania-1-sulla-loro-pelle/  

  7. pag.11  

  8. pag.581  

  9. pag.582  

  10. pag.582  

  11. pag.589  

  12. pp.589-590  

  13. pag.590  

  14. cfr. https://www.carmillaonline.com/2017/08/10/uno-tsunami-planetario/  

  15. pp.593-595  

  16. pp.591-592  

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