Francesco Lorusso – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 09 Apr 2025 20:00:27 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Bologna cowboy https://www.carmillaonline.com/2025/04/07/bologna-cowboy/ Sun, 06 Apr 2025 22:01:47 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=87512 di Mauro Baldrati

[Si pubblica di seguito un estratto di Bologna cowboy pubblicato poche settimane fa per i tipi di DeriveApprodi. Mauro Baldrati, l’autore, ambienta nella Bologna del 2047 un giallo che contiene un noir. L’agente speciale Nicodemo riceve l’incarico di identificare dei resti umani rinvenuti in una fossa anonima. Da un dattiloscritto emergono le vicende di un giovane fotografo che realizza un servizio durante la manifestazione seguita all’omicidio di Francesco Lorusso nel 1977. LC]

A dire il vero Toni Rinaldi, detto Jimi Hendrix di Romagna, non era mai stato un gran politico. Frequentava l’ambiente, i centri sociali, era amico coi compagni e [...]]]> di Mauro Baldrati

[Si pubblica di seguito un estratto di Bologna cowboy pubblicato poche settimane fa per i tipi di DeriveApprodi. Mauro Baldrati, l’autore, ambienta nella Bologna del 2047 un giallo che contiene un noir. L’agente speciale Nicodemo riceve l’incarico di identificare dei resti umani rinvenuti in una fossa anonima. Da un dattiloscritto emergono le vicende di un giovane fotografo che realizza un servizio durante la manifestazione seguita all’omicidio di Francesco Lorusso nel 1977. LC]

A dire il vero Toni Rinaldi, detto Jimi Hendrix di Romagna, non era mai stato un gran politico. Frequentava l’ambiente, i centri sociali, era amico coi compagni e le compagne, ma non riusciva a gettarsi col corpo e con la mente nella vera militanza politica. Alle manifestazioni c’era. Aveva anche portato le bandiere e retto gli striscioni, partecipato a qualche presidio davanti alle fabbriche, distribuito volantini. Ma svolazzava qua e là, si perdeva dietro alla musica, il cinema, i libri, le vacanze.
Insomma, diciamolo: più che altro voleva divertirsi, senza escludere un certo cazzeggio.
E si perdeva dietro Milonga, che in quel periodo era la sua luce blues.
Infatti, nel dicembre di quel bisbetico 1976 era avvenuta una straordinaria operazione di meticciato nella dura frontiera di Mezzaluna, tratto di pianura ravennate a venti chilometri dal mare Adriatico.
Il gruppo di Jimi, ex hippies e poeti country, un po’ disperso ma ancora unito nonostante la frattura del servizio militare che li aveva sequestrati per 15 mesi (i più sfortunati per due anni, in marina) si fuse con un gruppo di ex marxisti leninisti, a loro volta un po’ dispersi per le continue scissioni e reciproche accuse infamanti, ma riuniti in un collettivo in area Manifesto. D’altra parte come potevano due gruppi alternativi al P.C.I., che aveva più dell’80% dei voti a Mezzaluna, restare estranei? Come potevano ignorarsi?
L’incontro produsse nuove scoperte, nuove amicizie. Gli ex m-l erano più anziani, e quasi tutti fidanzati, mentre gli ex fricchettoni erano praticamente tutti single. D’altra parte Jimi e i suoi avevano notato da tempo che nel mondo politicizzato giravano ragazze carine, mentre per i poeti teorici della liberazione sessuale, nessuna pioggia sulle contrade occidentali.
Insomma, questo meticciato fu vantaggioso soprattutto per gli ex freak.
Le ragazze militavano nei movimenti femministi, alcuni ultra radicali, benché tra le loro file regnasse una discrepanza tra l’agire politico e quello privato. Femministe che manifestavano con cartelli del tipo Dito, dito, orgasmo garantito, oppure Cazzo, cazzo, orgasmo da strapazzo, alla sera si ritrovavano col fidanzato, con altra coppie di fidanzati, come vecchie mogli e vecchi mariti in un monotono rapporto borghese.
Gliene parlò una sera la fidanzata storica di un loro leader, Kocis, detta Milonga. Erano alla Casa delle Aie, il grande ristorante nei pressi di Cervia in un palazzo settecentesco che fu una “pignarola” (edificio adibito al magazzinaggio e alla lavorazione delle pigne). Dopo una cena abbondante a base di enormi piatti di tagliatelle, spezzatino con funghi e polenta, il tutto innaffiato con gargantuesche bicchierate di Sangiovese, Jimi e Milonga uscirono a prendere una boccata d’aria e a fumare una sigaretta.
Milonga gli piaceva, era un po’ rotondetta, con un caschetto di capelli neri, sempre allegra, ironica. Ogni volta che uscivano tutti insieme si trovavano vicini, uno di fronte all’altra. Se Jimi la guardava incrociava sempre i suoi occhi che lo fissavano. E viceversa.
Era una serata di metà gennaio, fredda e limpida. Si appoggiarono a uno steccato e guardarono la luna. Una mezzaluna, alta nel cielo sereno.
“Lo sai da quanto tempo siamo fidanzati io e Kocis?” disse Milonga, all’improvviso.
“No. Da quanto?”
“Otto anni” disse, chinando la testa.
Restarono qualche secondo in silenzio. A Jimi sembrava di avvertire il rumore della sua mente presa in un vortice di pensieri.
“Otto anni” ripeté. “Ero una ragazzina. Non mi sono più staccata da lui.”
Jimi ascoltava il tono della sua voce. Sembrava triste. O rassegnato.
“Siamo come sposati” continuò. “Anzi, siamo sposati. Stiamo sempre insieme, a parte quando io sono a Bologna all’università. Lui mi raggiunge spesso, dopo il lavoro. Dormiamo insieme e al mattino presto lui esce per tornare a Ravenna, nell’ufficio del sindacato.”
Jimi guardava davanti sé, nella notte stellata, la massa oscura della pinetina al di là della veranda. Soffiava il fumo della sigaretta che tremolava nervoso nell’aria gelida. “Ne parliamo spesso, con le compagne, durante i meeting. Critichiamo questa contraddizione tra la battaglia per emancipare noi stesse dal potere dell’uomo, che per quanto si dichiari comunista alla sera pretende il rilassamento del guerriero per poi girarsi dall’altra parte e ronfare come un orso. Siamo le compagne, siamo le fidanzate, in un rapporto chiuso e reazionario. Capisci?”
Fidanzamento? Non era pratico.
“Insomma, benché abbiamo fatto nostro lo slogan che il personale è politico, in realtà i due piani continuano a essere distinti. E in conflitto.”
Jimi respirò una boccata di aria fresca e spense la sigaretta. Non aveva nulla da dire. Di sicuro non desiderava consolarla.
“Otto anni” disse Milonga, sottovoce. “Una vita.”
Gli piaceva il suo profilo, il suo naso piccolo, il viso rotondo incorniciato dai capelli lisci. Per la prima volta erano soli, dopo innumerevoli incroci di sguardi e chiacchierate a bassa voce dietro ai tavoli dei ristoranti.
“E tu Jimi? Sei fidanzato?” chiese, con un sorriso allusivo. Sapeva bene che non lo era.
“Ehm, no. Ora no.”
Chissà, forse lo disse con un tono impacciato e buffo, perché lei rise e gli sferrò un pugno nello stomaco che lo fece piegare in due, più che altro per la sorpresa. E si trovò a pochi centimetri dalla sua faccia. Allora l’abbracciò, la strinse e le loro bocche si unirono.

[Le foto pubblicate appartengono a una documentazione sulle subculture giovanili realizzata da Mauro Baldrati tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, inserita nel libro]

]]>
La rivoluzione come una bella avventura / 6 – Festa, fotografia e forca https://www.carmillaonline.com/2025/03/19/la-rivoluzione-come-una-bella-avventura-6-festa-fotografia-e-forca/ Wed, 19 Mar 2025 21:00:57 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=87280 di Sandro Moiso

Tano D’Amico, I nostri anni, Milieu edizioni, Milano 2025, pp.96 con 6 fotografie dell’autore, euro 14,90

Tutto è scritto nelle immagini, nelle immagini fatte, realizzate, nelle immagini del passato, quelle che portano al passato, permettono di ripercorrerlo, chiamano a ripercorrerlo (Tano D’Amico, I nostri anni)

Le fotografie di Tano D’Amico hanno colto i momenti più significativi e, forse grazie proprio a lui, più iconici di quegli anni che un imbolsito ex-leader di movimenti studenteschi definì come “formidabili” e i media asserviti alla cattiva coscienza borghese come “di piombo”. Ma nel testo appena pubblicato da Milieu, nella collana “Settanta”, [...]]]> di Sandro Moiso

Tano D’Amico, I nostri anni, Milieu edizioni, Milano 2025, pp.96 con 6 fotografie dell’autore, euro 14,90

Tutto è scritto nelle immagini, nelle immagini fatte, realizzate, nelle immagini del passato, quelle che portano al passato, permettono di ripercorrerlo, chiamano a ripercorrerlo (Tano D’Amico, I nostri anni)

Le fotografie di Tano D’Amico hanno colto i momenti più significativi e, forse grazie proprio a lui, più iconici di quegli anni che un imbolsito ex-leader di movimenti studenteschi definì come “formidabili” e i media asserviti alla cattiva coscienza borghese come “di piombo”. Ma nel testo appena pubblicato da Milieu, nella collana “Settanta”, il fotografo si trasforma in scrittore e, con uno stile sospeso tra aforisma e haiku, riesce a trasmettere al lettore la medesima potenza poetica, sospesa tra rabbia e “gioia rivoluzionaria”, delle sue immagini più famose.

Tano D’Amico è giustamente considerato uno dei più importanti fotografi viventi. Nato nel 1942 nell’isola di Filicudi si trasferì a Milano dove conseguì la maturità classica per poi frequentare la facoltà di Scienze politiche. Dopo essersi trasferito definitivamente a Roma nei mesi immediatamente precedenti l’esplodere del ’68, iniziò a testimoniare l’essenza delle rivolte giovanili e operaie degli anni successivi attraverso fotografie scattate per riviste e giornali, tra i quali «Potere operaio» e «Lotta continua», di cui fu anche uno dei “fondatori” e dei più stretti collaboratori.

I soggetti privilegiati dei suoi scatti sono stati spesso operai, disoccupati, senza-casa, detenuti, donne, studenti, operai. Ma ha lavorato anche sul piano internazionale, documentando l’Irlanda della guerra civile, la Grecia dei colonnelli, la Spagna franchista, il Portogallo della Rivoluzione dei garofani, la guerra in Bosnia, il conflitto in Palestina e la resistenza in Chiapas.

Proprio in una delle prime pagine del testo, Tano afferma che: «Le immagini nascono prima dei pensieri. Le immagini sono punti di partenza per i pensieri e per le parole»1. Suggerendo così immediatamente la potenza evocativa di ogni immagine che finirà col depositarsi nell’immaginario e nell’inconscio soggettivo e collettivo, ma anche la necessità di ridurre al massimo il numero di parole necessarie per ribadire concetti o disseppellire ricordi troppo spesso soffocati dalla retorica oppure dall’autoindulgenza che contribuiscono soltanto a cancellarne la fulminante esplosione dell’istante o degli istanti su cui si costruisce la memoria storica.

Immagini che scaturiscono dai sentimenti, ancora prima che dall’occhio che guarda, e che altrettanti sentimenti scateneranno in chi avrà il coraggio di guardarle. Sì, perché guardare, così come pubblicare le immagini, è una questione di coraggio. Coraggio che quasi sempre mancò a chi avrebbe dovuto usarle negli anni in cui le fotografie di Tano D’Amico furono scattate.

Se si vuole, gran parte della narrazione si articola intorno al movimento del ‘77 e all’omicidio di Giorgiana Masi da parte della polizia e di un potere infoiato dalla necessità di reprimere e uccidere chi aveva il coraggio di opporglisi. Soprattutto se si trattava di donne.

Mai nella storia come in quell’anno le donne avevano potuto elaborare le proprie istanze senza doversela vedere con gli uomini. Gli uomini elaboravano le loro, incomplete, come da sempre, istanze. Si può dire che le donne portavano avanti pensieri, sentimenti per tutto il genere umano. Quelle donne erano contagiose per tutte le altre donne e per tutti gli uomini.
Lo Stato, il potere, sentì ancor il bisogno di vittime. Almeno ancora una, e doveva essere una donna, ancora un rogo, almeno uno2.

Certo, tra le morti raccontate da Tano non c’è soltanto quella di Giorgiana, ci sono anche quella di Francesco (Lorusso) e di Walter (Rossi) e anche quella di Antonio (Custra) che stava dall’altra parte, ma è proprio quella di Giorgiana a far sì che il ricordo di quell’anno e di quel movimento debba per forza mescolare la festa, il pane e le rose con il sangue e la morte. L’amore per la vita con il suo miserabile disprezzo.

Il movimento veniva reso sempre più un mostro. Rompeva le vetrine, quindi era lecito sparargli. Le vetrine vennero sempre più sacralizzate, le vite dei rivoltosi private di qualsiasi valore. Sui giornali, tutti, si piangeva più sulle vetrine che sui giovani e sulle ragazze che lasciavano le loro vite sulla strada. Il fotografo non dimentica i loro volti che diventavano sempre più bianchi sul nero dell’asfalto3.

Così il 12 maggio di quell’anno, a Roma, a metà strada tra l’uccisione di Francesco a Bologna e di Walter ancora a Roma: «Due ragazze furono colpite metre correvano. Vennero soccorse dai compagni. Elena morirà poi di dolore e Giorgiana, una pallottola bucherà una sua vertebra e impazzirà nelle sue viscere, uccidendola.»

Più avanti ritornerà più di una volta, come in una ballata di un tempo, una frase o poco più: «I genitori della ragazza morirono di dolore. La vicenda non è ancora chiusa. Il fotografo si illude che siano le immagini a mantenerla aperta nella memoria.» Sì, perché Tano non è mai stato fotografo per mestiere e come tale non è mai stato visto dai movimenti di cui è stato fratello e amico, né dai media e dal potere, che ne hanno sempre percepito l’inimicizia e l’esser schierato. Dall’altra parte della barricata. Un cercatore di immagini, ancor prima che un loro “produttore” o, ancor peggio, sfruttatore.

Le immagini nuove irrompono nella storia dai suoi squarci, quando c’è conflitto. Quelle immagini rimangono e preannunciano, e segnano, i cambiamenti, svolte, conflitti. Sono loro a rendere visibili i sentimenti che fanno la storia4.

Sentimenti che devono essere sconfitti, demonizzati, dimenticati, brutalizzati, come cercarono, ancora, di fare con le donne, nel maggio del 1977, il potere, lo Stato, la sbirraglia.

Il giorno dopo le donne si riunirono sul luogo dell’omicidio di Giorgiana. C’era ancora il suo sangue sull’asfalto. Coprirono di fiori quel sangue, comparirono biglietti, lettere, poesie, tanti altri fiori.

[…] Il traffico rallentò, non c’era un clacson che suonava, anche gli autobus rallentavano per non fare rumore. Quel cerchio di donne che piangevano e ondeggiavano tutte insieme si impresse per sempre nell’anima di chi guardava. Qualcuno se ne accorse. Arrivò un reparto di poliziotti e uno di carabinieri. Caricarono quel cerchio di donne, lo scompigliarono, lo disgregarono, lo distrussero, disperdendo le donne. Gli uomini armati tagliarono ogni via di fuga. Ognuna venne picchiata. Tutte tentarono di tornare a ricomporre il cerchio. Poliziotti e carabinieri si alternavano a distruggere con sempre più ferocia e spietatezza ogni tentativo, ogni abbozzo, ogni intenzione di cerchio. Le donne non urlarono, aprirono la bocca ma le grida non uscivano. Due ragazze con la maschera della tragedia, la bocca spalancata, senza suono, senza voce, senza grida andarono verso il fotografo. Sempre più numerosi, gli armati intercettarono le donne che tentavano di fuggire e le percossero con i manganelli. Altri uomini armati oltraggiarono quel letto di fiori, uel che rimaneva di un rogo. Il rogo di Giorgiana, il sangue di Giorgiana.

Nessun giornale volle quella foto che qui è malamente descritta5.

E’ l’immagine tranquilla di un operaio che mangia un panino al prosciutto quella che apre la breve rassegna di fotografie che accompagna il testo. Seguiranno quelle della violenza e delle rivolte. Tutte entrate nel mito, nella storia dei movimenti e nella memoria. Anche di quella di chi quei momenti, per ragioni anagrafiche e geografiche, non le ha vissute. Tutte a riaffermare l’irriducibilità del conflitto e della speranza in un mondo migliore che nessun potere riuscirà mai a cancellare.

Grazie, allora, Tano, per le tue fotografie e per i ricordi, i sentimenti, la rabbia e l’amore che hai voluto e saputo condividere e trasmettere ai lettori, anche con le parole.


  1. T. D’Amico, I nostri anni, Milieu edizioni, Milano 2025, p. 12.  

  2. Tano D’Amico, op. cit., p. 17.  

  3. Ibidem, p. 16.  

  4. Ivi, p. 82.  

  5. Ibidem, pp. 20-21.  

]]>
Radio Alice è il PDiavolo? https://www.carmillaonline.com/2015/08/22/radio-alice-e-il-pdiavolo/ Fri, 21 Aug 2015 22:01:53 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24575 di Nico Macce.

settantasetteboFa specie che alla Festa del PD a Reggio, tra gli eventi in programma, spicchi il Radio Alice Night. Che sia un mea culpa dei nipotini di chi, allora dirigente nel PCI, criminalizzò la radio e la fece chiudere manu militari dalla polizia? Condusse la caccia alle streghe contro il Movimento di cui Radio Alice era espressione? Invitò alla delazione e applaudì ai carri armati in centro a Bologna? Mise in campo i suoi magistrati Catalanotti, Calogero per arresti di massa in tutta Italia, con teoremi come il [...]]]> di Nico Macce.

settantasetteboFa specie che alla Festa del PD a Reggio, tra gli eventi in programma, spicchi il Radio Alice Night.
Che sia un mea culpa dei nipotini di chi, allora dirigente nel PCI, criminalizzò la radio e la fece chiudere manu militari dalla polizia? Condusse la caccia alle streghe contro il Movimento di cui Radio Alice era espressione? Invitò alla delazione e applaudì ai carri armati in centro a Bologna? Mise in campo i suoi magistrati Catalanotti, Calogero per arresti di massa in tutta Italia, con teoremi come il 7 aprile, vere mostruosità giuridiche?

Macché, nulla di tutto questo. Tutto fa brodo, se è folklore giovanile vintage, condito con immagini prese dal sito radioalice.org, con qualche capellone edulcorato di valenze eversive, che voleva cambiare il mondo, ma non si sa contro chi e per cosa. Un po’ come nella canzone dei quattro amici al bar di Paoli. Per cui, ecco una seratona (qui), ma pubblicizzata solo su Facebok. Infatti, nei programmi ufficiali del Radio Alice Night non c’è traccia (chissà perché…), in cartellone ci sono solo un paio di complessi che si esibiranno per l’occasione, tra cui i Confusional Quartet. E di confusione ce ne è tanta, se pensiamo a Radio Alice, espressione di un percorso collettivo di liberazione dal lavoro, di riappopriazione collettiva di spazi e di ricchezza sociale, di scontro con il PCI e la politica dei sacrifici di Lama e Berlinguer e la sua solidarietà nazionale, di critica a un comando d’impresa “rosso” e al suo decentramento produttivo. Una Radio Alice che è storicamente e politicamente tutto questo, dentro a una festa che esprime esattamente l’opposto (e ancor peggio rispetto a 35 anni fa!) dove arrivano da padroni di casa i principali esponenti del coop-liberismo imperante, gli ideatori del jobs act e delle politiche di precarizzazione del lavoro e della vita: i Poletti, i Del Rio, i Bonaccini, burocrati di regime, di un PD forza principale del “partito della nazione” al servizio della finanza globale e dei tecnocrati di Bruxelles. Un partito con una lunga tradizione nella repressione dei movimenti antagonisti. Perché il filo tutt’altro che rosso PCI-PDS-DS-PD significa art. 90, 41bis, carceri speciali, silenzio e complicità sulle torture di Stato, campagne forcaiole per far arrestare profughi all’estero, emergenza permanente. Solo poco più di tre mesi fa, alla Festa de l’Unità in Montagnola a Bologna, chi voleva contestare pacificamente Renzi si è ritrovato caricato da una polizia che si è messa a spaccare teste. Un partito che non ammette dissensi. Ci rendiamo conto che fare un happening su Radio Alice a una festa del PD è come fare il 25 Aprile alla festa del Tricolore insieme alla Meloni?

Le bastonate della polizia contro la sinistra antagonista il 3 maggio scorso a Bologna, che protestava pacificamente contro Renzi alla Festa de l'Unità. Partito tollerante il PD!

Le bastonate della polizia contro la sinistra antagonista il 3 maggio scorso a Bologna, che protestava pacificamente contro Renzi alla Festa de l’Unità. Partito tollerante il PD!

Spesso uno dei modi che ha il potere e i suoi vari personaggi del mondo della cultura per relegare nell’oblio un avvenimento eversivo e antagonista, soprattutto quando ormai è remoto nel tempo, è celebrarlo.
Sembra un paradosso, ma è così.
Ma chi compie questo tipo di operazioni spesso agisce senza rendersi conto dell’opera demolitoria, senza la consapevolezza di essere dentro gli automatismi di una grande narrazione mainstream. Magari crede di fare pure un’opera trasgressiva. Prende automaticamente gli aspetti di costume, le note di colore di un fenomeno di cui spesso non conosce neppure le dinamiche, la storia, li qualifica genericamente come momenti culturali che “hanno segnato un’epoca”. E buona notte a tutto il resto.

Ho provato a postare sullo spazio fb dell’evento la foto con la scritta sul muro: ZANGHERON DE ZANGHERONI SEI UN SERVO DEI PADRONI. Ma è inutile: perché il valore simbolico di questa scritta datata trascende il suo significato politico, in quel contesto diventa icona pop come il Mao Tse Tung di Andy Warhol.

La Radio Alice degli organizzatori del radio Alice Night è un viaggione tutto loro. È l’Alice nel paese delle meraviglie nel frammento del film Lavorare con lentezza di Guido Chiesa postato da questi sul loro spazio fb di promozione dell’evento. È un’Alice senza Movimento, senza nemici, senza scontri, senza arresti, senza criminalizzazione. E soprattutto senza Francesco, assassinato dai carabinieri a Bologna, l’11 marzo del 1977 con la complicità del PCI.(*)

Come disse Duchamp:  uno scolabottiglie, fuori dal suo contesto e messo in una galleria d’arte diventa un’opera d’arte, perdendo il significato e la funzione originari. È la polisemia dell’opera d’arte al servizio della monosemia del profitto, l’unico significato che conta. Un vero capolavoro questa Radio Alice priva di cuore e anima, svuotata di senso, narrata come vuole il regime di ieri e di oggi. Buona per vendere qualche birra in più.

Il mostro tritura e metabolizza il senso della rivolta sociale dentro il suo ventre fatto di ingranaggi falsificanti e mercificanti. Talvolta vomita frattaglie.

 

NOTA.

(*) Per comprendere la situazione creata in città dalle forze repressive e dallo stesso PCI, più eloquente di un saggio è l’intervento di un compagno di Lotta Continua all’assemblea di Lettere l’11 marzo 1977, trasmesso da Radio Alice e di cui ho tratto un paio di frasi:

«Il compagno Francesco è stato ammazzato a 40 metri dall’incrocio di Via Irnerio e Via Mascarella, si è accasciato al suolo dicendo “Mi hanno colpito” e si è accasciato alla sinistra. È stato sparato chiaramente, è stato sparato dall’altra parte, dove non c’erano poliziotti – a quello che è la testimonianza dei compagni fino ad oggi – è stato sparato da un carabiniere o tenente dei carabinieri che è uscito da una macchina bleu che non era targata né CC, né EI, né un cazzo né un altro, era targata Roma e basta, è uscito fuori e ha sparato freddamente contro i compagni che stavano fuggendo.»
(…)
«Io parlo non solo come militante di Lotta Continua. Parlo anche come operaio, come delegato di un Consiglio di Fabbrica e dico che gli operai sono stanchi di queste cose, siamo stanchi di queste cose, siamo stanchi dei compagni ammazzati nelle piazze, siamo stanchi di un Partito Comunista che oggi la prima reazione che ha, all’una del pomeriggio, è quella di telefonare alle cooperative, è quella di telefonare ai suoi fidi e di dire:”Andiamo a presidiare la nostra Federazione di Via Barberia”, perché il nemico non era più la polizia, non è più il governo, con il quale si va a pasteggiare tutti i giorni, come ci vanno i Lama, come ci vanno i Carniti, come ci va questa gente. Il nemico sono i proletari, il nemico sono i giovani, il nemico è chi si oppone a questo regime.»
(…)
«Ha detto Zangheri che qui in questa città va ristabilito in modo deciso l’ordine democratico e l’ordine democratico quando Zangheri lo dice, e quando il PCI lo dice, è l’ordine dei poliziotti, è l’ordine dei carabinieri.»

(da “bologna marzo 1977… fatti nostri…” autori molti compagni, Bertani Editore)

]]>