Francesca Sensini – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La lingua greca e un immaginario di libertà https://www.carmillaonline.com/2021/06/21/la-lingua-greca-e-un-immaginario-di-liberta/ Mon, 21 Jun 2021 21:00:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66845 di Paolo Lago

Francesca Sensini, La lingua degli dei. L’amore per il greco antico e moderno, Il Melangolo, Genova, 2021, pp. 139, € 10,00.

Daphne Du Maurier, nel suo racconto dal titolo Non dopo mezzanotte (Not after Midnight, 1971), affresca il mondo greco come un universo oscuro e affascinante, dominato dalla marca dell’alterità. Il protagonista del racconto, dopo una vacanza a Creta, sarà segnato per sempre da una misteriosa malattia, frutto di «una antica magia, insidiosa, perfida, le cui origini si perdono negli albori della storia». Nel corso del suo soggiorno nell’isola greca, [...]]]> di Paolo Lago

Francesca Sensini, La lingua degli dei. L’amore per il greco antico e moderno, Il Melangolo, Genova, 2021, pp. 139, € 10,00.

Daphne Du Maurier, nel suo racconto dal titolo Non dopo mezzanotte (Not after Midnight, 1971), affresca il mondo greco come un universo oscuro e affascinante, dominato dalla marca dell’alterità. Il protagonista del racconto, dopo una vacanza a Creta, sarà segnato per sempre da una misteriosa malattia, frutto di «una antica magia, insidiosa, perfida, le cui origini si perdono negli albori della storia». Nel corso del suo soggiorno nell’isola greca, il personaggio sarà costantemente tormentato da una sorta di oggetto magico, una brocca rossastra su cui è raffigurato un Sileno, una figura strettamente associata a Dioniso. La razionalità occidentale, impersonata dal protagonista inglese della storia, entra perciò in contatto con un mondo arcaico e misterioso, attraversato da una cultura millenaria. Una cultura fluida, ibrida, bene rappresentata in questo caso da Dioniso, un dio che Massimo Fusillo, in un suo studio, ha appropriatamente definito come «ibrido». Una cultura che si presenta al nostro sguardo come una specie di contenitore aperto per la nostra memoria: come scrive Francesca Sensini nel suo recente saggio, La lingua degli dei, «il mito greco è un contenitore aperto, pieno di bellissime cose discordanti, di vite effimere e di morti revocabili, inferni disperati e campi elisi, isole in cui nascondersi e da cui scappare per un nuovo approdo».

La fluidità, l’ibridazione, la metamorfosi continua fanno inestricabilmente parte dell’universo greco. Come nota l’autrice, «la Grecia è poi anche, e soprattutto, un modo di muoversi nel mondo, un abito etico. In quanto tale, suscita e coltiva in noi il piacere dell’irrequietezza, del mare aperto, del cambiamento come cifra dell’esistenza». E allora, non ha alcun senso cercare di addomesticare la cultura greca per appiattirla sul nostro presente, per ricondurre fatti e personaggi del mito e della letteratura al nostro orizzonte culturale. Si creerebbe qualcosa di arido e di ridicolo, simile al risibile esempio riportato da Maurizio Bettini nel suo A che servono i Greci e i Romani? riguardo alla cultura latina: quel traduttore che, per svecchiare i classici, traducendo un passo delle Epistole di Orazio, ha reso “toga” con “calzoni”. Si perderebbe il senso di alterità e di fascino che arriva da un orizzonte culturale diverso. E, nel caso del mondo greco, come rileva Sensini, si perderebbe un intero universo pieno di movimento e di vitalità. Perché, come lei stessa ribadisce, «dal riconoscimento di questo eccesso di vitalità e di senso del mondo greco e della sua lingua nei secoli deriva il mio grande amore».

Testimonianza di questo grande amore è il suo nuovo saggio: un racconto appassionato, in cui l’autrice ci prende per mano con piglio narrativo e ci racconta una storia, quella, appunto, del suo «amore per il greco antico e moderno», come suona il sottotitolo. Un racconto che ha per oggetto principale la lingua greca, ma non solo: ad essere abbracciato, infatti, è tutto l’universo culturale greco. Si tratta d’altronde di un racconto che non si limita alla Grecia classica: l’analisi linguistica e culturale si sposta continuamente dall’antichità alla modernità e alla contemporaneità perché, in fin dei conti, un po’ come quella romana, «la lingua e la civiltà greca sono la nostra memoria comune». Non a caso, Leopardi riconosceva nei cittadini dell’Impero d’Oriente i veri “romani”: come ricorda giustamente l’autrice, «Bisanzio non esiste», perché quelli che noi oggi chiamiamo bizantini definivano se stessi romáioi, “romani”.

Come nel racconto di Daphne Du Maurier, la grecità classica si presenta sotto un duplice aspetto: mostruoso, terribile ma contemporaneamente meraviglioso e affascinante. Pensiamo alla figura di Medusa, mostruosa (nel senso etimologico di monstrum, “mostro” ma anche “meraviglia”) e seducente: non a caso è una Gorgone, nome derivato da gorgós, “veloce”, “agile”, associato alla sirena. Infatti, in greco moderno, “sirena”, l’affascinante dea-pesce, si dice ghorghóna: da non confondersi con le “sirene” dell’antichità, le seirénes che seducono Ulisse, metà umane e metà uccelli. Un mostro sapiente è anche il centauro Chirone, al quale era stata affidata l’educazione di Achille bambino. Chirone, metà uomo e metà bestia, poeta e guaritore, è il conduttore della parola del mito che ha avvolto il piccolo Achille nel «feroce incanto di un’età sospesa», come, in modo suggestivo, nota l’autrice. Quando, prima di ucciderlo, nell’Iliade, l’eroe rincorre Ettore, se quest’ultimo, stremato, non si fermasse, a dispetto del suo epiteto “piè veloce” non sarebbe in grado di raggiungerlo. Perché, ormai, egli ha perduto l’insegnamento del centauro che, appunto, fra l’altro gli aveva anche insegnato a correre veloce: ormai ha perduto la propria infanzia mitica in compagnia di un essere terribile e divino, un po’ come Giasone in Medea (1970) di Pier Paolo Pasolini. L’infanzia era il tempo mitico e incantato degli insegnamenti del centauro; l’età adulta è il raggiungimento di un logos geometrico e razionale.

Da un punto di vista linguistico, ascoltando diverse parole del greco moderno, per noi italiani abituati ai grecismi imbalsamati dall’erudizione, si attua una sorta di ‘straniamento’ («un piacevolissimo disorientamento che i nostri sensi, abituati ai grecismi in contesti dotti e difficili, provano nel vedere mischiato l’alto con il basso e scambiate le etichette che usiamo dare alle cose»). In un interessante capitolo del saggio, Sensini mostra come alcune parole greche, per noi associate ad un contesto dotto e letterario, facciano riferimento invece a una quotidianità assai più ‘arida’. È il caso, ad esempio, di parole composte dal termine “metafora” (che ci rimanda subito al campo semantico della figura retorica, frequentemente usata in poesia): metaphoriká éxodha che significa “spese di trasporto”, ethnikés metaphorés, “trasporti nazionali”, metaphorikí etería, “compagnia dei traslochi”. Del resto, una fluidità semantica percorreva anche le stesse parole del greco antico, basti pensare ai vari termini utilizzati per indicare il mare, perché «il greco si è dato autonomamente il proprio dizionario marino». Con pélagos indicavano l’“alto mare”, con póntos il mare come via di comunicazione e di passaggio, con thálassa «il mare pescoso e azzurro, che rifrange la luce e scintilla» (termine che indica il mare anche in greco moderno), con hals (“distesa salata”, ma anche “sale”) il mare salato e “infecondo”. Infine, c’è l’Okeanós, Oceano, generato da Terra e Cielo, «l’origine di tutte le cose» secondo Omero.

Poiché fluida, ibrida, aperta sempre a nuove forme di contaminazione e di “ospitalità” (ricordiamo che i Greci hanno elaborato la philoxenía, “la benevolenza verso gli ospiti”), la cultura e la lingua greca sono percorse da un costante immaginario di libertà: «la conquista e insieme l’esercizio consapevole della libertà, cioè il sapere, in fin dei conti, da chi e da cosa vogliamo essere liberi». Un immaginario che nasce nel mondo antico e prosegue la sua esistenza nella modernità e nella contemporaneità. Un capitolo del saggio è infatti dedicato ai canti dei ribelli, dei veri e propri fuorilegge che nel XVIII secolo tentavano di resistere all’oppressione turca. Non «semplici briganti ma combattenti contro lo strapotere e la violenza dei “pascià”. I loro bersagli erano turchi facoltosi, che derubavano o rapivano in cambio di riscatto»: «Sostanzialmente rappresentano le truppe irregolari di un esercito nazionale in embrione. Dei partigiani insomma. Né santi né criminali, ma uomini in lotta contro la violenza di un dominatore». Un immaginario di libertà che può spingere anche a gesti estremi, come quello di Kóstas Gheorghákis, attivista politico e oppositore della dittatura dei colonnelli, che nel 1970, a Genova, si cosparge di benzina e si dà fuoco in piazza come estremo atto di protesta contro la terribile dittatura, nel tentativo di smuovere le coscienze anche in Italia. Eléutheros, oggi pronunciata eléftheros, è la parola che in greco significa “libero” in opposizione alla condizione del dhúlos, lo schiavo. Perché, in fin dei conti, «è dunque una libertà relazionale quella che la lingua greca riconosce ed esprime. Non è lo stato ridotto al bisogno di affermazione di un soggetto isolato e sganciato dal resto del mondo; è uno stato modulato sull’appartenenza come forma di libertà dall’oppressione, dal pericolo di diventare “schiavi” di qualcosa o qualcuno; anche di noi stessi e del nostro individualismo».

Il saggio di Francesca Sensini è un vero e proprio atto d’amore per questo immaginario di libertà mai sopito, e che non avrà fine, presente anche in molte espressioni artistiche della poesia contemporanea. Un immaginario che rincontriamo, ad esempio, in Odisseo Elytis, in una fase della sua poesia che, allontanandosi dal surrealismo, lo porta a cantare più in profondità i valori della libertà della Grecia sommersa dalla dittatura. Un canto in cui la libertà stessa – così nell’Età del ricordo celeste – diviene acqua e vento, amore e mare:

Ora avrò accanto a me una brocca d’acqua immortale
Avrò la libertà simile al vento che abbatte
E quelle tue mani dove si tormenterà Amore
E quella tua conchiglia dove riecheggerà l’Egeo.

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Pascoli poeta maledetto: uno sguardo antagonista https://www.carmillaonline.com/2021/05/13/pascoli-poeta-maledetto-uno-sguardo-antagonista/ Thu, 13 May 2021 21:00:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66282 di Paolo Lago

Francesca Sensini, Pascoli maledetto, Il melangolo, Genova, pp. 156, € 12,00.

Spesso, le narrazioni dominanti che si affermano sui classici li ingabbiano in formule-etichetta che non fanno altro che anestetizzare opere, artisti e pubblico. Sono convinto che ognuna di queste narrazioni dominanti che avvolgono e mummificano determinati autori debbano essere scardinate e smantellate proprio per poter guardare ad essi e alle loro opere con sguardo critico antagonista, teso a nuove letture e interpretazioni. Giovanni Pascoli è sicuramente uno di quegli artisti che è stato inglobato in una vulgata fatta di luoghi [...]]]> di Paolo Lago

Francesca Sensini, Pascoli maledetto, Il melangolo, Genova, pp. 156, € 12,00.

Spesso, le narrazioni dominanti che si affermano sui classici li ingabbiano in formule-etichetta che non fanno altro che anestetizzare opere, artisti e pubblico. Sono convinto che ognuna di queste narrazioni dominanti che avvolgono e mummificano determinati autori debbano essere scardinate e smantellate proprio per poter guardare ad essi e alle loro opere con sguardo critico antagonista, teso a nuove letture e interpretazioni. Giovanni Pascoli è sicuramente uno di quegli artisti che è stato inglobato in una vulgata fatta di luoghi comuni, grazie anche alla colpevole complicità della scuola, che non ha fatto altro che mummificarlo: cantore delle ‘piccole cose’ campestri e della natura, poeta-fanciullo ipersensibile e pronto ad arrossire di fronte all’eros nonché placido signore borghese succube della sorella Maria. Certo, la narrazione dominante che lo ha ingabbiato è scaturita, non in minima parte, dal ritratto che ne ha offerto proprio la sorella. Adesso, a scardinare questa vulgata fatta di luoghi comuni interviene un brillante studio critico di Francesca Sensini, dal significativo titolo di Pascoli maledetto. Come la studiosa scrive nell’introduzione, si tratta di “un lavoro a tesi ed un lavoro di parte. La tesi è che Pascoli sia il nostro poeta maledetto o, detto altrimenti, che debba essere ricondotto a quella temperie estetico-filosofica e studiato in una prospettiva risolutamente europea. Pascoli maledetto, dunque, à la Verlaine e a modo suo, con un’originalità che ne fa un maestro unico della poesia europea moderna”.

Se guardiamo alla biografia del poeta, grazie alla studiosa, possiamo riscoprire un Pascoli giovane ribelle e rivoluzionario. Sul versante politico, il poeta si interessa a Aleksandr Ivanovic Herzen, teorico del populismo russo, e a Michail Bakunin, filosofo e rivoluzionario anarchico. Nel 1875, Pascoli ammette senza timore di aver contestato il ministro dell’Istruzione Ruggero Bonghi, “uno dei principali oppositori al monumento di Giordano Bruno in Campo de’ Fiori a Roma, diventato all’epoca simbolo della battaglia del libero pensiero e dell’anticlericalismo”. La ribellione antiborghese degli anni giovanili, oltre che svilupparsi nell’abuso di alcool e laudano, si manifesta anche in alcune composizioni. Nel 1878, ad esempio, pubblica sul “Nettuno” i versi di La morte del ricco, “un testo di grande potenza in cui sfilano tutti gli spettri delle vittime del capitale, incarnato dal «ricco» sul letto di morte, assistito dal prete”. Inoltre, nel 2006, “viene pubblicato un inedito inno per l’Internazionale anarchica che contribuisce ulteriormente a demolire la narrazione sororale di un fratello ingenuo e influenzabile, trascinato da cattivi maestri e peggiori compagni, lontanissimo da ogni forma di violenza”. Bisogna anche ricordare che a Pascoli è attribuita un’Ode a Passanante, l’attentatore di Umberto I di Savoia: se Maria ne smentisce la paternità, gli amici di Giovanni la contraddicono. Nel 1879, il poeta fa parte di un gruppo di manifestanti che solidarizza con alcuni anarchici arrestati e, successivamente, anch’egli verrà arrestato per poi trascorrere tre mesi e mezzo in carcere.

Se poi, dal lato politico ci spostiamo a quello più strettamente privato, possiamo incontrare un personaggio alquanto diverso dal casto poeta spaventato dall’amore e dal sesso. Da giovane, e non solo, Pascoli si è lanciato in diverse avventure galanti: il fatto che, in definitiva, nessuna di queste si sia concretizzata in un matrimonio è ascrivibile proprio alla presenza ossessiva della sorella Maria con la quale il poeta aveva indubitabilmente instaurato un rapporto non del tutto ‘sano’. A Massa, dove insegna al liceo, incontra una ragazza bionda che lo attrae, Barbara Papini, mentre successivamente arriva a chiedere la mano di una cugina, Imelde. Stabilisce inoltre uno stretto legame con Emma Corcos, sposa in seconde nozze del celebre ritrattista livornese Vittorio Corcos, “animatrice di un salotto letterario a Firenze e bellissima donna”. A Bologna, poi, si innamorerà di una sua brillante allieva, Giovanna Pia Marcianti, “soprano dilettante e sua vicina di casa in piazza del Risorgimento”. Dalle testimonianze di amici e amiche, amori, allievi e conoscenze emerge il ritratto di un uomo allegro e incline allo scherzo e alla beffa, legato al piacere della convivialità e dell’amicizia, animato da ideali politici, ribellione e passionalità. Insomma, “la sua vita, anche a Castelvecchio, non è quella di un misantropo, ma è ricca di scambi e di incontri”. Da un punto di vista biografico, inoltre, come sottolinea Sensini, una differenza importante fra Pascoli e i poètes maudits consacrati dalla tradizione sta nel fatto che il primo sceglie la dissimulazione, mentre Baudelaire, Verlaine, Rimbaud e lo stesso Poe scelgono invece l’esibizione e la marginalità sociale. Dopo gli anni giovanili, caratterizzati da un’impronta bohémienne, la vita di Pascoli si fossilizza in una apparente quiete borghese pur covando, in modo silente, una tormentosa, lenta autodistruzione (il poeta non ha infatti mai smesso di abusare di alcool fino alla morte per cirrosi epatica). In modo silente, Pascoli non ha mai cessato la sua “lotta intima, contro i propri demoni, e politico-sociale, contro la violenza del capitalismo in pieno rigoglio, contro la borghesia ipocrita e volgare”.

L’analisi antagonista e ‘rivoluzionaria’ di Francesca Sensini si focalizza successivamente sulla produzione poetica di Pascoli. Secondo la studiosa, non si può ridurre la poesia pascoliana esclusivamente all’idillio delle piccole cose: in questo modo si confonderebbe la categoria estetica del “fanciullino” con il bambino in senso proprio. Il “fanciullino” altro non è che “l’incarnazione della facoltà primitiva di intuire ed esprimere il mondo”(e non si sbaglierebbe a considerare la prosa del Fanciullino come una sorta di ‘versione italiana’ della Lettera del Veggente di Rimbaud). Non si può perciò pensare a un Pascoli in fuga dal presente e dalla realtà per cercare rifugio nel “nido” della famiglia ricomposta: egli, semmai, fugge nella realtà perché “tutta la sua ricerca teorica e tutta la sua pratica poetica sono rivolte al presente e mirano a una sua rifondazione”. Ancora oggi si ricorre alla spiegazione dei testi “psicanalizzando l’autore”, riconducendo gran parte della sua opera a un filone depressivo-funebre. Penso che una interpretazione di questo tipo avrebbe funzionato per i poeti crepuscolari, ma non per Pascoli. La sua poesia, molto più complessa, scoperchia un universo oscuro e misterioso in cui si intensificano le corrispondenze simboliche fra gli elementi naturali e, appunto, immagini e sensazioni che giungono invece da un ‘altrove’ misterioso, da un tormento mai pacificato, come in Baudelaire. Basti pensare alle cavallette che, ne L’assiuolo, componimento della raccolta Myricae, si trasformano in “finissimi sistri d’argento / (tintinni a invisibili porte / che forse non s’aprono più?…)”, in cui vi è un rimando ai misteri di Iside, caratterizzati proprio dall’utilizzo dei sistri, antichi strumenti musicali egiziani. Oppure, si potrebbe pensare alle immagini quasi spettrali, veri e propri fantasmi che compaiono nei versi pascoliani, dalla misteriosa figura che appare ne Il bacio del morto fino alla “tessitrice” nell’eponimo componimento (testo analizzato anche da Francesca Sensini, nel quale è riscontrabile una somiglianza con le atmosfere perturbanti di Poe, autore, tra l’altro, tradotto da Pascoli), rappresentata come un fantasma, “una rediviva che appare solo per il suo amante”, oppure all’“ombra errante” che inquieta i pensieri del poeta in Nella nebbia, nei Primi poemetti. Oppure, ancora, alle immaginifiche visioni di territori fantastici e sconosciuti in Alexandros e in Gog e Magog, nei Poemi conviviali, che possono rimandare alle visioni baudelaireiane di Orienti incantati e visionari o al Rimbaud di Le Bateau Ivre.

Da un punto di vista stilistico, la poesia di Pascoli si nutre di un prolifico squilibrio fra classicismo e anticlassicismo: secondo Sensini, si tratta di una poesia “fortemente anticlassica su classicissime fondamenta, straniante, forse per alcuni anche irritante, il cui significato letterale non soddisfa mai del tutto e sollecita altri piani, additando un percorso più lungo in vista di un piacere intellettuale ed estetico più profondo”. Come ebbe a scrivere Pasolini, inseguendo una suggestione offerta da Gianfranco Contini, Pascoli utilizza un “plurilinguismo” dal quale emerge una vera e propria linea di fuga “dalla lingua maggiore da lui già ridotta a minore, verso il dialetto”. Anche da un punto di vista metrico (lezione, anche questa, recepita da Pasolini che dedicò al poeta di Castelvecchio la sua tesi di laurea), Pascoli ripropone versi e metri classici sui quali opera un continuo scardinamento, una vera e propria opera – si potrebbe dire – di ‘ribellione’ formale.

E anche se in Pascoli manca tutta la dimensione urbana, i suoi splendori e i suoi bassifondi, se mancano riferimenti scoperti al vizio, alla follia, all’orrore e alla crudeltà che costituiscono una vera e propria marca di riconoscimento per i poeti maledetti, tuttavia non possiamo negare la sua vicinanza a questo universo poetico e, soprattutto, a Baudelaire. Grazie al libro di Francesca Sensini, una narrazione dominante e anestetizzante su un autore significativo della letteratura italiana comincia a sfaldarsi, in modo così da permettere il dischiudersi di una nuova prospettiva critica per certi aspetti eccentrica, antagonista e, senza ombra di dubbio, innovativa.

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