Forza Italia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 18 Apr 2025 22:31:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Alfageddon https://www.carmillaonline.com/2019/08/04/alfageddon/ Sun, 04 Aug 2019 20:00:35 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53925 di Alessandra Daniele

“Di Maio è l’Alfano di Salvini” – Vittorio Sgarbi

In realtà, trasformismo a parte, la parabola politica del cazzarillo grillino è stata finora l’opposto di quella alfaniana. L’ineffabile Angelino infatti, con una percentuale irrisoria di reale consenso elettorale, saltando da uno schieramento all’altro era riuscito ad occupare, o meglio a squattare una dopo l’altra tre delle principali cariche governative: ministro della Giustizia, ministro degli Interni e ministro degli Esteri. Un record. Al contrario Luigi Di Maio, partito dal roboante 32% ottenuto alle elezioni del 4 marzo ’18, s’è subito ridotto a galoppino di Dj Salvini, dimezzando i consensi in [...]]]> di Alessandra Daniele

“Di Maio è l’Alfano di Salvini” – Vittorio Sgarbi

In realtà, trasformismo a parte, la parabola politica del cazzarillo grillino è stata finora l’opposto di quella alfaniana.
L’ineffabile Angelino infatti, con una percentuale irrisoria di reale consenso elettorale, saltando da uno schieramento all’altro era riuscito ad occupare, o meglio a squattare una dopo l’altra tre delle principali cariche governative: ministro della Giustizia, ministro degli Interni e ministro degli Esteri. Un record.
Al contrario Luigi Di Maio, partito dal roboante 32% ottenuto alle elezioni del 4 marzo ’18, s’è subito ridotto a galoppino di Dj Salvini, dimezzando i consensi in pochi mesi.
Secondo i sondaggi più recenti, dopo l’ultimo voltafaccia sul TAV il Movimento 5 Stelle è precipitato addirittura sotto il 15%.
Le stelle cadono, e l’apocalisse pare ormai irreversibile. Chi si fiderà più d’un partito disposto a tradire tutte le sue battaglie, compresa quella sulla quale è stato fondato?
Intanto, anche nell’ex dimora di Alfano s’è aperto il settimo sigillo
Forza Italia non è mai stata un vero partito. È semplicemente il mezzo che a Berlusconi serviva per arrivare personalmente al governo, mentre i suoi protettori politici, beccati col sorcio in bocca da Mani Pulite, si davano alla latitanza.
Forza Italia è come uno di quei finti negozietti di souvenir che la mafia  adopera come paravento, e canale per il riciclaggio.
Berlusconi ha ormai quasi 83 anni, e un comodo seggio al parlamento europeo che gli durerà fino alla soglia dei 90. Forza Italia in fondo non gli serve più. Quindi non si preoccupa più di tanto che venga fagocitata dalla Lega.
Gli avanzi finiscono spesso in pasto ai maiali – pensa tranquillo – che poi a loro volta finiscono in tavola.
Quanto manca alla prossima grigliata?
L’Espresso, La Repubblica e Il Corriere della Sera hanno scoperto che Matteo Salvini è il nuovo Nuovo Hitler.
Prepariamoci alla Coalizione dei Volenterosi che esporterà la democrazia in Italia. Magari con l’appoggio interno dell’ennesimo voltafaccia grillino.
Operazione Alfageddon.

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Il Fantasma del Cazzaro passato https://www.carmillaonline.com/2018/12/16/il-fantasma-del-cazzaro-passato/ Sun, 16 Dec 2018 18:00:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47865 di Alessandra Daniele

”La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi – Silvio Berlusconi, discorso della ”discesa in campo”, 1994

“That is not dead which can eternal lie“ – Non è morto ciò che può mentire in eterno – H. P. Lovecraft

Periodicamente, Silvio Berlusconi viene dato per politicamente morto. La prima volta fu nel 1994, pochi mesi dopo la sua prima vittoria elettorale, quando Bossi tolse la fiducia al loro governo, col famigerato Ribaltone. D’Alema s’illuse, e chiamò la Lega “Una [...]]]> di Alessandra Daniele

”La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi – Silvio Berlusconi, discorso della ”discesa in campo”, 1994

“That is not dead which can eternal lie“ – Non è morto ciò che può mentire in eterno – H. P. Lovecraft

Periodicamente, Silvio Berlusconi viene dato per politicamente morto.
La prima volta fu nel 1994, pochi mesi dopo la sua prima vittoria elettorale, quando Bossi tolse la fiducia al loro governo, col famigerato Ribaltone.
D’Alema s’illuse, e chiamò la Lega “Una costola della sinistra”. Dopo la sconfitta del 1996, Bossi la riportò all’ovile berlusconiano.
Durante gli anni successivi, i governi dell’Ulivo si occuparono di favorire economicamente le aziende di Berlusconi, e spianare politicamente la strada al suo ritorno, nel 2001.
Alla fine del 2010, dopo un decennio quasi ininterrotto di berlusconismo circense, Gianfranco Fini cercò incautamente di fare le scarpe al Re Sòla, che appariva indebolito dagli scandali.
In testa a tutti i sondaggi, allora Fini era considerato L’Uomo del Destino. Anche nel centrosinistra molti lo preferivano ai loro stessi leader.
Berlusconi però riuscì a rimanere al governo comprandosi una manciata di senatori sfusi.
Poi coi suoi media si divertì a distruggere completamente Fini.
Dopo la crisi dello spread del 2011, e la condanna per frode fiscale del 2013, quasi tutti si convinsero che fosse la volta buona, che il giovane rampante Matteo Renzi avrebbe svuotato Forza Italia e rottamato Berlusconi, portandogli via tutto l’elettorato.
Renzi fallì miseramente in questo obiettivo, come in tutti gli altri.
Adesso tocca al giovane rampante Matteo Salvini.

Periodicamente Silvio Berlusconi viene dato per politicamente morto.
I primi che lo hanno fatto sono fisicamente morti da almeno un decennio.
E se questa fosse veramente la volta buona?
Gli esseri umani non sono eterni.
Berlusconi però non è un essere umano, è un logo, come Walt Disney. E ha fatto dell’Italia la sua Disneyland. Con le topoline al posto di Topolino.
In quest’impero di cartapesta e di promesse farlocche, questo Cirque du Sòla d’impresari cazzari e pagliacci sinistri, domatori di pulci e giocolieri incapaci, noi siamo ancora prigionieri, a prescindere dalla sopravvivenza politica o fisica di Berlusconi.
Questo grottesco sub-universo ha comunque il suo marchio.
“Meno tasse per tutti”.
“Un milione di posti di lavoro”.
“Un nuovo Miracolo Italiano”.
Come Matteo Renzi, anche Matteo Salvini viene dai telequiz Mediaset, ed è stato portato al successo dall’occupazione bulimica di tutti i talk show.
Rocco Casalino, onnipresente PR e media manager del Movimento 5 Stelle, viene dal Grande Fratello, e ne incarna completamente la logica.
Antonio Ricci di Striscia la Notizia è stato il primo autore di Grillo.
La vittoria elettorale Grilloverde nasce anche (e al Nord soprattutto) dagli Allarmi Immigrazione e dalle Emergenze Criminalità di TG4 e Studio Aperto. E dalle inchieste delle Iene, che oggi non a caso gli si ritorcono contro.
Come Jory di Ubik, Berlusconi è il demiurgo non-morto d’un universo che cade a pezzi nel quale siamo ancora prigionieri, perché quelle che ci vengono spacciate per vie d’uscita, e che così tanti imboccano, sono in realtà solo porte girevoli che riportano dentro.
A Silvioland.

“In principio era il logo” – Philip K. Dick, 16 dicembre 1928 – 2 marzo 1982
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L’alba dei morti viventi https://www.carmillaonline.com/2018/05/30/lalba-dei-morti-viventi/ Wed, 30 May 2018 21:00:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46038 di Sandro Moiso

Il grottesco e ridicolo dramma in corso sulla scena politica italiana mi ha ricordato, in un primo tempo e a cent’anni esatti di distanza (ahi, potenza del teatro e dell’immaginario!), il pirandelliano “Giuoco delle parti”, scritto dall’autore siciliano nel 1918, in cui un marito cinico (Leone Gala) lascia correre la moglie Silia, volubile e capricciosa, tra le braccia dell’amante, il debole Guido Venanzi, completamente dominato dagli altri due. Lascia correre però soltanto per stringere poi un cappio mortale intorno al collo del più debole, con un colpo di scena [...]]]> di Sandro Moiso

Il grottesco e ridicolo dramma in corso sulla scena politica italiana mi ha ricordato, in un primo tempo e a cent’anni esatti di distanza (ahi, potenza del teatro e dell’immaginario!), il pirandelliano “Giuoco delle parti”, scritto dall’autore siciliano nel 1918, in cui un marito cinico (Leone Gala) lascia correre la moglie Silia, volubile e capricciosa, tra le braccia dell’amante, il debole Guido Venanzi, completamente dominato dagli altri due. Lascia correre però soltanto per stringere poi un cappio mortale intorno al collo del più debole, con un colpo di scena destinato a troncare in maniera irrefutabile la corrispondenza di amorosi sensi tra i due illusi. Rimediando però, allo stesso tempo, un marchio di infamia destinato ad accompagnarlo fino alla fine dei suoi giorni.
Mettete Sergio al posto di Leone, Matteo al posto di Silia e Luigi al posto di Guido e otterrete lo stesso risultato (che appunto non cambia col mutare dei fattori).

Ma il tormentone degli ultimi novanta giorni mi ha fatto anche ricordare che Amadeo Bordiga scrisse sul quindicinale “Il programma comunista” n. 14 del 1956 un compianto per Stalin: Plaidoyer pour Staline.
In tale articolo, proprio colui che fin dagli anni Venti si era erto ad intransigente avversario delle politiche che avrebbero portato l’Internazionale Comunista e l’URSS a diventare uno dei baluardi della controrivoluzione mondiale, si sarebbe trovato da solo a ripercorrere il percorso politico del suo avversario per dimostrare come ben poco, nel corso della Storia, sia dovuto alla volontà o alla personalità del singolo individuo. Proprio nel momento in cui, a tre anni di distanza dalla morte del “piccolo padre”, tutti i rappresentanti del perbenismo di destra e di sinistra si erano avventati come iene sulle spoglie di colui che, in occasione del XX congresso del PCUS svoltosi tra il 14 e il 26 febbraio di quello stesso anno, era stato accusato di tutti i “crimini” veri o presunti messi in atto dal regime e individuato come l’artefice di ogni errore seguito alla morte di Lenin.

Così fino a ieri, sarebbe stato possibile “compiangere” un governo ancora mai nato, contro cui erano stati indirizzati, fin dai primi giorni successivi alle elezioni del 4 marzo, gli strali della Sinistra, della Destra, del perbenismo, del filo-europeismo, dell’Europa germanica e di quella delle banche e della finanza, del berlusconismo, dell’anti-berlusconismo più scontato, dell’antifascismo più trito e di un antagonismo che di tale appellativo non riesce più nemmeno a salvare la facciata.

Un governo non nato, non solo per il possibile bluff di qualcuno dei suoi artefici, ma anche a causa di una rigida volontà di mantenimento dell’immutabilità sociale ed economica che si è mostrata dal 2011 in avanti e che è, sostanzialmente, conseguenza di un sistema di governo PD-Forza Italia che ha costruito il proprio potere finanziario e politico appoggiandosi sulle scelte più scellerate messe in atto dalla BCE, dai governi di Berlino e Parigi e dall’inconsistente parlamento europeo. Così, come aveva previsto Lucio Caracciolo, direttore della rivista mensile “Limes” e uno dei pochi, forse l’unico, commentatori politici italiani degni di essere ascoltati, affermando qualche settimana prima delle elezioni del 4 marzo che PD e FI avrebbero fatto di tutto per impedire un governo con i 5 Stelle, salvo poi tornare ad elezioni (nel corso dello stesso anno) in cui i populisti avrebbero trionfato.

Possibile governo che, dalla sua, avrebbe un risultato elettorale ottenuto attraverso la simultanea distruzione, avvenuta nelle urne da Nord a Sud, dei due feticci che insieme hanno governato l’Italia nel corso degli ultimi 25 anni: Berlusconi e il PD, in tutte le loro differenti formule elettorali. Uno scossone elettorale che ha rivelato, e pochi l’hanno colto, come gli italiani con tale voto abbiano cercato di togliere di torno i due falsi avversari che hanno inquinato la politica italiana; in cui berlusconismo e anti-berlusconismo hanno costituito l’esercizio di una fasulla opposizione sia di “Destra” che di “Sinistra”. Gioco in cui sono cascati quasi tutti, anche negli ultimi mesi e comprese alcune delle migliori penne di ciò che rimane di più vivace nel circo mediatico italiano.

Ma, in realtà, le ultime giravolte avvenute intorno al Quirinale con un frenetico via vai inconcludente ed inconsistente di un rappresentante del Fondo Monetario Internazionale come Carlo Cottarelli, la sua fuga dal retro del Palazzo, il disordine in sala stampa e negli studi televisivi, le affermazioni affrettate del giovane partenopeo, tutto avvolto nel tricolore e pentito dello sgarbo nei confronti del Presidente Mattarella, la paura degli economisti e dei commentatori di fronte alla salita dello spread e alla caduta dei titoli di borsa italiani oltre agli ondeggiamenti dell’uomo “con le palle” fascio-leghista, hanno infine ricordato al sottoscritto, ancora a quarant’anni di distanza, le prime, magnifiche immagini di disordine e caos mediatico fuori controllo di Dawn of the Dead (in Italia Zombi) di George Romero. E sinceramente a tutt’ora sembra, e si spera anche con soddisfazione dell’ esperto in tale settore Gioacchino Toni, l’impressione più corretta ed efficace da trasmetter ai lettori di Carmilla.

Il sottoscritto, poi, non ha mai nutrito simpatie per i 5 Stelle, fin dalla loro prima comparsata politica nel 2012 (qui), e tanto meno per il leghismo, ma quanto è accaduto in questi giorni (sostanzialmente la manovra di Mattarella per respingere il governo proposto originariamente dalle due forze politiche) più che rappresentare una vittoria del costituzionalismo contro l’avventurismo e il fascismo, ha rappresentato, definitivamente, la perdita di autonomia dei parlamenti nazionali, dei sistemi elettorali e della volontà dei cittadini rispetto alle regole stabilite degli interessi della finanza internazionale, dalle attuali classi dirigenti e del capitalismo tedesco.
L’affermazione di un autentico fascismo europeo che è, nonostante tutto, tutt’altro e, per ora, ben più autoritario e armato del fascismo verde-giallo nostrano della cui presunta sconfitta si nutrono con soddisfazione gli ancor troppi sinistrati mentali.1

Ma qui occorre aprire una parentesi per capire di cosa si parla quando si parla di Europa e di capitalismo finanziario. Se si pensa infatti a un blocco unico (modello SIM, Stato Imperialista delle Multinazionali) si è fuori strada tanto quanto chi alla fine degli anni Settanta produsse quel tipo di analisi politico-economica.2 Come ho affermato più volte il capitale è unitario soltanto nei confronti degli oppressi e degli sfruttati di ogni razza, genere e nazionalità, ma non nella sua intima essenza imperialistica ed espansionistica. Come le ultimissime decisioni sui dazi sull’acciaio e l’alluminio europei volute dal presidente americano confermano pienamente (qui).

Anche se, spesso, gli stessi suoi rappresentanti, proprio come è successo ieri, tranquillizzati da periodi troppo lunghi di funzionamento in modalità pilota automatico, perdono completamente la capacità di affrontare e rimettere nelle giuste bottiglie i demoni scatenati, indipendentemente dal fatto che questi siano costituiti dalla speculazione finanziaria, da un voto andato male oppure dal trambusto istituzionale, politico ed economico causato da un rappresentante dello Stato, forse, non all’altezza della situazione. Rivelando così che non solo valore e denaro sono meri feticci che, se male agitati, possono causare improvvise cadute e malattie peggio degli spilloni dei riti voodoo, ma anche che lo stesso pilota automatico, più volte evocato, potrebbe alla fine rivelarsi soltanto come una delle tante leggende metropolitane. Così anche come il termine Europa, di volta in volta sbandierato come un feticcio di irrinunciabile salvezza o come un mostro tentacolare dominato da una volontà maligna e da un’intelligenza onnicomprensiva.

L’Europa di cui si parla oggi è un’Europa a trazione tedesca, certo non più quella sperata dai suoi ideatori sotto il fascismo, quali Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il Manifesto di Ventotene.
E’ un‘Europa “unificata” dal trattato di Maastricht nel febbraio del 1992, un passo previsto all’interno del percorso di unificazione europea successivo all’avvio del Mercato Comune Europeo (MEC), ma avvenuto sostanzialmente poco dopo la riunificazione tedesca del 3 ottobre 1990. Una riunificazione che aveva avuto un immediato e pesante riflesso nell’esplodere delle guerre balcaniche, causate dal tentativo di alcune repubbliche (prima quella slovena, poi quella croata ) di correre al riparo di una Mitteleuropa tedesca e protetta dal marco (che già come moneta dominava gli scambi anche in Serbia).

Guerra che si basava sì anche sulle mai definitivamente risolte divisioni inter-etniche che soltanto il carisma di Tito era riuscito a sopire (e reprimere), ma che, in primo luogo, vide Francia e Regno Unito cercare di limitare immediatamente la novella espansione economica e politica della Germania riunificata verso l’Europa dell’Est che, proprio in quegli anni, sembrava essersi liberata dall’ipoteca ex-sovietica. Mentre Stati Uniti, attraverso la NATO, e Russia intervennero soprattutto per lasciare l’Europa cuocere nel proprio brodo di conflitti mai sopiti fin dal primo macello mondiale e non perdere la possibilità di interferire reciprocamente in un’area non secondaria dello scacchiere internazionale.

Maastricht doveva quindi servire anche ad ingabbiare Germania e marco in una rete di relazioni economico-politiche destinate, lasciando allo stesso tempo libertà di espansione al dinamismo economico tedesco, a portare beneficio anche agli altri rappresentanti dell’Unione Europea, magari trasformando il marco (che all’epoca era uno delle tre grandi monete di scambio a livello internazionale, dopo dollaro e yen) in una moneta unica (l’euro) in grado di rivaleggiare soprattutto con il dollaro.

Se non si capisce questo si continua a parlare inutilmente di aria fritta. Infatti Maastricht doveva servire a frenare l’evidente capacità espansiva del capitalismo e della moneta tedesca, sfruttandone allo stesso tempo le potenzialità di produzione e di assorbimento di merci (all’epoca soprattutto italiane), senza ripercorrere le strade assassine, che si stavano nuovamente affacciando ai confini d’Europa, che erano già state percorse due volte nel corso del XX secolo. Che poi all’interno dei promotori ci fossero paesi filo-tedeschi (come l’Italia) e anti-tedeschi (Francia e Gran Bretagna in particolare) non modificava affatto il profilo che l’Europa, unita da una moneta unica, avrebbe dovuto mantenere approfittando comunque della potenza economica tedesca come fattore di centralizzazione economico-politica. Fatta salva la possibilità per la Gran Bretagna di aderire a tale principi comunitari senza rinunciare alla propria moneta, la sterlina. Ancor importante sul mercato dei cambi.

Il trattato, entrato in vigore nel 1993, vide però, a partire dagli anni a cavallo tra i due secoli, i veri padroni della moneta unica, sostanzialmente i tedeschi, farsi rapidamente detentori del codice comportamentale di tale unione e sfruttare a loro vantaggio le norme monetarie, finanziarie e commerciali messe in atto. Anche senza una nuova guerra la Germania tornava, ed è effettivamente tornata, ai suoi vecchi, irrinunciabili obiettivi di controllo sul continente europeo e, in particolare sulla sua manodopera e il suo costo (in casa e fuori) (qui).

Il modello cui si fa quindi riferimento, quando si parla di europeismo e di adesione all’euro è dunque sostanzialmente quello fin qui delineato. Un accordo tra fratelli-coltelli in cui il cosiddetto asse franco-tedesco non è mai davvero decollato, come le frizioni tra Macron e Merkel hanno dimostrato ancora nelle ultime settimane (qui e qui)), mentre altri paesi, come l’Italia e la Spagna, hanno dovuto accodarsi in nome di un maggior vantaggio finanziario (usufruire di una moneta forte) destinato nel tempo a strangolare il tenore di vita dei lavoratori e dei propri cittadini, dopo un primo illusorio balzo in avanti.

Sostanzialmente, da qualche anno (diciamo dal 2011) la Germania di Merkel è passata all’incasso del prestito di benessere fasullo concesso a paesi come l’Italia con l’introduzione dell’euro. Spinta a questo anche dai rischi che la sua banca più importante, Deutsche Bank, sta correndo, dopo aver incamerato per anni titoli spazzatura e derivati sul debito italiano di cui sta cercando di incrementare la reddività (qui, qui e qui ). Motivo ulteriore di spinta per un rialzo del rendimento dei titoli di paesi come l’Italia (aumento del differenziale di redditività o spread) per poter guadagnare sui propri investimenti esteri mantenendo basso o addirittura negativo quello dei titoli emessi in Germania.
Così, con la macelleria sociale che ne è conseguita, è stato annunciato pubblicamente che la festa era finita, perché lo era anche su scala mondiale, altrimenti non si capirebbe l’irrigidimento delle politiche autarchiche statunitensi nei confronti soprattutto dei prodotti europei e tedeschi, visto che con la Cina Trump dovrà per ora, e per forza di cose, trovare ancora una quadra.

Qualcuno, proprio oggi (qui), ha affermato che la caduta delle borse di New York (-1,58%), di Parigi (-1,29%) e Francoforte (-1,53%) registrato ieri, sia dovuto alle affermazioni di Di Maio, Salvini e Savona (chissà poi perché non Mattarella) attribuendo così a dei semplici battilocchi la responsabilità di eventi che affondano le loro radici in un modo di produzione socialmente obsoleto e in un sistema finanziario destinati, ormai da parecchio tempo, ad un irreversibile e drammatico tramonto.Così come la crisi europea, cui tutti si stanno preparando facendo finta che non possa avvenire, è ormai all’ordine del giorno e non certo soltanto per colpa dei nostri miseri omuncoli. Miseri omuncoli impauriti e convinti allo stesso tempo di essere così determinanti sul piano delle relazioni politiche ed economiche internazionali. Ci vorrebbe il Principe Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio in arte Totò a dir loro, con maggiore autorevolezza: Ma mi faccia il piacere…

Intanto, negli ultimi anni, i nuovi paesi produttori (Cina e India), le nuove potenze locali (Turchia, Iran, Arabia Saudita) e vecchi avversari sono tornati in gran spolvero di attività diplomatica e militare (Russia) reclamando un nuovo posto al sole e gli Stati Uniti devono concederglielo oppure sostenere guerre locali destinate a ridurre il numero dei pretendenti alla ricchezza mondiale (magari cercando di eliminare i più scomodi, come l’Iran, e contenendo i più pericolosi dal punto di vista militare, come la Russia di Putin). Che poi questo si intrecci alle mille vie del petroli e del gas non è certo né secondario né, tanto meno, casuale.

L’Europa, da questo punto di vista è tagliata fuori e l’unificazione del comando e dell’azione diplomatica e militare resta soltanto un bel, e oramai sorpassato, sogno. La parola d’ordine continua ad essere quella del secolo appena passato: ognuno per sé e la Germania contro tutti o sopra tutti. Deutschland, Deutschland Über Alles! Prendere o lasciare, non c’è altra scelta. Il pilota automatico di cui si parla spesso, a proposito delle varie crisi economiche e politiche nazionali è essenzialmente un pilota di lingua tedesca, anche se poi tutti i centri e gli organismi finanziari cercano comunque ogni volta di speculare ed ingrassare a spese dei lavoratori e dei cittadini sempre meno garantiti di ogni paese reso più debole. Un gioco per il quale potenzialmente non può esserci, al momento fine (qui). Se non con il nuovo scatenarsi di un altro conflitto mondiale destinato a ristabilire un nuovo ordine dei vincitori. Preceduto magari anche da un’uscita proprio della Germania dal sistema dell’euro o, perlomeno, dalla creazione di due diverse euro-aree. Ipotesi tutt’altro che peregrina secondo numerosi osservatori finanziari e politici (qui).

In attesa di ciò, la maggioranza dei governi europei, talvolta a malincuore, ha scelto lo status quo, poiché diversi sistemi di governo oppure differenti gruppi di potere potrebbero rappresentare un salto nel buio, pericoloso sia per gli interessi tedeschi che per quelli dei suoi competitor (come la Francia). Da qui la risposta univoca e negativa che i rappresentanti dell’Unione hanno dato e continuano a dare ogni volta ad istanze di cambiamento dei rapporti e delle regole già stabilite. E da qui, dunque, un primo motivo dell’aborto, tutt’altro che spontaneo, intervenuto in occasione della mancata formazione del governo giallo-verde in Italia.

Forse perché la regola più condivisa è costituita dal fatto che non essendo l’Italia un paese qualsiasi, poiché è ancora il secondo paese industriale del continente europeo dopo la Germania, la realizzazione di un governo populista in loco potrebbe avere una deriva politica decisiva nei maggiori paesi (Francia e Germania) le cui elite, pur già potenzialmente avversarie, preferiscono ancora mantenere un ruolo direttivo all’interno dei propri confini. Per ora meglio cercare di ridimensionare gli obiettivi e i risultati dei cosiddetti populismi (ovunque sia possibile) e prender tempo, in attesa che qualcosa cambi. Tenuto conto, come ha sottolineato il quotidiano spagnolo El País del 24 maggio, che mentre i partiti populisti anti-europeisti erano 10 in Europa nel 2017, oggi sono saliti a 43. Mentre anche il fedelissimo governo di Mariano Rajoy sembra oggi traballare pericolosamente. Un autentico scenario da brivido per le prossime elezioni del parlamento di Strasburgo.

Paventato oggi con grande preoccupazione dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker alla plenaria a Strasburgo: «Entro un anno gli europei avranno votato per un nuovo parlamento europeo di cui nessuno conoscerà la composizione e che sarà differente da quella attuale, cosa che mi fa nutrire qualche inquietudine. – ha precisato Juncker – E vorrei che tutti noi ci impegnassimo in una sorta di contratto contro il populismo galoppante che possiamo vedere in Europa e in tutti i Paesi, compreso il mio» (qui).

Questo è il significato dell’autentico coup d’etat/coup de theatre realizzato da Sergio Mattarella che però, nella sua foga di zelante servitore, non ha realizzato di essere egli stesso expendable, al contrario di Re Giorgio che lo aveva preceduto. Gli errori si pagano, soprattutto quelli madornali, quelli che suscitano, invece di placarli, i demoni sopra citati. Prova ne sia la scarsa fiducia suscitata, anche nei possibili ministri, dall’uomo del Fondo Monetari Internazionale che, probabilmente non intascherebbe neanche il voto di fiducia da parte del PD (qui). E il ritorno alla proposta di un governo “politico” con i due giovani galletti (dalle creste però un po’ abbassate) sembra riproporre un gioco dell’oca politico in cui ogni volta che arrivano alla casella Savona i concorrenti devono tornare sui propri passi.

Certo è il fatto che se il governo SalviMaioConte non è ancora nato, non è dovuto soltanto all’intervento di forze esterne. Anche le contraddizioni al suo interno, non solo tra 5 Stelle e Lega, ma anche interne alle due stesse forze politiche (qui) hanno contribuito a paralizzarne l’azione. Cosa però che potrebbe essere superata nel corso dei prossimi giorni, con un più deciso schieramento a destra dei 5 Stelle. Le comparsate pubbliche negli ultimi giorni di un risorto Di Battista segnalano infatti un cambio di marcia e di argomentazione in vista della prossima campagna elettorale, in cui probabilmente il pallido e moderato Di Maio potrebbe essere messo da parte e sostituito da argomenti e personaggi più muscolari.

Mentre potrebbe farsi sempre più difficile la via di un’alleanza del centro destra in cui Berlusconi, pur precocemente liberato dai carichi pendenti, potrebbe non più avere lo stesso potere di attrazione fatale sugli elettori di destra e sulla Lega, considerato che quest’ultima avrebbe forse più da guadagnare elettoralmente da una sua autonomizzazione dal Cavaliere che non da un ulteriore rinsaldamento dei legami con lo stesso; debolezza segnalata anche dal brusco calo dei titoli azionari della società del Cavaliere che, nel giorno del calo del 2,3% della borsa milanese, sono scesi del 5% ovvero più del doppio, vuoi per ricatto finanziario e politico nei confronti di colui che stringe ancora i cordoni della borsa di Forza Italia e Lega, vuoi per sfiducia nella sua tenuta politica, unica garanzia per le aziende Mediaset. Dubbio che assale anche i fratelli minori dello stesso schieramento, la cui leader ha già deciso che piuttosto che perdere ulteriori voti della destra cosiddetta sociale a favore del programma fascio-leghista, sparendo dal quadro elettorale, sarà meglio piegarsi a Salvini e continuare a vivere nelle pieghe di un sovranismo meglio espresso a Varese che non a Roma.

Sovranismo che, una volta giunto al governo, potrebbe liberare tutte le proprie potenzialità repressive e autoritarie approfittando, come modello politico, proprio dell’azione esercitata da Mattarella, così come l’azione di Minniti ha favorito l’affermazione del dettato leghista sulla questione migranti e sicurezza, come si è accorto, sebbene in ritardo ed opportunisticamente, anche il presidente del PD Matteo Orfini (qui e qui).

L’ultimo dato “istituzionale” da segnalare è che la promessa del Presidente della Repubblica di voler salvare con il suo veto i risparmi degli italiani si è rivelata inconsistente fin da subito, considerato il fatto che nei due giorni successivi lo spread è salito fino a 320 punti e in Borsa il valore dei titoli italiani, prevalentemente bancari, ha continuato allegramente a scendere. Mentre il capo zombi di un governo nato già morto continuava a promettere aumenti dell’IVA e peggioramenti economici vari se il suo governo non avesse ricevuto la fiducia delle camere. Alla faccia del bon ton e del garbo che così tanti hanno rimpianto nelle trasmissioni televisive precedenti alla mancata realizzazione del governo giallo-verde.3 Il tutto contornato da un minaccioso clima da colpo di stato bianco in cui il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza dichiarava, dal 29 maggio e in previsione delle manifestazioni del 2 giugno, la necessità di blindare e proteggere le sedi delle istituzioni non solo a Roma ma in tutta Italia.

Tralasciando di completare adesso un quadro che potrebbe complicarsi ancora nei giorni e nelle ore a venire, occorre ora provare a delineare quali potrebbero essere le possibili strategie e tattiche che un movimento antagonista allo stato di cose presente dovrebbe sperimentare se davvero volesse opporsi autonomamente a tali trasformazioni e duelli in atto su scala nazionale ed europea.

Prima cosa da dire sarebbe che la partecipazione elettorale non ha, al momento, più ragione d’esistere, soprattutto se tale partecipazione invece di voler solo rappresentare una cassa di risonanza parlamentare per le lotte, volesse, come hanno immaginato alcune vecchie mummie sindacali e politiche annesse a Potere al Popolo, proporsi come parte di possibili alleanze di governo.
Se due forze, sostanzialmente conservatrici e nazionaliste come 5 Stelle e Lega, che pur a breve potrebbero essere pienamente riconosciute per un rilancio politico di un’unità nazionale destinata a far fronte all’inevitabile crisi dell’Europa di Maastricht, sono state bloccate in ogni modo nel loro tentativo di sostituirsi all’ancien regime di PD e FI, c’è da immaginarsi quale possibilità di affermazione parlamentare potrebbe avere una forza caratterizzantesi come di estrema sinistra (tenuto conto che oggi i media tendono a definire come tali le mummie di LeU, di Rifondazione o di Sinista Italiana).

Come seconda cosa non si parli più di democrazia parlamentare: non esiste. È stata definitivamente stracciata davanti agli occhi di milioni di cittadini in diretta televisiva.
Dalla Catalunya a Parigi fino a Roma la risposta del potere è una sola: lasciate ogni speranza voi che entrate nell’arengario politico, non avrete più ascolto e possibilità di soddisfazione delle vostre speranze, per quanto misere. E’ già di sabato 26 maggio la risposta di Macron, a nome di tutti gli oligarchi europei: Non saranno le manifestazioni oceaniche a poter modificare il nostro programma di riforme.

Nemmeno se i cittadini si rivolgono ancora a forze sostanzialmente conservatrici quali Lega, Movimento 5 Stelle o il Partito Democratico Europeo Catalano di Carles Puidgemont.
Per il capitale la riposta è per ora soltanto: guerra senza quartiere! Come dimostra, ad esempio, l’insegna elaborata dal comandante della gendarmerie francese operante sul territorio della ZAD, trattando tale operazione di polizia come un autentica operazione di guerra. E rivelando perciò definitivamente come, ormai da anni, qualsiasi operazione di polizia sia in realtà un’operazione di guerra, esterna o interna ai confini nazionali che sia.

Gli antagonisti, gli oppressi, i lavoratori, gli sfruttati, i migranti da oggi avranno davanti soltanto il Moloch del capitale e i suoi irreprensibili funzionari. I movimenti reali già lo sanno di non aver e di non poter avere governi amici, ma ora lo sapranno anche tutti coloro che, pur illudendosi e molto spesso tappandosi il naso, hanno riposto le loro speranze in partiti populisti che, ricordiamolo sempre, hanno raggiunto e raggiungerebbero ancora, la maggioranza dei seggi in Parlamento

Proprio per questo motivo sarà sempre più inutile inseguire quegli stessi partiti sul loro stesso terreno. Lo fanno meglio loro, liberi da considerazioni di classe poiché interclassisti, mentre la scelta dell’inseguimento costringerebbe il movimento antagonista a spingersi sempre di più sul terreno della Destra, non dal punto di vista sociale (milieu piccolo borghese deluso, sottoproletariato e proletariato privo di qualsiasi garanzia), ma proprio su quello ideologico.
Ricordiamoci sempre che molti membri delle S.A. (Squadre d’assalto) hitleriane, poi eliminate dalle S.S. nella Notte dei Lunghi Coltelli tra il 30 giugno e il 1° luglio 1934, provenivano da un’estrema sinistra delusa dai continui ondeggiamenti della politica della Terza Internazionale stalinizzata.

Dovremmo forse difendere ancora i confini nazionali, la democrazia parlamentare, una Costituzione buona per tutti gli usi e chiedere ancora il diritto di espressione a chi usa qualsiasi strumento politico, mediatico, economico e militare per negarcelo? Oppure quel fetido antifascismo, come quello oggi rappresentato da Renzi in qualità di mediano (qui), che si presenta solo, sempre e soltanto quando serve a compattare, in chiave elettorale, una sinistra divisa con i peggiori rappresentanti del vero fascismo istituzionale e del capitalismo finanziario? E, infine, dovremmo forse rimpiangere la vecchia moneta nazionale, così come sembrano fare le orrende pubblicità televisive sulle sue riedizioni in oro zecchino da parte del Gruppo poligrafico e della zecca di Stato (qui)?

No, se il capitale finanziario ha necessità, nel suo sviluppo di abbattere i confini nazionali e le istituzioni giuridiche sacre per la borghesia faccia pure. Se, come ha fatto il 29 maggio il commissario tedesco al bilancio europeo Oettinger. minaccerà ancora gli italiani o gli altri cittadini europei affermando che «i mercati insegneranno agli italiani come si vota» (qui), ci aiuterà soltanto nell’opera di distruzione dei feticci di una società ipocrita ed autoritaria, che sventola unità di intenti ma prepara immani conflitti imperialistici e di classe. Una società che parla di umanità, ma che sa offrire soltanto sofferenza, distruzione e sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sull’ambiente.

Non abbiamo nulla da salvare di questo Stato, non abbiamo interessi nazionali, non abbiamo territori vitali da difendere ad ogni costo e non accetteremo nessun appello alla loro difesa, sia che provengano da Destra come da Sinistra. Siamo tutti migranti e i confini ci sono soltanto di ostacolo, e lo sono ancora di più per le lotte. Il capitale ha lavorato per noi, non nei termini banali del progresso sbandierato per decenni dai rappresentanti di partiti liberali o di sinistra asserviti agli interessi di un indistinto sviluppo economico, ma rivelando il suo vero e autoritario volto.

Chi lo rappresenta evidentemente ha oggi tutto da perdere, tanto da doversi preoccupare anche soltanto per un banalissimo scossone elettorale, e poiché ce lo ha rivelato in maniera così meschina possiamo essere certi, al contrario, che noi avremo tutto da guadagnare e soltanto delle vecchie catene da perdere o da rivolgere come armi contro i nostri oppressori.
Il Re è nudo e il Kapitale anche e così i loro fasulli avversari istituzionali.
Affogheranno insieme nella tempesta che hanno scelto di scatenare.
Il tempo delle briciole cadute dal tavolo e dei piatti di lenticchie offerti in occasione delle promesse elettorali sta per finire perché noi vogliamo tutto.


  1. Devo qui ringraziare Nico Maccentelli per l’efficace definizione  

  2. Si veda L’ape e il comunista, (a cura del Collettivo Prigionieri Politici delle Brigate Rosse), “Corrispondenza Internazionale” N° 16/17, ottobre-dicembre 1980 poi ripubblicato per Pgreco, 2013  

  3. Si vedano le ridicole affermazioni di Lilli Gruber e Evelina Christillin nella trasmissione 8 e mezzo dell’8 maggio, in cui la prima rimpiangeva il bon ton chiedendo più garbo in politica, mentre la seconda paragonava lo sgarbo istituzionale di 5 stelle e Lega nei confronti di Mattarella al bullismo scolastico.  

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La nuova guerra civile europea https://www.carmillaonline.com/2018/05/03/la-nuova-guerra-civile-europea/ Wed, 02 May 2018 22:01:40 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=45285 di Sandro Moiso

Oggi, 3 maggio 2018, mentre i media nazionali rispettosi soltanto dei vuoti rituali della politica guardano a ciò che avverrà nella direzione del PD, cade il venticinquesimo giorno dell’occupazione militare della ZAD di Notre Dame des Landes da parte dei mercenari in divisa da gendarmi dello Stato francese.

2500 agenti che da venticinque giorni, con ogni mezzo non necessario se non a ferire gravemente i corpi o a violentare i territori percorsi da autoblindo, ruspe e gru e a distruggere campi coltivati, boschi e abitazioni, cercano di cancellare dalla [...]]]> di Sandro Moiso

Oggi, 3 maggio 2018, mentre i media nazionali rispettosi soltanto dei vuoti rituali della politica guardano a ciò che avverrà nella direzione del PD, cade il venticinquesimo giorno dell’occupazione militare della ZAD di Notre Dame des Landes da parte dei mercenari in divisa da gendarmi dello Stato francese.

2500 agenti che da venticinque giorni, con ogni mezzo non necessario se non a ferire gravemente i corpi o a violentare i territori percorsi da autoblindo, ruspe e gru e a distruggere campi coltivati, boschi e abitazioni, cercano di cancellare dalla faccia della Francia, dell’Europa e della Terra ogni traccia di una delle nuove forme di civiltà e comunità umana che si è andata delineando negli ultimi decenni sui territori che la società Da Vinci e gli interessi del capitale avrebbero voluto trasformare in un secondo ed inutile aeroporto della città di Nantes.

Un’azione fino ad ora respinta valorosamente dagli occupanti e dalle migliaia di uomini e donne di ogni età e provenienza sociale che si sono recati là al solo fine di manifestare la loro solidarietà con quell’esperimento comunitario e di respingere ancora una volta, come nel 2012 con l’operazione César voluta all’epoca da Hollande allora fallita, le mire del capitale finanziario sul bocage e della repressione poliziesca nei confronti di un esperimento di società senza Stato, senza denaro, senza polizia, senza rappresentanza politica se non diretta dei suoi abitanti.

Mentre qui da noi i “nuovi” nani della politica inscenano il solito e nauseante teatrino, dimostrando di non essere altro che novelli e miseri gattopardi (specialisti nel cambiare tutto affinché nulla cambi) decisi a tutto pur di salvaguardare in qualche modo proprio ciò che gli elettori italiani, con il voto maggioritario ai 5 Stelle e alla Lega, si erano illusi di scacciare definitivamente dai loro incubi (PD, Renzi, Forza Italia e Berlusconi), là il cambiamento si gioca direttamente, faccia a faccia, tra chi questo osceno modo di produzione vuole continuare a salvaguardare e chi vorrebbe invece affossarlo per sempre.

Non a caso la ZAD è stata da tempo definita come zona di “non Stato” dalle stesse autorità francesi e non a caso proprio il non marché, l’area in cui era possibile prelevare o scambiare i prodotti dell’agricoltura locale senza ricorrere al denaro, è stata la prima area ad essere distrutta, ricostruita in pochi giorni e nuovamente rasa al suolo dalle ruspe delle forze del dis/ordine. Rendendo così evidente che non si tratta di riportare l’ordine repubblicano in un territorio di quasi 1700 ettari sfuggito al suo controllo, ma di ristabilire le norme della civile società del mercato, del profitto e dello sfruttamento capitalistico dell’uomo sull’uomo e dell’ambiente.

Ma qui, nell’Italietta sempiterna fascista e democratico-parlamentare allo stesso tempo, in questa grande unica Brescello di Don Camillo e Peppone, anche le forze che si vorrebbero “altre” sembrano preoccuparsi più della raccolta firme per le prossime elezioni amministrative oppure delle fratture interne legate ai vari mal di pancia individuali e di gruppuscolo oppure, ancora e semplicemente, di ricondurre il gregge degli scontenti all’interno dell’alveo parlamentare, più che di elaborare strategie ed iniziative adeguate ai mutamenti in atto nella società odierna. Dimostrando così, ancora una volta e semmai ce ne fosse ancora bisogno, che l’elettoralismo è sinonimo soltanto di negazione delle lotte e della reale liberazione da un esistente morto da tempo e di cui, per ora, soltanto i riti voodoo parlamentari riescono ancora a tenere nascosta la constatazione del decesso.

Parlando a Strasburgo davanti al parlamento europeo, il 17 aprile di quest’anno, Emmanuel Macron ha sottolineato il rischio che in Europa possa esplodere una guerra civile. Per una volta il giovane e rampante rappresentante della grandeur francese non ha mentito. Non ha mentito sapendo benissimo di che cosa stava parlando, essendo lui stesso uno dei promotori della stessa. Una guerra che, ormai da anni, il capitale finanziario sta conducendo contro i cittadini d’Europa, soprattutto là dove quegli stessi cittadini non si lasciano ingabbiare dalle logiche nazionaliste, populiste e razziste (che lo stesso capitale finanziario promuove facendo allo stesso tempo finta di combatterle).

Così mentre viene invocato ed applicato l’uso della forza aerea e militare contro la Siria di Assad per l’uso dei gas e delle armi chimiche che questi avrebbe fatto nei confronti della popolazione civile, allo stesso tempo si usano su tutto il territorio europeo i gas CS, proibiti dalla convenzione di Parigi (qui), per gasare i manifestanti dalla Val di Susa a tutta l’Europa. Oppure i gas paralizzanti e inabilitanti, insieme a flashball e proiettili di gomma, contro i difensori della ZAD di Notre Dame des Landes o in altre parti della Francia.

La guerra preventiva è diventata forma di controllo planetaria, e anche se in Europa non abbiamo ancora assistito agli orrori di Gaza, investita dalla vendetta del fascista Netanyahu, o del Rojava, investito dalla furia del sultano Erdogan, è certo che la logica della violenza aperta e dichiarata è diventata la formula corrente per il governo delle contraddizioni politiche e sociali.

In ogni angolo del continente europeo e del mondo i margini della trattativa si sono ridotti ad una mera logica di scontro e di rapporti di forza, anche e forse soprattutto militari. Vale per la concorrenza tra potenze tardo-imperialiste e neo-imperialiste, ma vale soprattutto per il conflitto di classe all’interno degli Stati. E non vi è più parlamento nazionale che possa effettivamente risolvere le contraddizioni interne, siano esse economiche o sociali, senza far ricorso all’uso dell’intimidazione e della violenza.

Proprio per questi motivi la solidarietà tra gli oppressi non può più misurarsi soltanto sulla base delle generiche petizioni di principio che hanno costituito il paravento dietro al quale sinistre ormai decrepite, nostalgiche e asfittiche, istituzionali e non, si sono riparate per decenni. Non bastano più e non ci sono proprio più, come la scarsa informazione su Gaza o su quello che succede alla ZAD ben dimostra.

Come negli anni della guerra civile spagnola oppure, ancor prima, delle guerre di indipendenza europee dell’Ottocento, la solidarietà si manifesta attraverso la partecipazione o il sostegno diretto alle lotte, dal Rojava alla Val di Susa, dalla Zad alla Palestina.
Una nuova generazione e un nuovo paradigma politico di lotta e resistenza si stanno imponendo, proprio a causa di quell’imposizione violenta dell’ordine e della volontà di dominio che il capitalismo internazionale sembra intendere come unica forma di governo sovranzionale.

Lo Stato così come è stato concepito dalle borghesie liberali è morto. E’ morto fin dai primi del ‘900, quando la grande paura delle insurrezioni e delle rivoluzioni “rosse” portò alla costituzione di nuovi organismi statali e partitici che coincisero con il fascismo, il nazismo e lo stalinismo.

Anime belle e pie affermarono allora che occorreva lottare contro quei mostri per tornare ai rapporti democratico-parlamentari precedenti. Ma se è vero che non vi è direzione teleologica della Storia, ovvero che la Storia non ha di per se stessa un fine, è anche vero che difficilmente lo sviluppo sociale e politico potrà tornare sui suoi passi. Con buona pace delle teorie sull’eterno ritorno e sulla circolarità della Storia stessa.

Fascismo e nazismo soprattutto non furono sconfitti nella riorganizzazione della forma Stato, che in effetti non ci fu affatto. A parte il farsesco processo di Norimberga in cui i vincitori, dopo aver messo in salvo gli avversari più prestigiosi e più utili, finsero di eliminare l’idra dalle molte teste, quasi ovunque, e soprattutto in Italia dopo la spettacolare eliminazione del Duce con una fine teatrale che servì al contempo a farlo tacere per sempre sui suoi rapporti con le forze politiche ed economiche che avrebbero preso in mano le redini della Repubblica, gli apparati dello Stato, le strutture economiche e sindacali (la concertazione, emanazione diretta di quella Carta del Lavoro voluta dal regime per dirimere senza conflitto i rapporti tra imprese e lavoratori), le strutture dedite alla repressione di classe e le forze armate rimasero sostanzialmente ancorate e fondate sulle pratiche e sulle idee del ventennio.

Basti rinviare ancora una volta alla mancata epurazione e all’amnistia concessa dal guardasigilli Togliatti, più attento a reprimere i sovversivi alla sua sinistra che a punire i rappresentanti degli apparati e del regime e che permise a un numero non piccolo di fascisti di reintegrarsi non solo nella DC, ma anche nel PCI, di cui in alcuni casi sarebbero diventati esponenti importanti.

Ma oggi quell’organizzazione statale nuova e democratica che, dietro ad un gran polverone di principi, formule e parole, aveva continuato, con l’antifascismo formale, la tradizione fascista del coinvolgimento del cittadino nelle strutture dello Stato, più ancora che attraverso la partecipazione alla vita politica per il tramite del parlamentarismo “democratico”, attraverso la sua completa sussunzione nello stesso tramite l’ideologia nazionalista, l’assistenzialismo diffuso e il rimbecillimento mediatico e associativo, non basta più. Semplicemente costa troppo. Anche per il “ricco” Occidente. Da qui i “populismi” e il loro feroce, volgare e superficiale attacco alle prebende parlamentari, alle spese inutili o l’uso di slogan che sembrano voler far riecheggiare l’antico chi non lavora non mangia, oggi diretto soprattutto ai migranti e giovani disoccupati non intenzionati a farsi sfruttare come bestie.

Da qui le fittizie contese sul lavoro e sulle pensioni, utili solo a raccattare voti tra ciò che resta della classe operaia e della classe media impoverita. Da qui un terzomondismo povero di idee, oggi ancor più di quello di ieri, che invece di guardare avanti, verso una società senza stato, sfruttamento, proprietà privata dei mezzi di produzione, salari e consumo di merci, guarda indietro, a rapporti più “equi” nello sfruttamento capitalistico e nell’appropriazione, nazionale o privata non importa, delle risorse e del loro prodotto.

Volutamente sono stati qui messi insieme slogan e atteggiamenti che appartengono a forze politiche apparentemente diverse tra loro, che però ubbidiscono ancora tutte ad una logica e a un immaginario che, se non fosse proprio per il teatrino mediatico e politico che contribuiscono tutte ad alimentare, avrebbero già potuto essere seppelliti da tempo. Come la crisi istituzionale che andrà in scena nei giorni a venire non farà altro che confermare definitivamente.

Chi oggi vuole cambiare l’esistente lotta sulle barricate della ZAD, in Val di Susa, nelle strade di Parigi del primo maggio o nel Rojava. Luoghi, insieme a molti altri, che sanno accogliere chi lotta, chi fugge e chi migra. Luoghi pericolosi perché non rappresentano il locale e l’immediato, ma il mondo di domani.

Come, tutto sommato, ha capito Macron che, dopo aver dichiarato il 17 gennaio di quest’anno definitivamente chiusa la possibilità di realizzare il secondo aeroporto di Nantes, ha scatenato i suoi cani da guardia contro coloro che, su quei territori, hanno già sconfitto il passato e lo Stato, in tutti i sensi e senza bisogno di partiti.

Fornendo un magnifico esempio al nuovo maggio di lotte che, a cinquant’anni di distanza dal 1968, sta tornando a divampare in Francia tra i lavoratori dei trasporti, gli studenti, i giovani senza lavoro e che ha già visto un sempre giovane Karl Marx tornare a prendere il posto che gli spetta nei cortei di testa.

Avvertenza
Con il presente articolo si inaugura una nuova rubrica di Carmilla, che i lettori troveranno in basso nella colonna di sinistra, dichiaratamente ispirata alla definizione di comunismo data dal giovane Marx: Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.
Al suo interno troveranno spazio tutti quegli interventi, redazionali e non, che vorranno occuparsi dello sviluppo dei movimenti di lotta contro i differenti aspetti della società che ci circonda e indirizzati ad un suo sostanziale cambiamento.
Resta naturalmente evidente che la responsabilità per il contenuto degli stessi rimane esclusivamente a carico degli autori e non della Redazione di Carmilla nel suo insieme.

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LegaLand https://www.carmillaonline.com/2018/03/05/legaland/ Mon, 05 Mar 2018 07:00:39 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=44045 di Alessandra Daniele

La kermesse politico-canora del 2018 s’è conclusa. Seguendo il fortunato esempio del duo Meta-Moro, che ha vinto a Sanremo con una canzone non inedita, quest’anno tutti i partecipanti si sono presentati con brani già noti.

Silvio Berlusconi con Nostalgia Canaglia. L’ex Cavaliere ha puntato tutto sul pubblico degli anziani, e in particolare su quelli che non assumono integratori per la memoria. Tuttavia per ottenere il livello d’oblio che gli serviva per riconquistare la popolarità perduta gli sarebbe stata necessaria un’epidemia d’encefalite spongiforme suina. Il Polipo delle Libertà ha però vinto comunque in tutto il Nord [...]]]> di Alessandra Daniele

La kermesse politico-canora del 2018 s’è conclusa. Seguendo il fortunato esempio del duo Meta-Moro, che ha vinto a Sanremo con una canzone non inedita, quest’anno tutti i partecipanti si sono presentati con brani già noti.

Silvio Berlusconi con Nostalgia Canaglia.
L’ex Cavaliere ha puntato tutto sul pubblico degli anziani, e in particolare su quelli che non assumono integratori per la memoria. Tuttavia per ottenere il livello d’oblio che gli serviva per riconquistare la popolarità perduta gli sarebbe stata necessaria un’epidemia d’encefalite spongiforme suina. Il Polipo delle Libertà ha però vinto comunque in tutto il Nord e il Centro grazie alla Lega.

Matteo Salvini con L’Italiano
Sostituito il Federalismo con la Difesa della Razza, la Lega s’è proposta come l’autentica interprete dell’italianità in tutte le sue fondamentali caratteristiche. A cominciare dal trasformismo. E dal fascismo. La scelta ha pagato: la Lega oggi sembra essere il mattoncino verde imprescindibile di qualsiasi futura architettura governativa d’intese più o meno larghe, e più o meno trasversali.

Giorgia Meloni con Oro Nero
Pur non essendo già stato presentato al Festival, il brano di Giorgia è fin troppo noto agli italiani, che sono stati costretti a cantarlo per un ventennio.

Luigi Di Maio con Terra Promessa
Il Movimento ha passato tutta la campagna a cercare di galvanizzare i suoi elettori promettendogli che un governo 5 Stelle avrebbe cambiato quasi tutto, e contemporaneamente a cercare di conquistare nuovi elettori assicurandogli che in realtà un governo 5 Stelle non avrebbe cambiato quasi niente. Questa doppiezza gli ha fruttato una clamorosa vittoria in tutto il Sud, consentendogli un’apertura ad alleanze Urbi et Orbi in nome del Bene del Paese. 

Pietro Grasso con Ti lascerò
Nonostante il miserrimo risultato elettorale, gli scissionisti possono comunque festeggiare: il PD è distrutto.

Matteo Renzi con La Solitudine
L’ennesima, umiliante, totale disfatta di Capitan Boomerang porterà a un ulteriore e terminale spappolamento del PD, dalle cui macerie tenteranno di strisciare fuori i nuovi scilipoti pronti a Servire il Polipo delle Libertà e/o il M5S, mentre Renzi cerca di trattenerli per la coda.

La parabola del Cazzaro fiorentino è finita.
Avanti il prossimo.

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I Blattopardi https://www.carmillaonline.com/2018/02/04/i-blattopardi/ Sun, 04 Feb 2018 18:30:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=43425 di Alessandra Daniele

In Germania la Volkswagen adoperava cavie umane per testare la tossicità dei gas di scarico. Un esperimento analogo si sta svolgendo in Italia. L’attuale campagna elettorale sta testando la sopravvivenza degli italiani a un clima completamente saturo di stronzate. I PDestri che millantavano di voler abolire il Senato, adesso ci si candidano in massa. Renzi ha messo in lista solo renziani e berlusconiani. Ha rifondato il PCI, Partito Cazzari Italiani. Il conte Gentiloni s’è finto scandalizzato dall’intenzione di Amazon di trasformare i suoi operai in droni borg, benché la cosa fosse già prevista dal Jobs Act. Nel [...]]]> di Alessandra Daniele

In Germania la Volkswagen adoperava cavie umane per testare la tossicità dei gas di scarico. Un esperimento analogo si sta svolgendo in Italia. L’attuale campagna elettorale sta testando la sopravvivenza degli italiani a un clima completamente saturo di stronzate.
I PDestri che millantavano di voler abolire il Senato, adesso ci si candidano in massa. Renzi ha messo in lista solo renziani e berlusconiani. Ha rifondato il PCI, Partito Cazzari Italiani.
Il conte Gentiloni s’è finto scandalizzato dall’intenzione di Amazon di trasformare i suoi operai in droni borg, benché la cosa fosse già prevista dal Jobs Act.
Nel PD se ne intendono di borg. Hanno la faccia come il cubo.
La Boschi, che aveva adoperato il suo presunto radicamento nel territorio toscano come scusa per le sue ingerenze bancarie, adesso si candida a Bolzano. Dice che conosce già qualche parola di tedesco. “Volkswagen”.
Il rianimato Polipo delle Libertà ha subappaltato le liste ad ogni organizzazione criminale disponibile, escluse le baby gang perché non hanno ancora l’età per votare.
Anche il normalizzato e moderato Movimento 5 Stelle ha aperto ormai anche esplicitamente a trasformisti e riciclati, leghisti, renziani, e notabili di ogni categoria.
Baroni della medicina e dell’università, imprenditori, presidenti di Confartigianato e dell’Ordine degli Avvocati, consulenti della Farnesina e fondatori di Tg berlusconiani. C’è pure un campione olimpionico di nuoto, che sarà molto utile alla giunta Raggi quando Roma s’allagherà di nuovo.
Di Maio li ha chiamati i supercompetenti. Nel supermarket delle candidature uno non vale uno, ma almeno tre per due. Devono trainare le liste bloccate dei deputati 5 Stelle uscenti. È così che funziona il Cacarellum, voti uno ed eleggi 5, che ti piaccia o no.
La Lega come al solito si distingue per concretezza: è accusata direttamente di riciclaggio di denaro.
Di gestire fondi neri per dimostrare di non essere razzista, benché candidi fascio terroristi che vanno in giro a sparare ai passanti.
I voti che i fascisti daranno a Salvini finiranno in tasca a Berlusconi, che si prepara a portarli a Renzi.
I voti dei democratici preoccupati per l’ordine pubblico e la convivenza civile finiranno in tasca a Renzi, che si prepara a portarli a Berlusconi.
E il M5S non esclude “convergenze sui programmi”. “Ci sono brave persone in tutti i partiti” conferma Di Battista.

Comunque vadano le elezioni, è già pronto un nuovo Governissimo di salvezza nazionale.
Un altro esecutivo formato da tecnici che nessuno ha votato, sostenuto da partiti che hanno perso le elezioni, e presieduto da una personalità istituzionale che sta sul cazzo anche alla sua famiglia.
Come ha detto Mario Draghi, in Italia c’è ancora il pilota automatico.
Tutto rimane uguale affinché tutto rimanga uguale.
Chiamarli gattopardi però sarebbe un complimento, il gattopardo è un nobile felino, questi sono bacherozzi.
Frutto d’un incrocio genetico fra la blatta e il camaleonte.
Blattopardi.

Il 10 gennaio la mia rubrica Schegge Taglienti ha compiuto 10 anni.
Anche nel 2008 era in corso una campagna elettorale.
Ecco cosa scrivevo delle liste PD il 6 marzo 2008 in Tecnocrazia:

Walter Veltroni annuncia una nuova candidatura all’insegna del rinnovamento, e perfettamente in linea col programma del PD.
Un giovane imprenditore prestato alla politica: Silvio Berlusconi.
Un nome che non mancherà d’attrarre quegli elettori moderati nei quali Veltroni spera, senza fargli perdere quelli progressisti che, notoriamente, pur di evitare Berlusconi sono disposti a votare chiunque. Anche Berlusconi.

Buon Giorno della Marmotta a tutti.

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Il Cavaliere dell’Apocalisse https://www.carmillaonline.com/2017/12/03/il-cavaliere-dellapocalisse/ Sun, 03 Dec 2017 20:10:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41890 di Alessandra Daniele

Nel 2018 cade il quarantennale dell’era Berlusconi, cominciata nel 1978 con l’acquisizione da parte di Fininvest e l’inaugurazione ufficiale di Tele Milano 58, che diventerà Canale 5 nel 1980, la prima pietra del piccolo impero mediatico-pubblicitario che frutterà al Canaro il titolo di Sua Emittenza. Fra i personaggi di Tele Milano 58 fin dall’inizio Barbara d’Urso, Diego Abatantuono, Massimo Boldi, Claudio Cecchetto, e Mike Bongiorno. I veri ministri di Berlusconi. Nel 1978 Beppe Grillo partecipava come comico alla sua prima edizione di Sanremo su Raiuno. Oggi, nel quarantesimo anno [...]]]> di Alessandra Daniele

Nel 2018 cade il quarantennale dell’era Berlusconi, cominciata nel 1978 con l’acquisizione da parte di Fininvest e l’inaugurazione ufficiale di Tele Milano 58, che diventerà Canale 5 nel 1980, la prima pietra del piccolo impero mediatico-pubblicitario che frutterà al Canaro il titolo di Sua Emittenza.
Fra i personaggi di Tele Milano 58 fin dall’inizio Barbara d’Urso, Diego Abatantuono, Massimo Boldi, Claudio Cecchetto, e Mike Bongiorno.
I veri ministri di Berlusconi.
Nel 1978 Beppe Grillo partecipava come comico alla sua prima edizione di Sanremo su Raiuno.
Oggi, nel quarantesimo anno della sua era, Berlusconi torna a interpretare il suo ruolo preferito: il Salvatore della Patria dall’Apocalisse, stavolta non comunista, ma grillina.
E magari il trucco funzionerà di nuovo, visto che l’Italia è un paese senza memoria, senza speranza, e senza dignità.
Sta già funzionando.
Il Polipo delle Libertà tutto compreso supera sia il PD che il M5S di dieci punti.
Eugenio Scalfari ha dichiarato che come premier preferirebbe Berlusconi a Di Maio.
Scalfari sa benissimo che l’unica speranza per il PD di tornare al governo è un’alleanza col Canaro, che lo preferisca è ovvio, ma è anche la prova che l’establishment, dopo il patetico fallimento di Renzi, adesso è ridotto ad aggrapparsi al sarcofago dello stesso Berlusconi che nel 2011 aveva cercato inutilmente di rottamare.
Un piduista ottantenne la cui faccia è diventata una maschera del teatro Kabuki è considerato l’ultimo argine alla calata dei Di Maio.
Di Maio è ignorante.
Berlusconi ha sistematicamente indotto analfabetismo di ritorno in almeno quattro generazioni di italiani.
Di Maio ha chiamato le ONG che salvano vite umane “Taxi del Mediterraneo”.
Berlusconi ha stretto l’accordo con Gheddafi che ha creato i campi di concentramento libici, che adesso il PD finanzia.
Di Maio è un arrampicatore.
Berlusconi ha costruito la scala sulla quale si sta arrampicando.
Di Maio è l’effetto. Berlusconi è la causa.
I giovani rampanti sono tutti suoi figli, a cominciare dai Mattei, Renzi e Salvini, due arroganti bambocci che hanno cominciato la loro carriera come concorrenti dei suoi telequiz.
Il Cazzaro accusa il M5S di produrre fake news.
Berlusconi coi suoi media ha prodotto un intero mondo fasullo, una bolla di falsa realtà nella quale ha incapsulato l’Italia per 40 anni.
Silvio Berlusconi è il nostro Palmer Eldritch.
È Kronos che torna per riprendersi il suo mondo-giocattolo dalle mani unte e grassocce della sua stessa prole.
E potrebbe riuscirci.

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Back to black https://www.carmillaonline.com/2017/11/06/back-to-black/ Mon, 06 Nov 2017 11:07:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41506 di Alessandra Daniele

Stamattina i rottamatori si sono svegliati, e al posto dei loro smartphone hanno trovato una curiosa pila di anticaglie. Un telefono a cornetta, una macchina da scrivere Olivetti, una radiolina a transistor, una macchina fotografica Polaroid, un televisore portatile Brionvega, una scatola di pastelli, un telegrafo. In cima c’era un biglietto con scritto: “Io sono vivo, e voi siete morti. Firmato: Silvio Berlusconi”.

La stessa settimana nella quale il Canaro viene ancora una volta indagato come uno dei presunti mandanti occulti delle stragi di mafia del ‘93, il suo rianimato Polipo delle Libertà rivince in Sicilia, battendo il Movimento [...]]]> di Alessandra Daniele

Stamattina i rottamatori si sono svegliati, e al posto dei loro smartphone hanno trovato una curiosa pila di anticaglie.
Un telefono a cornetta, una macchina da scrivere Olivetti, una radiolina a transistor, una macchina fotografica Polaroid, un televisore portatile Brionvega, una scatola di pastelli, un telegrafo.
In cima c’era un biglietto con scritto: “Io sono vivo, e voi siete morti. Firmato: Silvio Berlusconi”.

La stessa settimana nella quale il Canaro viene ancora una volta indagato come uno dei presunti mandanti occulti delle stragi di mafia del ‘93, il suo rianimato Polipo delle Libertà rivince in Sicilia, battendo il Movimento 5 Stelle e doppiando il PD.
La disfatta di Renzi era scontata. Ormai il Cazzaro che perde le elezioni è come “Nebbia in Valpadana” o “Cane morde uomo”.
I notabili PD suoi ex committenti proveranno ancora una volta a liberarsi di lui. E lui cercherà ancora una volta di difendersi, dicendogli che il suo accordo con Berlusconi è l’unica speranza che il PD abbia di tornare al governo.
Da morto.

La sconfitta dei 5 Stelle era meno ovvia, ma non certo imprevedibile.
L’ondata populista li ha ormai scavalcati a destra, spingendoli a rincorrerla con meschine sparate fasciste tipo quella di Soldatino Di Maio sui “taxi del mare”.
Questo secondo posto siciliano si sarebbe potuto considerare una mezza vittoria nel 2012, quando il Movimento era ancora un outsider, ma non adesso, che cazzeggia da 5 anni in parlamento, e da più d‘un anno sia al vertice della capitale che dell’ex capitale, Roma e Torino.
Ormai il M5S gioca nella Major League, dove farsi battere da un ottantenne è comunque imbarazzante e deludente, come tutto quello che fanno i 5 Stelle da anni.
Dalla deriva fascioleghista, al continuismo dell’Appendino, per certi versi persino più deludente della cialtroneria della Raggi, per un movimento che vorrebbe fare del cambiamento e dell’assoluta discontinuità la sua cifra distintiva.
Il M5S rischia di tornare in parlamento solo per fare altri 5 anni d’opposizione coreografica e inutile, perfettamente funzionale al prossimo governo Renzusconi che il Cacarellum è nato apposta per propiziare.
E alla fine gli toccherà pure trovarsi un altro candidato premier, perché Di Maio, già al secondo mandato, per il loro statuto non sarà più ricandidabile.
Il derby isolano fra i due protagonisti della TV anni ’80, Berlusconi e Grillo, s’è concluso come da pronostico.
Dieci anni di vaffanculi hanno prodotto un ritorno al berlusconismo.
Il “Laboratorio Sicilia”, da sempre considerato anticipatore delle tendenze nazionali, ha dato il suo verdetto: “Corri a casa In tutta fretta, c’è un Biscione che ti aspetta”.
Alle spalle.

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Estetiche del potere. Visibilità televisiva ed invisibilità cinematografica del potere politico italiano https://www.carmillaonline.com/2017/03/07/31133/ Mon, 06 Mar 2017 23:01:36 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=31133 di Gioacchino Toni

pot_0012Sappiamo come grazie alla televisione i politici entrino nelle case degli italiani e, mettendosi in scena, si rendano perennemente visibili, ma come sono rappresentati sul grande schermo i potenti nazionali?

In generale il cinema italiano, quando ha inteso confrontarsi col potere, tendenzialmente ha finito piuttosto col mettere in scena la sua invisibilità lasciando alla televisione, sopratutto negli ultimi decenni, il compito di renderlo visibile.

Ripercorrendo la storia della produzione cinematografica italiana uno degli autori che più direttamente ha indagato la visibilità del potere è sicuramente Roberto Rossellini che nel celebre [...]]]> di Gioacchino Toni

pot_0012Sappiamo come grazie alla televisione i politici entrino nelle case degli italiani e, mettendosi in scena, si rendano perennemente visibili, ma come sono rappresentati sul grande schermo i potenti nazionali?

In generale il cinema italiano, quando ha inteso confrontarsi col potere, tendenzialmente ha finito piuttosto col mettere in scena la sua invisibilità lasciando alla televisione, sopratutto negli ultimi decenni, il compito di renderlo visibile.

Ripercorrendo la storia della produzione cinematografica italiana uno degli autori che più direttamente ha indagato la visibilità del potere è sicuramente Roberto Rossellini che nel celebre La presa del potere da parte di Luigi XIV (1966) esplicita come la forza del Re Sole risieda nelle immagini che lo rappresentano; egli è il polo di attrazione dello sguardo della sua corte. Il film mostra come il potere del re risieda nella suo essere visibile sempre ed ovunque, anche grazie alla sua effige sulle monete. Nell’opera rosselliniana il potere non si esplica per via impositiva ma rendendo desiderabile ai sottoposti l’essere ammessi al suo cospetto ed il far parte del suo cerimoniale.

Un’ottima riflessione circa le modalità con cui la cinematografia nazionale ha affrontato i potenti la si ritrova all’interno del monumentale saggio Lessico del cinema italiano (a cura di Roberto De Gaetano), Volume II (Mimesis, 2015) [su Carmilla]  grazie allo studioso Gianni Canova che, nell’occuparsi proprio della voce “Potere” riferita al cinema italiano, indica nel film Bella addormentata (2012) di Marco Bellocchio una delle più lungimiranti riflessioni su di esso realizzate in Italia all’inizio del nuovo millennio.

In questo film i politici italiani sembrano totalmente delocalizzati; vagano «fra l’etere e il nulla» e, secondo lo studioso, soltanto nella scena in cui si mettono in posa per la foto istituzionale davanti ad uno schermo che mostra immagini di manifestazioni della loro formazione politica e del loro leader, «essi sentono in qualche modo di inverarsi, di uscire dall’indeterminatezza, dalla mancanza di ruolo e di identità. Ma nello stesso tempo, così facendo, trasformano i loro corpi in schermo, e fanno di sé il luogo in cui le immagini si manifestano e si concretizzano» (p. 429).

Secondo Canova questa sequenza «ci dice come i corpi “veri” non siano che il supporto su cui far vivere le immagini. Non sono più – come nel Novecento – il profilmico che lascia traccia e impronta di sé nell’immagine filmica, ma – molto più radicalmente – il supporto senza cui le immagini non sarebbero visibili. Detto altrimenti: i corpi non generano le immagini, le accolgono» (p. 429). Il film suggerisce come il potere sembri ormai risiedere «nell’ibrido generato dal connubio fra corpi e immagini, e come proprio lì, e solo lì, si materializzi la possibilità di incontrare e di vedere ciò che il potere è diventato, e di riconoscere le maschere con cui si nasconde, e di capire il gioco con cui colonizza i corpi per far vivere se stesso nelle immagini che lo costituiscono e, al tempo stesso, lo inverano» (p. 430).

Il cinema italiano sembrerebbe aver affrontato il potere politico a partire da un’idea negativa; esso viene tratteggiato come qualcosa che ha a che fare con l’inganno, l’intrigo, il complotto ed i suoi uomini tendono ad essere rappresentati come maschere grottesche e/o dispotiche. Nel corso del Ventennio fascista, Mussolini è riuscito ad occupare la scena tanto nel “paesaggio reale” che nell’immaginario degli italiani «non solo e non tanto esercitando il potere, quanto piuttosto recitandolo» (p. 435), ed il cinema in tutto ciò ha avuto un ruolo fondamentale. L’arma cinematografica lo ha spesso presentato come figura monumentale circondata da gerarchi o dalla folla. Se per il Re Sole di Rossellini «la conquista del potere coincide con la conquista dell’immagine», dunque si rende necessaria l’espulsione dei sudditi dall’inquadratura, nel caso di Mussolini, invece, è necessario il bagno di folla; «Il duce si fa ritrarre fra la gente. Vuole che il cinema mostri il popolo che lo guarda. L’atto del guardare il duce (e dell’ammirarlo, adorarlo, apprezzarlo) fa parte dello spettacolo» (p. 437). Canova propone alcuni esempi di come il registro della visibilità non rappresenti però l’unica strategia di raffigurazione del potere da parte del fascismo; nel film Camicia nera (1933) di Giovacchino Forzano, ad esempio, l’immagine di Mussolini è soltanto evocata, la sua presenza è avvertita, anche grazie al sonoro, ma non si vede.

Nel dopoguerra il confronto del cinema italiano con il potere politico diviene difficile, per certi versi è come se i registi non trovassero il modo di rappresentarlo in un sistema democratico. «Per il cinema italiano del dopoguerra – quanto meno, per la maggior parte di esso – il potere reale è quasi sempre osceno: agisce cioè – letteralmente – fuori scena, si esercita al di là della sfera del visibile […] Si preferisce inseguire una visione del potere come Leviatano nascosto, come Moloch crudele, come rete invisibile di interessi e di complicità […] Il potere è opaco. Resiste allo sguardo. Non si lascia osservare» (pp. 441-442).

pot_001Nella cinematografia nazionale non di rado il potere è stato messo in scena attraverso i luoghi in cui si manifesta e, non di rado, maggiore è la visibilità dei luoghi, minore è la sua visibilità. Canova porta come esempio di totale identificazione tra potere e luogo in cui risiede L’ultimo imperatore (1987) di Bernardo Bertolucci. In questo caso «la Città Proibita suggella un’idea di potere come dispositivo separato e distaccato dal luogo in cui si esercita: il potere dell’imperatore infatti risiede nel palazzo, ma si esercita fuori da esso, in un “fuori” di cui l’imperatore non solo non ha accesso, ma non ha neppure conoscenza e visione: quando l’avrà, ciò implicherà automaticamente anche la perdita del potere» (p. 443). Nella Città Proibita di Bertolucci non è il potere ad essere spettacolo per la corte, come avveniva nel Re Sole di Rossellini, ne L’ultimo imperatore il potere diviene spettatore dello spettacolo organizzato dalla corte per lui.

Marco Ferreri nel film L’udienza (1972) tratta la questione dell’invisibilità del potere attraverso la storia di un individuo ossessionato dal voler parlare col pontefice che, in tutto il film, non si vede mai se non attraverso immagini televisive. In lungometraggi come questo è ai palazzi del potere che spetta il compito di surrogare l’invisibilità del potere.

Anche le scenografie giocano un ruolo importante nel cinema italiano che intende rappresentare il potere; sono diversi i film in cui esso si esprime attraverso la scenografia, si esprime mettendosi in scena, allestendo la propria visibilità, come avviene ad esempio in Galileo (1968) di Liliana Cavani ed In nome del Papa Re (1977) di Luigi Magni.

In diverse opere, ricorda lo studioso, al potere si allude ricorrendo a figure allegoriche. Nel film Il potere (1972) di Augusto Tretti il potere, nelle sue diverse articolazioni, si nasconde dietro le maschere di belva indossate da tre personaggi, in Prova d’orchestra (1979) di Federico Fellini il compito allegorico è affidato ad un grande maglio che entra in scena sul finale distruggendo tutto, mentre, in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini, è la villa degli orrori a funzionare da ambientazione in cui si muovono i quattro notabili della Repubblica Sociale Italiana. In questo ultimo caso il film suggerisce come il potere politico prenda forma e si strutturi nel rituale e nelle relazioni «che i quattro potenti inscenano nella villa con l’aiuto delle loro vittime, ma anche dei collaborazionisti, dei servi e delle meretrici da bordello che fungono da narratrici» (p. 452).

Nel suo contributo a Lessico del cinema italiano, Canova traccia una “mappa tipologica” dei potenti messi inscena nel cinema nazionale. La prima tipologia individuata è quella “dell’affarista cinico” ed a tal proposito viene citato il lungmetraggio Le mani sulla città (1963) di Francesco Rosi come opera che mostra come il fine ultimo del potente sia la conservazione e la perpetuazione del proprio potere.

Una seconda tipologia viene indicata nel “corrotto corruttore” ed in questo caso lo studioso porta come esempio Il portaborse (1991) di Daniele Luchetti, film che sottolinea come il potere sia tale anche grazie a chi ne è privo.

Come terza tipologia Canova indica quella “dell’astuto naïf” facendo riferimento a film come Benvenuto Presidente! (2013) di Riccardo Milani, Viva la libertà (2013) di Roberto Andò e Viva l’Italia (2012) di Massimiliano Bruno che suggeriscono come soltanto i personaggi ingenui siano oggi in grado di conferire al potere credibilità.

La quarta categoria individuata dallo studioso è quella del “mellifluo untuoso” ed il film Todo modo (1976) di Elio Petri viene segnalato come uno dei pochi esempi in cui, in un sistema democratico, il popolo (lo spettatore) venga indicato come sostanzialmente responsabile del potere che ha contribuito a creare.

Come quinta tipologia viene indicato “l’insabbiatore mimetico”, figura esemplarmente interpretata da Ugo Tognazzi in uno degli episodi de I mostri (1963) di Dino Risi, in cui, dietro alla maschera di devota rispettabilità del potere, si cela la capacità di farla franca sempre e comunque.

“Il pharmakon grottesco” rappresenta una sesta tipologia e qua Canova, oltre ai classici Vogliamo i colonnelli (1973) di Mario Monicelli ed Il federale (1961) di Luciano Salce, si sofferma sulla figura interpretata da Antonio Albanese nei film diretti da Giulio Manfredonia Qualunquemente (2011) e Tutto tutto niente niente (2012). A proposito di tale personaggio lo studioso afferma che «Nella sua opulenza cafona, Cetto La Qualunque non è solo un monumento alla volgarità italiana. È un pharmakon, o un parafulmine. Scarichiamo su di lui tutta la negatività che ci insidia e ci assedia. Ce ne liberiamo. Forse, nel vuoto sospeso del raccapriccio che ci si insinua sotto la pelle, quando ridiamo compiamo un esorcismo. E ci assolviamo dal timore di essere anche noi come lui» (p. 465).

La settima categoria indicata è quella del “fantoccio ridicolo” e, secondo Canova, un film come Forza Italia! (1978) di Roberto Faenza finisce con l’applicare ai politici «quelle categorie della derisione e dello scherno che sono da sempre al centro dell’atavica propensione degli italiani a ridere di tutto e di tutti […] che alla fine tutto assolve e tutto dimentica, e rende tollerabile o tollerato nella realtà quel medesimo potere che viene carnevalescamente irriso nello spazio dello spettacolo e della finzione» (p. 466). Inoltre, sostiene lo studioso, «Da un film come Forza Italia! alla satira televisiva del nuovo millennio, un filone importante della cultura italiana si è ostinata a fare dell’uomo di potere, al tempo stesso, un mostro e un pagliaccio. Col risultato paradossale di assolverlo: perché il mostro annulla il pagliaccio, e il pagliaccio neutralizza il mostro» (p. 467).

Il saggio di Canova sottolinea, inoltre, come tra le patologie del potere, il cinema italiano abbia scelto di concentrarsi sul tradimento, il trasformismo, l’arbitrio e alla presunzione di impunibilità. Per quanto riguarda il trasformismo ed il tradimento lo studioso, oltre che su Senso (1954) ed Il gattopardo (1963) di Luchino Visconti, si sofferma su Noi credevamo (2010) di Mario Martone, individuando in tale opera «un film imprescindibile per rintracciare la retorica e l’ideologia del potere nel cinema italiano perché […] drammatizza uno scontro di poteri: da un lato il vecchio potere che muore, dall’altro un nuovo potere che nasce e che ambisce a scalzare e a sostituire in fretta il vecchio. Il punto di vista di Martone sposa e adotta […] il punto di vista di chi non ha il potere e ambisce a conquistarlo: quel “noi credevamo” non solo insiste sulla dimensione collettiva dell’adesione a un progetto di conquista del potere, ma sottolinea anche – con forza – la dimensione fortemente fideistica che anima l’azione dei giovani rivoluzionari […] Forse non si è ancora ragionato abbastanza sul ruolo talora fondamentale della passione nell’agone politico, e il film di Martone ha il merito di conferirle una centralità precedentemente impensabile» (p. 473).

Per quanto riguarda l’arbitrio Canova cita In nome del popolo italiano (1971) di Dino Risi e Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy come esempi di film in cui la giustizia viene esercitata arbitrariamente ed in maniera vessatoria nei confronti del cittadino. In questi film, come in Porte aperte (1990) di Gianni Amelio e Tutti dentro (1984) di Alberto Sordi, il potere si esprime col medesimo volto: «Arcigno, severo, vessatorio, feroce. Un potere che non si esercita quasi mai nella legalità ma quasi sempre nell’arbitrarietà e nell’impunità» (p. 478).

Circa l’impunibilità, lo studioso non poteva che soffermarsi su Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di Elio Petri, film che «Ribadisce la teatralità del potere e fa della maschera il linguaggio necessario ad affermare se stesso in quanto forma del dominio» (p. 480). Canova, ragionando sul doppio finale dell’opera, si concentra sul fatto che le tende vengono ad un certo punto chiuse celando all’osservatore il contenuto della stanza in cui convergono i diversi interpreti del potere: «Non è dato di sapere cosa accadrà realmente nella stanza in cui il potere si è riunito. Abbiamo visto cosa è accaduto nella camera da letto (che non è più da tempo luogo proibito allo sguardo), ma l’interdetto a vedere si è spostato e trasferito nella camera del potere. Che ancora una volta celebra se stesso, e perpetua la propria fantasia di immunità e di impunibilità, in un regime di fatale e impenetrabile invisibilità» (p. 482).

pot_002Nel cinema degli ultimi decenni film come Vincere (2009) di Marco Bellocchio, Il divo (2008) di Paolo Sorrentino ed Il caimano (2006) di Nanni Moretti, hanno fatto ricorso a maschere su un registro espressivo allegorico-grottesco al fine di mettere in scena, rispettivamente, Mussolini, Andreotti e Berlusconi.

Il film di Bellocchio, secondo Canova, è un «atto d’accusa nei confronti dell’eterno fascismo italiano: cioè quella disposizione – antropologica prima ancora che psicologica, ideologica o sociale – fatta di ribellismo anarcoide e di succube servilismo, di velleitarismo arrogante e di tracotante narcisismo […] di odio nei confronti del diverso e di disprezzo nei confronti delle donne, che da qualche secolo a questa parte attraversa la nostra storia (e il nostro sentire) e che periodicamente produce quei rigurgiti collettivi che portano buona parte dei maschi italiani a farsi possedere dalla smania irrefrenabile di andare in giro per le strade indossando camicie dello stesso colore, organizzando ronde punitive contro chi indossa camicie diverse, contro chi pensa in modo diverso, contro chi adora altri dei o chi si illude ci siano altri, possibili modi di amare» (pp. 490-491). Il regista in questo caso mette in scena «lo scompenso che si crea fra una donna che è e resta corpo (fremente, piangente, ferito) e un maschio che – grazie al potere che incarna – da corpo si trasforma in fantasma di pietra, perennemente assente e al tempo stesso sempre incombente, pesante, castigante, oppressivo. Vincere rilegge il fascismo come pratica di annientamento dei corpi e come colonizzazione fraudolenta delle menti» (p. 491).

L’opera di Sorrentino mette invece in scena i meccanismi del potere e la sua immortalità. Il regista qui «predilige una maschera in bilico fra il folclorico e il cinefilo: quella del vampiro. […] gli dei, come i vampiri, non muoiono mai. Hanno bisogno del sangue e delle vite degli altri, e se le prendono. E aborrono la luce. Il divo Giulio, non a caso, vive di notte. Non dorme mai. Gira con la scorta per le vie deserte di una Roma fantasma in lunghe e solitarie passeggiate notturne. E passa il tempo a spegnere gli interruttori di casa sua. I veri divi non sono quelli che godono all’accendersi delle luci, ma quelli che decidono quando le luci si possono spegnere» (p. 487). L’Andreotti di Sorrentino è dunque la quintessenza della segretezza e dell’inaccessibilità.

Infine, il film di Moretti affronta «l’inafferrabilità di Berlusconi in quanto ipostasi del potere e, al contempo, la difficoltà di rappresentare l’Italia contemporanea» (p. 484). Canova sottolinea come il film trasmetta la sensazione della disgregazione, gli stessi diversi Berlusconi che compaiono risultano scollegati l’uno all’altro.

L’accumularsi in questo paese di quelli che, non senza ipocrisia, vengono definiti “misteri irrisolti”, ha contribuito a creare una filmografia nazionale caratterizzata dall’idea che «dietro a ognuno di questi fatti si celino la volontà inconfessabile e la strategia delirante di un potere segreto, impunito e spietato: una sorta di “dietrologia” ossessiva e compulsiva che evoca incessantemente la presenza fantasmatica di un “burattinaio” non identificabile […] come per rimuovere o giustificare l’incapacità della società italiana di individuare i responsabili reali di quei crimini e di trovare una spiegazione razionale per ognuno di quei “misteri” irrisolti» (p. 493).

Un caso esemplare di incidenza del complottismo nella rappresentazione del potere riguarda il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro; si pensi ad esempio, a lungometraggi come Il caso Moro (1986) di Giuseppe Ferrara o Piazza delle Cinque Lune (2003) di Renzo Martinelli. La teoria del complotto si è venuta costruendo su effettive pagine oscure della storia italiana ma, osserva Canova, «l’idea che nessuna verità sia possibile, e che dietro ogni fatto di cronaca ci sia una trama oscura inaccessibile e indecifrabile per l’opinione pubblica democratica è talmente diffusa e pervasiva, e coinvolge tanto il cinema dei grandi autori […] tanto la ricognizione sul passato […] da configurare davvero una visione del potere – e forse perfino un “sentimento” del potere, e un immaginario del potere – segnati paranoicamente dall’opacità, dalla segretezza e da una impenetrabilità che tanto più vengono riconfermate quanto più si tenta (o si finge) di volerle infrangere e illuminare» (p. 495).

Come esempi di film che invece evitano di ricorrere al complottismo, Canova segnala Diaz – Non pulire questo sangue (2012) di Daniele Vicari e Buongiorno, notte (2003) di Marco Bellocchio. Nel primo caso il lungometraggio «si stacca dalla cronaca, o dall’idea di film-requisitoria, per costruire una scena del crimine che è tanto più sconvolgente quanto più addossa le responsabilità del massacro non a questo o qual funzionario-carogna, ma a un sistema che può permettersi impunemente la sospensione delle garanzie democratiche come forma perversa di controllo e di repressione violenta del dissenso sociale […] Vicari non cade nell’errore di confondere la sala cinematografica con un’aula di tribunale, né pretende di affidare al suo film una sentenza giudiziaria. Piuttosto cerca di mettere in scena i meccanismi (ma anche i linguaggi, i fantasmi, le mitologie, i fraintendimenti, le ideologie) attraverso cui uno Stato di diritto (e gli uomini che lo rappresentano) possono arrivare a usare la tortura esercitata su persone indifese come mezzo di dominio» (p. 497).

Buongiorno, notte affronta invece il “caso Moro” evitando il registro del realismo ed il regista «non insegue il “feticismo del documento” caro al cinema complottista, né sbandiera dossier esclusivi su cui edificare improbabili controinchieste. Il suo film sceglie piuttosto la strada dell’apologo e dell’immaginazione poetica, fin dal titolo» (pp. 498-499). Nell’opera di Bellocchio, che evita dietrologie, la narrazione adotta il punto di vista di una brigatista che sogna un finale diverso per la vicenda ed il racconto è confinato all’interno dell’appartamento-prigione mentre alla televisione spetta il compito di far entrare tra le mura gli eventi esterni. Così facendo, «riducendo la realtà storico-politica a una sorta di fuori campo, Bellocchio si concentra cioè sui gesti, gli sguardi e le relazioni chiasmiche che si intrecciano all’interno dell’appartamento fra il prigioniero (il dominante divenuto dominato) e i suoi sequestratori (i dominati che aspirano a essere dominanti)» (p. 499). Il registro del doppio, suggerisce lo studioso, attraversa l’intero film; il potere ed il contropotere che prende il suo posto, la protagonista che conduce una doppia vita, il mondo tra le mura dell’appartamento ed il mondo esterno che appare sullo schermo televisivo, il registro del reale ed il registro onirico e visionario.

mimesis-roberto-de-gaetano-lessico-cinema-italiano-volCome Luigi XIV nel film di Rossellini, «anche il potere democratico contemporaneo vuole che la sua vita si svolga tutta sempre sotto gli occhi dei cittadini/sudditi: ed è la Tv a inverare questa volontà. Come Re Sole, la Tv è sempre lì, perennemente accesa, e incessantemente pronta a mostrare i riti e le cerimonie del potere. A renderle autorevoli e desiderabili. Il potere sa di essere lì, nelle immagini che lo presentificano e lo diffondono, lo espandono e lo celebrano. E lì, spudoratamente, si mette in scena» (p. 503). Canova individua alcuni film che prendono atto del ruolo televisivo e, dopo decenni di invisibilità ed irrapresentabilità del potere sul grande schermo, «da qualche anno a questa parte il cinema italiano ha constatato la propria ontologica impossibilità di competere con la Tv nel rendere visibile in tempo reale la quotidianità del potere (e, in fondo, anche la sua ordinaria banalità) e ha deciso – con lungimirante saggezza – di ripartire da qui. Dalla comprensione che il potere è ormai prima di tutto nelle immagini che quotidianamente lo visualizzano. Così il cinema ha iniziato, sempre più intensamente e convintamente, a lavorare su queste immagini. A riesumarle. A rimontarle» (p. 503).

L’archivio televisivo diviene una fonte da cui attingere ed a tal proposito Canova indica film come La mafia uccide solo d’estate (2013) di Pif – Pierfrancesco Diliberto e Belluscone. Una storia siciliana (2014) di Franco Maresco.

Nel primo caso l’autore «non è ossessionato dalla necessità di mostrare il volto del potere: l’ha già fatto la Tv. Il suo film si limita a usare le immagini già prodotte e a risemantizzarle grazie a un ready made che le porta ad esprimere “altro” rispetto a quello che avrebbero dovuto esprimere quando furono realizzate. In questo modo il cinema, scalzato dalla televisione (e ora anche dagli altri media digitali) nella capacità di dare un volto al potere, recupera il proprio ruolo centrale nel sistema dei media rivendicando la capacità di rivedere e risignificare le immagini che altri media hanno prodotto» (p. 503).

Nell’opera di Maresco il potente Silvio Berlusconi, evocato e deformato sin dal titolo, è presente nel film solo a livello catodico, come fantasma dell’etere. «Una storia siciliana è un racconto di ascesa e caduta: comincia con la caduta (Berlusconi annuncia in Tv le sue dimissioni da Presidente del Consiglio […] e finisce con il ricordo sbiadito dell’ascesa (con un Berlusconi di 20 anni più giovane che pronuncia il celebre discorso della “discesa in campo”)» (p. 505). Alle immagini di repertorio è affidato il compito di riflettere sul fantasma di Berlusconi e sugli effetti del berlusconismo. Per certi versi è davvero come se Berlusconi vivesse soltanto all’interno delle immagini televisive che ne hanno costruito il mito e dal film, sostiene Canova, si evince come siano le immagini ad aver preso il potere tanto che l’immaginario berlusconiano continua ad influenzare l’immaginario collettivo anche dopo Berlusconi. «È a queste immagini che bisogna ricorrere, ed è su di esse che bisogna lavorare, per cercare di capire qualcosa di quel potere che esse disincarnano e, al contempo, rendono immortale» (p. 505).

A conclusione del suo scritto, Gianni Canova, si chiede se «il cinema italiano non ha saputo rappresentare la democrazia perché non è mai riuscito a capirla o – al contrario – perché ha capito fin troppo bene la sua essenza, e ne è rimasto traumatizzato?» (p. 505). Nel complesso, probabilmente, ciò è avvenuto per entrambi i motivi ma, da parte nostra, siamo portati a credere che, nonostante alcune e significative eccezioni, nella maggioranza dei casi, il cinema italiano, al pari del resto della cultura nazionale, si è accontentato di raccontarci dell’opacità del potere e di oscuri ed innominabili burattinai. Forse, se da una parte il sonno della politica – il non voler vedere e parlarne – negli intellettuali italiani ha contribuito a generare mostri (di comodo), dall’altra, la televisione ha talmente sovraesposto i politici nazionali da renderli poco appetibili al grande schermo. E forse lo stesso pubblico cinematografico non è stato, e non è, così desideroso di vederseli spuntare, oltre che in casa, quotidianamente ed a tutte le ore, anche nel buio di una sala su schermi monumentali che i politici nostrani oggettivamente faticano a riempire.

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PD e Forza Italia in Versilia fanno rete con le reti https://www.carmillaonline.com/2015/08/30/pd-e-forza-italia-in-versilia-fanno-rete-con-le-reti/ Sat, 29 Aug 2015 22:01:20 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24743 di Rinaldo Capra

versilia Pontile Il sindaco di Forza Italia di Pietrasanta ha circondato il pontile del Tonfano, che ora è pure presidiato da guardia privata armata, con una rete per gabbie di polli per impedire degrado e garantire, insomma, sicurezza, legalità e decoro civile. Era stato preceduto un paio di anni fa dal sindaco del PD di Forte dei Marmi che aveva fatto un’analoga operazione, ma senza vigilantes, causando una blanda protesta alla quale avevano partecipato una decina di persone.

Pare oltretutto che sia illegale far sorvegliare un bene pubblico da guardie private, ma tant’è. Quest’azione del Comune [...]]]> di Rinaldo Capra

versilia Pontile Il sindaco di Forza Italia di Pietrasanta ha circondato il pontile del Tonfano, che ora è pure presidiato da guardia privata armata, con una rete per gabbie di polli per impedire degrado e garantire, insomma, sicurezza, legalità e decoro civile. Era stato preceduto un paio di anni fa dal sindaco del PD di Forte dei Marmi che aveva fatto un’analoga operazione, ma senza vigilantes, causando una blanda protesta alla quale avevano partecipato una decina di persone.

Pare oltretutto che sia illegale far sorvegliare un bene pubblico da guardie private, ma tant’è. Quest’azione del Comune ha suscitato un’iniziativa di privati cittadini, senza nessun cappello partitico o associativo, che hanno indetto un Flash Mob sabato 22 Agosto, per invitare tutti al buon senso, ancor prima che ai valori di solidarietà e tolleranza, affrontando la questione per quel che è: bagni chimici, fontanelle d’acqua potabile e organizzazione di un’area attrezzata per i mercatini etnici per sanare un autentico disagio.

La risposta è stata reti e vigilantes, da qui la mobilitazione.
Sulla piazzetta da cui si accede al pontile, si sono riunite un centinaio di persone per organizzare un piccolo corteo sul pontile stesso, accompagnati da un gruppo musicale pietrasantino e alcuni ragazzi con trampoli. Bandiere della pace, striscioni contro i muri, volantini, magliette variopinte del Fronte Zapatista e di Emergency sono quel che appare.

versilia 2Poliziotti, tanti in borghese, annoiati chiacchierano di calcio e riprendono tutti con videocamere. Carabinieri impettiti sembrano gli unici a prendere sul serio la questione, mentre appoggiata a un furgone della Polizia una robusta, per non dire grassa, funzionaria della Digos, mi dice un ragazzo, urla al cellulare improperi al figlio che vuole andare in discoteca. I villeggianti, i commercianti, i Pietrasantini trafficano e passeggiano totalmente indifferenti a quanto accade.

All’improvviso qualcuno esce dai negozi e accorre, ma solo perché stanno transitando alcune spider inglesi d’epoca che fermate dal semaforo, sgasano a più non posso, mentre i piloti tronfi si guardano attorno per vedere quanto pubblico hanno attirato. Sono signori di mezza età, tedeschi, con al fianco mogli, amanti, fidanzate tutte uguali, bionde con occhiali aggressivi e griffati che ostentano ricchezza e sottile disprezzo per gli altri comuni mortali.

Sembrano tutti dei cloni, tutti uguali, come gli astanti che li guardano, con le stesse auto prepotenti, i curatissimi capelli con poche variazioni di colore, abiti, orologi e gioielli tutti circoscritti a poche griffe omologate, gli “out-fit fighi”, come dicono loro. Sono tutti ecologisti cool, hanno biciclette dalle strane fogge con ricche borse in cuoio tutte uguali, si guardano, si annusano, si sorridono e concordano l’appuntamento per la cena; insomma una tribù, quella dei ricchi, dei Vip o sedicenti tali, del resto si sa: l’imbucato c’è sempre.

versilia 1 Due ragazze, sembrano sorelle come ne ho già viste altre cento, sono tutte uguali, fatte in serie, pedalano mollemente con estenuante lentezza, guardano i manifestanti con commiserazione. Si guardano, un’aggiustatina ai capelli e scattando foto con lo smartphone, postandole direttamente su un social con ieratica determinazione senza fermarsi, e poi via, s’infilano in un bar, il più esclusivo della piazza, dove le attendono giovanotti, anche loro tutti uguali, stessi occhiali, smartphone stretto al petto e sorrisi luminosi di chi è fuori dalla mischia, perché è di un’altra classe e se ne frega.

I manifestanti raccolti attorno alla fontana della piazzetta, con i loro colori e abiti, e facce così diverse da quelle dei cloni che li guardano, sembrano proprio degli alieni appena arrivati da un’altra galassia, non c’entrano niente. versilia 3Nella piazza e nel viale principale non c’è un nero, un indiano, un povero neanche a pagarlo: spariti tutti. Incontro un operaio dei Cantieri Navali di Viareggio, ha un ciondolo d’oro appeso al collo, una falce e martello inscritta in una stella a cinque punte che mi dice – Nun c’è storia, quì come a Forte e in tutta la Versilia, i poveri nun li vojon più vedé.– e aggiunge – Pensa che l’artro giorno un barista ha rifiutato una bottiglia d’acqua an negro, che la voleva pagá, mica gratis la voleva-.

La Polizia autorizza un corteo fino alla fine del pontile, tamburi e striscioni si avviano, la gente li segue e guarda la distesa di stabilimenti balneari ai fianchi del molo, di raro lusso e opulenza, dove signore annoiate o che fanno le annoiate, discutono di stile, di profumi da giorno che sono diversi da quelli da sera, poi sbirciando esterrefatte il corteo, si addentrano in analisi scatologiche: la merda e il suo odore. Infatti, tutti questi “negri” che vendono cose etniche, dove possono fare i loro bisogni se non nei giardini pubblici e sotto i pontili?

Ecco perché a volte dalle aiuole più fitte si è aggrediti da puzze immonde, cimiteriali, di putrefazione perfino, quindi la soluzione è semplice: reti, reti, reti e gli straccioni via da qui, che se non li vediamo vuol dire che non esistono, mentre nella realtà simulata di Social, Brand, Griffe e ghetti per ricchi tutto è più vero del vero. Questa è la sicurezza. Due ore prima, a Forte dei Marmi in uno Stabilimento Balneare molto esclusivo, un “imprenditore” Ucraino è stato gambizzato a martellate da due energumeni, le ambulanze hanno spiegato al vento le loro sirene e tutti i villeggianti, commercianti e Versiliesi hanno detto:- Poveretto che tragedia…sembrava un film! -Però nessuna rete è stata invocata.

Meglio tenersi in spiaggia mafiosi, truffatori, oligarchi, puttane e fascisti, che almeno spendono, piuttosto che dare due cessi chimici e la possibilità di avere civile decoro personale a qualche venditore ambulante. Salvo poi, al primo temporale agostano lamentarsi perché nessun “rompicoglioni” nero è lì a offrirti un ombrello o a offrirti una cover per lo smartphone che ti si è appena rotta, in barba a quanto puzzano.

Esponenti di partiti, di associazioni e cattolici si sono mescolati al corteo, ma a titolo rigorosamente personale (si son visti dirigenti di Prc, Comunisti Italiani, del Pd addirittura il candidato sindaco alle ultime elezioni). Forse essi non si rendono conto di quanto sia pleonastica la loro presenza e non si accorgono che la battaglia politica andava fatta prima. E che ora è inutile e codardo far passerella in un’iniziativa di gente comune, nata dal basso su FB, meritoria, ma non incisiva, se non per aver fatto saltare le valvole a quell’altra categoria di cloni fatti in serie, ma di un altro tipo: i fascisti, che hanno minacciato su FB di stroncare con mazze chiodate i manifestanti.
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Comunque, a sera alle 22 e 30 grandi spettacoli pirotecnici in tutta la Versilia e poi…buonanotte.

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