Fornero – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Chi ha incastrato l’articolo 18? https://www.carmillaonline.com/2014/10/13/incastrato-larticolo-18/ Mon, 13 Oct 2014 21:15:10 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18086 di Alessandro Villari

Chi-ha-incastrato[In via eccezionale rispetto alla prassi editoriale di Carmilla abbiamo deciso di riprendere un post pubblicato sul blog Avvocato Laser che riguarda l’articolo 18 dello Statuto del Lavoratori]

Si può comprendere la frustrazione di chi ha sempre alternato disoccupazione a lavori precari di fronte alla discussione sull’articolo 18: che volete che m’importi del diritto alla reintegrazione per chi è assunto a tempo indeterminato, quando io non ho mai visto un contratto più lungo di un anno? L’indifferenza, o addirittura l’aperta ostilità, che molti giovani esprimono nei confronti della [...]]]> di Alessandro Villari

Chi-ha-incastrato[In via eccezionale rispetto alla prassi editoriale di Carmilla abbiamo deciso di riprendere un post pubblicato sul blog Avvocato Laser che riguarda l’articolo 18 dello Statuto del Lavoratori]

Si può comprendere la frustrazione di chi ha sempre alternato disoccupazione a lavori precari di fronte alla discussione sull’articolo 18: che volete che m’importi del diritto alla reintegrazione per chi è assunto a tempo indeterminato, quando io non ho mai visto un contratto più lungo di un anno? L’indifferenza, o addirittura l’aperta ostilità, che molti giovani esprimono nei confronti della battaglia per il diritto alla reintegrazione è in parte la misura di quanto profondamente è stata interiorizzata, da chi appartiene alla generazione del “pacchetto Treu” e della “legge 30”, la propria condizione di precarietà, al punto da essere percepita come normale e senza alternative: evidentemente un ventennio di propaganda martellante sui benefici e la necessità della “flessibilità” ha lasciato il segno, un segno reso ancora più difficile da cancellare dalla crisi economica peggiore della storia.

D’altra parte, questa è una generazione che è stata davvero abbandonata a se stessa, spesso trascurata da sindacati che in più di un’occasione hanno scambiato (magrissimi) aumenti salariali con i più spudorati via libera alle assunzioni a termine, che non hanno mai fatto un’efficace campagna di informazione, che raramente hanno organizzato vertenze combattive e anzi in qualche occasione hanno perfino tentato di imbrigliare lotte radicali partite dal basso (come quella di Atesia, per citare la più famosa).

Questo scetticismo perciò non deve essere snobbato, anche perché contiene un fondo di verità: in effetti non è che mantenendo l’articolo 18 nel sistema attuale, così com’è, siano destinate a migliorare le condizioni di lavoro di precari e giovani. Si tratta piuttosto di spiegare perché, invece, dalla sua abrogazione deriveranno ulteriori peggioramenti anche per chi il diritto alla reintegrazione non l’ha mai visto neppure col binocolo, e di pretendere, uniti, le condizioni che possono davvero incidere sulla vita dei lavoratori privi di tutele.

Forse è più semplice se si prova a capire perché mai il padronato italiano ci tenga tanto a eliminare questo benedetto articolo 18, che in fin dei conti non vieta affatto di licenziare i lavoratori, ma si limita a prevedere sanzioni relativamente elevate per le aziende (sopra i 15 dipendenti) che licenziano senza ragioni, né economiche né disciplinari.

Io credo che i motivi principali siano due. Il primo è immediato: con sanzioni modeste contro i licenziamenti illegittimi, i datori di lavoro si possono sbarazzare senza problemi di chi, magari con più anzianità, guadagna di più dell’eventuale rimpiazzo precario; di chi, per la malattia di un parente o magari la nascita di un figlio, ha necessità (e diritto) di assentarsi di più e quindi produrre di meno; di chi alza la voce per ottenere, che so, condizioni di sicurezza sufficienti per evitare infortuni, o il rispetto di un piano ferie che consenta di trascorrere con la famiglia almeno un paio di settimane all’anno, o altri diritti. Quei diritti che, è giusto ricordarlo, non hanno i precari, alcuni anche formalmente, ma tutti sostanzialmente, perché a chi si lamenta non sarà rinnovato il contratto. Abrogare, per tutti o anche “solo” per i nuovi assunti, in tutto o in parte, l’articolo 18, significa eliminare, o ridurre significativamente, tutti i diritti per tutti quanti. Senza con questo riconoscerne anche solo una parte a chi oggi non li ha.

Ma c’è un secondo motivo, meno immediato ma probabilmente più importante, per cui da almeno vent’anni il padronato punta a distruggere il diritto alla reintegrazione. Il punto è che un posto di lavoro con pochi o nessun diritto vale meno di un posto di lavoro tutelato. Allora, se togliendo il diritto alla reintegrazione si tolgono, o perlomeno si comprimono, indirettamente anche gli altri, eliminare, o depotenziare l’articolo 18 significa togliere valore a quei posti di lavoro.

Posso dimostrarlo con un esempio concreto. Prima della legge Fornero, la sanzione per qualsiasi licenziamento illegittimo in aziende con più di 15 dipendenti era sempre e comunque la reintegrazione nel posto di lavoro oppure, a scelta del lavoratore, un’indennità di 15 mesi di stipendio, oltre al risarcimento di tutti gli stipendi maturati dal licenziamento con un minimo di 5 mesi. Nel 2012 la riforma del governo Monti ha introdotto la possibilità per il giudice di sostituire la reintegrazione (e l’annessa opzione per l’indennità sostitutiva di 15 mesi) con una indennità onnicomprensiva tra i 12 e i 24 mesi di stipendio: il valore economico minimo del posto di lavoro è dunque sceso da 20 (15 più almeno 5) a 12 mesi di stipendio.

Nei due anni che sono trascorsi da allora, il valore delle conciliazioni economiche, quelle in cui il lavoratore preferisce monetizzare il proprio diritto al posto per evitare di rientrare là dove sa che gliela faranno pagare, è sceso in misura corrispondente, dalle 15-20 mensilità che si ottenevano prima alle 8-12 di adesso. Badate bene, non parlo solo di accordi fatti in casi di licenziamento illegittimo, ma soprattutto di conciliazioni firmate da precari che avrebbero avuto diritto a un posto di lavoro a tempo indeterminato.

Ma le vertenze di lavoro interessano relativamente agli imprenditori, considerato che, specialmente tra chi ha contratti a termine e a progetto (che prima della riforma dello scorso marzo erano quasi tutti illegittimi), soltanto una parte minuscola porta il datore in tribunale. Il punto essenziale invece è che posti di lavoro che valgono meno finiranno ben presto per essere anche pagati meno. Avete mai fatto caso che i precari hanno in genere uno stipendio molto più basso di chi ha un posto fisso? Suppongo di sì, e immagino sia chiaro che questo è il perché.

Scomparsa per tutti la tutela della reintegrazione, il “mercato” del lavoro si riduce, ancor più di oggi, a un’asta al ribasso in cui vince il posto chi si accontenta di meno e solo fino a quando si accontenta di quel poco, con l’effetto di diminuire gli stipendi al minimo possibile: tutti gli stipendi, compresi quelli già miseri di molti giovani.

Maggiore precarietà non servirà a migliorare le condizioni dei precari, né tantomeno a risolvere il dramma della disoccupazione, ma solo a gonfiare le tasche degli imprenditori. L’unica via per uscire dalla crisi economica evitando una catastrofe sociale è estendere i diritti, in primis quello alla stabilità, e garantire un reddito adeguato a tutti i lavoratori e ai disoccupati, a spese del profitto dei padroni.

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Ben scavato vecchia talpa! https://www.carmillaonline.com/2013/05/31/ben-scavato-vecchia-talpa/ Thu, 30 May 2013 23:00:46 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=5914 di Sandro Moiso

mole 1

Più volte qui, sulle pagine di Carmilla, si è insistito sul fatto che esistono già, di fatto, due società contrapposte i cui interessi sono totalmente contrastanti e inconciliabili. Di fatto un doppio potere in cui uno dei due attori (quello che è stato definito per comodità il 99%), però, non è ancora cosciente della propria forza. Nell’apparente assenza di lotte sociali generalizzate e in mancanza di un chiaro indirizzo politico (partito formale) tale affermazione potrebbe apparire priva di fondamento. Eppure, eppure…

Eppure l’1% ha paura. E hanno paura i suoi [...]]]> di Sandro Moiso

mole 1

Più volte qui, sulle pagine di Carmilla, si è insistito sul fatto che esistono già, di fatto, due società contrapposte i cui interessi sono totalmente contrastanti e inconciliabili. Di fatto un doppio potere in cui uno dei due attori (quello che è stato definito per comodità il 99%), però, non è ancora cosciente della propria forza. Nell’apparente assenza di lotte sociali generalizzate e in mancanza di un chiaro indirizzo politico (partito formale) tale affermazione potrebbe apparire priva di fondamento. Eppure, eppure…

Eppure l’1% ha paura. E hanno paura i suoi servi. Tutti: ministri, politici, giornalisti, responsabili del disordine pubblico e magistrati asserviti. Fino ai gradi più bassi: pennivendoli, agenti delle forze del disordine, presidi e burocrati vari. Gli invisibili radar che ricoprono i loro corpi sono in allarme. Come fiere braccate avvertono il pericolo e reagiscono sfoderando armi, minacce e denti. A tutti i livelli e per qualsiasi motivo.

I rilevatori sismici nei palazzi del potere oscillano in continuazione, senza riuscire ad individuare chiaramente l’origine esatta del sisma in arrivo. A quale profondità stiano avvenendo i movimenti della tettonica sociale destinati, più che probabilmente, a sfociare in scosse politiche in confronto alle quali le lotte degli anni sessanta e settanta non potranno sembrare altro che allegre passeggiate e divertenti scampagnate. Un venticello primaverile in confronto ai tornado attuali sull’Oklahoma.

Infatti, non sarebbe possibile spiegare altrimenti l’accanimento con cui negli ultimi mesi, sempre più spesso, la repressione collettiva ed individuale abbia assunto un parossismo che,  se non fosse per i drammi individuali di chi è stato colpito dalla vendetta preventiva dell’apparato statale, potrebbe apparire addirittura farsesco. Così come sempre più farsesca appare la lotta di tutti contro tutti che agita, al di là delle apparenze, i vertici dello Stato, del Governo fantoccio e dell’Economia.

Stanno in piedi per miracolo e sono attaccati ai seggi parlamentari e ministeriali, letteralmente, con lo sputo e lo sanno. Tutti i passi sbagliati li hanno fatti e continueranno a farli, incapaci ed impossibilitati, allo stesso tempo, a correggere la propria traiettoria. Come la nave porta-container in avaria nel porto di Genova: destinata a schiantarsi su una torre di controllo molto mal costruita e insicura. Chiamatela Governo Letta se volete.

Accusano di terrorismo chiunque si ponga al di fuori della semplice e supina accettazione di ciò che è “già stato deciso”: da Caselli e Il Fatto Quotidiano che si avventano su Davide Grasso (reo dell’occupazione di un ufficio di una ditta coinvolta nella realizzazione del TAV in Val di Susa) all’esponente del PD piemontese Stefano Esposito che denuncia un giornalista e blogger No TAV (Fabrizio Salmoni, titolare del blog anti-TAV Maverick) come pericoloso eversore per aver definito i lavoratori che pur di lavorare accettano qualsiasi compromesso, in barba agli interessi sociali e di classe, “crumiri”.

Il neo-eletto segretario del PD accusa di tradimento chi non si allinea all’alleanza con Berlusconi, mentre il mummificato migliorista Emanuele Macaluso ricorda che Berlinguer e Togliatti non partecipavano ai cortei operai (dimenticando, però, di dire che all’epoca, stalinianamente, la CGIL-Fiom era considerata la cinghia di trasmissione delle posizioni del Partito all’interno della classe operaia). Urlano all’omicidio per l’annerimento di un escavatore e approvano i peggiori massacri sull’altra sponda del Mediterraneo.

Preparano leggi autenticamente fasciste per bloccare l’ascesa dei movimenti al Parlamento, ma si inchinano alle proposte del Pdl e alle leggi ad personam. Si preoccupano dell’Imu, sperando che il loro elettorato sia ancora composta da una classe media sempiterna e non si accorgono dell’impoverimento che ha colpito anche quella loro, unica classe di riferimento elettorale. Mentre il Presidente della Repubblica, tra un allarmato e sentito proclama e l’altro, recalcitra di fronte ai giudici di Palermo. Straparlano, si insultano sulle piazze e in Tv ma predispongono una legge per incarcerare chiunque oserà ancora contestare i comizi e qualsiasi altra manifestazione del carrozzone politico e mediatico.

Hanno svuotato le casse dello Stato e le tasche dei cittadini ed ora pietiscono miseria e misericordia davanti ai cerberi dalla Bundesbank e della UE. Promettono lavoro per i giovani, ma intanto preparano leggi per  abbassare ulteriormente il costo del lavoro e le pensioni pagate a chi ha versato i contributi per quarant’anni e più. Hanno svuotato le casse dell’INPS per pagare miliardi di ore di Cig, quando la FIAT lo riteneva necessario, e le pensioni e le liquidazioni d’oro di dirigenti abili solo a tagliare le teste dei dipendenti ed ora faticano a coprire le spese minime per gli esodati.

Hanno usufruito di ogni margine, legale ed illegale, per evadere le tasse ed avvalersi di benefit statali (cassa integrazione in deroga, finanziamenti, favori e commesse basate sulle peggiori corruttele), senza mai investire in ricerca e sviluppo ed oggi piangono sulla perdita di competitività, la cui causa è fatta ricadere, tra l’altro, interamente sulla classe operaia e i suoi diritti, conquistati a costo di dure e sanguinose lotte.

Si sono lanciati nelle più spericolate operazioni finanziarie, spesso sulla pelle di milioni di cittadini dei paesi meno sviluppati e dipendenti economicamente dall’Occidente, per ritrovarsi poi con un pugno di mosche in mano e come unica possibilità di salvezza, per le banche e i manager, quella di affamare i propri cittadini attraverso l’acquisto continuo di titoli di stato garantiti. Incrementando così sempre più il debito pubblico e la necessità di tagliare ciò che resta ancora dei servizi sociali, della sanità e dell’istruzione.

Hanno tagliato i fondi alla scuola pubblica ed oggi, mentre il candidato Presidente “di sinistra” Prodi esalta l’attribuzione dei finanziamenti pubblici alle scuole private cattoliche, i dirigenti scolastici perseguitano studenti e professori che si sono opposti alle ridicole ed inutili prove Invalsi. Così, mentre il bastone diventa sempre più grosso e minaccioso, si cerca di distrarre ancora il pubblico con l’offerta di una carota sempre più striminzita e marcia.

E’ stato detto, su queste pagine, tante volte: i margini di aggiustamento tra gli interessi della maggioranza dei cittadini e quella di chi governa la politica, le banche e l’economia non ci sono più o sono talmente ridotti da far sì che anche un compianto ed un recupero tardivo delle politiche keynesiane possa essere inutile e, tutto sommato, soltanto di facciata. Senza contare che anche quelle originali non avrebbero portato da nessuna parte se di mezzo non ci fosse stato il secondo conflitto mondiale.

Ma oggi non esiste nemmeno un governo forte di parte, la dittatura del capitale si affida ormai a rituali sciamanici che non funzionano più nemmeno televisivamente. Hanno sbagliato tutto, da anni e lo sanno. Prima con Berlusconi, la cui colpa maggiore non risiede, agli occhi del Capitale, nelle orge da puttaniere e nei probabili legami mafiosi, ma piuttosto nell’aver disvelato agli occhi dei cittadini, per primo e in maniera inequivocabile, i legami tra interessi privati degli imprenditori e politica.

Poi con Monti, che ha rivelato la profonda dipendenza dell’azione politica ed economica statale dagli interessi e soprusi della finanza internazionale, e con la ministra Fornero, che ha rivelato l’assoluta imbecillità dei provvedimenti presi dagli esperti e dai tecnici bocconiani. Ed in fine, come si era pronosticato su queste pagine, con la definitiva perdita di ogni tipo di maschera sociale e politica di sinistra da parte del PD-DS-PDS-PCI, dopo un risultato elettorale disastroso e il rinnovo di un patto di alleanza per il potere con un nemico tutt’altro che mortale.

Stop! Ce n’è davvero abbastanza per far dire: siete finiti su un binario morto, senza prospettive e senza futuro. Per voi e per la società che vi deve ancora sopportare. E non è certo Grillo a spaventare gli gnomi al governo. No, dopo le prove di conformismo ed imbecillità date dai parlamentari grillini e visto anche il programma elettorale sbandierato ultimamente dal comico genovese(taglio dell’Imu, referendum sul jus soli, referendum per l’uscita dall’euro, etc.), tutto sommato poco distante da quello delle destre, senza contare il recentissimo flop elettorale in occasione delle amministrative.

E non sono nemmeno le iniziative di tipo offensivo messe in atto sui territori occupati militarmente o altrove. Quelle al massimo sono pretesti, come i colpi di pistola e le reazioni viscerali e suicide di qualche disperato. No, fa più paura una classe operaia che va in piazza e spinge, anche confusamente, la Fiom a prendere sempre più le distanza, magari ancora solo strumentalmente, dal PD e dai vertici della CGIL. Fa paura il  non voto di milioni di cittadini e il loro progressivo e smagato distacco nei confronti delle sirene politiche e parlamentari. Fa paura l’organizzazione e la discussione che viene dal basso. Fanno paura l’incontro tra studenti ed operai in piazza Verdi a Bologna e lo sciopero interrazziale e spontaneo dei facchini. Fanno paura Anonymous e l’azione degli hacker, spesso giovanissimi, che infrangono i portali degli apparati di stato e dei loro segreti.

Fanno paura gli otto milioni e mezzo di cittadini che versano, secondo le ultime stime dell’Istat, in gravissime condizioni economiche (raddoppiati nel corso degli ultimi due anni), i 15 milioni di individui che versano in condizione di deprivazione e disagio economico, i due milioni e mezzo di giovani (tra i 15 e i 29 anni) che non studiano e non lavorano e i circa sei milioni di disoccupati cronici. Il capitale, insomma, ha paura di se stesso e delle conseguenze delle sue politiche.

Così il premier Enrico Letta è costretto a scrivere, in una lettera, al presidente del Consiglio della Ue, Herman Van Rompuy:  “Avere finanze pubbliche sane serve. Ma se l’Ue non è capace di intervenire per risolvere la disoccupazione, finirà per alimentare sentimenti di frustrazione e risentimento facendo crescere movimenti populisti ed antieuropei“.

Il potere accusa, condanna, denuncia, costringe alla latitanza decine di cittadini. Lo stesso potere che fa i salti mortali per nascondere verità sempre più evidenti, come quella che, forse, negli attentati a Falcone e Borsellino sono più coinvolti i servizi, tutt’altro che deviati, dello Stato che la mafia stessa. Lo stesso potere che si guarda intorno spaventato e vede pericoli ovunque. Tutto questo ha un nome: controrivoluzione preventiva. Ma, per nostra fortuna, Marx ci ha già spiegato  che là dove c’è necessità di un’azione controrivoluzionaria, sicuramente la Rivoluzione (sì, quella con la R maiuscola) è già all’opera. Anche al di là del sentire della classe direttamente interessata.

Così oggi occorre saper incassare, subordinare qualsiasi giovanile esuberanza ed intemperanza alla necessità di sviluppare organizzazione politica, sociale e sindacale sul territorio; dando la priorità alla  necessità di andare avanti nell’approfondimento del dibattito sulle prospettive di un movimento che non potrà essere altro che radicalmente anti-capitalista, ma senza rinunciare alla denuncia dei soprusi e delle ingiustizie e senza arretrare sul piano della decisa ed intransigente difesa delle idee, dei diritti sindacali e degli spazi di iniziativa politica e sociale .

Negli anni ottanta del XIX secolo Engels, che pur di barricate ed organizzazione militare se ne intendeva, esortava gli operai tedeschi a far fronte con determinazione alle leggi anti-socialiste di Bismarck e a preparare l’organizzazione politica e sociale per rovesciare la prassi dell’esistente modo di produzione,  senza cadere nella trappola dello scontro per lo scontro, sul  terreno scelto dalla borghesia. Tale indicazione vale, forse più, anche oggi.

La scossa sismica in arrivo non farà solo oscillare i rilevatori, ma ne frantumerà scale, vetri e lancette. Ma, forse, per giungere a ciò non saranno più necessari gesti romantici  come un’altra presa del Palazzo d’Inverno o qualche clamorosa, e facilmente sconfiggibile sul piano militare,  iniziativa insurrezionale: il destino di questo morente modo di produzione sarà quello di afflosciarsi ed accartocciarsi sulle proprie contraddizioni ed errori e non varrà nemmeno uno scoppio di petardo. Sarà solo allora che  il 99% potrà cogliere il frutto della sua azione di contrasto e procedere oltre.

Ma la rivoluzione va fino al fondo delle cose. Sta ancora attraversando il purgatorio. Lavora con metodo. Fino [ad ora] non ha condotto a termine che la prima metà della sua preparazione; ora sta compiendo l’altra metà. […]      essa spinge alla perfezione il potere esecutivo, lo riduce alla sua espressione più pura, lo isola, se lo pone di fronte come l’unico ostacolo, per concentrare contro di esso tutte le sue forze di distruzione. E quando la rivoluzione avrà condotto a termine questa seconda metà del suo lavoro preparatorio, l’Europa balzerà dal suo seggio e griderà: Ben scavato, vecchia talpa!” (K: Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, dicembre 1851 – marzo 1852)

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