formelle – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Brescia tu sei maledetta! https://www.carmillaonline.com/2016/05/27/brescia-tu-maledetta/ Fri, 27 May 2016 20:50:32 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30726 di Sandro Moiso

morte in piazzaFascism, wherever it appears, it is the enemy”. Philip K. Dick

Valerio Marchi, LA MORTE IN PIAZZA. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, a cura di Silvia Boffelli, Red Star Press, Roma 2015, pp. 355, € 22,00

A Brescia il fascismo sembra non essere mai morto. Ciò non soltanto per la contiguità geografica con i cimeli di Salò, l’ultima capitale del fascismo italiano, ma soprattutto per l’eredità di sangue, intrighi e violenze che quella esperienza aveva portato e ha continuato a portare con sé. Come la strage avvenuta in Piazza della [...]]]> di Sandro Moiso

morte in piazzaFascism, wherever it appears, it is the enemy”. Philip K. Dick

Valerio Marchi, LA MORTE IN PIAZZA. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, a cura di Silvia Boffelli, Red Star Press, Roma 2015, pp. 355, € 22,00

A Brescia il fascismo sembra non essere mai morto. Ciò non soltanto per la contiguità geografica con i cimeli di Salò, l’ultima capitale del fascismo italiano, ma soprattutto per l’eredità di sangue, intrighi e violenze che quella esperienza aveva portato e ha continuato a portare con sé. Come la strage avvenuta in Piazza della Loggia il 28 maggio 1974 ben contribuì a dimostrare e che in mille forme sembra essere giunta fino ai giorni nostri.

Proprio per questo motivo la riedizione del testo di Valerio Marchi, pubblicato per la prima volta una decina di anni prima della scomparsa dell’autore,1 si rivela ancora particolarmente utile. Non soltanto per riflettere sulla lunga serie di indagini, depistaggi e processi che da quel vile attentato presero il via ma, e forse soprattutto, per la riflessione che l’accurato lavoro di indagine svolto all’epoca dall’autore, oggi arricchito dalla bella ed aggiornata postfazione curata da Silvia Boffelli, costringe a fare sull’uso che di quella strage e della sua immagine e del suo ricordo è stato fatto non solo per ridisegnare i confini del conflitto politico tra le classi, ma anche della memoria collettiva.

Oggi, in tempi di referendum destinati a modificare pesantemente le garanzie costituzionali, in presenza di riforme del lavoro che riportano agli anni precedenti i conflitti degli anni sessanta e settanta la condizione dei lavoratori e dei giovani disoccupati e di criminalizzazione integrale di qualsiasi forma di dissenso che possa far anche solo balenare lo spettro della lotta di classe, si può tranquillamente affermare che quella strategia, troppo semplicemente definita fin da allora come “strategia della tensione”, ha vinto. Momentaneamente magari, come sempre avviene nel ciclo lungo dello scontro tra capitale e lavoro, ma sicuramente per il momento storico che stiamo attraversando. Non solo in Italia, ma a livello europeo.

Che il fascismo più criminale, dalla guerra civile iniziatasi nel 1921 fino agli anni del terrorismo nero oppure delle ben più recenti aggressioni ai giovani profughi riparati nell’Alta Valle Trompia, sia soltanto e sempre uno strumento al servizio del capitale, un tempo agrario ed industriale ed oggi finanziario, lo si poteva facilmente dedurre seguendone il percorso storico e individuale dei suoi rappresentanti palesi ed occulti oppure cogliendo il significato profondo della mancata applicazione di qualsiasi tipo di epurazione reale nelle file della burocrazia statale e dei rappresentanti più compromessi del mondo politico avvenuta fin dai tempi dell’amnistia Togliatti, promulgata con il decreto presidenziale n.4 del 22 giugno 1946.

Quello che, forse, fino ad ora non è mai stato colto nella sua interezza era, e rimane, costituito dal fatto che le strategie di uso della manovalanza fascista e dei servizi , tutt’altro che deviati, erano e permangono di lungo periodo. Periodo talmente lungo da far sì che anche la memoria collettiva possa essere cancellata e manipolata, fino ad essere rovesciata nel contrario di ciò che all’inizio era stata.

Sotto questo punto di vista l’attenzione prestata da Valerio Marchi e dalla “continuatrice” della sua opera, Silvia Boffelli appunto, al modo in cui gli strumenti di informazione e il mondo politico, fin dal primo giorno dell’attentato di piazza della Loggia, hanno presentato e ricostruito i fatti e le responsabilità effettive costituisce forse la parte più importante del libro. Perché il discorso pubblico portato avanti dai media e dai rappresentanti delle istituzioni, da allora in poi, ha contribuito a ridefinire i percorsi della memoria in una maniera distorta e fuorviante che, nella confusa e interclassista iniziativa delle formelle dedicate a tutte le vittime indistinte della violenza “politica”, ha raggiunto proprio a Brescia la sua concreta e piena formalizzazione.

E se si trattasse soltanto delle formelle sulle quali i bresciani e i turisti pongono distrattamente i piedi mentre passeggiano per il centro storico forse non varrebbe nemmeno la pena di parlarne ancora.2 Piuttosto rimane il problema, già sollevato da un vecchio comunista fin dagli anni del secondo dopoguerra3, di un antifascismo istituzionalizzato che “sarebbe stato il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo”. Questo tipo di antifascismo, che ha definito il fascismo solo in rapporto allo stato liberale e democratico e non in termini di dominio di classe, ha così contribuito, in tempi lunghi quasi quanto gli eoni evocati da Lovecraft nel suoi romanzi dell’orrore, ad assimilare il fascismo a qualsiasi forma di violenza o di azione tesa a spodestare il dominio del capitale sulla specie umana.

In questo modo i morti di piazza della Loggia, quasi tutti militanti politici e/o sindacali, sono stati “affratellati” nelle rievocazioni più recenti ai fascisti caduti per mano della reazione di classe alle loro violenze e agli assassini di Stato dalle mani macchiate di sangue operaio e studentesco. Così l’anarchico Serantini, ucciso dalla polizia a Pisa, è affiancato, nel severo e osceno ordine cronologico del percorso, al commissario Calabresi dalla triste fama. Senza vergogna, impudicamente e con grande strombazzamento di discorsi sentimental-catto-patriottici. Falsi, tutti, come uno spin-off di Beautiful.

L’obiettivo di tale politica del ricordo e dello “strazio” pubblico diventa così quello di piangere gli assassini prezzolati insieme alle loro vittime, accomunando tutti nel grande mare della pietà e dell’interesse della riappacificazione nazionale. Magari quella a cui mirava già l’appello “ai fratelli in camicia nera” rivolta nel 1936 dai vertici del Partito Comunista ai fascisti. E di cui le attuali politiche renziane potrebbero essere il frutto supremo e finale.

Ma non corriamo troppo. Riprendiamo il discorso dal testo, per esempio là dove, sulla base degli studi di De Lutiis e Flamini sui servizi segreti e gli apparati politico-militari dello Stato italiano, Marchi sottolineava come “nell’ambito degli ambienti golpisti italiani, nel 1974 giunge a compimento una sorta di resa dei conti tra due differenti visioni delle strategie eversive da seguire: a confrontarsi sono da un lato quella che Flamini definisce l’«ala golpista radicale», che utilizza massicciamente l’estremismo neo-fascista e opera per instaurare in Italia una dittatura militare,e dall’altro quei settori che, pur utilizzando gli stessi sistemi, considerano questo tipo di regime ormai obsoleto,inadatto a gestire uno Stato a sviluppo industriale avanzato, e che operano attraverso la strategia della tensione per favorire l’avvento di una repubblica presidenziale, autoritaria, saldamente inserita nel modello occidentale non soltanto nel campo delle scelte geo-politiche, ma anche in quello delle forme istituzionali.” (pag.48)

Citando, poi, a conferma un testo di De Lutiis, là dove si afferma, quasi profeticamente, che: “I settori meno rozzi del «golpe invisibile» preparano una soluzione diversa da quella del colpo di stato militare. L’alternativa è un golpe incruento, che dovrà avere caratteristiche di riforma istituzionale e venature «di sinistra». Sarà appoggiato dalla parte più moderna del mondo industriale italiano e tenderà a inserire l’Italia – priva del «pericolo comunista» – in un contesto europeo più efficiente […] E’ il progetto noto come «golpe bianco […] che ha come propugnatori Edgardo Sogno e Luigi Cavallo, ma gode di simpatie in un vasto arco politico […] oltre che l’appoggio determinante della Fiat. Per attuare questo piano è preliminarmente necessario sgombrare il campo dagli ambienti coinvolti nei progetti golpisti più rozzi4 “ (pag.51)

Fin qui, dunque, il discorso sul fascismo e sul suo uso è abbastanza chiaro: manovalanza terroristica buona sia per un golpe un po’demodé, come quello auspicato dai settori più arretrati dell’esercito e delle istituzioni, sia come soggetto su cui scaricare la responsabilità terroristica di una strategia che ha in ambienti più moderni i suoi ideatori che, proprio in nome della difesa della democrazia e dell’interesse nazionale (in realtà sovranazionale e finanziario), chiamano all’union sacrèe tra le classi contro ogni forma di violenza e di opposizione (soprattutto di classe).

Il fatto poi, come i vari processi hanno in seguito dimostrato, che non si sia mai davvero giunti ad una piena resa dei conti “istituzionale”, ma piuttosto ad una sorta di “Patto del Nazareno” ante-litteram e di opportunistica convenienza per le varie parti in causa non cambia di molto il senso del tutto. Se non che “il segreto di Stato” più volte invocato ed utilizzato per impedire, nel corso dei vari processi, di giungere alla piena affermazione della verità e deviarne invece le conclusioni, è oggi ancora estremamente di moda. Una sorta di “per il bene della causa” che tutto deve coprire e giustificare. Confermando così, senza neanche voler troppo stupire i lettori, che il capitalismo non può e non deve processare se stesso. Toccherà ad altri e in altri contesti storici e sociali farlo.

Resta però, sintetizzando forse fin troppo un testo la cui lettura è davvero molto interessante e coinvolgente, un problema in gran parte irrisolto: perché proprio Brescia fu scelta per costituire quasi il centro di una strategia che, comunque, si manifestò e colpì in più parti d’Italia? Come mai il fascismo era, e rimane ancora, così forte in tale realtà? Una realtà in cui lo squadrismo locale (si pensi soltanto al camerata Silvio Ferrari saltato in aria, con la bomba che stava trasportando sul suo scooter, pochi giorni prima della strage) si mescolava, come per certi versi ancora oggi, con le tifoserie calcistiche e gli uomini degli apparati di “sicurezza e disinformazione” oltre che con un tessuto economico ed imprenditoriale che, sia nell’agricoltura che nell’industria, rimpiangevano, e forse rimpiangono ancora, gli anni della repubblica delle camicie nere e del cattolicesimo più retrivo.

via mancini 1 Una realtà, però, fatta anche, all’epoca, di fabbriche e di forti sindacati, di fiducia nella sinistra istituzionale, di un cattolicesimo sociale che costituiva un po’ l’anima della sinistra DC, in cui la presenza della memoria della lotta partigiana, sia di sinistra che cattolica era ancora molto forte e presente. In cui, però, era forse assente un’autonomia di classe che permettesse nella città e nel territorio circostante quelle forme di auto-organizzazione operaia e giovanile che nelle vicina metropoli industriale di Milano non avevano comunque permesso uno sviluppo, in proporzione, altrettanto ampio del fenomeno e della militanza fascista. Costretta, in qualche modo, ad “emigrare” in quel di Brescia dove, evidentemente, si sentiva più sicura e protetta.

Insomma, forse la coscienza sinceramente anti-fascista della città e dei suoi lavoratori aveva trovato nel “semplice” anti-fascismo il suo limite stesso. Antifascismo spontaneo e sincero che si trovò a fare i conti con una delle stragi più odiose della storia d’Italia e, immediatamente, con una reazione delle forze dell’ordine, di una parte delle istituzioni e di alcuni giornali nazionali che miravano a negare da subito le effettive responsabilità. Ma che non seppe andare al di là della denuncia e dell’attesa di una giustizia di Stato e istituzionale che non avrebbe mai potuto soddisfare le aspettative dei famigliari delle vittime e di tutti coloro che al fascismo volevano opporsi. Favorendo così, indirettamente, anche quel progetto di lungo periodo che nelle manifestazioni istituzionali odierne e nelle scelte della Casa della Memoria vede ancora impegnati alcuni dei suoi protagonisti.

Ecco perché, ancora oggi, la maledetta strage di Brescia non può essere trattata soltanto come Storia oppure ridotta a mera vicenda giudiziaria o, ancor peggio, ad innocua memoria della paura e del dolore. Ciò che l’ha prodotta vive ancora oggi. In mezzo a noi e sui nostri schemi televisivi, sui social e nelle campagne forsennate di riforma istituzionale e del lavoro. Vive nel taglio della spesa sociale e nell’uso dei migranti come ricatto o come paravento. Vive nel lavoro sottopagato e nelle violenze impunite delle forze del disordine. Vive nelle aggressioni ai compagni e agli immigrati. Vive e non è ancora affatto morto.francia-scioperi
E se il suo nome è Fascismo, di cognome fa Capitalismo.
Sarà però la specie nel suo insieme a metterli entrambi in definitiva liquidazione.

N.B.
La foto in bianco e nero, sopra riprodotta, riguarda l’assalto di massa alla sede del Movimento Sociale Italiano di via Mancini a Milano, nell’aprile del 1975, quando la stessa fu incendiata e gravemente danneggiata.


  1. Valerio Marchi (Roma 1955 – Polignano a Mare 2006) è stato fondatore della “Libreria Internazionale” di San Lorenzo e interprete del conflitto giovanile oltre che sociologo estremamente attento alle dinamiche attraverso le quali l’informazione mainstream legge e deforma larealtà. Tra le sue opere si vanno ricordate Teppa (Red Star Press), Ultrà. Le culture giovanili negli stadi d’Europa (Hellnation Libri/Red Star Press), La sindrome di Andy Capp. Culture di strada e conflitto giovanile (2004) e Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio (2005 e 2014)  

  2. L’argomento è già stato affrontato su Carmilla in almeno due occasioni: https://www.carmillaonline.com/2016/05/24/le-formelle-della-memoria-corta-manipolata/
    https://www.carmillaonline.com/2015/06/10/formelle-di-stato/  

  3. Amadeo Bordiga  

  4. G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, editori Riuniti 1991, pag.196  

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Formelle di Stato https://www.carmillaonline.com/2015/06/10/formelle-di-stato/ Wed, 10 Jun 2015 20:12:57 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23144 di Rinaldo Capra

formella 1Dalla pagina Facebook di Viviana Beccalosi, “notorio” assessore della giunta Maroni in quota Fratelli d’Italia, leggo: “Vigilia dell’anniversario della strage di Piazza della Loggia: ecco la “pacificazione” tanto cara alla sinistra: nella notte trafugata la lapide che ricorda Sergio Ramelli in Contrada Sant’Urbano,…. A Brescia continuano a esserci morti di serie A e di serie B. Vergogna!

Le sparate della Beccalossi ci ricordano i conflitti concreti della memoria incapsulati nelle lapidi, come se la celebrazione dell’indelebile scritta nel marmo, rappresentasse un’irrequieta memoria del confronto irrisolto tra principi opposti. Una conversazione sociale sull’Italia post-fascista e post-strategia della [...]]]> di Rinaldo Capra

formella 1Dalla pagina Facebook di Viviana Beccalosi, “notorio” assessore della giunta Maroni in quota Fratelli d’Italia, leggo: “Vigilia dell’anniversario della strage di Piazza della Loggia: ecco la “pacificazione” tanto cara alla sinistra: nella notte trafugata la lapide che ricorda Sergio Ramelli in Contrada Sant’Urbano,…. A Brescia continuano a esserci morti di serie A e di serie B. Vergogna!

Le sparate della Beccalossi ci ricordano i conflitti concreti della memoria incapsulati nelle lapidi, come se la celebrazione dell’indelebile scritta nel marmo, rappresentasse un’irrequieta memoria del confronto irrisolto tra principi opposti. Una conversazione sociale sull’Italia post-fascista e post-strategia della tensione, che apre una negoziazione tra le parti nella ricerca di una normalizzazione ideologica, ancor prima che emotiva.

Gli scontri sulle lapidi sorgono quando gli eventi che trattano sono ancora vicini e dividono profondamente. L’uso strumentale della memoria attraverso la lapide mira a un’indeterminatezza del sapere collettivo, per legarlo al racconto della lapide stessa e rendere la storia e i valori che l’hanno determinata un ricordo residuale, indifferenziato, alieno e confuso.

Lo stato, attraverso i suoi istituti, gestisce la memoria collettiva per normalizzare e mistificare la storia di strategia della tensione, conflitti di classe, terrorismo di stato e mitigare la tensione agli scontri sociali e ideali, sempre brucianti, che pervadono la società. La memoria condivisa, l’imposizione della compassione per le vittime, sempre e comunque, senza nessun distinguo, unisce tutti in un unico grumo d’incoscienza e in nome della non violenza, della conciliazione e del perdono per il bene comune ci rende plasmabili e reclutabili per tutte le lotte del capitale con violenza inaudita. La dissoluzione dei contenuti della storia ci sottrae non solo coscienza, ma libero arbitrio.

La rimozione della formella che commemora Ramelli è emblematica; il lavoro di alcuni storici (più storia e meno memoria?) vuole, ma non ha ancora potuto, archiviare e conciliare le cronache animate da fronti opposti, che si stanno fronteggiando in una partita tuttora in corso, con un neo-revisionismo del fascismo, in qualsiasi forma si sia manifestato.

In quest’ottica è esemplare il progetto di Casa della Memoria, Rotary Club, Comune di Brescia, Gruppo Locale Bu e Bei per il “ Percorso della Memoria”, sancito con Delibera Comunale n° 230 2012 e con l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica (è già eloquente la composizione dei promotori). Esso prevede la posa di formelle commemorative di tutte le vittime della violenza politica dal 1962 a oggi, in forma indifferenziata e arbitraria, ordinate in fuorviante ordine cronologico. Il percorso si snoda da Piazza della Loggia, esattamente dalla Stele che ricorda la bomba, verso la salita al Castello, via Sant’Urbano.

Ecco le finalità, testualmente: “Si ritiene che una collettività, desiderosa di giudicare serenamente una parentesi tragica della propria storia, debba avere il coraggio di ammettere e di ricordare il dolore pagato quale prezzo per sconfiggere la violenza di quegli anni. Questa testimonianza vuole raccogliere in un’unica espressione ciò che è affidato all’episodica rievocazione in manifestazioni deputate.

brescia_loggiaBene: raccogliere il tutto in “un’unica espressione” avvicinando, nelle lapidi poste con tanta pompa, vittime e carnefici in nome di una stagione di tolleranza e “serenità” è la manipolazione delle coscienze, assolvendo e riabilitando, senza che ci sia stata nessuna espiazione, i fascisti di ieri e di oggi e i loro folli ideali. Vedere in un tratto di quattro metri le formelle di Pinelli, di Serantini e più in alto di Calabresi è simbolicamente il rinnovato controllo di polizia su quei compagni, è disinnescare ogni possibile consapevolezza e mistificare la storia, oltre che fare un torto a Pinelli e Serantini. Ironia inconsapevole della cronologia esasperata.

E ancora, se la Delibera del 2012, con il Patrocinio del presidente della Repubblica e della Casa della Memoria, celebra le vittime della violenza politica e Pinelli è morto in questura mentre era affidato a Calabresi, di quale violenza politica è vittima? Calabresi quale violenta parte politica rappresentava, prima di esserne a sua volta vittima? Chi ha scelto, con tanta sensibilità, di metterli vicini evidenzia la volontà di portare avanti il processo tanto caro ai vari La Russa, Beccalossi e assessori della giunta Paroli, con il placet di parte della cosiddetta sinistra, di mettere repubblichini e partigiani, terroristi fascisti e immigrati o sindacalisti tutti sullo stesso piano.

La violenza è sempre inaccettabile, indegna e chi ne è vittima va subito santificato, salvo che sia un immigrato morto in cella nella caserma dei Carabinieri di Piazza Tebaldo Brusati, il 12 Dicembre (bel caso di sincronicità) 2010, in circostanze diciamo oscure, o qualche altro miserabile, che non sarà mai ricordato con una formella sulla salita di via Sant’Urbano.

Per altro ci sarà sempre qualche intellettuale di sinistra pronto a inerpicarsi in ardite teorizzazioni per creare il consenso revisionista; ecco che alla commemorazione del 28 Maggio s’imbarca anche lo storico (ex Lotta Continua) Giovanni de Luna, il quale sostiene la necessità di un nuovo sguardo verso le vittime delle stragi, verso la resistenza e che la strategia della tensione ha perso. Auspica un nuovo patto di cittadinanza per riavvicinare la classe politica all’opinione pubblica per dare spessore alla memoria, che altrimenti rimane sospesa. Paragona Piazza Loggia a Charlie Hebdo: un’apoteosi alla presenza dell’Ambasciatore francese.

Forse sfugge qualcosa: non è la memoria collettiva a essere sospesa, ma è la sua revisione continua che la desertifica. Lo stato non solo ha il monopolio dell’uso della violenza, ma della violenza ha anche il monopolio della gestione della sua memoria e celebrazione, piegandone tratti e contenuti secondo la convenienza politica del momento, e in un’ineguaglianza abissale di rapporti di forza, ci obbliga a guardare la nostra storia con una lente deformante fino a perderne per sempre la cognizione.

Enigmatica, in tal senso, l’adesione di Manlio Milani e della Casa della Memoria al progetto. Quarant’anni passati a elaborare lutti personali e lottare per ottenere una giustizia borghese negata, avrebbero fiaccato chiunque. La perdita, il dolore, la frustrazione è il muro invalicabile con il quale si va a cozzare, noi pensiamo solleciti lo spirito di rivolta, ma l’oppressione, l’umiliazione inesorabile e invincibile, alla lunga genera sottomissione, pietà logora e indeterminata, rabbia esausta e addomesticata. Il ruolo ieratico di infaticabile custode della memoria e della verità, usura e compensa squilibri emotivi, assorbe tutto, ma ha inevitabilmente una funzione politica.

I riti e i protocolli delle istituzioni rapiscono la ragione alla lunga e generano un ruolo pubblico, autoreferenziale, lunare a volte, che crede di incarnare tutte le istanze relative alla storia e alla violenza politica, ma finisce per essere strumento di quel potere che ha creato la strategia della tensione.
Si vede la liturgia e non la fede.

Poi tutti con i capi in testa, Sindaco, Casa della Memoria, Ambasciatore Francese e notabili vari, via di corsa a riposizionare la formella del fascista Ramelli e posare l’ultima, quella per Charlie Hebdo.

Per concludere un proverbio polacco di rara efficacia, citato in uno Spaghetti Western di Sergio Corbucci1 : “Ci stanno facendo spingere un secchio pieno di merda con un bastone troppo corto per non sentirne l’odore”.


  1. Il mercenario, 1969  

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