Flower Power – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Nov 2024 23:50:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Mike Wilhelm, l’ultimo cowboy di San Francisco https://www.carmillaonline.com/2019/07/04/mike-wilhelm-lultimo-cowboy-di-san-francisco/ Wed, 03 Jul 2019 22:01:14 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53236 di Sandro Moiso

Nel silenzio dei media e nell’indifferenza di un pubblico che non lo ricordava più, il 14 maggio di quest’anno se n’è andato l’ultimo cowboy della Bay Area. Ci si accorge di diventare vecchi quando ormai si va troppo spesso ai funerali oppure si celebrano, ancor più spesso, eroi che più nessuno ricorda. E negli ultimi mesi ho davvero iniziato a sentire il peso delle scomparsa di amici, che senza avermi mai conosciuto, hanno avuto lo stesso una grande importanza per me.

In quest’ultimo periodo, infatti, diversi protagonisti di una scena [...]]]> di Sandro Moiso

Nel silenzio dei media e nell’indifferenza di un pubblico che non lo ricordava più, il 14 maggio di quest’anno se n’è andato l’ultimo cowboy della Bay Area.
Ci si accorge di diventare vecchi quando ormai si va troppo spesso ai funerali oppure si celebrano, ancor più spesso, eroi che più nessuno ricorda. E negli ultimi mesi ho davvero iniziato a sentire il peso delle scomparsa di amici, che senza avermi mai conosciuto, hanno avuto lo stesso una grande importanza per me.

In quest’ultimo periodo, infatti, diversi protagonisti di una scena musicale troppo spesso archiviata o sconosciuta per i più giovani hanno lasciato definitivamente il palcoscenico terrestre, per avviarsi a continuare la loro carriera fatta di blues, rock’n’roll, country music, sangue, anima e talvolta voodoo dall’altra parte del sipario sottile che divide il mondo dei vivi da quello dei morti.

Rocky Erickson (di cui ho parlato recentemente qui), Malcom John “Mac” Rebennack meglio conosciuto come Doctor John (il principe bianco di New Orleans), o ancora come The Night Ripper oppure come Dr. John Creaux, e per finire Mike Wilhelm.
Tutti musicisti che hanno legato così strettamente la loro vita alla musica che amavano da diventare un tutt’uno con la stessa.

Mike Wilhelm sicuramente è rimasto il meno conosciuto del trio appena menzionato, anche se è stato uno dei musicisti più influenti della scena di San Francisco prima dell’esplodere della Summer of love nel 1967, prima ancora che l’acid rock fosse anche solo lontanamente definito così.
Cantante, chitarrista, folk-singer, l’autore col cappello da cowboy con cui è stato colto in tante immagini e fotografie, aveva fondato il gruppo dei Charlatans nel 1964, insieme a Richard Olsen, Dan Hicks, Byron Ferguson e George L.L. Hunter. Ma al giorno d’oggi anche su Allmusic, la bibbia dei discofili, in apertura della loro scheda si ricorda che tale gruppo non va confuso con l’omonimo gruppo inglese degli anni degli anni Novanta. Eppure, eppure…

Mike Wilhelm era, secondo Jerry Garcia, il più importante chitarrista della scena di Frisco, prima ancora che esplodessero sulla stessa gruppi come Grateful Dead, Jefferson Airplane e Quicksilver Messenger Service, tutti caratterizzati da un innovativo e originale uso delle chitarre elettriche, e il gruppo dei Charlatans può essere considerato autenticamente seminale (un aggettivo di cui oggi troppo facilmente si abusa) per tutto lo sviluppo dell’esperienza acido-psichedelica legata ad Haight Ashbury che ne conseguì.

Nati inizialmente come una jug-band, a metà strada tra old time music e blues, i cinque musicisti virarono quasi subito, grazie soprattutto alla voce e alla chitarra di Mike, verso una musica tinteggiata di blues acido e di folksongs elettriche che solo i Byrds avrebbero, in seguito, imparato a confezionare meglio.
Brani come “Alabama Bound” (un blues tradizionale) e “Codine” (della cantautrice canadese, di origine Cree, Buffy Saint-Marie ), marcarono da subito lo stile della band e del chitarrismo e della voce di Wilhelm.

I loro demo, incisi per Autumn Records (agosto 1965), Kama Sutra (primi mesi del 1966), Golden State (novembre 1966 – luglio 1967), Pacific High (inizio 1968) rimasero però chiusi nei cassetti dei vari studi discografici troppo a lungo. Vuoi a causa della mancanza di produttori abbastanza abili da riconoscerne la grandezza e originalità, vuoi forse anche per il caratteraccio di alcuni membri della band. Poco propensi a legare facilmente con il flower power o con l’impresario teatrale e musicale Bill Graham che, con il suo Fillmore West, era diventato uno dei patrocinatori del movimento musicale e culturale scaturito a Frisco.

Così il loro primo long playing fu pubblicato soltanto nel 1969, per l’etichetta Kama Sutra, non certo la più prestigiosa per la scena psichedelica, essendosi affermata con la bubble-gum music dei 1910 Fruitgum Co. (resi celebri nel 1968 da Simon Says alias Il ballo di Simone in Italia), quando questa era già dominata da altre band giunte dopo, ma ormai più celebri, e dopo svariati cambi di formazione che avevano in parte diminuito la carica creativa dei primi anni.

Si sciolsero in quello stesso anno i componenti della posse originale e Mike diede vita ad un’altra band dalla vita breve e sfortunata, formatasi all’inizio degli anni Settanta e fortemente influenzata dal rock blues dei Rolling Stones: i Loose Gravel.
Insieme a Mike Wilhel, ancora una volta alla chitarra e voce, militarono Kenny Streight al basso elettrico e Gene Rymer alle percussioni. Ancora una volta ci fu il tempo di incidere un solo 45 giri e un EP prima di tornare al silenzio, non prima però di aver visto ancora una volta Mike mostrare significativamente il dito medio al suo eterno “avversario” Bill Graham, proprio in occasione della realizzazione del film sul Fillmore West da cui a l’imprenditore aveva voluto ancora escludere Wilhelm e la sua band. Comunque sia, e tanto per rendere meglio l’idea, l’individuo barbuto, armato e a cavallo di una motocicletta che vedete sulla copertina riprodotta qui sopra è ancora una volta il nostro, tutt’altro che pacifico, eroe.

Poche registrazioni ci rimangono di tutte e due le esperienze: il disco originale dei Charlatans del 1969, una ricca antologia delle registrazioni precedenti pubblicata dalla Big Beat soltanto nel 1996 (The Amazing Charlatans), un bootleg straordinario di un concerto dal vivo sempre del primo gruppo (Charlatans , The Roaring Twenties) per la fantomatica etichetta Honky Tonk Records, ancora un album antologico degli stessi pubblicato dalla etichetta francese Eva negli anni Ottanta (Alabama Bound) e, infine, un cd antologico della Bucketfull of Brain, pubblicato nel 1992, che raccoglie le incisioni in studio (del 1975) e un concerto (del 1976) dei Loose Gravel. Un’eredità ridottissima ma densa di blues, rock, old time music, country, anima e sangue come poche altre.

Naturalmente il rocker, nato a Los Angeles nel 1942, non si arrese e continuò prima con la pubblicazione di due album a suo nome, uno maggiormente orientato al blues Frisco’s style e l’altro al country e al folk. Quello orientato al country esce nel 1976, si intitola semplicemente Wilhelm e contiene sia brani originali che tratti dalla tradizione americana (strepitose le versioni di Me and My Uncle e Junko Partner), mentre quello più orientato al blues esce nel 1985 e si intitola Mean Ol’ Frisco. In entrambi i lavori accompagnano il chitarrista sia vecchi membri dei Charlatans che dei Quicksilve Messenger Service (John Cipollina e Greg Elmore) che dei Flamin’ Groovies, altro gruppo di rock’n’roll di San Francisco caratterizzato dall’essere, oltre che travolgente nelle esecuzioni sia su disco che live, sempre in controtendenza rispetto alle mode delle epoche attraversate.

E proprio di questo gruppo Wilhelm entrò a far parte come voce e chitarra solista al termine degli anni Settanta, partecipando a due dischi di culto della band: Flamin ‘ Groovies Now (1978), con una versione da urlo di Feel a Whole Lot Better (dei Byrds), e Jumpin’ in the Night (1979), con una magnifica Werewolves of London (di Warren Zevon).

Lasciati ancora una volta gli altri uomini lupo del rock per tornare ad esserlo in solitaria, Wilhelm consegnerà ancora alle stampe un disco acustico interamente solista nel 1993, dal significativo titolo Wood & Wire (legno e corde); un Live in Tokio: At Grateful Dead Land (1997) e un ultimo Live at The Cactus del 2007.

Se vi sembra poco, non rimanete passivi, datevi da fare e cercate di procurarvi un po’ della sua musica (scaricatela piratescamente, oppure su Spotify, dove volete, anche tra i vinili se proprio volete sentirvi à la page) e solo allora scoprirete e, forse, vi verrà voglia di celebrare, con me, un gigante dimenticato.
See you later, Mike!

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I re del mondo e gli Arcadi https://www.carmillaonline.com/2014/09/12/i-re-mondo-gli-arcadi/ Thu, 11 Sep 2014 22:21:43 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17083 di Mauro Baldrati

Singolari affinità elettive tra due romanzi di segno opposto

Don Winslow, I re del mondo, Einaudi Stile Libero, Torino 2012, pagine 350 € 18,50 Lauren Groff, Arcadia, Codice Edizioni, Torino 2014, pagine 371 € 16,90

WinslowarcadiaI re del mondo è il prequel de Le belve. Chi ha già letto il più famoso romanzo di Don Winslow conosce i tre protagonisti, Ben, Chon e O (diminutivo di Ophelia) impegnati a Laguna Beach, California, nella produzione e la vendita di una potentissima ganja idroponica, un commercio indipendente che frutta loro milioni di dollari. [...]]]> di Mauro Baldrati

Singolari affinità elettive tra due romanzi di segno opposto

Don Winslow, I re del mondo, Einaudi Stile Libero, Torino 2012, pagine 350 € 18,50
Lauren Groff, Arcadia, Codice Edizioni, Torino 2014, pagine 371 € 16,90

WinslowarcadiaI re del mondo è il prequel de Le belve. Chi ha già letto il più famoso romanzo di Don Winslow conosce i tre protagonisti, Ben, Chon e O (diminutivo di Ophelia) impegnati a Laguna Beach, California, nella produzione e la vendita di una potentissima ganja idroponica, un commercio indipendente che frutta loro milioni di dollari.
I re del mondo è la loro storia. La storia dell’inizio. Con lo stesso stile minimalista, fatto di eccentrici accostamenti di parole e di a-capo che troncano le frasi, minuscole e maiuscole che si scambiano di posto, capitoli numerati talvolta composti di due sole parole, Winslow segue i tre giovani eroi, poco più che adolescenti, nella formazione, nei progetti, e nelle trovate geniali di Ben, che sperimenta la coltivazione e la genetica della cannabis. Soprattutto segue anche la storia dei loro genitori (la cui identità viene scoperta a lettura già avanzata), hippies degli anni Sessanta che vivevano in comuni psichedeliche, i quali, come vuole una certa retorica sul flower power, vedono i loro modelli di vita – intesi come esperienze transitorie – presto corrotti dall’avanzare del tempo, dalla seduzione del denaro e del potere.

Così, mentre Ben e Chon, con la compagnia di una “inabile a tutto” O, lavorano alla creazione della macchina di produzione autogestita, i genitori consolidano il loro racket para-mafioso di trafficanti di droga, tutta la droga, anche la cocaina e l’eroina (un tempo lontano considerate droghe stupefacenti del Potere),  che offrono profitti più alti della marijuana.

Le due organizzazioni entrano in conflitto. Gli spietati trafficanti che sono diventati i padri ex hippies (che non conoscono l’identità dei nostri tre freak di ultima generazione), non possono tollerare il fiorire di un’attività indipendente nel loro territorio, perché le regole della criminalità insegnano che il vero potere non sta nel profitto in sé, ma nel controllo, che genera profitto dal profitto, attraverso le tangenti e la cessione di una fetta dei guadagni. Nasce una guerra feroce, fatta di minacce, ricatti, rapimenti e omicidi. Come nel romanzo precedente gli indipendenti (uno degli eterni miti di tanta letteratura e cinematografia americane), forti della loro genialità e del loro coraggio, cercano di tenere testa alla criminalità organizzata che controlla anche la polizia corrotta.

In questo romanzo Winslow apre una parentesi interessante, che però richiude subito: il passato hippie dei genitori, quello che furono e quello che sono diventati. Sappiamo che una madre ha vissuto in una caverna (soluzione verosimile; in USA ci sono state varie esperienze di comuni neotribali). Sappiamo che le comuni erano degli “scannatoi”, e poco altro. Ma è un passato che si esaurisce nel pregiudizio del presente, nelle battute sprezzanti di Chon, che rinchiuderebbe i “post hippies” in “campo di concentramento”.

Invece il contenuto di questo spazio bianco tra parentesi è il fulcro narrativo del romanzo di Lauren Groff.

Anche Arcadia è la storia della corruzione di un sogno comunitario. Un gruppo di persone fonda la comune di Arcadia, seguendo l’ideale di quegli anni: gli spazi alternativi, liberati dai condizionamenti della società dei consumi, rappresentano dei virus positivi che diffondendosi potrebbero guarire l’organismo malato che li ospita. In Arcadia non si scherza, si lavora duro: per coltivare la terra, per ristrutturare la grande casa semidiroccata che finalmente permetterà agli Arcadi di vivere comodamente, fuori dai vecchi furgoni-camper e dai prefabbricati, si sgobba dalla mattina alla sera, sotto al sole e sotto la neve. Ognuno ha un compito: i Motoristi si occupano della parte tecnologica, le Ostetriche seguono i numerosi parti, si organizzano corsi, si prepara il cibo vegano. Vige il divieto di qualunque sfruttamento e schiavitù: non è ammesso tenere animali domestici, per cui Briciola, il bambino nato in Arcadia da una bella coppia hippie, non ha mai visto un cane, né un maiale. Ogni manifestazione o esigenza corporale è rispettata, e la si soddisfa in libertà: ogni uomo può avere più mogli, ogni donna più mariti. Esiste anche la sezione degli Scambisti, per chi ha voglia di un po’ di can-can.

Poi, come sembra essere inevitabile in ogni esperienza positiva, il tempo e lo spazio iniziano la loro opera di distruzione. Arcadia viene invasa da orde di “fuori di testa” (gli Sballati), i rovinati dall’abuso di LSD. Gli Arcadi, sempre pronti ad aiutare il prossimo, li affiancano con le Balie, sorta di infermieri psicologici che hanno il compito di recuperarli per restituirli alla vita.

Ma non c’è tregua. L’ideale sembra destinato in sé a fallire. La povertà, i sacrifici, il lavoro duro e le privazioni la minano dall’interno. Arriva Reagan e la sua guerra alla droga, scatta una devastante retata della polizia, durante una grande festa psichedelica. I poliziotti (i Maiali), spaccano tutto, arrestano molti Arcadi. La comune si sbriciola, si estingue. Un ex arcade la rileva, la trasforma in un laboratorio di animazione digitale. Briciola si trasferisce in città, nel “mondo esterno”, dove segue e assiste i suoi leggendari genitori nel declino e nella fine. Cerca di crescere una figlia, venendo a patti con le leggi dello spreco, della fretta, del tempo che avanza implacabile, delle sue regole totalitarie. Cerca di restare vivo.

I pregi

I re del mondo: Il ritmo veloce, che tiene fino alla fine; l’ironia, il paradosso che avvolge certi personaggi; la storia avvincente, l’eterno scontro tra “gli ultimi degli indipendenti” e il racket organizzato, criminale e privo di scrupoli; il confronto-scontro tra padri e figli, che viene allo scoperto lentamente, come le carte nel poker; la scrittura materialista, essenziale, ben restituita dalla traduzione di Alfredo Colitto.

Arcadia: La vivacità e la verosimiglianza con cui viene descritta la fondazione e la vita nella comune, tanto che sembra di essere dentro, con un salto temporale; la progressiva estinzione dell’ideale, per l’insorgere della difficoltà di accettare fino in fondo la vita comunitaria, per l’impossibilità di mantenerla attiva, come spazio alternativo, in un mondo esterno soverchiante che la minaccia e la divora; la scrittura raffinata e nitida, anche per l’ottima traduzione di Tommaso Pincio.

I difetti

I re del mondo: L’overdose di aggressività e di arroganza di molti personaggi, surfisti strafighi palestrati e abbronzati, per cui sembra di essere in una puntata di Bay Watch corretta con enormi badilate di sesso, droga e alcune dosi di violenza; lo stereotipo dei tre eroi: Ben è la versione da supermarket dell’americano progressista, Chon un fascista guerrafondaio mangiahamburger, O una svampita totale.

Arcadia: L’eccesso di tristezza e di malinconia che dilaga quando la comune fallisce, l’atmosfera depressiva che sembra soffocare i personaggi (e con loro il lettore) che si trasferiscono in città; l’insistenza sulle introspezioni di Briciola, sulle visioni e i sogni; la lunghissima agonia della madre, che rende il romanzo un’opera interminabile.

Le perle

I re del mondo:“Rubare ai ladri non è un furto”
“Al loro karma ci pensino loro, io penso al mio”
“Abbiamo visto un sogno trasformarsi in un incubo abbiamo visto pace e amore trasformarsi in guerra e violenza infinita il nostro idealismo in realismo il nostro realismo in cinismo il nostro cinismo in apatia la nostra apatia in avidità”

Arcadia: “Gli umani, là fuori, sono grotteschi: sono come tanti Scrooge e tante Jellyby, deformi sudici costretti in fabbriche nere come spelonche o in case solitarie e spopolate in cui regna una rovina chiamata televisione, una minuscola caverna di Platone presente in ogni stanza”
“E’ il raduno quotidiano degli Sballati: i fuori di testa e l’intera banda di flippati dagli acidi si danno convegno per raccontare i propri sogni”

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