Festival “Alta Felicità” – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Avanti barbari! https://www.carmillaonline.com/2024/08/07/avanti-barbari/ Wed, 07 Aug 2024 20:00:45 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=83798 di Sandro Moiso

Louisa Yousfi, Restare barbari. I selvaggi all’assalto dell’Impero, DeriveApprodi, Roma 2023, pp. 96, 12 euro

Alle 22 in punto la radio della polizia penitenziaria gracchia frasi in arabo. Carcere minorile Ferrante Aporti di Torino: la rivolta iniziata poco dopo le 20 è in atto ormai da più di due ore. Incendio nelle celle, negli uffici, nei corridoi. Botte agli agenti. «Si sono presi una nostra radio, attenti alle comunicazioni: sentono tutto» dice quello della penitenziaria. No, è peggio. I detenuti del minorile – una cinquantina, forse appena di più – si sono impossessati di gran parte [...]]]> di Sandro Moiso

Louisa Yousfi, Restare barbari. I selvaggi all’assalto dell’Impero, DeriveApprodi, Roma 2023, pp. 96, 12 euro

Alle 22 in punto la radio della polizia penitenziaria gracchia frasi in arabo. Carcere minorile Ferrante Aporti di Torino: la rivolta iniziata poco dopo le 20 è in atto ormai da più di due ore. Incendio nelle celle, negli uffici, nei corridoi. Botte agli agenti. «Si sono presi una nostra radio, attenti alle comunicazioni: sentono tutto» dice quello della penitenziaria. No, è peggio. I detenuti del minorile – una cinquantina, forse appena di più – si sono impossessati di gran parte del carcere. (Notte tra i 1° e il 2 agosto 2024, da un articolo di Federico Femia e Caterina Stamin su “La Stampa”)

Come sempre, ad essere sinceri, le recensioni di libri altrui non possono che costituire dei pretesti per parlare di argomenti che premono ai recensori. Tale osservazione vale anche in questa occasione, in cui il bel saggio di Louisa Yusufi, pubblicato lo scorso anno da DeriveApprodi in Italia, ma uscito originariamente in Francia nel 2022, permette a chi scrive di trattare un problema che travalica la “linea del colore” e della “barbarie” inclusa nei confini delle banlieue francesi per mettere in discussione il concetto di civiltà tout-court, all’interno di tutto il modo di produzione e riproduzione basato sui principi del capitale e dell’appropriazione privata della ricchezza socialmente prodotta.

Il titolo del testo della Yousfi rinvia, inevitabilmente, al motto “rimanere umani” che da anni accompagna manifestazioni e proposizioni ricollegabili alla rivendicazione in difesa dei diritti delle fasce più deboli e povere della popolazione e, in particolare, delle condizioni di vita dei migranti e degli immigrati, accompagnandosi spesso anche ai discorsi sulla guerra e le sue cruente e spietate logiche di violenza e sterminio. Non a caso il suo presunto ideatore, Vittorio Arrigoni noto come Vik, proprio a Gaza era stato ucciso nell’aprile del 2011 da una cellula jihadista salafita che si opponeva a qualsiasi tipo di intervento umanitario occidentale nell’enclave palestinese.

Quell’atto, per molta parte della sinistra, aveva finito col confondersi con una sorta di frattura tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è dell’azione dei popoli in rivolta e delle loro, spesso squinternate e ambigue, milizie. Un episodio drammatico che, certamente, ha contribuito ad approfondire il solco tra coloro che contestano l’attuale modo di produzione senza peraltro uscirne dai limiti delle leggi e dei “diritti” e coloro che che in quei limiti non sono compresi in quanto esclusi per ragioni di classe mascherate da colore della pelle, etnia, religione e quant’altro finisce col contribuire a definire una condizione di “barbarie”, sia nell’agire politico e quotidiano che nella formulazione delle idee che l’accompagnano.

Una separazione che ha finito col rafforzare l’idea che soltanto l’accettazione di certe regole e una certa visione del mondo di stampo liberale e occidentale possa far sì che l’altro sia accettato sul piano della comunicazione e dell’inserimento nella comunità degli “individui aventi diritto”. Una superficiale e opportunistica valutazione in cui può essere considerato umano soltanto chi accetta le regole dettate dal migliore dei mondi possibili, quello bianco, occidentale e liberale, e dalle sue leggi “universali”. Obiettivo per cui, come afferma l’autrice, “i civilizzati” si sforzano di creare dei ponti.

Ah, i ponti… […] vediamo un’intera cricca di sociologi che annuisce con aria di intesa. Sono coloro che lavorano sulla questione […] Il nostro sudiciume, le nostre depravazioni, la nostra presunta predisposizione ad accumulare tutti i vizi dell’umanità, a cedere i nostri atavismi bellicosi, a picchiare coloro che amiamo, donne e bambini, ad andare in cerca di crimini, a sparare in mezzo alla folla, a linciare gli omosessuali e sputare sugli ebrei, non sarebbe altro che la storia di una mancanza. Tutte le cose che abbiamo perso, tutte le opportunità che non ci si sono presentate, tutti i riconoscimenti di cui siamo stati privati, tutto l’amore che non abbiamo ricevuto. Sgocciolano compassione quando credono di restituirci la nostra dignità, quando tremano di commozione nel recitare la triste storia che raccontano di noi: come se non fossimo mai stati abbastanza amati […] Asciugate le lacrime. I barbari non sono selvaggi che si sarebbe dovuto frustare di meno, umiliare di meno e coccolare di più; selvaggi maltrattati dalla civilizzazione […] Questa è la loro grande scoperta: il nostro «imbarbarimento» è il fallimento dell’integrazione1.

Ma Louisa Yousfi, giovane giornalista francese di origine algerina, dopo aver ironizzato sulle condizioni dell’oppressione che contribuiscono a definire la barbarie, come ha già avuto modo di sottolineare su Carmilla Jack Orlando, coglie ancora nel segno:

seguendo le liriche dei trapper Booba e PNL, per aprire uno squarcio nella cattiva coscienza francese e farne sgorgare il sangue delle banlieue, del lato cattivo.
Tutta questa roba, questa poesia trucida, ha un unico scopo: restare barbari. Laddove la cosiddetta integrazione non solo ha fallito, ma ha scientemente prodotto una specifica forma di colonizzazione interna alle metropoli democratiche e generato una subalternità cui si imputa quotidianamente un’inferiorità colpevole e, paradossalmente, congenita; ribaltare l’accusa è una pratica di resistenza, risignificare la propria mostruosità vuol dire aumentare la propria potenza, sottolineare l’alterità è ricomporre i pezzi smembrati della propria anima.
È una vendetta contro la dominazione e un assalto alla conquista della propria condizione umana2.

Restare barbari, sola e unica condizione per rimanere umani. Questa la sfida lanciata dalla riflessione della giovane autrice che, nelle settimane scorse, ha avuto modo di partecipare al dibattito promosso dall’Intifada studentesca di Torino al Festival Alta Felicità svoltosi a Venaus dal 26 al 28 luglio e che ha dedicato il suo libro: «ai barbari contemporanei la cui vita e opere ci spiegano, più di qualsiasi altro resoconto, ciò che l’Impero chiama “imbarbarimento”. Si comincia dalla strada e dai suoi profeti. Perché tutti i racconti sul presente […] ci arrivano dai margini dell’impero e dai suoi recalcitranti abitanti»3.

Rovesciare, dunque, l’umanitarismo occidentale dell’integrazione e dell’accettazione delle sue regole del buon viver civile nel suo contrario, dimostrandone l’implicita disumanità e, allo stesso tempo, rovesciando lo stereotipo del barbaro in quello dell’unica forma residua di umanità possibile. «Il trucco della civilizzazione riproduce continuamente l’illusione. Francamente, per cosa vuoi competere con l’Occidente? Hanno inventato l’innocenza. Hanno massacrato interi popoli e, nel frattempo, inventato Walt Disney»4.

Stiamo però ben attenti; non si tratta di una battaglia di civiltà, come la peggiore saggistica filo-occidentale vorrebbe; qui si tratta proprio di stabilire ciò che permetterà alla specie di mantenere la sua umanità. Indipendentemente dal colore della pelle o delle tradizioni passate e delle aree di provenienza geografica e sociale. Come sostiene ancora l’autrice:

L’imbarbarimento è un processo di integrazione […] i nostri mostri non nascono da una mancanza di voi, ma da un eccesso di voi […] Nulla di questo mondo può salvarci, non solo perché una cosa non può essere al contempo il veleno e la sua cura, ma anche perché non siamo noi a dover essere salvati […] Che i civilizzati evitino dunque di insistere sul nostro destino. Siamo noi che dovremmo piangere per loro. Siamo noi che possiamo salvarli. Non è mai successo il contrario, in nessun modo e in nessun momento della storia5.

Soprattutto in un’epoca in cui un ciclo, quello del dominio occidentale sul resto del mondo, ha iniziato a venir meno e a veder disgregarsi le sue forme politiche e militari. Spingendo spesso gli osservatori a tracciare paragoni con la fine dell’Impero Romano.
Impero che, come ebbe modo di osservare lo stesso Marx, finì «con la comune rovina delle classi in lotta», incapaci entrambe sia di mantenere che di rovesciare le strutture economiche e sociali su cui lo stesso si fondava. Entrambe travolte dall’arrivo dei “barbari”, destinati a destrutturare definitivamente e a rifondare quelle stesse basi sociali e legislative su cui si erano retti i rapporti di forza fino ad allora.

Ecco allora che come unica soluzione possibile, anche, per il proletariato bianco ci sarebbe quella di farsi, più che rimanere, barbaro. Criticando e contribuendo a distruggere quella presunta civiltà di cui troppo spesso la Sinistra, anche radicale, ha sposato le intrinseche ragioni. Ancora una volta è Amadeo Bordiga, con un articolo del 1951, a permetterci di riallacciare il filo di un ragionamento non estraneo ma soltanto interrotto all’interno del movimento antagonista di classe, affermando, con Friedrich Engels, che la civiltà, in fin dei conti, non si riassume in altro che:

“nello Stato che, in tutti i periodi tipici, è, senza eccezione, lo Stato della classe dominante ed in ogni caso rimane essenzialmente una macchina per tenere sottomessa la classe oppressa e sfruttata”. Questa civiltà […] deve vedere la sua apocalisse prima di noi. Socialismo e comunismo, sono oltre e dopo la civiltà […] Essi non sono una nuova forma di civiltà. “Poiché la base della civiltà è lo sfruttamento di una classe da parte di un’altra, l’intero sviluppo della civiltà si muove in una contraddizione permanente”. [Così] con Marx Engels e Lenin noi ultimi ne stiamo fuori.
Può essere conturbante che dalla caduta della civiltà non sia ancora sgorgato il comunismo, ma è ridicolo voler conturbare la soddisfazione capitalistica con la minaccia di alternative barbare6.

Ritornando, poco dopo, a fare la seguente affermazione a proposito della fine dell’ordine imperiale romano:

Furono le giovani forze barbare ad uccidere una marcia burocrazia. “Lo Stato romano era diventato una macchina gigantesca e complicata, esclusivamente per lo sfruttamento dei sudditi. Al di là dei limiti della sopportazione fu spinta l’oppressione con le estorsioni di governatori, di esattori di imposte, di soldati. Lo Stato romano fondava il suo diritto ad esistere sulla difesa dell’ordine all’interno, sulla difesa contro i barbari dall’esterno. Ma il suo ordine era peggiore del peggiore disordine, e i barbari, da cui pretendeva difendere i cittadini, erano da questi considerati come salvatori!”. Sembrò con le vittoriose invasioni, che per quattro secoli, ordinandosi l’Europa strappata a Roma nelle forme della teutonica costituzione di gentes, la storia si fosse fermata, e con essa la civiltà e la cultura. Ma così non fu. […] “Le classi sociali del IX secolo si erano formate non nella putrefazione di una società in decadenza, ma nelle doglie del parto di una civiltà nuova. La nuova generazione, sia padroni che servi, era una generazione di uomini, paragonata a quella dei suoi predecessori romani”.
“Ma che cosa fu quel misterioso incanto con cui i barbari infusero nuova vita all’Europa morente? Era forse un potere miracoloso innato nella stirpe tedesca, come ci vengono predicando i nostri storici sciovinisti? In nessun modo. Non furono le specifiche qualità nazionali dei popoli germanici a ringiovanire l’Europa, ma semplicemente la loro costituzione delle gentes, la loro barbarie”.
“Tutto ciò che di forte e vitale i Tedeschi innestarono nel mondo romano fu la barbarie. Solo dei barbari sono in grado di ringiovanire un mondo, che soffre di civiltà morente”7.

Resta evidente che il pericolo del ritorno alla barbarie insito in tante minacce contenute nei discorsi in difesa della civiltà e del liberalismo, non è costituito da altro che dal ritorno ad una lotta di classe in grado di porre fine al più spietato modo di produzione e appropriazione mai comparso sulla faccia della terra. L’unico ad avere domato prima i propri barbari interni per poi trasformarli in carnefici di quelli esterni con l’avventura colonialista, la promessa del benessere egualitario per i bianchi e l’illusione del mantenimento di un unico impero permanentemente al comando degli affari del mondo.

Nessuna società decade per le sue leggi interne, per le sue interne necessità, se queste leggi e queste necessità non conducono – e noi lo sappiamo e attendiamo – a far levare una moltitudine di uomini, organizzata con armi in pugno. Non vi è per nessuna “civiltà di classe”, per corrotta e schifosa che essa sia, morte senza traumi.
Quanto alla barbarie, che a tale morte del capitalismo per dissoluzione spontanea andrebbe a succedere, se la sua scomparsa fu da noi considerata una necessaria premessa dell’ulteriore sviluppo, che inevitabilmente doveva passare per gli errori delle successive civiltà, i suoi caratteri come forma umana di convivenza non hanno nulla di orribile, che ne faccia temere un impensabile ritorno.
Come occorrevano a Roma, perché non si disperdesse il contributo di tanti e tanto grandi apporti alla organizzazione degli uomini e delle cose, le orde selvagge che calassero apportatrici inconsce di una lontana e più grande rivoluzione, così vorremmo che alle porte di questo mondo borghese di profittatori oppressori e sterminatori urgesse poderosa un’onda barbarica capace di travolgerla.
[…] Ben venga dunque, per il socialismo, una nuova e feconda barbarie, come quella che calò per le Alpi e rinnovò l’Europa8.

Un passo lungo e audace, ancora ben distante dall’essere accettato e fatto proprio sia dagli oppressi delle periferie razzializzate che da quelli che si illudevano di aver toccato con mano il sogno capitalista del benessere “per tutti”, senza dover abolire proprietà privata e interesse individuale, ma che può costituire un valido strumento per la rimozione delle barriere del perbenismo e del tradizionalismo e della sfiducia, quest’ultima più che motivata, che ancora separano in parti diverse, e spesso nemiche, il corpo unico e pericoloso della moderna creatura proletaria e prometeica creata dal Frankenstein imperialista.

Proprio per questo motivo opere come quella di Louisa Yousfi e Houria Bouteldja9, che l’ha direttamente ispirata, dovrebbero trovare spazio nella biblioteca di chiunque voglia davvero contribuire al superamento di questo mondo orrendo anche se travestito di democrazia elettoralistica e umanitarismo.


  1. L. Yousfi, Restare barbari. I selvaggi all’assalto dell’Impero, DeriveApprodi, Roma 2023, pp. 24-25.  

  2. J. Orlando, Gang gang gang! Immaginari e tensioni della metropoli – Ep. 1, «Carmillaonline», 10 maggio 2023.  

  3. L. Yousfi, op. cit., pp.19-20.  

  4. Ibidem, p.27.  

  5. Ivi, pp. 29-31.  

  6. A. Bordiga, Avanti Barbari!, «Battaglia Comunista», n. 22 del 1951.  

  7. Ibidem, le citazioni tra virgolette sono da F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, 1884.  

  8. Ivi. 

  9. H. Bouteldja, I bianchi, gli ebrei e noi. Verso una politica dell’amore rivoluzionario, Sensibili alle foglie 2017.  

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Per una volta ancora…a sarà Fest: Venaus 29. 30 e 31 luglio 2023 https://www.carmillaonline.com/2023/07/26/per-una-volta-ancora-a-sara-fest-venaus-29-30-e-31-luglio-2023/ Wed, 26 Jul 2023 20:00:15 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=78410 Non sono bastate le minacce, ancora una volta il Festival Alta Felicità, espressione della vitalità del Movimento No Tav valsusino (e non solo), si terrà a Venaus dal 29 al 31 luglio con un programma ricco e intenso di incontri, commemorazioni, presentazioni, dibattiti e tanta, tanta musica. Cui si accompagnerà la scelta militante di una marcia fino al fortino di San Didero che si terrà domenica 30 proprio a partire, dalle ore 12, dallo storico presidio di Venaus.

Per comprendere la forza e la determinazione che da anni animano la resistenza valsusina [...]]]> Non sono bastate le minacce, ancora una volta il Festival Alta Felicità, espressione della vitalità del Movimento No Tav valsusino (e non solo), si terrà a Venaus dal 29 al 31 luglio con un programma ricco e intenso di incontri, commemorazioni, presentazioni, dibattiti e tanta, tanta musica. Cui si accompagnerà la scelta militante di una marcia fino al fortino di San Didero che si terrà domenica 30 proprio a partire, dalle ore 12, dallo storico presidio di Venaus.

Per comprendere la forza e la determinazione che da anni animano la resistenza valsusina e la realizzazione del Festival non c’è di meglio che quanto ha scritto Valerio Evangelisti (scomparso lo scorso anno) nel 2017, la cui figura ed opera saranno al centro proprio dell’incontro di apertura nella mattinata di sabato 29 aprile.

Dietro chi vuole il Tav sta un potere smisurato. Connubi tra governi sovrannazionali, sostegno di una sinistra “cooperativa” dimentica delle proprie origini e dei propri ideali fondanti, calcoli di profitti fatti sulla carta unta del salumaio. In fondo, la tratta ferroviaria da costruire in un futuro incerto, che mai gli attuali protagonisti vedranno, è argomento secondario, Quello primario è punire i riottosi, in nome di istituzioni legittimate da una fantomatica “democrazia”. Trucco col quale, diceva Rousseau, a scadenze fisse il popolo nomina i propri tiranni.
A uno schieramento preponderante, e in apparenza invincibile, il popolo No Tav ha opposto […] il modello Gavroche tratteggiato da Victor Hugo. Quello dello scanzonato ragazzetto che irride alle norme e fa della propria disinvoltura l’unica, credibile “legalità”. Pronta a sbeffeggiare i potenti e a combatterli sulle barricate. Disarmato (non sempre) ma temibile, nel suo sottrarsi alle falangi decerebrate dell’ordine costituito.
La Valle di Susa è piena di Gavroche, di ogni sesso e di ogni età. Riottosi e astuti, coraggiosi e realistici. Sono eroi? No, sono altro […] Con il rivoluzionario addomesticabile, portatore di ideologie formalizzate, si può in qualche modo discutere, arrivare a compromessi, Con il ribelle no. E’ lui il rivoluzionario vero.

Programma

SABATO 29

ore 10 – 12

Valerio Evangelista, Carmilla e la battaglia per un nuovo immaginario anticapitalista.
Coordina Maurizio Poletto. Discuteranno con lui Sandro Moiso, Franco Pezzini e Domenico Gallo della redazione di Carmillaonline e coautori di L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura (Mimesis 2023).
Letture a cura di Antonietta Perretta.

Ore 12 – 13,30

Intelligenza artificiale.
Alberto Puliafito: giornalista, analista, scrittore, regista Luigi Lorato e Michela Rossi curatori del libro Cambiate lavoro, per favore – lettera agli umani che robotizzano il mondo.

Ore 13,30 – 15,30

Lavoro, territori e benessere delle persone.
Collettivo GKN Comitato liberi e pensanti Taranto.
Presentazione di Le grandi dimissioni di Francesca Coin e Lavorare meno di Sandro Busso

ore 15,30 – 17,30

Crisi climatica.
Collettivo contro innevamento artificiale in Savoia (CluZAD)
Maurizio Dematteis, giornalista e scrittore e Roberto Mezzalama, esperto in valutazioni impatto ambientale – scrittore, dialogano con: Marina Clerico, docente politecnico Torino, e Paolo Giardina, ingegnere.

ore 17,30 – 19,30

Ucraina: fermiamo l’escalation.
Raffaele Sciortino giornalista, Domenico Quirico giornalista e coordinamento No base Coltano.

Spazio Autogestito

ore 12 – 13

La prigione e la piazza- Mostra mercato di libri da e sul carcere.
Piazza tematica. Abolizionismo /Ergastolo e 41bis.

Intervengono Nicoletta Dosio, Elisa Mauri, Riccardo Rosa.

ore 13 -14

Presentazione del libro: Le regole di ferro di Juri di Molfetta – presenta l’autore

ore 14 – 15

Presentazione del libro: Non mettiamola giù tanto spessa di Riccardo Borgogno.
Ne parleranno Maurizio Poletto (FaF), Anna Matilde Sali (Eris edizioni) e Juri di Molfetta

ore 15 -16

“Segui le armi e troverai le guerre”, considerazioni a margine del volume 2023 Orizzonti di guerra. Intervengono: Antonio Mazzeo, Murat Cinar. Emanuele Giordana e Vesna Scepanovic

ore 16 -17

Giochi pericolosi: Milano-Cortina 2026, chi vince e chi perde.
A cura di Off Topic Milano, Associazione Proletari Escursionisti Milano e Sport Popolare Milanese.

DOMENICA 30

ore 10 – 12

Torino – Lione: un buco nell’acqua?
Intervengono: Marina Clerico, commissione tecnica Torino – Lione; Luca Giunti, commissione tecnica Torino – Lione: Alberto Poggio, commissione tecnica Torino – Lione: Erika Standford, assessore comune di Modane e tecnica idrogeologica; Roberto Vela, commissione tecnica Torino – Lione.

Ore 17

Una Storia Italiana: Gianni Barbacetto intervistato da Andrea Galli

Spazio Autogestito

ore 10 -11

Presentazione del libro La Veggente indecorosa di Lourdes di MarianoTomatis,
Presentano l’autore e Filo Sottile.

ore 11 – 12

“Voci narranti, storie resistenti dalla Val di Susa”, quaderno n. 5 del Controsservatorio Valsusa/5. Con Alessandra Algostino, Ezio Bertok e Livio Pepino.
Letture di Antonietta Perretta

ore 12 – 13

O.s.a.r.e Operatoria sanitaria anti-repressione presenta: Elementi di primo soccorso e autotutela militante, intervengono medici e personale sanitario

LUNEDI’ 31

ore 10 – 12

Antiabilismo: conoscere l’abilismo per abbatterlo. Coordina Alice Vigorito con Martina Pasquali rappresentante del Disability Pride Network; Barbara Centrone divulgatrice e attivista con il progetto “Cose molto ADHD”.

ore 12 – 13,30

Lotte ecologiche e repressione: in difesa della terra e del futuro.
Mariapaola Boselli Amnesty International Italia; Livio Pepino ex magistrato e direttore edizioni Gruppo Abele; rappresentante avvocati francesi e Militanzagrafica fumettista.

ore 13,30 – 15,30

Migranti. Coordina: Avernino Di Croce con Manuelita Scigliano e Ramzi Labidi Associazione Sabri di Cutro; Gianfranco Crua, Carovane migranti; Karim Metref giornalista ed educatore.

ore 17

Questioni di genere.
Carlotta Vagnoli intervistata da Annamaria Sarzotti

Spazio Autogestito

ore 10 -11

Presentazione dell’opuscolo: Palestina, una storia di resistenza, dal colonialismo alla devastazione del del territorio. Promuove e interviene Progetto Palestina.

ore 11 -12

“Per non finire come carne da cannone”.
Presentazione del libro: Passini non va alla guerra di Antonio Ginetti, presenta l’autore.

ore 12 – 13

Presentazione del libro: Prendiamoci cura della casa comune, a cura del Gruppo Cattolici per la Vita della Valle. Intervengono Paolo Anselmo,Eugenio Cantore, Donatella Giunti, Gabriella Tittonel e Rosanna Bonaudo.

ore 14 -15

Alex Conte: One man show

ore 15 – 16

Jacopo Bindi presenta il libro: Sociologia della libertà. Manifesto della civiltà democratica, volume III, di Abdullah Ocalan, prima edizione italiana marzo 2023

ore 16 -17

Presentazione dei libri Il cappotto di Bea e A proposito di Bea di Riccardo Humbert, ed Graffio.
Maurizio Poletto (f.a.f) dialoga con l’autore Riccardo Humbert

Per il ricco programma musicale che vedrà coinvolti artisti coma Assalti Frontali, Persiana Jones, Omar Pedrini e moltissimi altri ancora si veda qui, qui e qui.

Buon impegno militante e buon divertimento a tutti i partecipanti!

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Armi letali / 3: A cercar la bella morte https://www.carmillaonline.com/2022/08/03/armi-letali-3-a-cercar-la-bella-morte/ Wed, 03 Aug 2022 20:00:56 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73219 di Sandro Moiso

Dedicato a tutti i giovani che hanno meravigliosamente animato il festival Alta Felicità a Venaus dal 29 al 31 luglio.

«La resa per noi è inaccettabile, non avremmo grandi possibilità di sopravvivere se venissimo catturati. I nemici vogliono distruggere gli ucraini, per noi è chiarissimo. Noi siamo consapevoli che potremmo morire in qualsiasi momento, stiamo provando a vivere con onore. I nostri contatti con il mondo esterno potrebbero essere sempre gli ultimi. Siamo accerchiati, non possiamo andare via, in nessuna direzione. Abbiamo rinunciato alle priorità della difesa personale. Non sprecate i nostri sforzi perché stiamo difendendo [...]]]> di Sandro Moiso

Dedicato a tutti i giovani che hanno meravigliosamente animato il festival Alta Felicità a Venaus dal 29 al 31 luglio.

«La resa per noi è inaccettabile, non avremmo grandi possibilità di sopravvivere se venissimo catturati. I nemici vogliono distruggere gli ucraini, per noi è chiarissimo. Noi siamo consapevoli che potremmo morire in qualsiasi momento, stiamo provando a vivere con onore. I nostri contatti con il mondo esterno potrebbero essere sempre gli ultimi. Siamo accerchiati, non possiamo andare via, in nessuna direzione. Abbiamo rinunciato alle priorità della difesa personale. Non sprecate i nostri sforzi perché stiamo difendendo il mondo libero a un prezzo molto alto». (capitano Svyatoslav Kalina Palamar, vice comandante del battaglione Azov).

«Scappare è da codardi. Non possiamo fermarci e trattare, il nostro obiettivo è fermare la minaccia russa: stiamo lottando non solo per l’Ucraina ma per il mondo libero… La debole reazione del mondo è uno dei motivi per cui siamo ancora qui. L’Ucraina è lo scudo dell’Europa, lo è stata negli ultimi due secoli. Abbiamo lottato contro le invasioni nei tempi passati, adesso è un’altra storia. Lottiamo da soli da quasi due mesi e mezzo, abbiamo ancora acqua, munizioni e armi. I soldati mangiano una volta al giorno, ma continueremo a lottare». (Denis ‘Radis’ Prokopenko, comandante del battaglione Azov)

“I nostri militari in un certo senso stanno ripetendo quello che ha fatto Gesù Cristo, sacrificando la propria vita per il prossimo, per i figli, per la propria gente e difendendo la loro terra dall’aggressore. Per questo consacro le loro armi, perché le usino per riprendersi la nostra terra benedetta da Dio”. (Mykola Medynskyy, cappellano militare ucraino membro del partito Pravyj Sektor)

La saga di Azovstal è terminata ormai da tempo. Il sacrificio in stile Götterdämmerung (crepuscolo degli dei) auspicato in un primo tempo da Zelensky e dal suo governo non c’è stato (forse anche per le proteste dei famigliari dei combattenti là asserragliati) e i russi sono stati abbastanza saggi da non trucidarne i difensori sotto gli occhi di tutto il mondo. Eppure occorre ancora fare i conti con un tipo di comunicazione eroico/sacrificale che accompagna le guerre e la loro gestione propagandistica fin dalla notte dei tempi1.

Che si tratti di Enrico Toti, il soldato italiano della prima carneficina mondiale la cui immagine mentre, già colpito a morte, lanciava le stampelle verso il nemico dopo esser tornato a combattere pur con una sola gamba ha accompagnava i libri di testo scolastici fino gli anni Sessanta oppure dei trecento spartani caduti alle Termopili mentre impedivano il passaggio delle truppe persiane, tutto ha fatto sì che la logica del sacrificio supremo, variamente interpretato anche dalla Jihad islamica recente, abbia continuato ad accompagnare scelte politiche e militari destinate a dar vita ad autentici bagni di sangue, giustificandone le conseguenze proprio attraverso la “bella morte”.

“Bella morte” inevitabilmente destinata a costituire l’atto di nascita di nuovi eroi, di cui, troppo spesso come per i santi del cattolicesimo più impressionistico, il fatto ammirevole è quello di aver subito e sopportato il martirio. Eccoli lì, allora, i martiri/eroi/santi belli e pronti all’uso. In qualsiasi salsa: religiosa, conservatrice o, purtroppo, anche rivoluzionaria o pretesa tale. E non importa che, come nel caso del bersagliere con la stampella, si tratti quasi sempre di fake storiche, se non di bufale assolute.

Il sapore del sangue, l’attrazione fatale per l’abisso della morte, l’esaltazione del sacrificio della vita e del corpo in nome di una più “alta idealità” e di una volontà di autodistruzione catartico che non rivela altro che una autentica pulsione di morte che ben si adatta al fascismo più trucido e a tutto ciò che, nei fatti e non solo nelle parole, nega la vita nella sua essenza.

Un linguaggio funereo e un immaginario tetro, spesso sovranista, degno soltanto del peggior Romanticismo, che, però, affascina proprio coloro che tutto ciò dovrebbero combattere, in nome di una vita “altra” e non di una morte “eroica”.
Allora sarà bene dire che il martirologio di carattere religioso e conservatore, peggio ancora se “rivoluzionario”, non appartiene a chi scrive.

Questo perché al concetto di martirio è indissolubilmente legato quello di dolore e di sconfitta. E non può esserci dubbio che quello di sconfitta sia sempre rinviabile a quello di errore. Errore di calcolo, di prospettiva, di valutazione ma, comunque, errore. Motivo per cui non si può continuare a credere, fideisticamente e religiosamente, che la salvezza o la rivoluzione saranno il frutto di una serie di innumerevoli, dolorosi e ripetuti errori. Dagli incalcolabili danni collaterali e dalle conseguenze tutt’altro che necessarie.

Le rivoluzioni e le lotte vincenti non le realizzano gli “eroi” o i martiri idealizzati: le fanno gli uomini e le donne reali.
Fatti sì di carne e di sangue, ma che, alla fine, non possono soltanto accontentarsi di soffrire molto, di assaporare il dolore della sconfitta, delle ferite e della morte.
Cosa che non porterà mai da nessuna parte, perché si può morire, si può combattere, si può soffrire per una causa; si può essere costretti ad esercitare la violenza ancora per la stessa causa, ma non celebriamolo inopinatamente.
La promessa, insita nella stessa, non consiste in tutto ciò.

La ragione ci impone, da Epicuro a Marx passando per il materialismo illuministico, di perseguire la felicità e la liberazione della specie umana, mentre le sofferenze e le violenze non possono costituire altro che incidenti di percorso determinati dalle casualità storiche in cui ci si ritrova a dover lottare. Incidenti che l’umanità futura non celebrerà, ma rimuoverà, insieme al ricordo della preistoria in cui è ancora attualmente immersa; esattamente come la psiche tende a rimuovere i traumi dell’infanzia.

A meno che non si voglia a tutti i costi accettare il filisteismo borghese. O, peggio, la logica del sacrificio tout court. Che è anche quella che più si adatta alle memorie e alle necessità del nazionalismo e dei costruttori di nazioni. O, ancora, a quelle dei fanatismi politici e religiosi di ogni epoca.

Dalla jihad, ai “martiri” di Piazza Indipendenza a Kiev, fino agli “eroi” del battaglione Azov esaltati da Zelensky e dai media occidentali. Zelensky che fin dai primi giorni di guerra gridò al mondo, in uno dei suoi innumerevoli interventi video: «Onore ai martiri della Patria, morte ai traditori!». Traditori che, inutile dirlo, risultano essere soprattutto coloro che rifiutano di farsi macellare in nome dello Stato borghese. Sia che si tratti di civile che di militari.

Perché il filisteismo é sempre uguale a sé stesso.
Piange sul latte versato, si cosparge il capo di cenere; grida all’offesa, contro l’inciviltà, contro la mancanza di regole, contro il tradimento. E, intanto, li coltiva. Coscientemente. Spudoratamente. Vilmente. Opportunisticamente.

Così a volte, anche negli ambienti antagonisti, si “ammirano” le sofferenze altrui o le lotte disperate, frutto di ricette “antiche” ma sbagliate, sperando che quegli esempi o quelle stesse parole usate in altri contesti possano essere di supporto alla propria causa. Ma è un’idea sbagliata: restano soltanto sofferenze e lotte disperate. Quasi sempre inutili.

Lenin, piaccia o meno, su una cosa aveva mille volte ragione: l’insurrezione è un’arte.
La lotta vincente è un’arte. La Rivoluzione è un’arte.
E non si inventa né, tanto meno, si improvvisa.
Si improvvisa, coscientemente, su uno spartito conosciuto o del quale, almeno, si sanno leggere le note. E sul quale occorre aver a lungo studiato.
Tutto il resto è illusione, dolore, sofferenza e perdita di tempo e di speranza. Che, in seguito, portano, invariabilmente, gli sconfitti a sostenere che la rivoluzione è un’illusione, un errore, un’utopia (magari soltanto giovanile).

Un altro leader, anch’egli preteso “rivoluzionario”, affermò invece che “la Rivoluzione non è un pranzo di gala“. E così facendo fece accomodare centinaia di milioni di cinesi ad un ben misero banchetto. Gli mancava, per così dire, l’idea della Festa.
Che non avrebbe mai permesso alla Cina “popolare” di diventare la prima potenza economica mondiale.
Mentre invece la Rivoluzione, per essere tale, dovrebbe essere anche una festa.

Non condivide la povertà, ma la ricchezza. Non solo materiale.
Non solo il lavoro, ma anche il riposo. Il sacrosanto diritto all’ozio del “nostro” Paul Lafargue.
La Festa ha poco a che spartire con il martirio, il sacrificio e gli eroi, ma il martirio e il sacrificio hanno molto a che spartire con i regimi, le religioni, i nazionalismi e la loro supina accettazione.
Sacrificatevi per la Patria, per l’Onore, per la Vera Fede, per la Causa oppure per il Grande Partito. L’hanno fatto i vostri Padri. L’hanno fatto i Martiri. L’hanno fatto gli eroi. Lo farete anche voi.

Si fanno i sacrifici oggi come sono stati fatti ieri. La vita e la lotta sono fatte di sacrifici.
E’ sempre lo stesso refrain.
Il trionfo della morale cristiana. Anzi delle religioni rivelate. Dall’Antico Testamento al Corano.
Ma così si perde il senso della Festa rivoluzionaria e delle lotte sociali. Che, alla faccia di De Coubertin, devono essere vincenti. Perché, davvero, non basta solo e sempre partecipare.

Si partecipa per vincere e non solo per far presenza o farsi un selfie vicino a una lapide che commemora un morto, un eccidio, un bagno di sangue e di dolore.
Lo “spirito olimpico” non appartiene ai rivoluzionari, così come non dovrebbero appartenere loro i pellegrinaggi del rimorso e dei reliquiari. Magari ai masochisti della politica, ma non a chi aspira ad una nuova vita e a un diverso futuro.

Soltanto ai primi potrà apparire “bello” il sangue versato; belle le vite perdute; bella anche la sconfitta!
Dai moti mazziniani a Shangai nel 1927 si potrebbe elencare una serie infinita di insurrezioni e tentativi rivoluzionari falliti.
Falliti perché fuori tempo rispetto allo spartito del loro momento storico e destinati alla sconfitta fin dal momento della loro ideazione. Autentici tritacarne in cui hanno perso la vita migliaia di giovani rivoluzionari e di lavoratori, da Pisacane a Sapri fino al Che nelle foreste boliviane.

Così invece di apprendere una qualche lezione da quelle sconfitte, in caso di vittoria, si preferirà esercitare la vendetta, dello Stato o del Partito, come moneta di scambio per ripagare il dolore subito in precedenza e la felicità non ancora mai raggiunta.
Sui nemici oppure anche anche su rivoluzionari colpevoli di aver espresso qualche dubbio sull’efficacia delle decisioni prese dai grandi timonieri della storia.
In questa concezione, tutto entrerà, o dovrebbe entrare, nel medagliere futuro.
Della Rivoluzione fallita (comunque), della Nazione rafforzata o del Gulag travestito da Società migliore.

Ma non chiamatela “memoria” perché, in realtà si tratta di rappresentazioni molto prossime alle idee fasciste sulla società, la nazione, il sacrificio e il lavoro che, in apparenza si vorrebbero combattere.
Tutte idee che, in fin dei conti, permettono ai principali contendenti del disgraziato conflitto in corso di rinfacciarsi a vicenda le stesse colpe.
Tutti fascisti e tutti anti-fascisti.
Tutti nazisti e tutti anti-nazisti.
Pur che il sangue scorra…che bello spettacolo da teatro del grand guignol, mentre il capitale ancora una volta sogghigna.

Meglio, allora, non solo i giovani che disertano su entrambi i fronti della guerra in corso, ma anche quelli che cercano di sfuggire alla stessa abbandonandosi all’eros e all’alcol nei locali di Kiev, dove la polizia irrompe distribuendo cartoline per l’arruolamento forzato. In maniera paritaria, sia ai ragazzi che alle ragazze, mentre c’è chi vende per 1600 euro falsi documenti di un’ università polacca per restare alla larga dalle trincee.

«Attenti agli uomini in nero, scrivono indulgenze al capolinea di Rogaskaya». «Al campo sportivo di fronte al Gorky Park i moschettieri invitano al gran ballo», avvertono i messaggi su Telegram in una chat di Kharkiv. All’inizio, per il fronte sono partiti i volontari; ma ora le croci in battaglia sono tante, la musica è cambiata e gli uomini in divisa vanno in giro a reclutare passanti troppo impegnati a spassarsela per vantare un buon motivo per non combattere. Ogni città ha la sua chat, in rete fioriscono gli avvistamenti, ora e luogo per non essere acchiappati. Non c’è regola, non c’è obbligo di arruolarsi; ma se ricevi la “cartolina” devi partire per il fronte. Li braccano alle fermate della metro, in palestra, nei club. Passi la notte a divertirti? Beccato, vai in guerra! Fai scandalo facendo sesso in pubblico? Via, al fronte2.

Chi ama la vita, auspica la sopravvivenza della specie, pur con tutti i suoi enormi difetti, e detesta la guerra non avrà dubbi sulla sostanza, per quanto pre-politica, di questa forma di rifiuto collettivo del culto della Patria, del Dovere e della Morte.
Sarebbero dunque questi i “traditori” filo-russi e filo-putiniani che Zelensky si vanta di perseguitare, reprimere ed eliminare nelle sue quotidiane cronache propagandistiche cui viene dato tanto risalto dai media occidentali? Sono forse loro i sabotatori della guerra di “liberazione”?

N. B.
Il titolo del presente articolo è preso a prestito da quello del romanzo memorialistico di Carlo Mazzantini, A cercar la bella morte, pubblicato da Marsilio Editore, Venezia 1995.


  1. Compresa l’infinita serie di reportage che la “democratica” Repubblica, orfana di Scalfari, dedica ancora ai combattenti del battaglione Azov, con titoli roboanti e “accattivanti”: Carlo Bonini, Daniele Raineri, Laura Pertici, La guerra di Azov. Sulla linea del fronte con il reggimento nazionalista ucraino diventato simbolo del conflitto e di cui l’Occidente ha paura (qui)  

  2. Paolo Brera, Le notti proibite dei giovani di Kiev. “Con musica ed eros scordiamo la guerra”, «La Repubblica», 25 luglio 2022  

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Chi ha paura di Salvini…chi ha paura? https://www.carmillaonline.com/2019/07/31/chi-ha-paura-di-salvini-chi-ha-paura/ Wed, 31 Jul 2019 21:01:20 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53852 di Sandro Moiso

Muore anche l’impero della notte / I suoi guerrieri vanno via / Prima del domani (Chi ha paura della notte – PFM)

I sacerdoti degli antichi culti pagani, i druidi delle foreste e delle culture celtiche e gli aruspici abituati a “sviscerare” letteralmente il linguaggio dei simboli segreti, avrebbero riconosciuto fin dalla sera precedente e dalla furia degli elementi della mattina stessa tutti i segni di quello che sarebbe stato l’andamento della giornata di sabato 27 luglio.

Sarebbe bastato osservare l’energia che scaturiva dal pogo scatenatosi sotto [...]]]> di Sandro Moiso

Muore anche l’impero della notte / I suoi guerrieri vanno via / Prima del domani
(Chi ha paura della notte – PFM)

I sacerdoti degli antichi culti pagani, i druidi delle foreste e delle culture celtiche e gli aruspici abituati a “sviscerare” letteralmente il linguaggio dei simboli segreti, avrebbero riconosciuto fin dalla sera precedente e dalla furia degli elementi della mattina stessa tutti i segni di quello che sarebbe stato l’andamento della giornata di sabato 27 luglio.

Sarebbe bastato osservare l’energia che scaturiva dal pogo scatenatosi sotto il palco del Festival Alta Felicità, sul quale i membri della Premiata Forneria Marconi riproponevano, per un pubblico molto più giovane, molti dei loro brani più celebri in una versione quasi punk, oppure l’energia liberata dalla Natura durante il breve il violento diluvio scatenatosi sul campeggio poco prima della formazione del corteo, ma arrestatosi in tempo per permetterne la partenza, dopo aver liberato l’aria dalla minaccia incombente.

Eppure per molti la forza, la determinazione e la vivacità del corteo, che da Venaus è giunto ancora una volta fino al fortino del cantiere in Val Clarea, hanno costituito una sorpresa.
Per moltissimi gradita, ma estremamente sgradita per i difensori delle grandi opere inutili e imposte e per le forze politiche e del disordine che dovrebbero garantirne la realizzazione.

Almeno quindicimila persone hanno marciato insieme.
Hanno risalito la montagna, percorso il sentiero che da Giaglione si dirige verso l’osceno buco scavato nel territorio da uomini, e macchine, che hanno, forse, la forza e la potenza formale ma non l’intelligenza. Che non hanno sensibilità e nemmeno lucidità, ma che sono soltanto attratti dalle logiche del profitto immediato senza alcun riguardo per il futuro della specie e dell’ambiente con cui la stessa, da centinaia di migliaia di anni, convive.

La forza di quelle migliaia di persone (giovani, anziani, bambini, donne, uomini, italiani e immigrati) ha fatto sì che, ancora una volta, il muro di Gerico eretto per bloccare il percorso fosse abbattuto.
Un muro con un cancello odioso: ferro, acciaio, filo spinato israeliano (razor wire), il tutto ancorato alla montagna e al suo terreno, difeso con idranti, manganelli e gas lacrimogeni da cani da guardia che si ritengono sufficientemente feroci.

Un muro che, nel suo scopo di bloccare gli spostamenti di chi vuole impedire la prosecuzione di un’opera mortifera e irrealizzabile allo stesso tempo, simboleggia(va) tutti i muri che ormai, su questo pianeta, dalla Palestina al Messico e dall’Ungheria ai porti italiani ed europei sul Mediterraneo, cercano di impedire gli spostamenti di una specie nata nomade, ma alla quale nei millenni sono stati imposti confini, stati, diritti di proprietà privata anche sugli elementi basilari per la sue stessa esistenza (terra, acqua, cibo, ambiente più in generale).

Un muro che è crollato, che è stato distrutto e smantellato, fatto precipitare giù nel bosco sottostante, dopo che gli agenti del caos posti a sua difesa avevano dovuto precipitosamente abbandonarlo al suo destino a causa della forte e convinta pressione dei partecipanti alla manifestazione. Un’immagine simbolicamente fortissima, che è valsa più di mille piagnistei e di mille parole. L’azione ha dimostrato quanto fragili siano i muri di carta (qualunque siano i materiali utilizzati per realizzarli) eretti dai signori della notte e del capitale e quanto sia facile liberarsene, una volta raggiunto un adeguato grado di determinazione.

Insieme al muro sono precipitati a valle, dopo essere stati adeguatamente revisionati, i serbatoi per l’acqua destinata ad essere usata dagli idranti, recuperando, anche in questo caso l’idea che l’acqua deve essere usata per rivitalizzare gli esseri viventi e il pianeta nel suo insieme e non per essere sprecata in funzione repressiva. Tipico paradosso di un modello sociale che spreca l’acqua in grande quantità, anche quando questa è destinata a diventare sempre più prezioza per la vita.

E poi l’assedio formale al fortino.
I boati delle grida provenienti dalla foresta che lo circonda.
Slogan e canti che provenivano dall’ombra e che incitavano coloro che erano quasi a contatto con le forze del disordine a tener duro, a non mollare, a manifestare, anche solo con la presenza e la messa in gioco del proprio corpo, l’opposizione al Tav e al sistema che lo vorrebbe imporre.

Urla, slogan, canti.
Centinaia di mani di ogni colore ed età che percuotevano con le pietre ogni struttura metallica presente in loco, dai guardrail ai tralicci di metallo, per inviare un numero infinito di “like” effettivi e materiali, realmente motivati e partecipativi, a chi più sotto resisteva ai lacrimogeni.
Un ritmo e un canto tribale che dimostravano quale doveva essere il terrore di altre testuggini, quelle romane, quando si infilavano nei boschi oltre il limes dell’impero.
Dove subirono alcune delle loro più cocenti sconfitte.

Una giornata campale e meravigliosa, fino e oltre il tramontar del sole.
Una giornata da cui è uscito rafforzato e vincitore un unico attore: il movimento NoTav.
Ne è uscito vincitore e rafforzato proprio nel momento in cui i suoi avversari lo avrebbero voluto sconfitto e demoralizzato.
E’ uscito vincitore pur mantenendo tutta la complessità di posizioni e la variegata composizione socio-politica che lo caratterizzano da sempre.
Ne è uscito orgoglioso e felice nel momento in cui tutti i suoi avversari non potevano far altro che rabbuiarsi oppure far buon viso a cattivo gioco.

Come, ad esempio, le forze del disordine in un primo momento smarrite, dopo la perdita del controllo del cancello, e poi immobili sotto l’effetto dei gas dei lacrimogeni che, sparati a centinaia, tornavano immancabilmente ad avvolgerle in fitte nuvole bianche a causa del vento contrario.
Un comunicato della questura, del giorno successivo, che sta a metà tra il surreale e una venatura polemica nei confronti di chi (Salvini?) avrebbe forse voluto un’azione più muscolare ed energica nei confronti dei manifestanti, in cui si fa un bilancio assolutamente positivo della giornata, come si legge nella nota:
Pur operando in un terreno difficile e reso insidioso dalla pioggia, sia gli organizzatori della manifestazione sia gli operatori di polizia, hanno affrontato con grande responsabilità la gestione dell’evento.
48 denunciati a parte, naturalmente.

Un vincitore, si diceva, e parecchi sconfitti.
Il ministro del muscolo per primo che ha trovato non solo nel movimento, ma probabilmente anche tra i vertici della gestione della forza pubblica e delle forze armate, un’opposizione piuttosto decisa alle sue minacce e al suo bullismo istituzionale e sociale.
Nel primo, nonostante l’approvazione del Decreto sicurezza e le roboanti dichiarazioni del giorno prima,1 ha dovuto prendere atto di una determinazione e, perché no, di un coraggio cui non è certamente abituato, mente nel secondo caso ha dovuto registrare un’antipatia formale dettata non da un agire o da un pensiero di tipo democratico, ma dall’opposizione di apparati dello Stato, spesso autentici eredi del fascismo, che non amano essere scavalcati da ministri ingombranti e spesso imbarazzanti per le scelte e le dichiarazioni fatte tenedo conto soltanto della pancia del proprio elettorato. Disposti magari a concedergli un giro sulla moto d’acqua della polizia per il figlio, ma un po’ meno disponibili per un giro anche sulla Talpa, come forse avrebbe voluto richiedere mercoledì 31 luglio il ministro a Chiomonte.

Il secondo grande sconfitto è il Movimento 5 stelle che ha visto nella giornata di sabato la fine di ogni possibile legame con coloro che avrebbe dovuto rappresentare formalmente. Al di là della giustezza o meno della scelta messa in atto da una parte del movimento NoTav in occasione delle passate elezioni, è ormai chiaro da tempo, e oggi ancor di più, che quel rapporto si è completamente consumato. Non esiste più.
E questo, messo insieme alla disillusione nei confronti del Movimento in ogni altro angolo d’Italia, non potrà significare altro che la disgregazione dello stesso e la sua scoparsa, al di là di qualsiasi ulteriore baggianata sparata da Di Maio e dal Fatto quotidiano sull’ipotesi di un possibile voto contrario del parlamento sulle grandi opere e sul Tav.
Movimento 5 Stelle sul quale mi permetto di ricordare il giudizio espresso definitivamente, da chi scrive, fin dalle elezioni siciliane del 2012.

Il terzo sconfitto è l’equilibrista da circo, l’avvocato del popolo, la Pantera Rosa della scena politica italiana: Giuseppe Conte alias Svicolone (per chi è abbastanza avanti con gli anni per ricordare un noto cartoon di Hanna & Barbera degli anni sessanta).
Ha dovuto gettare la maschera dell’equidistanza, dell’imparzialità, dell’avvocaticchio democratico per rivelare ciò che ci si poteva attendere esclusivamente da un personaggio del genere: il suo totale e convinto assoggettamento ai potentati economici, industriali e mafiosi che si nutrono esclusivamente di corruzione, distruzione del suolo e dell’ambiente, rapina finanziaria e morte.

Il quarto sconfitto è il PD.
Se sperava di recuperare qualcosa dal disfacimento 5Stelle, è risultato chiaro che quel popolo NoTav, quei manifestanti sono intenzionati ad andare avanti per la loro strada che continua ad essere in rotta di collisione non soltanto con il partito che ha più promosso il progetto del Tav, e che per questo motivo si troverà certamente a votare con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, la continuazione dello stesso, così come ha già sostanzialmente anticipato l’ex-titolare del ministero delle infrastrutture Graziano Delrio, se mai si dovesse giungere anche solo a un buffonesco e scontato voto parlamentare, ma anche con i progetti di green capitalism come programma di partito con cui quella vecchia volpe dell’attuale sindaco di Milano vorrebbe travestire una compagine ormai marcia, magari anche tramite l’utilizzo di un movimento “giovane” ma ambiguo e molto più che contraddittorio quale quello di Fridays for Future.

Tralasciando l’elenco dei 17 governi che si sono succeduti da quando si è iniziato a parlare di Tav fino ad oggi, gli altri sconfitti sono tutti quelli favorevoli alle grandi opere inutili e imposte: Telt, mafia, Confindustria, cooperative rosse e bianche, sindacati asserviti, giornalisti e media che in nome del “progresso” sono disposti ad avvallare ciecamente qualsiasi grande opera e qualunque devastazione, il pool inquisitoriale della Procura di Torino, ma anche tutti coloro che, alla Mercalli, suggeriscono pratiche individuali per porre riparo al disastro ambientale senza mai affrontare il nodo del salto di paradigma necessario ovvero del superamento definitivo dell’attuale modo di produzione.

Nossignori, non siete voi il futuro.
E, ancora una volta, non resta che annunciarvi, con Philip K.Dick: Noi siamo vivi e voi siete già tutti morti (insieme al modo di produzione che vi ostinate a difendere e voler salvare).


  1. «sabato c’è il campeggio dei No Tav in Val di Susa e quindi la mia priorità è mandare 500 uomini lì per evitare che provochino disastri» – https://www.ilmessaggero.it/politica/tav_polizia_toninelli_ultime_notizie-4640539.html  

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Banditi dell’alta felicità https://www.carmillaonline.com/2017/06/08/banditi-dellalta-felicita/ Wed, 07 Jun 2017 22:01:20 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38603 copertina-1 Sarà presentato il 16 giugno, a Bussoleno, in apertura della manifestazione Una montagna di libri nella valle che resiste, il testo edito dal movimento NO TAV: Banditi dell’alta felicità. Il libro, di grande formato (cm. 28 x 24), cerca di restituire l’immagine più vera del movimento No Tav, andando oltre le rappresentazioni delle lotte, ora criminalizzanti e talvolta retoriche, che spesso lo accompagnano sui media e nei social network attraverso le fotografie realizzate da Rinaldo e Davide Capra durante la prima edizione del festival “Alta Felicità”, tenutosi lo scorso anno a Venaus. Fotografie delle quali soltanto una parte è già [...]]]> copertina-1 Sarà presentato il 16 giugno, a Bussoleno, in apertura della manifestazione Una montagna di libri nella valle che resiste, il testo edito dal movimento NO TAV: Banditi dell’alta felicità. Il libro, di grande formato (cm. 28 x 24), cerca di restituire l’immagine più vera del movimento No Tav, andando oltre le rappresentazioni delle lotte, ora criminalizzanti e talvolta retoriche, che spesso lo accompagnano sui media e nei social network attraverso le fotografie realizzate da Rinaldo e Davide Capra durante la prima edizione del festival “Alta Felicità”, tenutosi lo scorso anno a Venaus. Fotografie delle quali soltanto una parte è già stata presentata in occasione di alcune iniziative militanti tenutesi a Bologna, Brescia e Bussoleno. Insieme a queste sono presenti al suo interno testi di Alessandra Daniele, Valerio Evangelisti, Alberto Perino, dei due fotografi, di alcuni esponenti del Movimento e di Sandro Moiso.
Il volume, di complessive 120 pagine e dal costo di 15,00 euro, sarà reperibile per l’acquisto durante le iniziative del Movimento e sarà distribuito nelle librerie da Diest.

Proponiamo qui di seguito il testo di Alberto Perino, tratto dal discorso tenuto lo scorso anno in occasione del festival, che riassume sinteticamente l’intento di ricostruire venticinque anni di lotta No Tav alla luce della gioia e della felicità che ogni lotta dovrebbe portare in e con sé.

E un, e dui, e tre…A sarà dura!

Mi capita di rado, ma devo dire che questa sera sono emozionato.
Abbiate pazienza, anch’io mi emoziono, e sapete perché mi emoziono?
Mi emoziono nel vedere le vostre facce sorridenti.
Perché in questo paese non si vede più la gente col sorriso sulle labbra. Sono tutti incazzati. Guardano tutti storto. E qui invece la cosa che mi ha colpito di più in vero stile No Tav è il senso di amicizia, il senso di fratellanza, il senso di simpatia, cortesia, che ha pervaso tutti.
Il senso di simpatia che ci hanno dato questi grandi artisti che sono venuti gratis in un paese, in un mondo dove solo più il denaro ha senso.
Ebbene noi qui in questi giorni riusciamo a dimostrare che il denaro non ci interessa, che si può vivere gratis.
Che ci si può voler bene, che si condivide tutto, dal bicchiere di birra al bicchiere di vino, al panino, al resto.
Questo è il mondo migliore, il mondo diverso, quello che noi sogniamo, quello che noi vogliamo.
Ed è per questo che siamo contro lo spreco di risorse per fare le grandi opere inutili e imposte.
Non si può continuare su questa strada.
Avete sentito cosa hanno detto i giornali, le televisioni in questi giorni? Hanno detto che in Francia hanno iniziato il grande buco. Lo sapete quanto dura quell’appalto per nove km di una sola canna? 10 anni! Ma chi c…o stanno prendendo per il c..o?2
Questi stanno solo rubandoci i soldi, stanno solo rubandoci la vita e l’avvenire.
Questa è la verità!
Sapete cosa fanno per poterlo fare? Cercano di intimidirci. Ma non hanno capito niente. Questa qui, quella di oggi, di ieri e di domani è la nostra risposta alla procura e al tribunale di Torino. Ce ne facciamo un baffo dei vostri provvedimenti.
Noi siamo qui. Ieri sera c’erano i Lou Dalfin che cantavano la loro canzone “sém encar ici”: siamo ancora qui, nonostante tutto, nonostante la repressione. Ci siamo. Ci siamo da 25 anni e ci saremo nei prossimi 50 se è necessario ma vi vogliamo fuori dai piedi.
NOTAV FINO ALLA VITTORIA
E quando avremo vinto, stiano attenti, perché non ce ne andremo comunque, continueremo a rompergli le scatole, ovunque nel mondo ci pestino i piedi.

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