Felipe Calderón – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 23 Nov 2024 23:38:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La vera notte di Iguala e il caso Ayotzinapa: intervista con Anabel Hernández https://www.carmillaonline.com/2017/03/15/la-vera-notte-iguala-caso-ayotzinapa-intervista-anabel-hernandez/ Tue, 14 Mar 2017 23:00:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37045 di Fabrizio Lorusso

Anabel Hernández è una delle giornaliste d’inchiesta più riconosciute del Messico. E’ autrice, tra gli altri, dei libri La terra dei narcos. Inchieste sui signori della droga[*], Messico in fiamme. L’eredità di Calderón e La vera notte di Iguala, l’inchiesta più attuale e contundente sul caso dei 43 studenti di Ayotzinapa, scomparsi a Iguala, nel meridionale stato messicano del Guerrero, la notte del 26 settembre 2014. Per le minacce e le aggressioni ricevute, che hanno coinvolto direttamente lei, la sua famiglia e i suoi vicini, [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Anabel Hernández è una delle giornaliste d’inchiesta più riconosciute del Messico. E’ autrice, tra gli altri, dei libri La terra dei narcos. Inchieste sui signori della droga[*], Messico in fiamme. L’eredità di Calderón e La vera notte di Iguala, l’inchiesta più attuale e contundente sul caso dei 43 studenti di Ayotzinapa, scomparsi a Iguala, nel meridionale stato messicano del Guerrero, la notte del 26 settembre 2014. Per le minacce e le aggressioni ricevute, che hanno coinvolto direttamente lei, la sua famiglia e i suoi vicini, Anabel vive da più di sei anni sotto scorta. Dall’agosto del 2014 e all’agosto del 2016, s’è dovuta rifugiare negli Stati Uniti, dove ha potuto vivere coi suoi figli grazie a una borsa di studio del programma di studi in giornalismo dell’Università della California a Berkeley. Ho conversato con lei delle sue scoperte sul caso dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, sulla corruzione delle autorità e il ruolo dell’esercito, sulla situazione dei cartelli del narcotraffico, sul muro di Trump e sulla legalizzazione delle droghe. Questa è la versione integrale dell’intervista di cui alcuni estratti sono usciti su Huffington e su Ctxt. Esce oggi su Carmilla in collaborazione con Frontiere News [Foto “Ayotzinapa” di Diego Simón Sánchez / Cuartoscuro].

Perché te ne sei dovuta andare dal Messico e com’è stato il periodo dell’esilio negli USA?

Prima di tutto va spiegato che il Messico è uno dei luoghi più pericolosi al mondo per l’esercizio della professione giornalistica. Non sono solo parole al vento. In Messico sono stati assassinati più di 116 giornalisti negli ultimi dieci anni. Solo l’anno scorso sono stati sedici ed io, per sfortuna, sono una delle giornaliste che ha subito violenze e attentati come conseguenza del mio lavoro. In seguito alla pubblicazione del mio libro Los señores del narco (uscito in Italia col titolo La terra dei narcos. Inchieste sui signori della droga) nel dicembre del 2010 sono venuta a sapere da una delle mie fonti d’informazione che l’allora Ministro della Sicurezza Pubblica, Genaro García Luna, aveva organizzato un piano per uccidermi come rappresaglia per quanto avevo pubblicato su di lui e sulla rete di corruzione che operava dentro la Polizia Federale (PF) per favorire il cartello [organizzazione criminale] di Sinaloa e passava direttamente dallo stesso García Luna e dai principali capi della polizia. Questo ha provocato che la polizia organizzasse un complotto per assassinarmi. Me ne sono accorta in tempo e allora la Commissione Nazionale dei Diritti Umani ha chiesto al governo di Città del Messico di darmi una protezione. Da allora vivo 24 ore su 24 con la scorta.

verdadera noche iguala portadaDopo questi fatti, nel gennaio 2010, c’è stato un attentato armato contro la mia famiglia e s’è scatenato un inferno: alcune delle mie fonti d’informazione sono state ammazzate, crivellate di colpi per strada, come nel caso del Generale Mario Arturo Acosta Chaparro, che era stato una delle mie fonti principali per il libro Los señores del narco e mi aveva narrato l’incontro che ebbe con esponenti dei differenti cartelli della droga, compreso Joaquín “El Chapo” Guzmán, che all’epoca era latitante, per ordine dell’allora Presidente della repubblica Felipe Calderón. Contrariamente a quanto diceva in pubblico, cioè che c’era una “guerra contro il narcotraffico”, in realtà quello che faceva era essere corrotto dal narcotraffico e cercare di negoziare con diverse organizzazioni criminali. Questa informazione, in seguito, me la confermò anche Edgar Valdez Villareal, alias “La Barbie”. Si tratta di un narcotrafficante importante che [prima di finire in manette] lavorava per il cartello di Sinaloa, per quello dei fratelli Beltrán Leyva e per El Chapo Guzmán. Valdez mi scrisse una lettera nel novembre del 2012, raccontando come lo stesso presidente Calderón aveva condotto alcune di queste gestioni con i criminali, per cui invece di perseguitarli si sedeva a prendere un caffè con loro, e come gli risultasse che quel capo di polizia, che risponde al nome di Genaro García Luna, e altri dirigenti che avevo denunciato ricevesse denaro da lui e da altri cartelli.

Sono rivelazioni molto pesanti.

Questo ha fatto sì che le aggressioni contro di me fossero sempre peggiori e nel dicembre 2013 è successa una cosa molto delicata, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, per cui sono stata costretta a lasciare il Messico. E’ arrivato un commando armato della polizia federale con undici uomini armati a casa mia. Sono entrati nel condominio, hanno minacciato gli uomini della scorta, portandosene via una per malmenarlo brutalmente, e poi hanno minacciato i miei vicini, puntagli le pistole alle tempie, senza nemmeno risparmiare i bambini di sei o sette anni lì presenti. Infine sono entrati in casa ma io non ero là. Non hanno rubato assolutamente niente, ma questo crimine è rimasto impune e sono stata obbligata a pianificare un’uscita dignitosa dal Paese.

Dico così perché non volevo sembrare un “cattivo esempio” per i miei colleghi e compagni, scappando solo per scappare. Volevo veramente trovare un modo di avere uno spazio, di continuare a lavorare, ricercando e pubblicando informazione in Messico senza stare in Messico. Così ho trovato un programma di giornalismo d’inchiesta alla Università della California di Berkeley che mi ha che mi ha accolto per due anni dandomi una borsa per poter vivere coi miei figli in relativa tranquillità. Anche se era una piccola isola, per me era difficile pensare ai miei colleghi che continuavano a morire in Messico e alla situazione che non cambiava, così ho deciso di rischiare comunque e, nei due anni passati negli USA, ho indagato sul caso Iguala-Ayotzinapa e la desaparición dei 43 studenti, tornando una volta al mese in Messico.

Anabel Hernandez

Foto: la giornalista Anabel Hernández (su gentile concessione)

Quali sono le principali scoperte del tuo libro sulla “vera notte di Iguala” e il caso Ayotzinapa?

Dapprima vorrei dire all’opinione pubblica e alla comunità internazionale che il governo del Messico ha inventato la risoluzione del caso.

Quando succede questa terribile sparizione forzata degli studenti e l’omicidio di tre di loro e di altre tre persone, proprio quella notte del 26 settembre che tutti ricordano, il governo messicano ha cominciato a tessere una versione ufficiale che potesse coprire per sempre la realtà dei fatti accaduti quella notte. Durante un anno mi sono occupata di smantellare tutte le menzogne inventate dal governo federale, principalmente dalla Procura Generale della Repubblica (PGR), diretta all’epoca da Jesús Murillo Karam e dal responsabile diretto delle indagini, che era il direttore della Agenzia per la Indagini Criminali (AIC), il signor Tomás Zerón.

Questi due personaggi hanno inventato la cosiddetta “verità storica”, hanno fatto credere al mondo che gli studenti della scuola normale erano stati assassinati per ordine di un semplice e piccolo sindaco, quello di Iguala, José Luis Abarca, da un gruppo di poliziotti senza armamento né formazione sufficiente e da un piccolo gruppo criminale che era operativo nella zona. Questa è la storia inventata dal governo che ha detto al mondo che gli studenti erano stati cremati quella notte in una discarica della vicina cittadina di Cocula. E’ la storia che conosce il mondo, ma questa storia è falsa.

Ciò che ho scoperto in due anni di ricerche si riassume in cinque punti fondamentali che dimostrano, provano, che sono stati i funzionari pubblici del governo del presidente Enrique Peña Nieto, sono stati i militari, i poliziotti della federale e i federali-ministeriali, e sono stati alcuni membri della polizia statale [dello stato del Guerrero] a prendere parte a questo crimine. Ho trovato che sono stati direttamente l’esercito messicano, il 27esimo battaglione di fanteria, e l’allora colonnello responsabile del battaglione [José Rodríguez Pérez] che hanno orchestrato, disegnato, ordinato, coordinato e infine eseguito la sparizione forzata dei 43 studenti. Ho potuto anche scoprire che vi hanno partecipato attivamente almeno quattordici elementi della Polizia Federale. Nel libro cito anche i loro nomi nello specifico. Cito anche i nomi dei membri della Polizia Federale Ministeriale (PFM), ossia coloro che lavoravano al servizio di Tomás Zerón e hanno partecipato direttamente ai fatti, e ho prove contundenti del fatto che l’esercito ha sparato direttamente quella notte contro i cinque pullman su cui viaggiavano gli studenti. Hanno sparato in particolare sui due autobus della marca Estrella de Oro, i bersagli di quella notte.

Ho scoperto che l’origine o la ragione dell’attacco, che fino ad ora è stato tenuto nascosto dal governo federale, è che l’esercito quella notte stava lavorando per conto di un boss molto importante che gestiva le operazioni nel Guerrero e che voleva recuperare il carico di eroina di due milioni di dollari che si trovava nei due pullman e che, per una fatalità, gli studenti avevano occupato ignari di tutto qualche giorno prima. Senza sapere che quei bus si sarebbero trasformati nelle loro tombe. E un altro degli elementi che ho potuto scoprire è che il governo del Messico era a conoscenza di tutto ciò.

fue el estadoCome?

A metà 2016 c’è stata un’investigazione interna alla procura. Il responsabile degli affari interni, l’Auditor Generale della PGR ha fatto un’indagine indipendente sulla stessa investigazione condotta dalla PGR nel caso e ha scoperto quello che avevo scoperto anch’io: che la presunta cremazione dei corpi a Cocula non è mai esistita, che la maggior parte degli arrestati per il caso, come racconto nel libro, erano stati brutalmente torturati per strappargli confessioni di delitti che non avevano commesso e che i due pullman Estrella de Oro erano realmente la chiave di quello che era successo quella notte. Per questo l’Auditor ha ordinato di investigare più a fondo questi fatti. E ha ordinato anche di indagare sul Capitano José Martínez Crespo, un personaggio centrale in questa tragedia, uno dei principali responsabili, accusandolo di presunti nessi con la criminalità organizzata. Ha ordinato anche l’arresto di vari poliziotti federali e un’investigazione totale sul 27esimo battaglione delle forze armate. Il governo federale era a conoscenza di tutta l’informazione e, per ordine del presidente Peña Nieto, queste due indagini chiave, sulla falsità dei fatti della discarica di Cocula e sul coinvolgimento dell’esercito, sono state tenute segrete per vari mesi. Per ordini presidenziali.

Dopo aver presentato il suo rapporto, l’Auditor della procura, César Alejandro Chávez Flores, è stato minacciato e s’è dovuto dimettere. Il documento è stato divulgato pubblicamente? Si può parlare della “riduzione al silenzio” di uno dei pochi funzionari onesti in questa vicenda?

E’ così. Il documento è finito nelle mie mani proprio quando stavo finendo di scrivere il mio libro. Mi ha confermato la bontà dei contenuti dell’inchiesta e ho pubblicato il suo contenuto nel libro, ma ora si può trovare anche alla pagina web verdaderanochedeiguala.com, che abbiamo creato con la casa editrice affinché tutti, compresi i genitori dei 43 studenti e i loro avvocati, possano consultare questi documenti. L’Auditor s’era preso l’impegno con i genitori dei 43 di condurre un’investigazione indipendente contro Tomás Zerón e nei riguardi dell’indagine della PGR, quindi sul lavoro dello stesso Zerón ma anche dell’ex procuratore di Jesús Murillo Karam.

Si suppone che c’era un impegno, nell’agosto scorso, della PGR a consegnare i risultati di questo rapporto ai genitori degli studenti, ma dato che l’auditing interno aveva scoperto tutte le irregolarità e la “bugia storica”, è per questo che per ordine del presidente la allora procuratrice di giustizia, Arely Gómez, ha ordinato di non dare il documento ai genitori di Ayotzinapa. L’auditor dopo ha subito pressioni da parte della stessa procuratrice e da altri funzionari della procura, tra cui il primo degli accusati, Tomás Zerón, affinché cambiasse i risultati del suo rapporto che distruggeva la “verità storica”.

La cosa più grave di questo documento, che poi è la più importante, è il momento in cui l’auditor, attraverso varie prove ricavate da perizie e testimonianze, con un’indagine molto profonda, scopre, riguardo ai fatti di Cocula, che gli studenti non sono mai stati assassinato e bruciati lì. E che le ossa dello studente Alexander Mora, che si suppone sia l’unico identificato tramite analisi genetico dei suoi resti, rinvenuti nel fiume di Cocula, sono stati collocate lì in realtà dallo stesso Tomás Zerón: si tratta della prova periziale più importante che coinvolge, incolpa e responsabilizza il governo messicano di questi fatti. Perché, se i fatti di Cocula sono falsi e le prove sono state messe lì nel fiume San Juan di Cocula, il signor Zerón e il governo erano in possesso dei resti calcinati di Alexander Mora? Questa è la parte centrale del caso, per questo il governo non poteva permettere che fosse diffuso pubblicamente il rapporto dell’auditor generale. Ed è per questo che lui è stato minacciato di morte ed è stato forzato a rinunciare.

vivos se los llevaronSarebbe possibile accusare di crimini di lesa umanità gli alti funzionari del governo e lo stesso presidente?

Non sono un avvocato né esperta nella materia, ma una delle parti più efficaci delle conclusioni che raggiunge l’auditor, dopo aver controllato la normativa internazionale, è che effettivamente, dato che è stato violato il diritto alla verità delle vittime, che è parte del diritto internazionale, visto che sono stati commessi selvaggi atti di tortura per inventare questa storia e presumibilmente “risolvere il caso, siccome sono state alterate le prove e la verità dei fatti e sono state compiute violazioni gravi ai diritti umani, si può considerare che se il governo del Messico, Peña Nieto e i funzionari pubblici coinvolti non risolvono questa situazione, possono essere giudicati internazionalmente se si integra un tribunale speciale.

Che resta del famigerato gruppo di narcotrafficanti dei Guerreros Unidos e dell’ex sindaco di Iguala, José Luis Abarca, e di sua moglie, María Pineda, che inizialmente vennero indicati come i responsabili della sparizione degli studenti?

La gran maggioranza, l’80%, dei detenuti, compresi presunti membri dei Guerreros Unidos, il sindaco e sua moglie, sono stati torturati e i loro arresti sono stati illegali. L’ho saputo dai referti medici che ho controllato e che furono realizzati a tutti questi detenuti, ma anche da testimonianze che ho ottenuto da loro e dai loro familiari. Per vari mesi mi hanno mandato lettere dalla prigione, raccontandomi le brutali e selvagge torture che hanno sofferto, comprese le violazioni sessuali e le scariche elettriche su tutto il corpo per far sì che confessassero il falso. Secondo l’auditor generale l’incarcerazione della maggior parte di loro e dei principali accusati d’essere gli autori intellettuali e materiali della sparizione dei normalisti, come il signor Abarca e sua moglie, i quattro detenuti che hanno confessato d’aver bruciato gli studenti e i poliziotti locali che, secondo l’accusa, avrebbero orchestrato e organizzato tutto ciò, è stata illegale, il che significa che non dovrebbero restare in prigione. Il governo del Messico s’è preoccupato di fabbricare capri espiatori, falsi colpevoli, ed ha accusato persone innocenti di un crimine che non hanno commesso per proteggere i veri colpevoli, principalmente i funzionari pubblici di Iguala, dell’esercito messicano, della polizia federale e della stessa procura che hanno partecipato attivamente alle operazioni della notte di Iguala.

Al di là dei gruppi criminali piccoli del narcotraffico come i Guerreros Unidos, nel Guerrero chi comanda?

Per scrivere il libro Los señores del narco per dodici anni ho investigato sulle operazioni del cartello di Sinaloa e dei fratelli Beltrán Leyva [che prima della scissione del 2008 lavoravano insieme]. Una delle principali basi delle operazioni di questi gruppi era il Guerrero, specialmente la città portuaria di Acapulco. In quel libro racconto come l’allora comandante militare della zona, Salvador Cienfuegos, attualmente Ministro della Difesa, andava in giro in yatch per la baia di Acapulco in compagnia del boss Arturo Beltrán Leyva. Il libro è uscito ormai più di sei anni or sono e il Ministro non ha mai negato i fatti che vi sono narrati né ha sporto denuncia. Quando viene fuori questa storia del governo federale per cui presumibilmente c’era un gruppo criminale molto forte chiamato Guerreros Unidos e c’erano anche i rivali, Los Rojos, mi metto a cercare e ritiro fuori l’archivio che avevo usato per il libro e scopro che quell’organizzazione quasi non esiste, è praticamente minuscola. Ho potuto parlare personalmente con gente del cartello di Sinaloa e dei Beltrán Leyva e mi hanno detto che in effetti sì esistono le bande dei Rojos e dei Guerreros Unidos, ma si tratta di cellule minuscole che non rappresentano nulla in comparazione con il potere che ancora possiede nel Guerrero l’organizzazione dei Beltrán Leyva. Quando Arturo Beltrán Leyva viene assassinato a Cuernavaca, nello stato del Morelos, nel dicembre 2009, varie parti della loro organizzazione iniziano a smantellarsi. Ci sono molti membri importanti di questo gruppo criminale i cui nomi non sono stati rivelati dal governo ma che continuano con le loro operazioni nel Guerrero. E sono diventati capi importante, magari non al livello de El Chapo Guzmán, però sì con la capacità di trafficare quantità significative di droga, di eroina, dal Messico agli Stati Uniti. Uno di questi capi, di alto livello, nel settembre 2014 controllava la zona di Iguala e dintorni ed è questo boss, il cui nome il governo non cita e che non è accusato o in arresto per il caso, che la notte del 26 settembre ordina al 27esimo battaglione dell’esercito di recuperare ad ogni costo l’eroina che si trovava in quei due pullman da cui sono stati sequestrati i 43 studenti.

ezln 43Quindi qual è il ruolo dell’esercito nel Guerrero?

Sono in possesso di fascicoli della stessa PGR, dichiarazioni di testimoni collaboratori di giustizia che adesso la procura non può smentire, in cui si segnala che per anni l’esercito messicano ha protetto e lavorato con il cartello di Sinaloa e dei Beltrán Leyva. Questo è successo durante molto tempo, è una complicità antica. Particolarmente nel Guerrero c’era questa protezione. Ripeto: lo stesso General Cienfuegos, quando era a capo della zona militare di quella regione, è accusato di aver frequentato Arturo Beltrán Leyva e di averlo protetto. Ci sono molte accuse addirittura non solo contro l’esercito, ma anche contro la polizia federale e la federale-ministeriale, che allora era la AFI o Agenzia Federale delle Investigazioni. Quando Genaro García Luna ne era il direttore, nel 2004-2006, la stessa agenzia funzionava come “assassino mercenario” del cartello di Sinaloa. C’è un episodio che ricordo molto bene e ho i documenti che avallano quanto dico. E’ successo ad Acapulco, dove c’era un gruppo del cartello degli Zetas che voleva prendersi la plaza [la zona, il mercato] e toglierla agli uomini dei Beltrán Leyva e di Sinaloa. Quando i Beltrán Leyva vengono a sapere di questa operazione, non solo inviano i loro uomini armati a combattere gli Zetas m sono gli stessi membri della polizia AFI che agiscono come sicari agli ordini di Arturo Beltrán quella sera: sequestrano vari membri degli Zetas e dopo li fanno fuori registrando un video impressionante. E’ stato quello il primo video di un “esecuzione” dal vivo che poi venne diffuso in vari mezzi di comunicazione in spregio agli Zetas nel mezzo di una guerra selvaggia che stavano facendo col cartello di Sinaloa. Insomma, la complicità dell’esercito, dei federali e della polizia federale ministeriale col narcotraffico nel Guerrero, specialmente coi Beltrán Leyva, è antica e ci sono diverse prove al riguardo. Oggi purtroppo il caso dei 43 desaparecidos è un esempio ulteriore di questa collusione del governo, di questa guerra fallita in cui non solo l’esercito protegge i narco ma addirittura agisce da sicario.

Perché il caso Iguala-Ayotzinapa è emblematico?

Per varie ragioni. La più umana e allo stesso tempo più importante è che in effetti in Messico migliaia di famiglie hanno vissuto la tragedia dei desaparecidos. Oltre 25mila persone sono state “fatte sparire” nel periodo presidenziale di Felipe Calderón (2006-2012), ma per paura o per via delle intimidazioni molti dei loro familiari sono rimasti zitti, non han detto nulla, pero timore ad essere criminalizzati. I genitori dei 43 ragazzi hanno rotto questo schema e hanno dimostrato al Messico e al mondo che di fronte al crimine delle sparizioni forzate non si può mantenere il silenzio.

L’esempio che hanno dato questi genitori negli oltre due anni dalla sparizione dei propri figli non è solo di coraggio ma anche di profondo amore. Mi sembra che alla fine questo è quello che conta di più. L’esempio d’amore di questi genitori ha commosso il mondo e ha fatto in modo che in Messico questo caso non si dimentichi e che ci siano molte persone che continuano a cercare verità e giustizia.

D’altra parte questo caso è l’esempio chiaro del fatto che questa “guerra contro il narcotraffico” in Messico è una guerra simulata perché non si può parlare di “guerra” quando un battaglione è al servizio del narcotraffico. Non si può parlare di guerra contro i narco quando il presidente della Repubblica, invece di mettere in prigione un manipolo di pessimi funzionati pubblici, cioè 40 o 50 funzionari coinvolti nel narcotraffico che hanno determinato i fatti della notte di Iguala, e invece di processarli e dare un esempio per dire che “questo non lo possiamo permettere”, ecco al contrario il presidente ha tollerato la corruzione e la collusione, premiando i responsabili. Oggi il colonnello che era responsabile del 27esimo battaglione ha assunto praticamente l’incarico di sottosegretario alla difesa ed è diventato generale. Il Capitano Martínez Crespo e i federali che hanno partecipato agli attacchi continuano a “proteggere la società” ovunque essi siano, il che in realtà rappresenta un rischio per la società messicana.

Il caso è emblematico perché dimostra il fallimento della guerra alla criminalità organizzata.

Infine è un caso che ha scosso il mondo, ha fatto in modo che la comunità internazionale veda che in Messico in verità non ci sono né pace, né verità, né giustizia quando si tratta di crimini commessi dallo Stato.

ayotzinapa-somos-todosE’ proprio il ministro Cienfuegos che ora chiede l’approvazione di una Legge per la Sicurezza Interna che legittimi la militarizzazione della sicurezza pubblica, la presenza dei militari per le strade e la realizzazione di operazioni di polizia da parte delle forze armate. Che ne pensi?

Mi sembra che il Messico stia passando per un processo molto complicato. Da una parte abbiamo un esercito fuori controllo che vuole più potere e impunità.

Dall’altro abbiamo un presidente con i livelli più bassi di popolarità degli ultimi decenni, con indici minimi di approvazione, che è a punto di finire il suo mandato e non sa come uscirne fuori. E abbiamo una società che ripudia la presenza dell’esercito per le strade. E’ molto pericoloso che il caso di Ayotzinapa resti impunito perché permetterà che l’esercito messicano possa continuare a stare per le strade commettendo questo ed altri crimini. Non va dimenticato che i fatti di Iguala non sono il primo crimine di massa commesso dai militari. Appena qualche mese prima, a metà del 2014, nel Estado de México, a Tlatlaya, i militari hanno assassinato ventuno persone, le hanno ultimate in modo sommario. Il Ministero della Difesa ha provato a nascondere anche questo caso per vari mesi fino a che alla fine l’inchiesta giornalistica dell’agenzia AP e della rivista Esquire è riuscita a scoprire la verità e a rivelare che non s’era affatto trattato di uno scontro a fuoco tra l’esercito e alcuni delinquenti, ma un’esecuzione sommaria condotta dall’esercito. Siamo dinnanzi a una crisi terribile in cui sfortunatamente sembrerebbe che questo esercito boia permarrà nelle strade con tutto ciò che implica.

Gli Stati Uniti hanno promosso per decenni le politiche di “guerra alle droghe”, specialmente in America Latina, ma adesso la marijuana è stata legalizzata per uso ricreativo in ben otto stati americani e in altri quindici è permesso il suo uso medicinale. Che pensi di questo paradosso?

Tutto dipende dall’angolazione da cui guardiamo questa situazione. La mia posizione è contraria alla legalizzazione delle droghe. Mi spiego, se la giustificazione per la legalizzazione è legata alla salute pubblica, mi pare che sia una strategia sbagliata e ti do le mie ragioni. Prendiamo per esempio gli USA. Il principale consumo di droghe negli Stati Uniti non è di droghe illegali ma legali. Le medicine che si suppone che possono essere vendute solo su prescrizione medica, mentre in realtà c’è tutto un mercato nero immenso nel Paese che fa sì che giovani, bambini e persone adulte abbiano accesso a medicine allucinogene in modo illegale in una farmacia legale. Questo dimostra che la legalizzazione non è la soluzione. Se non c’è prima una vera cultura della legalità, se la legge che esiste attualmente non si applica, non si può pensare che la legalizzazione della marijuana, della cocaina, dell’eroina e delle metanfetamine sarà la soluzione, sempre ci sarà un mercato nero. E’ quanto stiamo vedendo con le medicine. Se il governo statunitense non è capace di controllare le imprese farmaceutiche, non riesco nemmeno a pensare come qualcuno possa solo sognare di poter controllare il business legale, i piccoli proprietari, le imprese che fabbricano droghe che prima erano illegali. E’ un sogno stupido, ingenuo, che non porta da nessuna parte. E’ dimostrato che la legalizzazione delle droghe, le droghe legalizzate dunque, non implica che, anche se sono legali, non sorga un mercato illegale, nero, di queste. Da una parte.

Dall’altra se si tratta di vedere la legalizzazione delle droghe come una maniera per controllare la violenza e il business multimilionario, di miliardi di dollari secondo il governo USA, del narcotraffico e dei cartelli, è una visione totalmente erronea. Quando in Colorado s’è iniziata legalizzare la marijuana, con questi posti in cui si può comprare apertamente, i cartelli della droga messicani, secondo quanto mi ha spiegato un agente de la DEA (Drug Enforcement Administration) [agenzia antidroga statunitense], hanno creato delle minipillole, piccole dosi di droga sintetica che fanno lo stesso effetto della marijuana ma a un decimo del costo di una sigaretta di marijuana legale. Stiamo parlando, quindi, del fatto che non è possibile controllare i cartelli perché per ogni droga che si legalizza, se ne inventano una nuova. I cartelli stanno nel business e stanno inventando costantemente nuove droghe per migliorare i loro affari, per renderli più efficienti e redditizi.

Inoltre dobbiamo tenere da conto che non trafficano solo droghe, ma anche persone o merci e si dedicano alla pornografia infantile, al taglio abusivo degli alberi e un mucchio di affari illegali. Allora pensare che la legalizzazione di alcune droghe controllerà il potere dei cartelli è un sogno ridicolo, è una cosa che non succederà. Solo con la cultura della legge, applicando la legge. Non mi riferisco a sparare. Mi riferisco al fatto che, se veramente si cominciasse a vedere una vera guerra contro il narcotraffico, prima di arrestare El Chapo Guzmán, si sarebbero dovuti arrestare tutti i suoi complici, dai governatori ai banchieri e agli imprenditori. Se le grandi banche continueranno a riciclare denaro sporco impunemente, ci saranno “Chapos” ovunque perché ci sarà sempre una parte del mondo “legale” disposta a convivere e fare affari con il mondo illegale. La recente estradizione de “El Chapo” negli USA non sarà una soluzione per il Messico nemmeno alla lontana, anzi, potrà generare ancora più violenza e instabilità.

marcha-ayotzinapaUn altro tema, diciamo, “frontaliero” è l’amministrazione di Donald Trump. Hai vissuto due anni negli USA come migrante-esiliata e conosci bene i due lati della frontiera. Che pensi della costruzione del muro e delle prime settimane di governo?

Devo riconoscere che facevo un po’ di fatica, quando vivevo là, a riconoscere certe attitudini, certi modi di essere del nordamericano. Perché da una parte c’è una comunità latina molto grande, di migranti, ma l’essenza, ciò che è l’americano bianco, anglosassone, beh, sono personaggi difficili da comprendere. Una cosa vera è che, per come l’ho sperimentato in carne viva là e l’ho visto, negli Stati Uniti c’è sempre stato un razzismo occulto, non detto, silenziato. Per un’epoca, lo sappiamo, c’è stato un razzismo aperto, selvaggio e crudele, però poi, col passare degli anni, questo razzismo è rimasto progressivamente all’interno degli americani anglosassoni. L’ascesa di Trump spiega questo: chi vota per lui è questa maggioranza bianca, e non mi riferisco solo a una maggioranza bianca economicamente benestante, ma anche all’esistenza di un’ampia maggioranza bianca formata da operai, gente comune che non ha abbastanza per vivere e che si sente scalzata dai migranti e sentono che questi sono arrivati a rubargli il loro paese. Poco tempo fa ho potuto parlare con un accademico molto importante della Università della California a Los Angeles, David Maciel, e lui mi spiegava una cosa che non avevo capito, perché c’è bisogno di essere americani per capire queste parole: quando Trump in campagna elettorale diceva “faremo di nuovo grande l’America” e “America per gli Americani”, significava tornare indietro di cinquant’anni. Alla “America grande” in cui c’era un gran razzismo e ciascuno se ne stava al suo posto e non si poteva muovere da lì. Restituire l’America agli americani si riferisce a questa classe, a questa razza fondatrice di ciò che sono gli Stati Uniti. A questo faceva riferimento Trump, per questo ha votato la gente, per tornare al passato. Siamo di fronte a una situazione critica perché chi pensa che si tratti solo di Donald Trump, si sbaglia. Tutto questo riguarda una buona maggioranza della società americana per cui c’è un piccolo razzista silenzioso che cova nel seno di ogni americano.

no-solo-ayotzinapaChe opinione ti sei fatta delle manifestazioni contro Trump in Messico, compresa l’iniziativa “Vibra México” che pretende di creare una “unità di tutti” contro il presidente USA? Ci sono alcuni settori e organizzazioni della società che l’hanno usata, piuttosto, per sostenere Peña Nieto internamente. Che pensi delle reazioni del governo messicano?

Credo che, ci piaccia o no, che siamo d’accordo o no come messicani da questa parte del confine, il presidente Trump sul suo territorio possa fare quello che vuole. E’ tra le sue prerogative farlo. Se lui pensa che con un muro impedirà che i messicani passino il confine e questa è la sua politica pubblica e gli americano lo sostengono, non c’è maniera di impedirlo. E’ assurdo, colpirà milioni di messicani, ma non si può impedirlo. Quando lui dice “i messicani finiranno per pagare il muro”, ci sono tanti modi con cui può fare in modo che i messicani paghino il muro e ti faccio un esempio specifico. La principale entrata legale di denaro, senza parlare delle droghe, che ha il Messico, più del petrolio, sono le rimesse dall’estero, ossia i soldi che inviano tutti i messicani che vivono negli USA ogni anno. Se Trump decidesse aumentare o introdurre una tassa a queste rimesse, noi messicani finiremmo per pagare il muro. Riguardo a questo discorso di “unità”, mi sembra che in Messico non vi sia unità, perché non può esseri unità intorno a un presidente assassino. Uno cosa è che Trump sia terribile e un’altra è che la gente pensi di stringersi attorno a un presidente che è stato terribilmente corrotto, come l’ha mostrato il caso della Casa Blanca [Casa Bianca, un’inchiesta giornalistica del portale Aristegui Noticias che messo in luce le opache relazioni tra l’acquisto della casa del presidente e sua moglie e contrattisti del governo del gruppo imprenditoriale Higa] e il fatto che ha permesso l’impunità, proteggendo per esempio i responsabili della sparizione dei 43 studenti nel caso di Ayotzinapa. E la gente questo lo sa! Come si fa a lanciare un appello all’unità quando è un governo assassino che convoca? Siamo in una situazione davvero molto polemica in cui vedo una società che ama il proprio Paese, in cui amiamo il nostro Paese, il Messico, ma sappiamo che il governo che abbiamo sarà capace di qualunque cosa affinché Trump non decida rappresaglie legale contro vari funzionari pubblici, per esempio adesso che El Chapo Guzmán è stato estradato negli Stati Uniti… Molti, incluso il presidente, devono essere preoccupati, anche se lui stesso ha accettato l’estradizione pensando che così sarebbe entrato nelle grazie di Trump. Ebbene oggi, osservando l’attitudine di Trump, mi pare che tutti debbano preoccuparsi perché il signor Joaquín Guzmán Loera possiede molta informazione non solo sui periodi presidenziali precedenti ma anche su quello in corso in cui, ricordiamo, è stata possibile la sua seconda fuga di prigione a metà 2015…

padres ayotziCome pensi che possa evolvere l’organizzazione de “El Chapo” in Messico adesso? Potrà realmente il boss stipulare dei patti con la giustizia statunitense? Molti dicono che non ha più molte carte in mano o che comunque non riuscirà mai a uscire di galera con tutti capi di accusa che gli hanno dato.

E’ una domanda complessa a ampia, ma bisogna premettere che la fine de El Chapo è iniziata nel gennaio 2016, quando è stato ricatturato. La sua fine era già quindi determinata prima dell’estradizione del 19 gennaio scorso. Non era già più il capo del cartello di Sinaloa, quando viene estradato, e non aveva più nessun potere, era totalmente debilitato da una guerra interna. Ora negli USA lui sa che la sussistenza, la sopravvivenza della sua famiglia dipende soprattutto da lui e da quello che pensa di negoziare col governo americano. So che il governo statunitense lo vede come un’arma importante contro il governo messicano. L’aspettativa è che, sebbene non gli possano offrire una condanna minore e, per quanto ho capito e per le informazioni in mio possesso, gli daranno l’ergastolo, comunque ci sono altre cose da negoziare con lui come i soldi, la protezione per la sua famiglia, eccetera. Dunque in cambio di diversi benefici che il governo USA sarebbe disposto a concedergli, tra i quali non ci sarebbe una sentenza leggera ma benefici di indole economica e di altro tipo, loro si aspettano che El Chapo Guzmán cominci a denunciare i suoi principali protettori nel governo, in questo e nei periodi passati. E’ l’informazione che ho. Nel fascicolo criminale aperto contro di lui presso la corte federale del distretto est di New York, in cui sarà giudicato, si riconosce che nell’ultimo decennio il boss è diventato il narcotrafficante più potente del mondo grazie all’aiuto di funzionari dei livelli più alti del governo messicano che, durante questa presunta “guerra al narcotraffico”, hanno combattuto di più i suoi nemici per rafforzare il cartello di Sinaloa e consegnarli le plazas.

Tornando al caso Ayotzinapa. Nella presentazione del libro La verdadera noche de Iguala alla FIL-Fiera Internazionale del Libro di Guadalajara, nel dicembre 2016, hai parlato del caso di un militare del 27esimo battaglione a Iguala che stavi per intervistare, ma poi non è stato possibile perché la persona che faceva da tramite è stata assassinata. Stai ancora investigando sul caso?

Continuo a indagare sul caso e su quale sia la situazione legale dei detenuti che sono stati torturati. Anche la ONU e la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) stanno investigando su questo. So che ci sono già state le liberazioni di alcuni reclusi. Mi aspetto che ce ne possano essere altre e di certo continuo a investigare su quale sia stato il destino finale degli studenti che è una questione ancora irrisolta. Per quanto riguarda il militare m’interessava parlare con lui perché mi aveva fatto arrivare una comunicazione secondo cui alcuni dei 43 studenti erano stati portati nella caserma del 27esimo battaglione nella notte del 26 settembre 2014. Non segnalo questo nel mio libro, non ne parlo, perché non ho avuto l’opportunità di parlare direttamente con il militare visto che la mia fonte che faceva da tramite è stata assassinata e, ora che ho provato a stabilire di nuovo qualche tipo di contatto con il militare, mi hanno informato che risulta desaparecido…

ayotzi 43 ya bastaChe messaggio vorresti far passare ai lettori in Europa?

Mi sembra che la comunità internazionale sia stata abbastanza debole col governo del Messico riguardo questo caso dei 43 studenti. Mi pare che la stessa Unione Europea e il governo statunitense vincolino il governo messicano all’adempimento di norme minime sul rispetto dei diritti umani per poter fare affari col Messico. Ciononostante il Messico nemmeno rispetta questi standard minimi sui diritti umani. USA ed Europa continuano a fare affari col Paese con un pragmatismo criminale.

Mi pare che la comunità internazionale deve iniziare a vedere il Messico con occhi più disincantati e a comprendere che è una polveriera. La comunità internazionale, magari, si sta fregando le mani, pensando agli investimenti e ai guadagni multimilionari che può ottenere in un paese come il Messico, soprattutto adesso che c’è stata la riforma petrolifera, per cui chiunque può investire ed estrarre petrolio nel Paese, ed è cambiata anche la normativa sul settore energico. Mi sembra che la comunità internazionale non capisce che il Messico è una polveriera in cui i suoi capitali e gli investimenti possono esplodere insieme al resto del Paese.


[*] Il titolo del libro in spagnolo è Los señores del narco. Lo sottolineo perché nella traduzione italiana si perde un contenuto importante: i “signori del narcotraffico” del titolo originale non sono solo i trafficanti di droga e i boss ma anche, e soprattutto, i “signori” del mondo politico che li proteggono o fanno affari con loro ed anche i riciclatori di denaro sporco che permettono al business di “ripulirsi” e proliferare. Migliore è il titolo della versione americana: Narcoland: the mexican drug lords and their godfathers (La terra dei narcos: i baroni messicani della droga e i loro padrini).

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Ayotzinapa, Iguala e i Sentieri dell’Eroina Messicana https://www.carmillaonline.com/2015/12/31/ayotzinapa-iguala-e-i-sentieri-delleroina-messicana/ Thu, 31 Dec 2015 19:00:52 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27620 di Fabrizio Lorusso

Messico ayotzi striscio blanco y negroA oltre 15 mesi dalla mattanza di sei persone e la sparizione forzata di 43 studenti ad Iguala, le vittime di quel crimine di stato e gli altri 26.000 desaparecidos del Messico continuano a chiedere giustizia. Insieme a migliaia di persone “mancanti” la grande assente è la verità, o almeno la ricerca di versioni plausibili sulla drammatica notte della strage di Iguala in cui, conviene ricordarlo, non solo furono fatti sparire brutalmente i normalisti di Ayotzinapa, ma vi furono anche sei morti, [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Messico ayotzi striscio blanco y negroA oltre 15 mesi dalla mattanza di sei persone e la sparizione forzata di 43 studenti ad Iguala, le vittime di quel crimine di stato e gli altri 26.000 desaparecidos del Messico continuano a chiedere giustizia. Insieme a migliaia di persone “mancanti” la grande assente è la verità, o almeno la ricerca di versioni plausibili sulla drammatica notte della strage di Iguala in cui, conviene ricordarlo, non solo furono fatti sparire brutalmente i normalisti di Ayotzinapa, ma vi furono anche sei morti, tre studenti e altre tre persone uccise in esecuzioni extragiudiziali, più di 40 feriti e 80 vittime di attentati. A Iguala, località di centomila abitanti al centro dello stato meridionale del Guerrero e, ugualmente, crocevia di fiorenti e disputati traffici di stupefacenti, vi fu una vera e propria operazione militare e repressiva, sviluppatasi in nove attacchi e scenari diversi. Orchestrata dalle autorità locali, confuse e colluse con bande di narcotrafficanti, l’azione è stata realizzata tra le ore 21 e mezzanotte e mezza ed è stata “tollerata”, se non proprio supportata, pure dalla polizia federale e dall’esercito.

Ogni 26 del mese per i +43

Messico ayotzi antorchasSabato 26 dicembre 2015, quattro del pomeriggio, ora di Città del Messico. Un migliaio di persone manifesta per le strade della capitale messicana, semivuote per la pausa natalizia, accompagnando in un “pellegrinaggio politico” e simbolico i genitori dei 43 studenti della scuola normale di Ayotzinapa, sequestrati dalla polizia di Iguala e scomparsi nella notte del 26 settembre 2014. Il corteo, con alla testa 43 torce accese a illuminare le fotografie dei ragazzi, è partito dal centro storico e s’è concluso presso la Basilica della Madonna di Guadalupe, l’icona religiosa messicana per eccellenza. La domanda incessante di ritrovare in vita gli studenti, ribadita negli ultimi 15 mesi puntualmente ogni giorno 26 per le strade e le piazze di mezzo di mondo da organizzazioni, attivisti, collettivi e persone solidali con la causa dei desaparecidos messicani, è stata dunque portata anche nel centro cerimoniale cattolico più importante del Paese. Un altro Natale, il secondo, senza i ragazzi della Escuela Normal Rural “Raul Isidro Burgos” ma con la speranza pertinace di ritrovarli. E di ritrovare anche gli altri 26mila desaparecidos, da cifre ufficiali, che invece sono oltre 30mila secondo numerose Ong. Non si dimentica, quindi, che i 43 sono, in realtà, molti di più, sono +43. Il grido e la rivendicazione di ¡Justicia! si moltiplicano.

Vidulfo Rosales, avvocato del Centro dei Diritti Umani della Montagna Tlachinollan y delle famiglie dei giovani, ha sottolineato la volontà di non mollare del movimento che li sostiene, legittimato altresì dall’operato del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (GIEI della CIDH). Il GIEI in settembre ha reso pubblici i risultati dei suoi primi sei mesi di investigazioni, che hanno smontato la “verità storica” della procura messicana con cui si pretendeva di chiudere il “caso Iguala-Ayotzinapa”, e in aprile concluderà le sue indagini. In dicembre il gruppo ha anche confermato, in base a immagini satellitari, l’inesistenza di un incendio nella discarica di Cocula la notte del 26-27 settembre, cioè quando secondo la Procura alcuni membri della delinquenza organizzata locale avrebbero incenerito i corpi degli studenti per tutta la notte e la mattina seguente.

Esercito impermeabile

Messico 43Anche se ripetutamente il governo e le forze armate hanno negato alla stampa, agli inquirenti e, in seguito, agli esperti internazionali l’accesso alle strutture castrensi e gli hanno impedito d’intervistare i militari del 27esimo battaglione di stanza a Iguala, che sono stati presenti in varie fasi della persecuzione contro gli studenti e sono stati più volte segnalati come possibili responsabili o corresponsabili di sparizioni forzate, sono sincere e forti le aspettative riguardanti il lavoro del GIEI che sta provando a dare almeno qualche certezza ai genitori e ad aprire nuove piste, volutamente escluse da governo e procura.

In questo senso le attese per i prossimi mesi sono positive, la speranza di sapere e di trovare vivi i ragazzi resiste. “Non è un atto religioso ma politico”, ha dichiarato Felipe de la Cruz, portavoce dei genitori, parlando della marcia alla Basilica e, in riferimento a questo “periodo festivo”, ha specificato che “non ci sono giorni di pace o di felicità, ma si tratta di giorni in cui non si riposa, non si dimentica che ci sono vittime di sparizione forzata”.

Ad oggi la linea d’investigazione tracciata dall’ex procuratore Jesús Murillo Karam in base a testimonianze di alcuni detenuti estratte con la tortura, la quale centrava l’attenzione sulla discarica del comune di Cocula, sulle polizie municipali e sui narcos del gruppo Guerreros Unidos, non è più quella fondamentale e si sta ampliando il novero delle persone, dei politici e delle autorità a vari livelli che sarebbero potenzialmente coinvolti. La famigerata SEIDO (Subprocuraduría Especializada en Investigación de Delincuencia Organizada) è stata estromessa dalle indagini che sono passate nelle mani di Eber Omar Betanzos, sottosegretario ai diritti umani della Procura Generale della Repubblica (PGR), organo presieduto da Arely Gómez.

Messico ayotzi esercitoIl giornalismo di ricerca messicano, nonostante i rischi, non ha smesso di scavare. Il reportage di Anabel Hernández e Steve Fisher “Inoccultabile la partecipazione dell’esercito” (Rivista Proceso n. 2027) e l’analisi di Gloria Leticia Díaz “La verità di Iguala, tappata con un mantello verde oliva” (Proceso 2040), per esempio, confermano partecipazioni, testimonianze e versioni che legano tra loro le differenti azioni dell’esercito durante “la notte di Iguala” ed evidenziano nettamente i tentativi della PGR di occultare e coprire la presenza, la vigilanza, l’omissione dei soccorsi e le attività repressive dei militari contro gli studenti di Ayotzinapa. Infatti, le testimonianze rese dai 36 ufficiali e soldati del 27esimo battaglione alla procura il 3 e 4 dicembre 2014, ben 67 e 68 giorni dopo i fatti, sono di per sé infestate da imperfezioni tecniche e contraddizioni contenutistiche e rivelano un quadro fosco, cioè indagini intenzionalmente confuse e un ruolo dell’esercito ancora tutto da chiarire. Ed è la necessità di fare chiarezza sul ruolo delle forze armate una delle principali richieste del GIEI che probabilmente non verrà mai esaudita, creando un vuoto inaccettabile nelle investigazioni e nella ricostruzione dell’accaduto.

L’insostenibile nefandezza di Milenio

Portada-Milenio-9-de-noviembre-de-2015Effettivamente grazie a una protesta che non s’è mai fermata, ma che anzi s’è estesa a macchia d’olio globalmente, e alla forza di volontà dei genitori dei 43 il movimento per la giustizia e la verità sul caso Ayotzinapa è riuscito a scardinare la falsa verità offerta dagli inquirenti e far aprire nuove linee di ricerca, portate avanti da tecnici e personale differenti, e a mantenere comunque alto il livello d’attenzione dei mass media.

Un’attenzione che, se da una parte s’è mostrata sensibile alle istanze dei genitori e dei movimenti sociali, soprattutto mediante la copertura di media alternativi e indipendenti nazionali (Desinformémonos, Revolución 3.0, Agencia Subversiones, solo per citare i più noti) e stranieri, così come di alcuni importanti portali web e riviste cartacee (SinEmbargo, Aristegui Noticias, La Jornada, Revista Variopinto, Proceso, tra i più seguiti), dall’altra ha condotto una campagna di discredito e menzogne, capeggiata dal quotidiano Milenio, contro i genitori dei 43 e i loro figli sequestrati dallo stato, contro i portavoce del movimento e della scuola rurale di Ayotzinapa, come Omar García, e infine contro tutte le forme di dissidenza sociale e protesta attive del paese, in particolare quelle dei docenti della CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educación) in lotta contra la riforma educativa implementata dall’esecutivo di Peña Nieto nell’ambito delle sue “riforme strutturali” neoliberiste (link a reportage di Radio Onda d’Urto sulla campagna diffamatoria di Milenio contro Omar García).

la razonIn un paese che è al 152esimo posto, su 180 paesi, della Classifica Mondiale della Libertà di stampa realizzata da Reporter senza frontiere (RSF) e in cui l’89% dei crimini contro i giornalisti rimane impunita (vedi buona sintesi sulla repressione della libertà di stampa e i movimenti in Messico 2015 QUI LINK), la battaglia mediatica non è mai ad armi pari, visto che i professionisti della comunicazione, i blogger e anche semplici cittadini che usano le reti sociali vivono molteplici attacchi: osteggiati o comunque non tutelati dalle autorità, imbavagliati da leggi liberticide in materia di diritto di manifestazione e d’espressione, sono preda di cacicchi locali e bande della criminalità organizzata oltreché di un clima di violenza e della malafede di gran parte dei media mainstream, duopolio televisivo (Tv Azteca e TeleVisa) in testa.

Annata violenta

La minaccia della violenza risulta ancora più concreta in una società dal tessuto istituzionale sfaldato, minata alla base nei suoi gangli di resistenza e creatività comunitaria e sociale, violentata da un modello economico escludente e da megaprogetti estrattivi irrispettosi di culture e popolazioni. Un Messico che da una parte firma l’accordo segreto TPP (Trans Pacific Partnership) per non perdere “l’aggancio” col socio statunitense, egemone decadente, e dall’altro non può fermare l’emorragia dei desaparecidos e dei morti, con le migliaia di casi irrisolti, visto il tasso d’impunità dei reati del 97%. mapa_GuerreroInfine, come confermano i dati per i primi 11 mesi del 2015, nuovamente si registra un aumento nel numero di omicidi dolosi dopo due anni di discesa (2013-2014) e i picchi (insuperabili?) dell’epoca del presidente Felipe Calderón (2006-2012, col 2011 anno più violento in assoluto: 27.199 omicidi): i dati parlano di 17.055 omicidi contro i 15.907 nello stesso periodo del 2014, per cui per ora l’incremento registrato è del 7% e probabilmente le cifre definitive supereranno i 18.000 assassinii in un anno. La narcoguerra non è affatto finita, il sangue continua a scorrere a sud mentre le correnti di narco-capitali, di armi, di migranti, di schiavi e di droghe illegali fluiscono a nord. Gli stati messicani più violenti, che spiegano il 23% del totale nazionale, sono l’Estado de México, regione che circonda la capitale, e il Guerrero.

Nell’ottobre scorso lo stesso governo statunitense ha dovuto in qualche modo riconoscere come ormai i fondi che stanzia ogni anno per la guerra alle droghe in Messico finiscano nella mani di forze armate e di polizia inaffidabili, che sistematicamente sono al centro di scandali per violazioni ai diritti umani, o in quelle della delinquenza organizzata, provocando di fatto un’inondazione di armi nel paese. Il segnale più chiaro è che per la prima volta dall’inizio del programma di “aiuti” noto come Iniziativa Merida nel 2008, infatti, il Dipartimento di Stato ha deciso di decurtare di 5 milioni di dollari sui 148 previsti per il 2016.

Messico stricione grande ayotzinapa-25-s-2015-mexico-city-203-smallE’ un goccia nell’oceano, considerando pure che dall’inizio dell’operazione il congresso USA ha stanziato qualcosa come 2300 milioni di dollari, ma è pur sempre un segnale. 1300 milioni di queste erogazioni sono andate a finanziare l’acquisto di equipaggiamento bellico da imprese nordamericane e per corsi di formazione. “C’è gente nel governo USA che sa che tutto questo è una farsa e che non può continuare a dare soldi al Messico come se niente fosse successo, sanno che col loro silenzio, col loro sostegno finanziario e militare, con la loro vendita di armi e formazione, forniscono appoggi morali e politici affinché i militari e i poliziotti continuino a violare i diritti umani senza paura d’essere giudicati, per questo hanno preso questa decisione di tagliare i fondi”, ha precisato alla rivista Proceso Arturo Viscarra, coordinatore di SOA Watch, Ong statunitense che da anni lotta per la chiusura della School of the Americas (SOA), storica fucina di dittatori e militari latinoamericani.

L’eroina di Iguala e il mercato mondiale

Messico planta amapolaNel novembre 2015 è uscito nelle librerie messicane il libro Dai la colpa all’eroina: da Iguala a Chicago, inchiesta di un vecchio lupo di mare del giornalismo messicano, José “Pepe” Reveles, già autore de Il cartello scomodo (2010), Sequestri, narcofosse e falsi positivi (2011) e Il Chapo: consegna e tradimento (2014), tra gli altri. La tesi centrale del volume è che i veri responsabili della sparizione dei 43 normalisti di Ayotzinapa sono fondamentalmente i tre presidenti della repubblica che dal 2000 ad oggi sono stati al potere: Vicente Fox, del conservatore PAN (Partido Acción Nacional), tra il 2000 e il 2006, Felipe Calderón, anche lui del PAN, tra il 2006 e il 2012, e infine Enrique Peña Nieto, del PRI (Partido Revolucionario Institucional, partito egemonico di regime per 71 anni nel Novecento).

Sono loro i primi responsabili di non avere attuato una politica antidroga “decisa e sovrana” che non sottostesse ai diktat degli Stati Uniti, il maggiore mercato di consumo mondiale di beni e servizi leciti e illeciti. Tra questi, naturalmente, ci sono anche le droghe per circa 20 milioni di consumatori statunitensi per cui il Messico è (storicamente, come da mappa del 1993…) un gran produttore: la marijuana, l’oppio e i suoi derivati, tra cui morfina ed eroina, e le metanfetamine provenienti dai numerosi laboratori sparsi sul suo territorio. Messico 1993 Amapola MarijuanaMa in terra azteca, ormai da più di due decenni, sono smistati pure i principali flussi di cocaina, bianco petrolio importato da Colombia, Bolivia e Perù e gestito dalle mafie messicane su scala globale.

Negli ultimi 3-4 anni il cartello di Sinaloa, mafia leader del mercato in Messico e negli USA, ha spinto l’offerta di eroina, stupefacente inalato e non solo iniettato, diversificando il prodotto: dalla vecchia black o brown tar, eroina di colore marrone, ottenuta più rapidamente e di minor qualità, in cui erano specializzati i messicani tradizionalmente, è stato fatto il salto nel redditizio mercato della white tar, la bianca, che era dominato dai colombiani. Inoltre dal Sud e dalla west coast, regno della black, Sinaloa s’è spostata verso la east coast, più desiderosa di white tar.

Messico amapola 2Sostiene l’autore, a ragione, che la “guerra alle droghe” ha contribuito a un gran risultato, facendo sì che il Messico diventasse il secondo produttore mondiale di eroina, secondo solo all’Afghanistan e seguito dagli antichi leader, i paesi del “triangolo asiatico” o “dorato”, ossia Myanmar (Birmania), Laos e Tailandia, e la Colombia. Come è stato possibile? Le cause sono sicuramente varie, ma Reveles ne indica una sostanziale che contrasta fortemente con la retorica ufficiale. Alla fine del sessennio presidenziale di Vicente Fox l’esecutivo decide d’interrompere le fumigazioni dal cielo con erbicidi le piantagioni di cannabis e adormidera (papavero da oppio).

Dal “triangolo dorato” al “pentagono dell’oppio” del Guerrero

Il 28 novembre 2006, due settimane prima che Calderón annunciasse la prima offensiva militare della narcoguerra nel suo natale Michoacán il presidente Fox, nel terzultimo giorno del suo mandato, firma un decreto per sospendere i programmi d’estirpazione via area della coltivazioni. Messico Guerrero mapa pentagono de la amapolaNei sei anni successivi il Messico incrementa di quattro-cinque volte il suo output di oppiacei e di due volte quello di marijuana. Intanto anche i morti ammazzati crescono: sono più di 150.000, i due terzi dei quali legati alla narcoguerra. Ancora oggi l’esercito provvede a estirpare manualmente le coltivazioni illecite, ma il ritmo di crescita delle stesse è molto maggiore. Inoltre in questi anni i governi messicani hanno presentato cifre adulterate e contrastanti con quelle di organismi internazionali sulle superfici seminate a papavero realmente “ripulite”.

Il Guerrero, oltre ad essere culla di movimenti popolari e guerriglieri, è un territorio fortemente militarizzato per lo meno dagli anni settanta, epoca della guerra sporca (guerra sucia) e delle prime desapariciones, intese come metodica politica di stato e dirette contro ogni tentativo di organizzazione dal basso o di dissidenza rispetto al regime priista (=del PRI).

Sempre agli ultimi posti negli indici di sviluppo nonostante i suoi ricchi giacimenti auriferi e la proliferazione di località turistiche, la regione si trova al centro dei traffici internazionali della sostanza su cui i cartelli messicani stanno puntando per rimpiazzare nel mercato USA la coca, ormai in stasi, e la marijuana, sempre più legalizzata (per esempio in Oregon, Alaska, Washington e Colorado anche per fini “ricreativi”) e sottratta progressivamente al controllo mafioso. Acapulco, Chilpancingo, Taxco e Iguala sono hub dell’eroina e della marijuana. Le piantagioni di papavero da oppio fioriscono sulla sierra e nella tierra caliente per confluire verso i punti strategici del cosiddetto “pentagono dell’oppio”.

Il potere del cane

black_tar_heroinIl vero potere risiede storicamente nelle forze armate che, quarant’anni dopo l’inizio della lotta ai movimenti guerriglieri e a un quarto di secolo dalla fine della Guerra Fredda, contesto “macro” e geopolitico in cui s’iscrivevano le sue funzioni di controllo sociale a livello “micro” e nazionale, sono gli arbitri dei giochi e dei flussi nel Guerrero. La linea immaginaria del pentagono dell’oppio segue il tracciato delle strade federali della regione, ma corrisponde altresì alle basi militari: in senso orario troviamo le caserme di Iguala, Chilpancingo, Acapulco, Pie de la Cuesta, Atoyac, Petatlán, Pungarabato e, la più vicina a Iguala, Telolopan. Il pentagono dà origine al 42% degli oppiacei prodotti nel paese, occupa circa il 40% del territorio del Guerrero e si estende dalla costa alla sierra, collegando le turistiche Zihuatanejo e Acapulco, e poi in direzione nord-est ha tre vertici: la capitale Chilpancingo, Iguala e Tlapehuala. La frontiera è delimitata dalle strade federali e dalle basi militari. Al suo interno, ma anche oltre i suoi confini, verso Cuernavaca, Oaxaca, il Michoacán e l’Estado de México, la semina del papavero, l’ingovernabilità e lo scannatoio tra gruppi criminali proseguono indisturbati.

white tarLa repressione sociale, compresa l’escalation degli attacchi contro i giornalisti, gli ambientalisti e gli attivisti in generale, è legata a doppio filo, da un lato, alla strategia statale di controllo del territorio, che passa dalla militarizzazione, dalla desaparición forzada, dalla fabbrica dei colpevoli, dall’omicidio politico e dalla delega di poteri sostanziali a forze armate protette e intoccabili, e, dall’altro, alla gestione di patti politici, connivenze giudiziarie e ripartizioni dei benefici di un’economia criminale che, per quanto riguarda l’eroina, genera su scala nazionale guadagni stimati intorno a 17 miliardi di dollari. In questo quadro vanno considerati e collocati anche altri importanti fattori quali lo sfruttamento delle risorse minerarie, la presenza di imprese multinazionali, di agguerriti movimenti organizzati, come quelli dei docenti e delle stesse scuole normali, e di gruppi armati di autodifesa (per esempio le CRAC, ma non solo) e guerriglieri, come l’ERPI e l’EPR.

Il “cartello” e il quinto autobus

narco attivita' messicoL’inferno di Iguala in cui sono incappati gli studenti di Ayotzinapa è dunque l’inferno del traffico di eroina e marijuana, tollerato e cogestito da apparati dello stato e della sicurezza nazionale in combutta con partiti politici e amministratori locali controllati dai narcos o parte essi stessi delle cupole criminali. Gli inferi del narco-stato non si circoscrivono al pentagono oppiaceo del Guerrero, ma riguardano almeno la metà dei comuni messicani dal Sinaloa al Tamaulipas e al Chiapas, dal Michoacán e dal Oaxaca al Durango, Sonora e Chihuahua. Il tour geografico della decomposizione potrebbe continuare. Mi limito a menzionare gli stati dove il fenomeno è tradizionalmente molto radicato, per lo meno dall’epoca dei primi gomeros, coltivatori di oppio, che durante la Seconda Guerra Mondiale hanno sperimentato uno dei primi boom della morfina, sostanza utilizzata per soddisfare i bisogni narcotici e antidolorifici della macchina bellica statunitense.

señores del narcoSecondo lo scrittore americano Don Winslow, autore di magistrali romanzi sui narcos messicani come Il cartello (2015) e Il potere del cane (2005), il potere del cane rappresenta la capacità d’oppressione dei pochi sui tanti, mentre il cartello significa molto di più che un gruppo di produttori associati o un’organizzazione criminale per il commercio della droga. Il cartello è un sistema d’oppressione sofisticato e articolato che comprende tanto i gruppi della delinquenza organizzata quanto gli apparati dello stato collusi e gli istituti finanziari, tanto la manovalanza criminale quanto funzionari e politici corrotti. Gli anelli della catena del cartello si diramano fino ad includere al suo interno frammenti di tutto il sistema economico, sociale e politico. La tesi di un altro grande libro, l’inchiesta di Anabel Hernández “I signori del narco”, coincide con quella di Winslow, ma assume forza e veridicità in quanto elaborata da una giornalista tra le più rispettate in Messico: i signori del narcotraffico, infatti, non sono solo i boss ma anche (e sprottutto) i politici che li supportano, come per esempio uno dei “protagonisti” del libro, l’ex ministro della pubblica sicurezza di Calderón, Génaro García Luna.

“Tanto i conducenti dei bus come i poliziotti della Federale, gli agenti locali e lo stesso esercito ne erano informati. In altri modi non è possibile praticare nel paese il traffico di droghe”, conferma Pepe Reveles nel suo libro parlando di uno degli autobus, il famigerato “quinto bus”, sequestrato dagli studenti di Ayotzinapa la notte del 26 settembre a Iguala. corrupcion-en-mexicoDi cosa erano informate le autorità? Cosa invece non sapevano i ragazzi? Che quel pullman, di proprietà della compagnia Costa Line o della Estrella Roja del Sur, era molto probabilmente carico di eroina. Milioni di dollari rischiavano di sfumare, ma soprattutto si sarebbero accesi i riflettori sul cartello narco-politico-militare del Guerrero.

Anche il gruppo di esperti della corte interamericana ha messo in evidenza il caso di questo bus che, invece, era stato “trascurato” dalla procura e dalla sua “versione storica” dei fatti. All’interno della massa enorme di fascicoli sulla notte di Iguala le ricerche di giornalisti e periti hanno trovato la pista di quel quinto bus, occupato da 14 normalisti la notte del 26, e dell’eroina. I consumatori statunitensi di questa droga, oggi fornita al 90% dai trafficanti messicani, si sono duplicati tra il 2007 e il 2012. La metà delle esportazioni passa da Iguala e il sistema di trasporto preferito è quello terrestre che sfrutta le compagnie di linea. Il business dell’eroina è privato ma con partecipazione statale e nessuna delle parti vuole che venga scoperto, né che aumentino gli sguardi indiscreti o i testimoni. Perciò, quando le spie dei Guerreros Unidos e della polizia a Iguala hanno lanciato l’allarme, è partito l’ordine di fermare gli studenti “in qualunque modo”.

represionDa decenni insegnanti, giornalisti e studenti, specialmente quelli delle scuole normali e di Ayotzinapa, sono una spina nel fianco per “il cartello”. Sono attivisti sociali, militanti politici o comunicatori che possono mettere in pericolo gli affari della regione, siano essi legati agli stupefacenti o allo sfruttamento delle risorse naturali. Anche per questo sono osservati, infiltrati, minacciati e vigilati. Nel 2011 la polizia uccise con nonchalance due manifestanti della scuola R. Isidro Burgos sull’autostrada del sole, la Città del Messico-Acapulco. Il 26 settembre 2014 il Centro di Controllo, Comando e Computo (C4) li teneva d’occhio dal pomeriggio e ne ha seguito le mosse fino all’epilogo della mattanza e della persecuzione notturna. Per anni le autorità e la popolazione sapevano del saldo tremendo di vittime e desaparecidos nel pentagono dell’oppio, così come di altre zone del Messico, ma l’omertà e la connivenza avevano prevalso. La problematica del narcotraffico viene a convergere con quella della povertà e delle eterne disuguaglianzie socio-economiche, cui s’oppone la parte combattiva e più organizzata della popolazione, ben nota e segnalata alle autorità e schiacciata tra due fuochi: narcos e governo.

La scarsa volontà di risolvere questi casi è palese: per esempio per la strage di Iguala ci sono oltre 100 arrestati, in attesa di giudizio e dispersi in mezza dozzina di prigioni in tutto il paese, e il processo è spezzettato in 13 cause penali e numerosi fascicoli diversi. L’attenzione mediatica, sociale e politica s’è risvegliata anche se a fasi alterne. E resta sempre il rischio di cedere agli attacchi di chi pretende di lasciare tutto com’era prima e punta allo sfiancamento della protesta. La lotta dei genitori dei 43 e del movimento degli “altri desaparecidos”, sorto nell’ultimo anno dalle ceneri delle decine di fosse clandestine piene di resti umani nella zona intorno a Iguala per unire familiari di desaparecidos e vittime del crimine e delle autorità, è trascendente e necessaria per vincere il silenzio, l’oblio e il gattopardismo che all’improvviso, ciclicamente, finiscono per avviluppare e far dimenticare vicende, stragi, crimini di stato e traffici.

Marciume mediatico

In questo intricato e indignante contesto buona parte dei media del mainstream messicani, capeggiati dal “cartello” di Milenio e del quotidiano La Razón, anziché denunciare il contubernio delinquenziale vigente, lo sforzo delle autorità per mantenere lo status quo d’impunità e garanzia per i traffici illeciti, l’insultante e vergognosa condizione di intere regioni fuori controllo e poverissime, l’esposizione alla violenza dell’intera società e le condanne della comunità internazionale per le violazioni ai diritti umani, si dedica a creare casi fasulli e a denigrare chi protesta. Allora ecco che a Omar García vengono attribuite identità fittizie che lui avrebbe inventato o azioni spregiudicate da “cattivo maestro”. Ecco che gli “Ayotzinapos”, come vengono chiamati dispettivamente gli studenti della scuola “Isidro Burgos”, diventano i giovani boss di un narco-cartello, ecco che le bande criminali dei Rojos e degli Ardillos ora si contendono la plaza di Ayotzinapa a suon di Ak-47 (kalashnikov o cuerno de chivo), ecco che i 43 non erano degli stinchi di santo e, anzi, alcuni erano criminali e non alunni modello. Funzionari di governo e media cercano di convincere i genitori del fatto che i figli navigassero in cattive acque e poi provano a corromperli con prebende. Ed ecco poi che manifestanti si trasformano in violenti sovversivi che bloccano il traffico delle città senza motivo, i genitori delle vittime, che non accettano l’elemosina dei burocrati, sono dipinti come ignoranti e manipolati da organizzazioni e personaggi esterni. Gli insegnanti che scioperano sono degli scansafatiche, come d’altronde i maestri rurali diplomati nelle scuole normali, ed ecco infine che i giornali filogovernativi rilanciano la notizia, non verificata, per cui uno dei 43 desaparecidos era militare. E così via, senza fine e senza etica da più di 15 mesi, anche se purtroppo è un film che vediamo e rivediamo in loop da sempre e che in Messico assume tinte surreali e drammatiche, estreme, per cui vale la pena stoppare la trasmissione, finché è possibile, e scriverne.

Di seguito la video intervista (doppiata in italiano) a Omar García, realizzata al Vag61 di Bologna – Grazie a Vag e a Bologna per Ayotzinapa (video link originale). E QUI archivio completo Ayotzinapa-CarmillaOnLine.

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Nuova Mappa del Narcotraffico in Messico e negli Stati Uniti https://www.carmillaonline.com/2015/09/04/nuova-mappa-del-narcotraffico-in-messico-e-negli-stati-uniti/ Thu, 03 Sep 2015 22:00:31 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24905 di Fabrizio Lorusso

Movimiento alterado Revolución NarcoCultura NarcocorridosPeriodicamente l’agenzia antidroga americana DEA (Drug Enforcement Administration) traccia la mappa del narcotraffico negli Stati Uniti e in Messico e, in base al lavoro d’intelligence dei suoi uffici distaccati sul territorio, pubblica una relazione sull’evoluzione dei cartelli messicani in America del Nord. Colori e macchie, città conquistate e perse, confini e nomi ormai noti della criminalità organizzata locale e globale non hanno nemmeno bisogno di una legenda per essere compresi. L’impatto visivo è immediato e così l’idea della narcoguerra che insanguina il [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Movimiento alterado Revolución NarcoCultura NarcocorridosPeriodicamente l’agenzia antidroga americana DEA (Drug Enforcement Administration) traccia la mappa del narcotraffico negli Stati Uniti e in Messico e, in base al lavoro d’intelligence dei suoi uffici distaccati sul territorio, pubblica una relazione sull’evoluzione dei cartelli messicani in America del Nord. Colori e macchie, città conquistate e perse, confini e nomi ormai noti della criminalità organizzata locale e globale non hanno nemmeno bisogno di una legenda per essere compresi. L’impatto visivo è immediato e così l’idea della narcoguerra che insanguina il continente si lega alla geopolitica. I frammenti si ricompongono sullo schermo e, restringendo lo zoom, i pixel scompaiono e la visione globale si fa nitida. La lotta militarizzata alle organizzazioni criminali, che in Messico ha mietuto oltre 130mila vittime in 8 anni e mezzo e ha provocato un aumento drammatico delle violazioni ai diritti umani, viene analizzata dalla DEA in una dimensione internazionale e geografica che, pur offrendo un quadro cognitivo generale, mette in secondo piano le vite quotidiane di milioni di persone che vivono sulla propria pelle le conseguenze della war on drugs e dell’ipocrisia di fondo che la alimenta. Sono i milioni di pixel concentrati nei vari sud del mondo: dal Latinoamerica, o “NarcoAmerica”, secondo il titolo di un interessantissimo libro di giornalismo narrativo “sulle tracce della cocaina” pubblicato da Tusquets (2015), a Gioia Tauro, dall’Afghanistan a Ciudad Juárez o i Balcani.

Mexican Cartels in Mexico DEA Map 2015 (Large)

Dal cartello alla mafia

In riferimento ad alcuni gruppi della delinquenza organizzata messicana non si parla più, o non solo ormai, di gangster, cartelli e delinquenti, di tagliagole e sicari, di gang, bande e pandillas, ma di vere e proprie mafie. Si tratta di uno stadio superiore di sviluppo dell’organizzazione criminale che acquisisce e consolida codici e strutture, regole e lealtà, discipline e logiche imprenditoriali e da clan. Una mafia sa riprodursi, organizzarsi, darsi regole. Sa anche essere anche discreta e rafforzare i suoi legami con la politica e lo stato, specialmente in Messico. E a questo modello, rinsaldato da legami tra compari e di sangue, risponde sicuramente il cartello di Sinaloa, al cui vertice restano Ismael “El Mayo” Zambada e il fuggitivo Joaquín Archibaldo Guzmán Loera, alias “El Chapo”. Ma Sinaloa, come evidenzia l’analisi della DEA, è tacchinato da altri gruppi emergenti e da vecchi rivali.

narcotraffico eroinaIl report identifica otto grandi cartelli messicani: Sinaloa, Cartello Jalisco Nueva Generación (CJNG), Beltrán-Leyva Organization (BLO), Los Zetas, Cartello del Golfo (CDG), Cartello di Juárez/La Línea (CDJ), La Familia Michoacana (LFM) e Los Caballeros Templarios (LCT). Questi ultimi due hanno perso nettamente influenza, capacità operative e coesione a livello di organizzazione, mentre il CJNG, nato da una scissione del cartello di Sinoloa nel 2010, si presenta come il gruppo in maggior crescita. Dal suo stato d’origine, il Jalisco con la sua bella capitale Guadalajara, l’organizzazione s’è espansa ai vicini Nayarit, Colima, Guerrero, Michoacán e al Veracruz. Ma non solo. Sfruttando abilmente le debolezze dei rivali e le sue alleanze ha fatto ingresso anche nel Guanajuato e nel San Luis Potosí, così come nei meridionali Oaxaca e Chiapas.

L’ascesa del Cartello Jalisco Nueva Generación e il dominio di Sinaloa

In particolare la quasi totale disintegrazione della Familia Michoacana e dei Cabelleros Templarios nel Michoacán, territorio strategico sulla costa pacifica grazie allo scalo portuario di Lázaro Cárdenas, porta d’ingresso di precursori chimici per la produzione di metanfetamine e di cocaina dalla Colombia, ha portato all’ascesa del Jalisco Nueva Generacion i cui membri sono riusciti anche a infiltrarsi nella Nuova Polizia Rurale. Questa forza di polizia è stata creata dal governo per “risolvere” il conflitto coi gruppi armati di autodifesa e incorporarli in una struttura statale. Insieme ad essi, però, anche operatori del cartello CJNG sono entrati nella polizia oltre che nei territori prima controllati dalla Familia e da LCB.

Per questo il cartello di Jalisco viene identificato come il prossimo “nemico numero uno” della DEA. Negli USA nessun gruppo criminale straniero è così ben posizionato e potente come i cartelli messicani, specialmente Sinaloa, che tramite network distributivi e tracciati consolidati, soprattutto lungo il confine sudoccidentale, gestiscono traffici policromatici: marijuana verde e bianca coca, cristalli chiari e celesti di metanfetamine e infine eroina. Proprio queste due sostanze rappresentano i business in aumento, anche grazie alla “spinta dell’offerta” in tal senso.

Mexican Cartels in USA DEA Map1 2015 (Large)

La mappe disegnate dalla DEA evidenziano la presenza delle mafie messicane in territorio statunitense nella prima metà del 2015: il predominio di Sinaloa è schiacciante ma non totale. Infatti, il cartello di Juárez, quello del mitico boss degli anni ’90 Amado Carrillo Fuentes (El señor de los cielos) mantiene la sua influenza tradizionale nel New Mexico e nel Texas sud-occidentale, mentre gli Zetas e il cartello del golfo lottano per il controllo di plazas, punti di passaggio e territori tanto in Messico, soprattutto nelle regioni del Tamaulipas e del Veracruz, come negli USA, nel Texas sudorientale e centrale. Allontanandosi dal confine messicano-statunitense solcato dal Rio Bravo, la loro capacità operativa va scemando.

Come in genere accade nell’economia legale, anche nel settore del traffico degli stupefacenti la gran fetta della torta, i guadagni più sostanziosi, finiscono nelle mani della grande, media e piccola distribuzione nel mercato USA: lo smercio città per città, quartiere per quartiere, effettuato da dealer e pusher formano il grosso delle entrate, per cui è strategico controllare i punti di transito in Messico, ma ancor di più lo sono la gestione degli snodi di frontiera e dei trasporti e la distribuzione al consumatore finale.

Sebbene abbiano perso potere e mercato, non sono assenti da numerose città americane le organizzazioni criminali messicane decadenti (come i Templarios, il cartello di Tijuana della famiglia Arellano Félix o i Beltrán Leyva, presenti a Denver e lungo la costa orientale) e quelle emergenti come il Jalisco Nueva Generación. Il cartello, sebbene non sia ancora molto presente nel mercato americano, sta guadagnando rapidamente posizioni in Messico, ottima base di partenza per la conquista degli States, per cui è visto con crescente preoccupazione dalle autorità di quel paese.

Mexican Cartels in USA DEA Map2 2015 (Large)

Narco-Storia del Cartello Jalisco Nueva Generación

Proprio riguardo a questo gruppo, alla ribalta dei media nel maggio scorso in Messico per una serie di attentati e scontri a fuoco con la polizia alla vigilia delle elezioni parlamentari, cito un estratto dal libro NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga per cercare di capirne le dinamiche e la storia:

Abigail González Valencia, alias “El Cuini”, era un boss discreto, vecchio stile. Poco presente sui media, non figurava nemmeno nella lista dei 122 obiettivi prioritari del governo, elaborata in base a fattori quali il numero di indagini aperte su un individuo, le sue reti nazionali ed estere e il suo giro d’affari. Il narcos è stato arrestato il 28 febbraio 2015 ed è stato rimpiazzato da quello che secondo la stampa, il governo messicano e il Dipartimento del Tesoro statunitense sarebbe uno dei nuovi “uomini forti” della malavita in Messico, suo cognato Nemesio Oseguera Cervantes, “El Mencho”. González Valencia operava con il “El Mencho” in qualità di capo del gruppo armato, alleato del CJNG, noto come “Los Cuinis” e attivo dagli anni Novanta all’interno del cártel del Milenio. El Cuini appartiene alla famiglia dei fratelli Valencia, vecchie glorie della narco-storia messicana che da coltivatori di avocado divennero negli anni Settanta piantatori di papaveri e marijuana.

narcotraffico messicoUno di loro fu addirittura sindaco di Aguililla, cittadina d’origine dell’intera stirpe dei Valencia. L’incipiente organizzazione divenne un potente cartello, il Milenio, sotto la guida di Armando Valencia e grazie all’alleanza coi colombiani di Medellín, all’estero, e a quelle con i fratelli Amezcua di Colima, pionieri nel commercio di droghe su disegno o sintetiche, e con Sinaloa, in patria.

Nel 2003 stabiliscono una rete per l’importazione da Hong Kong dell’efedrina, precursore chimico delle metanfetamine, in virtù dell’accordo con l’impresario sino-messicano Zhenli Ye Gong, e si legano più strettamente al Chapo Guzmán, responsabile della “divisione droghe sintetiche” del cartello del Pacifico o Federación de Sinaloa. In seguito si associano allo storico capo sinaloense Ignacio Nacho Coronel, boss indiscusso della zona del Jalisco. La mafia del Milenio si trasforma in Jalisco Nueva Generación nel 2010, dopo la morte di Coronel, e stabilisce un patto con gli scissionisti Beltrán Leyva, ormai nemici di Sinaloa. Dal 2013 ingaggia una guerra contro i Templarios del Michoacán per il controllo dello snodo portuale di Lázaro Cárdenas e conduce un’infiltrazione graduale nei gruppi armati di difesa, le autodefensas, che sorgono proprio in quell’anno e che sono confluiti nella Nueva Fuerza Rural patrocinata dal governo.

 Nel 2011 il CJNG si proietta al centro delle cronache per una serie di video in cui si presenta come una banda di “Ammazza-Zetas”, i Mata-Zetas, in lotta per ripulire Veracruz e il golfo dagli odiati Zetas. In molti hanno pensato che fosse un espediente mediatico dei narcos di Sinaloa e del loro boss, il Chapo Guzmán, per fiondarsi alla conquista dell’Oriente messicano, presentandosi come dei salvatori, ma in realtà si trattava di un gruppo autonomo, di fatto scisso da Sinaloa. Nel 2015 il Jalisco Nueva Generación ha condotto una guerra su più fronti e ha espanso la rete delle sue operazioni a sette stati del Paese. Nel sud del Michoacán ha spodestato i Templarios, mentre nella zona a nord di Guadalajara gli Zetas hanno dovuto ripiegare. Il cartello sta battagliando ancora con Sinaloa per il mercato delle metanfetamine e secondo alcuni esperti in futuro potrebbe scavalcare gli Zetas e contendere il primo posto nella classifica criminale proprio a Sinaloa e al “Mayo” Zambada.

narcotraffico mexico juarezSecondo molti osservatori l’accanimento mediatico contro il CJNG ha fatto concentrare l’attenzione su un gruppo lasciando operare più tranquillamente gli altri, specialmente il cartello di Sinaloa. Inoltre viene data poca rilevanza al gruppo dei “Los Cuinis”, presumibilmente alleati del Jalisco Nueva Generación, che la DEA non ha citato tra gli otto cartelli messicani principali, nonostante il Dipartimento del Tesoro abbia incluso affaristi e imprese ad esso legati nella sua lista nera e lo abbia etichettato come “uno dei cartelli più pericoli e violenti del paese”. Probabilmente l’Agenzia non considera Los Cuinis come un cartello indipendente: i legami di parentela dei fratelli José, attuale capo, e Abigail Gonzalez Valencia con il boss del CJNG, Nemesio Oceguera, loro cognato, e il fatto che i due gruppi abbiano sempre collaborato strettamente può avere influito sulla scelta della DEA. Prima dell’arresto Abigail era l’operatore finanziario del Jalisco Nueva Generación a Guadalajara.  Comunque nemmeno la quarantennale organizzazione cartello dei Diaz Parada o cartello di Oaxaca non è menzionata nel rapporto dell’agenzia USA.

Dopo la cattura del fratello maggiore dei Los Cuinis, secondo la Procura Generale della Repubblica messicana è il minore, José González Valencia, alias La Chepa, che ha assunto il comando e sarebbe responsabile della sicurezza di Nemesio Oceguera, El Mencho, e degli attacchi militari contro le forze della polizia del Jalisco nei mesi scorsi. I narcos avrebbero perso l’appoggio della polizia statale per cui si sarebbero rivolti contro di loro con una serie di attentati, approfittando anche della congiuntura preelettorale durante la quale ci sono sempre possibilità di nuovi accomodamenti tra criminalità organizzata e apparati statali. La Chepa González ha il sostegno di un medico di Aguililla, nel Michoacán, che è anche luogotenente del CJNG: si chiama Rogelio Guízar Camorlinga, El Doctor, e avrebbe organizzato gli scontri con le forze federali e della polizia statale del Jalisco il 9 marzo 2015, quando morirono cinque elementi della gendarmeria nazionale, due presunti delinquenti e quattro civili, e il 6 aprile, quando a San Sebastián del Oeste sono stati fatti fuori 15 poliziotti che si dirgevano a Guadalajara.

Mexican Cartels in USA DEA Map3 2015 (Large)

Michoacán, Los Zetas e l’invasione dell’eroina negli USA

La Familia Michoacana, dopo la scissione dei Caballeros Templarios nel marzo 2011 ed in seguito ad altre faide, ha dato origine a gruppi criminali come “La Empresa Nueva”, “Los Moicas” (presenti in California) e il “Cartello Indipendente del Michoacán” che oggi sono rimasugli locali di quella mafia messianica e unitaria che, per alcuni anni, ha dettato legge nel Michoacán e nelle zone limitrofe. Anche gli Zetas si sono spezzettati in cellule locali che, non potendo più gestire il business della droga a livello internazionale, si sono riconvertite ad altre tipologie criminali: sequestro di persona, estorsione, tratta di bianche, traffico di organi, prostituzione, traffico di migranti, vendita di “protezione”, riciclaggio e giros negros come l’apertura di club, casinò, discoteche e bische legali e clandestine. La figura 2 mostra quali sono le mafie predominanti in ciascun stato USA e la scurezza del colore riflette la densità della popolazione e, quindi, del mercato potenziale per gli stupefacenti, non il livello d’influenza attuale del cartello criminale.

narcotraffico amapolaNegli ultimi tre o quattro anni c’è stato un cambiamento dell’offerta, con la spinta maggiore dell’eroina, data la stasi della cocaina e del traffico illecito di marijuana come conseguenza della legalizzazione del consumo ricreativo e della produzione di questa pianta e delle sostanze derivate in Alaska, Colorado e Washington. E quindi la mappa numero 3 rappresenta graficamente i dati relativi alle morti per overdose di eroina nel 2013 del National Center for Health Statistics/Centers for Disease Control (NCHS / CDC) e la stessa DEA segnala l’invasione di questo psicotropico che ha fatto 8.257 vittime nel 2013, circa il triplo di quelle del 2010. Il consumo aumento per la spinta dell’offerta, la maggiore disponibilità a basso costo propiziata dalla politica dei cartelli messicani, specialmente di Sinaloa, e poi si registra un uso più sostenuto di numerosi pazienti che possono averla su prescrizione.

L’espansione della frontiera dell’eroina viaggia ora verso i mercati della East Coast. Storicamente, riporta il testo della DEA, “il mercato dell’eroina negli Stati Uniti è stato diviso in due lungo il fiume Mississippi, con i mercati occidentali che usavano l’eroina messicana nera (black tar) o in polvere marrone, e quelli dell’Est che usavano eroina bianca in polvere (precedentemente del Sudest e del Sudovest asiatico, poi negli ultimi vent’anni quasi solo sudamericana)”. Dunque il ruolo di intermediari dei messicani, così com’era successo per la cocaina, è diventato strategico e questi hanno altresì incrementato la produzione di eroina bianca in Messico, per cui i cartelli sono entrati con successo nel redditizio mercato degli stati medio-occidentali e del Nordest: Chicago, il New Jersey, Philadelphia e Washington e molte zone di New York sono ormai terra azteca.

Nota Finale. Sebbene i rapporti e le mappe emessi dalla DEA siano attendibili e delineino le tendenze generali, in particolare per quanto riguarda il territorio statunitense, spesso non coincidono con quelli di altre fonti come, per esempio, la PGR (Procura Generale della Repubblica) messicana. Per esempio nel giugno scorso Tomás Zerón, direttore dell’Agenzia d’Investigazione Criminale della PGR, ha dichiarato con tono trionfalista che, dopo la cattura di numerosi boss storici, le organizzazioni criminali sono così frammentate e disperse che si può affermare l’esistenza oggi di soli due cartelli veri e propri: Sinaloa e il CJNG.  Per questo molti gruppi criminali sono descritti più come “franchigie” o “cellule” che come “grandi imprese” o “reti”, etichette valide invece per le organizzazioni più grandi, solide e strutturate. Nel settembre 2014 la Procura aveva parlato, invece, di 9 cartelli (quelli segnalati dalla DEA più il “cartello del Pacifico” nella zona di Acapulco) e 43 gang o fazioni derivate o legate ad essi. Sono informazioni, nomi e mappe criminali che cambiano con frequenza, tanto nella realtà come nelle narrazioni e indagini della stessa Procura per cui van prese con le pinze. Per i funzionari pubblici e la PGR è comunque gioco forza presentare progressi nella narcoguerra intrapresa dal governo e quindi la tendenza è quella di mostrare la frammentazione di alcuni cartelli come un passo avanti nella lotta al narcotraffico anche se la violenza non diminuisce ed anzi aumentano delitti gravissimi, in cui apparati dello stato sono complici, come le desapariciones (sparizioni) forzate e i sequestri di persone.

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NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei Cartelli della Droga https://www.carmillaonline.com/2015/06/03/narcoguerra-cronache-dal-messico-dei-cartelli-della-droga/ Tue, 02 Jun 2015 22:46:51 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23057 di Pino Cacucci

Copertina NarcoGuerra Fronte (Small)[Prologo del libro di Fabrizio Lorusso, NarcoGuerra. cronache del Messico dei cartelli della droga, Odoya, Bologna, 2015, pp. 416, € 20 (€ 15 Sito Web Odoya)]

Secondo un vecchio detto che i messicani amano ripetere, “como México no hay dos”. Per molti versi è vero, che il Messico è unico e irripetibile. Ma la realtà odierna dimostra purtroppo che il paese è anche schizofrenicamente sdoppiato: esistono due Messico. Perché qualsiasi viaggiatore, viandante o lieto turista affascinato dalla sua incommensurabile bellezza, può [...]]]> di Pino Cacucci

Copertina NarcoGuerra Fronte (Small)[Prologo del libro di Fabrizio Lorusso, NarcoGuerra. cronache del Messico dei cartelli della droga, Odoya, Bologna, 2015, pp. 416, € 20 (€ 15 Sito Web Odoya)]

Secondo un vecchio detto che i messicani amano ripetere, “como México no hay dos”. Per molti versi è vero, che il Messico è unico e irripetibile. Ma la realtà odierna dimostra purtroppo che il paese è anche schizofrenicamente sdoppiato: esistono due Messico. Perché qualsiasi viaggiatore, viandante o lieto turista affascinato dalla sua incommensurabile bellezza, può tranquillamente attraversarne migliaia di chilometri senza mai percepire un clima di violenza sanguinaria. Eppure… esiste anche l’altro Messico, quello che Fabrizio Lorusso sviscera nei suoi reportage, nei suoi approfondimenti giornalistici, nei racconti di vita quotidiana. E lo fa con esemplare giornalismo narrativo, che attualmente è l’unica fonte di informazione attendibile, non essendo schiava di una gabbia ristretta di “battute” né di censure, o meglio di autocensure, perché tutti, quando scriviamo per una certa testata, abbiamo in mente che questa ha un preciso proprietario e quindi certi limiti ce li mettiamo da soli, prima ancora che vengano imposti. Ovviamente, il giornalismo narrativo non può che trovare spazio in un libro, che poi faticherà non poco a trovare uno spazio nell’editoria. Oppure – come è il caso di alcuni di questi scritti – lo spazio se lo prendono su internet, l’universo che ci illude di essere liberi di esprimere qualsiasi opinione: peccato che, siamo sinceri, finiamo per leggerci l’un l’altro, cioè tra quanti una certa sensibilità già ce l’hanno, senza scalfire la cosiddetta “informazione di massa”, che altro non è se non disinformazione massificata.

Esiste, dunque, anche l’altro Messico, dei corpi appesi ai cavalcavia, delle teste mozzate e infilate sui pali, dell’orrore che ormai viene acriticamente ascritto ai “narcos” quando nessuno capisce più se siano effettivamente i ben armati e ben entrenados Zetas (in maggioranza ex militari di reparti speciali e mercenari centro e sudamericani con master in centri di addestramento di Usa e Israele), o se si tratti di squadroni della morte, milizie di latifondisti, regolamenti di conti d’ogni sorta, ed eliminazione spiccia di oppositori sociali.

E questa è anche la mia schizofrenia, perché…

Il Messico è dove torno ogni anno per qualche mese e dove vorrei concludere i miei giorni, e se, dopo averci vissuto per anni tanto tempo fa, continuo questo incessante andirivieni, forse è per un inconfessabile timore dell’abitudine: ovunque vivi per troppo tempo, finisci per vederne solo i difetti e non più i pregi. Io vado e vengo perché, come un vampiro, continuo a succhiarne gli aspetti migliori. Troppo comodo, lo so. Ma è così. Amo talmente il Messico, da impedirmi di trasformarlo in una consuetudine, in una routine quotidiana che ne assopirebbe le emozioni: è un po’ come con le droghe, l’assuefazione ti priva di rinnovare la sensazione inebriante della prima volta. Meglio rinnovare la crisi di astinenza – chiamiamola struggente nostalgia – che assuefarsi, svilendo quel miscuglio di energie rinnovate e sensazioni ineguagliabili che mi dà ogni volta che ci torno. Se non tornassi ma rimanessi per “sempre”, temo che l’abitudine spegnerebbe tutto.

Odoya Bandiera messicana coca proiettiliE chiarisco: la semplificazione di “pregi e difetti” è improponibile, proprio perché semplifica l’immane complessità della situazione. Difetti: non si può relegare a questo vocabolo l’orrore dei morti ammazzati. Pregi: quei milioni di messicani che in ogni istante ti dimostrano quanto siano diversi dall’orrore, con la loro sensibilità, creatività, ribellione, resistenza… dignità. La cronaca, purtroppo, privilegia gli orribili e trascura i dignitosi.

Leggendo i coraggiosi scritti di Fabrizio Lorusso (coraggiosi per il semplice e spietato fatto che lui, lì, ci vive e si espone alle eventuali conseguenze) riconosco me stesso come ero trent’anni fa: lodevole donchisciotte che, penna – o tastiera – in resta, affronta i mulini a vento dei todopoderosos di sempre, di ieri e di oggi… E in fin dei conti, oggi, mi appare come un’illusione, il tentativo di informare gli altri sulla realtà, perché la sensazione è che tutti (be’, quasi tutti) se ne freghino, della realtà. Quindi, è un’utopia. Ma cosa saremmo, senza illusioni e utopie?

Nada más que amibas. Saremmo parassiti intestinali, tanto per restare sul campo messicano. Miserabili parassiti assuefatti a una realtà ingiusta e insopportabile. È per questo, che abbiamo bisogno di illusioni e utopie. Persino dell’illusione che, scrivendo, informando, potremmo rendere meno feroce e nefasto questo mondo in cui viviamo. Che è anche l’unico che abbiamo.

Petizione del collettivo Paris-Ayotzinapa: “NO alla presenza del presidente messicano Enrique Peña Nieto alle celebrazioni del 14 luglio 2015” – LINK Firma

Prossime presentazioni a Milano: 13 giugno Libreria Les mots e 16 giugno Macao

Leggi l’introduzione del libro: QUI – Risvolto/Riassunto del libro+Bio: QUI 

Pagina NarcoGuerra: QUI – Scarica PDF Indice + Intro + Prologo del libro: QUI

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La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica https://www.carmillaonline.com/2014/10/10/la-strage-degli-studenti-in-messico-narco-stato-e-narco-politica/ Thu, 09 Oct 2014 22:00:18 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18018 di Fabrizio Lorusso

Marcha Ayotzinapa 8 oct 179 (Small)Il Messico si sta trasformando in un’immensa fossa comune. Dal dicembre 2012, mese d’inizio del periodo presidenziale di Enrique Peña Nieto, a oggi ne sono state trovate 246, a cui pochi giorni fa se ne sono aggiunte altre sei. Sono le fosse clandestine della città di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero. Tra sabato 4 ottobre e domenica 5 l’esercito, che ha cordonato la zona, ne ha estratto 28 cadaveri: irriconoscibili, bruciati, calcinati, abbandonati. E’ probabile che si tratti dei corpi [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Marcha Ayotzinapa 8 oct 179 (Small)Il Messico si sta trasformando in un’immensa fossa comune. Dal dicembre 2012, mese d’inizio del periodo presidenziale di Enrique Peña Nieto, a oggi ne sono state trovate 246, a cui pochi giorni fa se ne sono aggiunte altre sei. Sono le fosse clandestine della città di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero. Tra sabato 4 ottobre e domenica 5 l’esercito, che ha cordonato la zona, ne ha estratto 28 cadaveri: irriconoscibili, bruciati, calcinati, abbandonati. E’ probabile che si tratti dei corpi interrati di decine di studenti della scuola normale di Ayotzinapa, comune che si trova a circa 120 km da Iguala. Infatti, dal fine settimana precedente, 43 normalisti risultano ufficialmente desaparecidos. “Desaparecido” non significa semplicemente scomparso o irreperibile, significa che c’è di mezzo lo stato.

Vuol dire che l’autorità, connivente con bande criminali o gruppi paramilitari, per omissione o per partecipazione attiva, è coinvolta nel sequestro di persone e nella loro eliminazione. Niente più tracce, i desaparecidos non possono essere dichiarati ufficialmente morti, ma, di fatto, non esistono più. I familiari li cercano, chiedono giustizia alle stesse autorità che li hanno fatti sparire. Oppure si rivolgono ai mass media e a istituzioni che in Messico sono sempre più spesso una farsa, una facciata che nasconde altri interessi e altre logiche, occulte e delinquenziali. E nelle conferenze stampa, senza paura, dicono: “Non è stata la criminalità organizzata, ma lo stato messicano”.

La strage di #Iguala #Ayotzinapa

Marcha Ayotzinapa 8 oct 149 (Small)La sera di venerdì 26 settembre un gruppo di giovani alunni della scuola normale di Ayotzinapa si dirige a Iguala per botear, cioè racimolare soldi. Hanno tutti tra i 17 e i 20 anni. Vogliono raccogliere fondi per partecipare al tradizionale corteo del 2 ottobre a Città del Messico in ricordo della strage  di stato del 1968, quando l’esercito uccise oltre 300 studenti e manifestanti in Plaza Tlatelolco. I normalisti decidono di occupare tre autobus. I conducenti li lasciano fare, ci sono abituati. Sono le sette e mezza, fa buio. Fuori dall’autostazione, però, ad attenderli c’è un commando armato di poliziotti. Fanno fuoco senza preavviso. Sparano per uccidere, non solo per intimidire. Hanno l’uniforme della polizia del comune di Iguala e sono gli uomini del sindaco José Luis Abarca Velázquez e del direttore della polizia locale Felipe Flores, entrambi latitanti da più di una settimana. Ma i pistoleri poliziotti non restano soli a lungo, presto sono raggiunti da un manipolo di altri energumeni in tenuta antisommossa. Il fuoco delle armi cessa per un po’, ma l’attacco è stato brutale, indignante e irrazionale.

La persecuzione continua. Partono altri spari. Muoiono tre studenti, altri 25 restano feriti, uno in stato di morte cerebrale. Per salvarsi bisogna nascondersi, buttarsi sotto gli autobus. Non muoverti, se no gli sbirri ti seccano. Alcuni cercano di scappare, scendono dai bus, il formicaio esplode nell’oscurità. Gli uomini in divisa caricano decine di studenti sulle loro camionette e li portano via. Pare che l’esercito, la polizia federale e quella statale abbiano scelto di non intervenire. Lasciar stare.

Intanto sopraggiungono altri soggetti con armi di alto calibro, narcotrafficanti del cartello dei Guerreros Unidos, una delle tante sigle che descrivono il terrore della narcoguerra e la decomposizione del corpo sociale in molte regioni del paese. Non contenti, i poliziotti, in combutta con i narcos, si spostano fuori città, pattugliano la strada statale che collega Ayotzinapa a Iguala e fermano un pullman di una squadra di calcio locale, los avispones. Assaltano anche quello, pensando che sia il mezzo su cui gli studenti stanno facendo ritorno a casa. Bisogna sparare, bersagliare senza tregua. E ora sono in tanti, narcos e narco-poliziotti, insieme, probabilmente per ordine de “El Chucky”, un boss locale, e del sindaco Abarca.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 234 (Small)Ammazzano un calciatore degli avispones, un ragazzo di quattordici anni che si chiamava David Josué García Evangelista. I proiettili volano ovunque, sono schegge di follia e forano la carrozzeria di un taxi che, sventurato, stava passando di lì. Perdono la vita sia il conducente dell’auto sia una passeggera, la signora Blanca Montiel. Il caso, la mala suerte si fa muerte. Poche ore dopo in città compare il cadavere dello studente Julio Cesar Mondragón, martoriato. Gli hanno scorticato completamente la faccia e gli hanno tolto gli occhi, secondo l’usanza dei narcos. La macabra immagine, anche se repulsiva, diventa virale nelle reti sociali. E si diffondono globalmente anche le testimonianze dirette dell’orrore che stanno rendendo i sopravvissuti.

Le reazioni alla mattanza

Dopo il week end del massacro a Iguala i compagni della normale di Ayotzinapa e i familiari delle vittime e dei desaparecidos si organizzano, reclamano, tornano sul luogo della strage e indicono una manifestazione nazionale per l’8 ottobre a Città del Messico per chiedere le dimissioni del governatore statale, Ángel Aguirre, la “restituzione con vita” dei desaparecidos e giustizia per le vittime della mattanza.

Cresce la pressione mediatica e popolare per ottenere giustizia. Arrivano i primi arresti. 22 poliziotti al soldo delle mafie locali e 8 narcotrafficanti sono imprigionati e la Procura Generale della Repubblica comincia a occuparsi del caso. Alcuni degli arrestati confessano i crimini commessi e parlano di almeno 17 studenti rapiti e giustiziati. Indicano la posizione esatta di tre fosse clandestine in cui sarebbero stati interrati. L’esercito e la gendarmeria commissariano l’intera regione e blindano le fosse comuni che non sono tre, sono sei. La morte si moltiplica. I corpi recuperati sono 28, non 17. I desaparecidos, però, sono 43.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 020 (Small)I numeri non tornano. I familiari non si fidano, chiedono l’invio di medici forensi argentini, specialisti imparziali e qualificati. Ci vorrà tempo per avere certezze, se mai ce ne saranno. I risultati dell’esame del DNA tarderanno ad arrivare almeno due settimane. Nel frattempo, il 7 ottobre, seicento agenti delle polizie comunitarie della regione della Costa Chica, appartenenti alla UPOEG (Unione dei Popoli Organizzati dello Stato del Guerrero), hanno fatto il loro ingresso a Iguala per cercare “vivi o morti” e “casa per casa” i 43 studenti scomparsi. Altri gruppi della polizia comunitaria di Tixla, autonoma rispetto alle autorità statali, hanno scritto su twitter: “Con la nostra attività di sicurezza stiamo proteggendo la Normale di #Ayotzinapa“.

Dov’è finito il sindaco del PRD (Partido de la Revolución Democrática, di centro-sinistra) José Luis Abarca? E sua moglie, anche lei irreperibile? E cosa fa il governatore dello stato, il “progressista”, anche lui del PRD, Ángel Aguirre? Pare che lui conoscesse molto bene la situazione già da tempo. Il loro partito ha scelto di espellere il sindaco e sostenere il governatore per non perdere quote di potere in quella regione. Abarca ha chiesto 30 giorni di permesso e poi è sparito. Ora è ricercato dalla giustizia e vituperato dall’opinione pubblica nazionale. Aguirre, che non ha potuto impedire la strage né ha bloccato la concessione permesso richiesto dal sindaco prima di scappare, cerca di difendere l’indifendibile e, per ora, non presenta le sue dimissioni. Anzi, scambia abbracci e si fa la foto con Carlos Navarrete, nuovo segretario generale del PRD eletto domenica 5 ottobre.

Narco-Politica

La gravità della situazione è palese, anche perché è nota da anni e non s’è fatto nulla per denunciarla ed evitare la sua degenerazione violenta. José Luis Abarca, sindaco di Iguala al soldo dei narco-cartelli, ha un passato inquietante alle spalle, ma è riuscito comunque a diventare primo cittadino e a piazzare sua moglie, María Pineda, come capo delle politiche sociali municipali, cioè dell’ufficio del DIF (Desarrollo Integral de la Familia), e prossima candidata sindaco. Il giorno della strage la signora Pineda doveva presentare la relazione dei lavori svolti come funzionaria pubblica e, temendo un’eventuale incursione dei normalisti nell’evento, avrebbe richiesto al marito di “mettere in sicurezza” la zona.

Abarca avrebbe quindi lanciato l’operazione contro gli studenti con la collaborazione piena del capo della polizia municipale, suo cugino Felipe Flores. Costui era già noto per aver “clonato” pattuglie della polizia col fine di realizzare “lavoretti speciali” e per i suoi abusi d’autorità. La moglie del sindaco è sorella di Jorge Alberto e Mario Pineda Villa, noti anche come “El borrado” e “El MP”, due operatori del cartello dei Beltrán Leyva morti assassinati. Salomón Pineda, un altro fratello, sta con i Guerreros Unidos dal giugno 2013. In uno degli stati più poveri del Messico, Abarca e consorte prendono, tra stipendi e compensazioni, 20mila euro al mese che pesano direttamente sulle casse comunali.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 175 (Small)“Mi concederò il piacere di ammazzarti”, avrebbe detto nel 2013 il sindaco Abarca ad Arturo Hernández Cardona, della Unidad Popular di Guerrero, prima di ucciderlo, secondo quanto racconta un testimone di questo delitto per cui Abarca non è stato condannato, ma che è depositato in un fascicolo giudiziale.

Il 30 maggio 2013 otto persone scomparvero a Iguala. Erano attivisti, membri della Unidad Popular, un gruppo politico vicino al PRD. Tre di loro sono stati ritrovati, morti, in fosse comuni. La camionetta su cui viaggiavano venne rinvenuta nel deposito comunale degli autoveicoli di Iguala. Human Rights Watch, Amnesty Internacional e l’Ufficio a Washington per gli Affari Latinoamericani chiesero invano alle autorità federali di chiarire il caso, essendoci il fondato sospetto di un’implicazione delle autorità locali. Cinque attivisti sono tuttora desaparecidos.

I sicari con l’uniforme della polizia e quelli in borghese lavorano per lo stesso cartello, quello dei Guerreros Unidos che è in lotta con Los Rojos per il controllo degli accessi alla tierra caliente, la zona calda tra lo costa e la sierra in cui prosperano le coltivazioni di marijuana e fioriscono i papaveri da oppio, che qui si chiamano amapola o adormidera. Le bande rivali sono nate dalla scissione dell’organizzazione dei fratelli Beltrán Leyva, ormai agonizzante. Il 2 ottobre, mentre 50mila persone sfilavano per le strade della capitale per non far sbiadire la memoria di una strage, a Queretaro veniva arrestato l’ultimo dei fratelli latitanti, Hector Beltrán Leyva, alias “El H”, un altro figlio delle montagne dello stato del Sinaloa. “El H” era diventato un imprenditore rispettato. Originario della Corleone messicana, la famigerata Badiraguato, e antico alleato dell’ex jefe de jefes, Joaquín “El Chapo” Guzmán, che sta in prigione dal febbraio scorso, s’era costruito una reputazione rispettabile, onorata. Ma già da tempo il gruppo dei Beltrán s’era diviso in cellule cancerogene e impazzite secondo il cosiddetto effetto cucaracha: scarafaggi in fuga, un esodo di massa per non essere calpestati.

Ed eccoli qui che giustiziano studenti insieme ai poliziotti che, a loro volta, aspirano a posizioni migliori all’interno dell’organizzazione criminale, sempre più confusa con quella statale, e s’occupano della compravendita di protezione e di droga. L’eroina tira di più in questo periodo e Iguala è una porta d’accesso importante, una plaza di snodo. L’eroina bianca del Guerrero è un prodotto che non ha niente da invidiare, per qualità e purezza, a quella proveniente dall’Afghanistan. Anche per questo la regione è la più violenta del Messico da un anno e mezzo a questa parte e ha spodestato in testa alla classifica della morte altri stati in disfacimento come il Michoacan, il Tamaulipas, Sonora, il Sinaloa, Chihuahua, l’Estado de México e Veracruz.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 292 (Small)I responsabili del massacro di Iguala

I poliziotti detenuti accusano Francisco Salgado, uno dei loro capi, finito anche lui in manette, di avere ordinato loro di intercettare gli studenti fuori dalla stazione degli autobus. Invece l’ordine di sequestrarli e assassinarli sarebbe arrivato dal boss mafioso El Chucky. Chucky, come il personaggio del film horror “La bambola assassina” di Tom Holland. Il procuratore di Guerrero, Iñaki Blanco, ritiene che il principale responsabile della mattanza e della desaparición dei 43 normalisti sia il sindaco Abarca che “è venuto meno al suo dovere, oltre ad aver commesso vari illeciti”. Il procuratore parla solo di “omissioni”, promuoverà accuse per “violazioni alle garanzie della popolazione” e la revocazione della sua immunità, ma dal suo discorso non si capisce chi sarebbero tutti i responsabili né come saranno identificati e processati.

Chi ha ordinato ai (narco)poliziotti di fermare i normalisti e di sparare? Com’è possibile che il sindaco e il capo della polizia e delle forze di sicurezza locali, Felipe Flores, siano riusciti a fuggire? Perché i due, ma anche l’esercito e le forze federali, hanno lasciato gli studenti alla mercé della violenza? Perché la polizia prende ordini dai narcos e, anzi, fa parte del cartello dei Guerreros Unidos? Com’è possibile che tutto questo sia tragicamente così normale in Messico? Come mai nessuno l’ha impedito, se già da anni si era a conoscenza della situazione?

Infatti, ci sono prove del fatto che, almeno dal 2013, il governo federale e il PRD hanno chiuso entrambi gli occhi di fronte all’evidenza: José Luis Abarca e sua moglie María Pineda avevano chiari vincoli col narcotraffico e con la morte di un militante come Arturo Hernández Cardona. Ma già dal 2009, quando il presidente era Felipe Calderón, del conservatore Partido Acción Nacional (PAN), la Procura Generale della Repubblica aveva reso pubbliche la relazioni della signora Pineda e dei suoi fratelli con il cartello dei Beltrán Leyva. La polizia di Iguala era in mano ai narcos e sono tantissime le realtà locali in Messico ove predomina questa situazione.

L’esperto internazionale di sicurezza e narcotraffico, il prof. Edgardo Buscaglia, ha parlato di Peña Nieto e di Calderón come figure simili tra loro, come coordinatori del patto d’impunità e della perdita di controllo politico nazionale: “Sono cambiate le facce, ma hanno lo stesso ruolo”.  Perciò, ha segnalato l’accademico, bisogna cominciare dal presidente per trovare i responsabili. Mentre la comunità internazionale “fa come se non stesse accadendo nulla”, nel paese “il denaro zittisce le coscienze collettive” e, secondo Buscaglia, “il sistema giungerà a una crisi e ci sarà una sollevazione sociale in cui si fermerà il paese e soprattutto il sistema economico”.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 129 (Small)Le scuole normali messicane

Resta il fato che sparuti gruppi di studenti, seppur combattivi, di un’istituzione rurale non sono pericolosi trafficanti né rappresentano minacce sistemiche. Perché annichilarli? Forse la storia ci aiuta a ipotizzare delle risposte. Le scuole normali messicane, nate negli anni ’20 e impulsate dal presidente Lázaro Cárdenas negli anni ’30 come baluardi del progetto di educación socialista per il popolo e le zone rurali del paese, sono considerate oggi dalla classe politica tecnocratica come un pericoloso e anacronistico retaggio del passato. Un’appendice inutile da estirpare per entrare appieno nella globalizzazione.

Di fatto i governi neoliberali, dai presidenti Miguel de la Madrid (1982-1988) e Carlos Salinas (1988-1994) in poi, hanno costantemente attaccato e minacciato la sopravvivenza del sistema scolastico delle normali che, ciononostante, ha saputo resistere. La funzione sociale di questi centri educativi è sempre stata fondamentale perché è consistita nell’istruire le classi sociali più deboli e sfruttate, specialmente i contadini e gli abitanti delle campagne, affinché potessero difendersi dai soprusi dei latifondisti e dei politici locali, secondo un chiaro progetto politico-educativo di emancipazione e ribellione allo status quo. L’alfabetizzazione della popolazione rurale e la formazione di maestri coscienti socialmente sembra essersi trasformata in un’anomalia per tanti settori benpensanti, politici e metropolitani.

Anche per questo gli studenti delle normali, in quanto portatori di modelli di lotta e di formazione antitetici rispetto a quelli delle élite locali e nazionali e dei cacicchi della narco-agricoltura e della narco-politica, sono già stati vittime in passato della barbarie e della repressione. Nel dicembre 2011 la polizia ne uccise due proprio di Ayotzinapa durante lo sgombero di un blocco stradale e di una manifestazione. Una violenza smisurata venne impiegata dalla Polizia Federale nel 2007 per reprimere gli alunni di quella stessa cittadina che avevano bloccato il passaggio in un casello della turistica Autostrada del Sole tra Acapulco e Città del Messico. Nel 2008 i loro compagni della normale di Tiripetío, nel Michoacán, furono trattati come membri di pericolose gang e, in seguito a una giornata di proteste e scontri con la polizia, 133 di loro finirono in manette.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 008 (Small)Tradizione stragista

La criminalizzazione dei normalisti va inquadrata anche nel più esteso processo di criminalizzazione della protesta sociale che incalza con l’approvazione di misure repressive, come la “Ley Bala”, che prevede l’uso delle armi in alcuni casi nei cortei da parte della polizia, con l’inasprimento delle pene per delitti contro la proprietà privata e l’ampliamento surreale delle fattispecie legate ai reati di terrorismo e di attacco alla pace pubblica. Tutti contenitori pronti per fabbricare colpevoli e delitti fast track. Il caso di Mario González, studente attivista arrestato ingiustamente il 2 ottobre 2013 e condannato, senza prove e con un processo ridicolo, a 5 anni e 9 mesi di reclusione, sta lì a ricordarcelo.

Ma la “tradizione stragista” e di omissioni dello stato messicano è purtroppo molto più lunga e persistente. Basti ricordare alcuni nomi e alcune date, solo pochi esempi tra centinaia che si potrebbero menzionare: 2 ottobre 1968, Tlatelolco; 11 giugno 1971, “Los halcones”; anni ’70 e ‘80, guerra sucia; 1995, Aguas Blancas, Guerrero; 1997, Acteal, Chiapas; 2006, Atenco y Oaxaca; 2008 y 2014, Tlatlaya; 2010 e 2011, i due massacri di migranti a San Fernando, Tamaulipas; 2014, caracol zapatista de La Realidad, Chiapas; 2014, Iguala; 2006-2014, NarcoGuerra, 100mila morti, 27mila desaparecidos…

La OAS (Organization of American States), Human Rights Watch, la ONU, la CIDH (Corte Interamericana dei Diritti Umani) si sono unite al coro internazionale di voci critiche contro il governo messicano. La notizia delle fosse comuni e della mattanza di Iguala sta cominciando a circolare nei media di tutto il mondo e si erge a simbolo dell’inettitudine, dell’impunità e della corruzione. In pochi giorni è crollata la propaganda ufficiale che presentava un paese pacificato e sulla via dello sviluppo indefinito.

“Estamos moviendo a México”

Marcha Ayotzinapa 8 oct 225 (Small)Gli spot governativi presentano un Messico che si muove, che sta sconfiggendo i narcos e che, grazie alla panacea delle “riforme strutturali”, in primis quella energetica, ma anche quelle della scuola, del lavoro, della giustizia e delle telecomunicazioni, si starebbe avviando a entrare nel club delle nazioni che contano: una retorica, quella delle riforme necessarie e provvidenziali, che suona molto familiare anche in Europa e in Italia e che, in terra azteca, copia pedantemente quella dei presidenti degli anni ottanta e novanta, in particolare di Carlos Salinas de Gortari. Dopo la firma del NAFTA (Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord) con USA e Canada, Salinas preconizzava l’ingresso del Messico nel cosiddetto primo mondo. Invece alla fine del suo mandato nel 1994 l’insurrezione dell’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) in Chiapas, l’effetto Tequila, la svalutazione, indici di povertà insultanti e la fine dell’egemonia politica del PRI (Partido Revolucionario Institucional, al potere durante 71 anni nel Novecento) attendevano al bivio il nuovo presidente, Ernesto Zedillo (1994-2000).

Oggi Peña Nieto, anche lui del PRI, dopo aver approvato le riforme costituzionali e della legislazione secondaria in fretta e furia, cerca di vendere il paese agli investitori stranieri, mostrando al mondo come pregi gli aspetti più laceranti del sottosviluppo: precarietà e flessibilità del lavoro; salari da fame per una manodopera mediamente qualificata, non sindacalizzata e ricattabile; movimenti sociali anestetizzati; un welfare non universale, discriminante e carente; riforme educative dequalificanti per professori e alunni ma “efficientiste”; stato di diritto “flessibile”, cioè accondiscendente con i forti e spietato coi deboli.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 276 (Small)Il presidente annuncia lo sforzo del Messico per consolidare l’Alleanza del Pacifico, un’area commerciale sul modello del NAFTA per i paesi americani affacciati sull’Oceano Pacifico, e la prossima partecipazione di personale militare e civile alle “missioni di pace dell’ONU” come quella ad Haiti, la missione dei caschi blu chiamata MINUSTAH, che pochi onori e tante grane ha portato al paese caraibico e agli eserciti latinoamericani, per esempio il brasiliano, l’uruguaiano e il venezuelano, che vi partecipano attivamente.

Questa politica da “potenza regionale”, però, deve fare i conti con la cruda realtà. L’inserto Semanal del quotidiano La Jornada del 5 ottobre ha pubblicato un box con un piccolo promemoria: dal dicembre 2012 al gennaio 2014 ci sono stati 23.640 morti legati al narco-conflitto interno, 1700 esecuzioni al mese, con Guerrero che registra, da solo, un saldo di 2.457 assassinii, secondo quanto  riferisce la rivista Zeta in base all’analisi dei dati ufficiali. Nel 2011 Fidel López García, consulente dell’ONU intervistato dalla rivista Proceso (28/XI/2011), aveva parlato di un milione e seicentomila persone obbligate a lasciare la loro regione d’origine per via della guerra. Anche per questo il Messico rischia di trasformarsi in un’immensa fossa comune (e impune).

Ayo foto corteo lungoPost Scriptum. Il corteo.

“¿Por qué, por qué, por qué nos asesinan? ¡26 de septiembre, no se olvida!” (“Perché, perché, perché ci assassinano? Il 26 settembre non si dimentica”).  E’ stato il grido di oltre 60 piazze del Messico e decine in tutto il mondo nel pomeriggio dell’8 ottobre 2014.

“Gli studenti sono vittime di omicidi extragiudiziari, si sequestrano e si fanno sparire non solo studenti ma anche attivisti sociali e quelli che vanno contro il governo […] è una presa in giro verso il nostro dolore, non sappiamo perché fanno questo teatrino politico”. Così ha espresso la sua rabbia Omar García, compagno degli studenti uccisi, in conferenza stampa. L’esercito, che nei tartassanti spot governativi viene ritratto come un’istituzione integra, fatta di salvatori della patria e protettori dei più deboli, ha vessato gli studenti di Ayotzinapa che portavano con loro un compagno ferito:

“Ci hanno accusato di essere entrati in case private, gli abbiamo chiesto di aiutare uno dei nostri compagni e i militari han detto che ce l’eravamo cercata. Lo abbiamo portato noi all’ospedale generale ed è stato lì a dissanguarsi per due ore. L’esercito stava a guardare e non ci hanno aiutato”, continua Omar. “Il governo statale sapeva quello che stavamo facendo, non eravamo in attività di protesta ma accademiche ed è dagli anni ’50 che occupiamo gli autobus e la polizia se li viene riprendere, ma non deve aggredirci a mitragliate”.

Il normalista ha infine parlato del governatore Aguirre: “Il nostro governatore ha ammazzato 13 dirigenti di Guerrero e due compagni nostri nel 2011 e per nostra disgrazia questi sono rimasti nell’oblio. La Commissione Nazionale dei Diritti Umani, cha aveva emesso un monito, non ha più seguito la cosa e il caso è rimasto impune, chi ha ucciso è rimasto libero”.

Perseo Quiroz, direttore di Amnisty in Messico, ha spiegato che non serve a nulla che il presidente Peña si rammarichi pubblicamente dei fatti di Iguala perché “questi incubavano tutte le condizioni perché succedessero, non sono fatti isolati […] lo stato messicano colloca la tematica dei diritti umani in terza o quarta posizione e per questa mancanza di azioni accadono come a Iguala”.

Ayo Polizia comunitaria a AyotzinapaAnche il Dottor Mireles, leader del movimento degli autodefensas del Michoacán e incarcerato dal luglio 2014, ha mandato un messaggio dal carcere solidarizzando con i normalisti di Iguala. Il suo comunicato è importante perché sottolinea il doppio discorso e le ambiguità del governo: da una parte la connivenza narcos-autorità-polizia è la chiave di un massacro di studenti nel Guerrero, per cui i vari livelli del governo sono immischiati e responsabili; dall’altra si mostra una falsa disponibilità al dialogo con gli studenti del politecnico (Istituto Politecnico Nazionale, IPN) che hanno occupato l’università due settimane fa per chiedere la deroga del regolamento, da poco approvato alla chetichella dalle autorità dell’ateneo, che attenta contro i principi dell’educazione pubblica e dell’università. Nonostante le dimissioni della rettrice dell’IPN e l’intimidazione derivata dal caso Ayotzinapa, la protesta studentesca continua, chiede la concessione dell’autonomia all’ateneo (cosa già acquisita da tantissime università del paese) e mette in evidenza la scarsa volontà di dialogo dell’esecutivo.

A San Cristobal de las Casas, nel Chiapas, gli zapatisti hanno proclamato la loro adesione alle iniziative di protesta di questa giornata e in migliaia hanno realizzato con una marcia silenziosa alle cinque del pomeriggio.

L’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) ha emesso un comunicato in cui ha definito il massacro come un “atto di repressione e di politica criminale di uno stato militare di polizia”.

Il sindacato dissidente degli insegnanti, la CNTE (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación), era presente alle manifestazioni che sono state convocate in decine di città messicane e presso i consolati messicani in oltre dieci paesi d’Europa e delle Americhe. La Coordinadora ha anche dichiarato lo sciopero indefinito nello stato del Guerrero. Nella capitale dello stato, Chilpancingo, hanno marciato oltre 10mila dimostranti.

A Città del Messico abbiamo assistito a una manifestazione imponente, non solo per il numero dei manifestanti, comunque alto per un giorno lavorativo e stimato tra le 70mila e le 100mila persone, quanto soprattutto per la diversità e il forte coinvolgimento delle persone nel corteo. Hanno risposto alla convocazione dei familiari delle vittime e degli studenti scomparsi centinaia di organizzazioni della società civile, tra cui il Movimento per la Pace e l’FPDT (Frente de los Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco), che sono scese in piazza con lo slogan “Ayotzinapa, Tod@s a las calles” mentre su Twitter e Facebook gli hashtag di riferimento erano  #AyotzinapaSomosTodos e #CompartimosElDolor, condividiamo il dolore.

Ayotzinapa resiste cartelloNel Messico della narcoguerra le mattanze si ripetono ogni settimana, da anni, e così pure si riproducono le dinamiche criminali che distruggono il tessuto sociale e la convivenza civile. Solo che ultimamente non se ne parla quasi più. I mass media internazionali e buona parte di quelli messicani hanno semplicemente smesso d’interessarsi della questione, seguendo le indicazioni dell’Esecutivo.

La strage di Iguala e il caso Ayotzinapa stanno facendo breccia nella cortina di fumo e silenzio alzata dal nuovo governo e dai mezzi di comunicazione perché mostrano in modo contundente, crudele e diretto la collusione della polizia, dei militari e delle autorità politiche a tutti i livelli con la delinquenza organizzata. Sono i sintomi della graduale metamorfosi dello stato in “stato fallito” e “narco-stato”. Disseppelliscono il marciume nascosto nella terra, nelle sue fosse e nelle coscienze, nei palazzi e nelle procure. Smascherano la violenza istituzionale contro il dissenso politico e sociale, aprono le vene della narco-politica ed evidenziano omertà e complicità del potere locale, regionale e nazionale. Per questo Iguala e le sue vittime fanno ancora più male.

[Questo testo fa parte del progetto NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga]

P.S. Mentre stavo per pubblicare quest’articolo, il governo messicano, attaccato da tutti fronti per la strage di Iguala e i desaparecidos di Ayotzinapa, ha annunciato la cattura di Vicente Carrillo, capo del cartello di Juárez. Un altro colpo a effetto al momento giusto per distrarre l’opinione pubblica, ricevere i complimenti della DEA (Drug Enforcement Administration) e provare a smorzare gli effetti dell’indignazione mondiale. A che serve catturare un boss importante se continuano comunque le mattanze come a Iguala e tutto resta come prima?

Galleria fotografica della manifestazione a Città del Messico: LINK

Video Cori e Sequenze del Corteo: LINK

Riassunto Fatti di Iguala – Andrea Spotti/Radio Onda D’urto: LINK

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Badiraguato, la Corleone messicana che fa la fame https://www.carmillaonline.com/2013/08/30/badiraguato-la-corleone-messicana-che-fa-la-fame/ Fri, 30 Aug 2013 00:16:10 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=8868 di Linaloe R. Floresbadiraguato2

Ángel Robles Bañuelos è il sindaco di Badiraguato, un comune messicano dello stato del Sinaloa, terra d’origine dei narcos più noti e ricercati. Robles, però, descrive problemi più gravi rispetto a qualunque altro conflitto legato alla sicurezza: la fame e l’oblio. In un’intervista pubblicata dal portale messicano SinEmbargo.Com.Mx rivela di conoscere bene la madre di Joaquín Guzmán Loera “El Chapo” [il narcotrafficante a capo del Cartello di Sinaloa, una delle organizzazioni criminali più importanti del mondo, n.d.t.], sostiene [...]]]> di Linaloe R. Floresbadiraguato2

Ángel Robles Bañuelos è il sindaco di Badiraguato, un comune messicano dello stato del Sinaloa, terra d’origine dei narcos più noti e ricercati. Robles, però, descrive problemi più gravi rispetto a qualunque altro conflitto legato alla sicurezza: la fame e l’oblio. In un’intervista pubblicata dal portale messicano SinEmbargo.Com.Mx rivela di conoscere bene la madre di Joaquín Guzmán Loera “El Chapo” [il narcotrafficante a capo del Cartello di Sinaloa, una delle organizzazioni criminali più importanti del mondo, n.d.t.], sostiene che il primo investimento per la costruzione della strada Badiraguato-Parral nel cosiddetto “triangolo dorato” [zona “d’oro” nel Nord-Ovest messicano che ha dato i natali ai narcos più noti dagli anni ’60 in poi, n.d.t.] è stato fatto da Rafael Caro Quintero e che nel comune che gestisce si coltiva la marijuana. Ma tutto questo non gli sembra importante. Ciò che lo fa preoccupare è l’esclusione del suo comune dal programma sociale varato dal governo di Enrique Peña Nieto, la Crociata Nazionale contro la Fame, il che significa, in fin dei conti, lasciare il territorio in mano ai narcos.

Il sindaco vuole che il presidente si faccia un giro per le montagne della regione e capisca come si vive da quelle parti. Come si può governare una comunità con una fama così nefasta? Dice il sindaco che Badiraguato, culla dei narcos più famosi del Messico o origine della violenza nazionale, sprofonda nella miseria, schiacciato dal pregiudizio dei luoghi comuni. Badiraguato è abbandonato dal governo federale.

Il 9 agosto scorso s’è saputo che Rafael Caro Quintero, nato a La Noria, una frazione di Badiraguato, era tornato libero dopo 28 anni di prigione. [Quintero era stato arrestato nel 1985 per l’omicidio dell’agente statunitense della DEA (Drug Enforcement Administration), Enrique Camarena e poi condannato a 40 anni di prigione ma, è uscito inaspettatamente l’agosto scorso per una decisione del tribunale penale dello stato del Jalisco, n.d.t.]

In quel momento si è pensato che una festa a base di alcolici e bande musicali allo stile “sinaloense” avrebbero attraversato il comune. S’è creduto che la festa si sarebbe protratta per ore e ore. Si è immaginato che questo paesino dai contorni verdeggianti, sul cucuzzolo del monte, privo di luce elettrica sul 30% del territorio, si sarebbe illuminato di colpo, solo per la magia che provocano i sapori della festa. Non è stato così.

Ed il professore pedagogo Ángel Robles Bañuelos, sindaco eletto nelle file della coalizione Para Ayudar a la Gente, formata dal PRI, Partido Revolucionario Institucional, attualmente al governo, dal Panal, Partido Nueva Alianza, e dal partito Verde Ecologista, a dicembre concluderà il suo mandato e ha dovuto rispondere di no, dato che nessuna luce v’è stata e perché l’unica cosa che è arrivata quel giorno a Badiraguato è stato un acquazzone.  

badiraguato

A trent’anni dall’ascesa di Rafael Caro Quintero, alias el Narco de narcos, quale capo assoluto delle operazioni di coltivazione e trasporto delle droghe in Messico, Badiraguato, sua terra d’origine, è arrivata alla disfatta, corrosa da due fattori: la fame e il pregiudizio. Si tratta di un territorio importante nella geografia delle coltivazioni di papavero e marijuana, ma allo stesso tempo è un’enclave tra le più marginali del paese. E’ sufficiente mettersi a studiare la biografia di qualunque narcotrafficante messicano di spicco per ritrovare il nome di Badiraguato.

Nei suoi aspri territori si ricongiungono le storie e i cognomi di uomini enigmatici e leggendari. Negli anni ’40 nacquero lì Pedro Avilés [mitico iniziatore dei traffici di droga USA-Mex negli anni ’60 e ’70, n.d.t.], Ismael “El Mayo Zambada” [boss del Cartello di Sinaloa, latitante, n.d.t.] e Juan José Esparragoza Moreno [alias El Azul, attuale boss del Cartello di Sinaloa, n.d.t.]. Dieci anni dopo la stessa terra partorì e allevò Ernesto Fonseca Carrillo, Rafael Caro Quintero e Ignacio Coronel Villarreal. In seguito anche Joaquín Guzmán Loera, “el Chapo” Guzmán [jefe máximo del Cartello di Sinaloa, n.d.t.], vide le sue prime luci e divenne adolescente in quelle montagne, quasi nello stesso periodo dei suoi cugini, i cinque fratelli Beltrán Leyva.

Dagli anni ’70 l’esercito è presente in quelle terre. Vi giunse con la Operación Cóndor che fece scendere in campo 10mila soldati. Si reputava che lì vi fosse la porta d’ingresso della regione battezzata come “triangolo dorato”, i cui vertici sono gli stati del Sinaloa, del Durango e del Chihuahua. Il tempo è passato. I soldati non se ne sono andati. E nessuno sembra abituarsi. Nel maggio 2012 una serie di conflitti a fuoco ha provocato la fuga di centinaia di famiglie e ha costretto il governatore dello stato, Malova (Mario López Valdez), a fare atto di presenza nella regione.

Perché il più antico e vivo ricordo è la povertà. La mancanza di tutto, per decenni, è stata condivisa da undici comunità sparse su questa terra secca. Ancora nell’agosto del 2013 Badiraguato è classificato tra i 200 comuni con più miseria in Messico. In altre parole, nella culla dei narcos più famosi, dov’è nata la violenza, la metà dei 30mila abitanti del comune vive in stato di crisi alimentare, in case di lamina, senza scarpe e con scarse possibilità di studiare e progredire.

“No, no, no, non è il narcotraffico il problema. Nemmeno ciò che resta dei narcos. O ciò che ne sarà. E’ la fame”. Così spiega la sua comunità Ángel Robles, che parla soffocando tra sospiri, sbotti di rabbia, preso dagli effetti che lascia la perdita della speranza. Ricomincia: “E’ la fame. E la fame non si può attaccare perché siamo soli. Ci temono per colpa di una specie di soprannome sbagliato. Per uno stigma erroneo. Lo stigma dei narcos lo stiamo pagando con la fame”. Come si amministra la cattiva fama di un paese?

“Dicono che feriscono più le parole di un pugnale. Dicono che uccidono di più gli stereotipi dei proiettili”, risponde il sindaco. Prima di occupare il posto di primo cittadino, Ángel Robles ha passato 25 anni della sua vita tra le montagne, dando lezioni in scuole senza tetto, in mezzo alla polvere, con un cavallo o un mulo quali uniche opzioni per intraprendere il viaggio di ritorno a casa.

Dalla liberazione di Rafael Caro Quintero ha parlato con reporter di vari paesi del mondo. Non gli interessa descrivere il suo territorio in modo diplomatico. Non gli importa di raccontare che conosce bene la madre di Joaquín Guzmán Loera, “El Chapo”, l’uomo con la fama d’essere “il più ricercato del mondo”, la cui leggenda ha come punto d’inizio le cime dei monti e delle colline che lui amministra.

chapo1Gli è indifferente rivelare che la madre del boss, Consuela Loera, contribuì alla costruzione di una scuola superiore a La Tuna durante il suo mandato. E racconta anche, per l’ennesima volta, che è vero che Caro Quintero ha fatto costruire la tratta Badiraguato-Parral dell’unica strada degna di questo nome nel “triangolo dorato” e che è probabile che proprio Quintero adesso sia in questa zona, com’è probabile che non ci sia. E dice anche che nel suo comune ci sono piantagioni di marijuana, ma che pure quelle coltivazioni sono state colpite dalla disgrazia.

Il sindaco nega che le risorse del programma nazionale contro la fame del governo centrale siano mai arrivate a Badiraguato. E nemmeno sono arrivati aiuti da parte del governo dello stato del Sinaloa. Stesso discorso per il sostegno di organizzazioni della società civile. Parla della solitudine in cui sprofonda come amministratore di Badiraguato, il territorio che ha messo al mondo i narcotrafficanti messicani.

“Io vado in altre zone dello stato e mi chiedono di che città sono sindaco, quando capita. Gli dico che sono sindaco di Badiraguato. E loro invocano il cielo. E io gli dico: ricordatevi che i proverbi portano con sé dei messaggi. Il Leone non è mai come lo dipingono”. E infine rivolge un invito. E’ per il presidente Enrique Peña Nieto. “Io gli faccio un invito direttamente. Rivolga lo sguardo verso di noi per osservare i piccoli comuni stigmatizzati. Segnati da qualcosa che non rappresenta più la realtà”.

Sull’utilità attuale delle piantagioni di marijuana dice che “non servono più a niente. Arrivano i militari e le distruggono. O gli elicotteri spargono pesticidi sui campi e li bruciano. Inoltre ricattano i contadini. Gli dicono che magari possono prendersi loro cura delle piante. La gente vive nella speranza. E la speranza non è più una realtà. Sono d’accordo sul fatto che bisogna combattere le coltivazioni di stupefacenti, ma il governo deve prevedere forme d’impiego lecite perché le famiglie sopravvivano. Qui non arriva nulla”.

triangulo-dorado1Infine, sul vecchio sogno dei ragazzi di Badiraguato che volevano diventare dei boss: “ormai è finita quell’epoca in cui i bambini e i giovani volevano imitare quel tipo di personaggio. Anche quello resta nel passato. Prima era molto comune che i bambini e i giovani si rifiutassero di andare a scuola semplicemente per quel motivo, perché non era la loro prospettiva. Ora gli anni non sono passati invano, vedono che è un miraggio e che chi si dedica a illeciti ha due strade davanti a sé: il cimitero o la prigione”.

Traduzione dallo spagnolo all’italiano di Fabrizio Lorusso

[Allego come nota finale una citazione tratta dall’intervista che nel 2010 il direttore del settimanale messicano Proceso, Julio Scherer, fece al boss “Mayo” Zambada in un rancho di Sinaloa. La conversazione riguardava la guerra contro i narcos intrapresa dal governo dell’allora presidente Felipe Calderón che all’inizio del 2007 militarizzò la lotta al narcotraffico. Il conflitto continua tuttora e ha provocato oltre 80mila morti e 27mila desaparecidos tra il 2007 e il 2012. Fabrizio Lorusso].

“Mettiamo che un giorno decido di consegnarmi al governo così mi ‘fucila’. Il mio caso deve essere esemplare, una dimostrazione per tutti. Mi fucilano e scoppia l’euforia. Ma dopo un po’ di giorni veniamo a sapere che non è cambiato nulla” […]

“Il problema del narcotraffico riguarda milioni. Come dominarli? Riguardo ai boss imprigionati, uccisi o estradati, già stanno lì i loro sostituti” […]

“Il narcotraffico sta nella società, radicato, come la corruzione”. 

La foto panoramica è “Badiraguato. Abandonado por el gobierno federal” di: Cuartoscuro

 

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