Federica Cavaletti – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 18 Apr 2025 22:31:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 L’esperienza della vergogna nell’epoca del virtuale https://www.carmillaonline.com/2024/03/21/lesperienza-della-vergogna-nellepoca-del-virtuale/ Thu, 21 Mar 2024 21:00:51 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=81123 di Gioacchino Toni

Federica Cavaletti, Sguardi che bruciano. Un’estetica della vergogna nell’epoca del virtuale, Meltemi, Milano 2023, pp. 282, € 22,00

Sull’universo tecnolgico-mediale e su quanto questo rimodelli la percezione e, più in generale, la vita degli individui è stato scritto parecchio negli ultimi tempi e in tutte le sfumature possibili comprese tra le visioni apologetiche e quelle apocalittiche. Il volume di Federica Cavaletti esamina una questione scarsamente indagata: l’esperienza della vergogna nell’epoca delle tecnologie mediali contemporanee. Se la vergogna è un’emozione “dello sguardo” di soggetti altri, tale sguardo può “continuare a bruciare”, come suggerisce il titolo del volume, prolungando i [...]]]> di Gioacchino Toni

Federica Cavaletti, Sguardi che bruciano. Un’estetica della vergogna nell’epoca del virtuale, Meltemi, Milano 2023, pp. 282, € 22,00

Sull’universo tecnolgico-mediale e su quanto questo rimodelli la percezione e, più in generale, la vita degli individui è stato scritto parecchio negli ultimi tempi e in tutte le sfumature possibili comprese tra le visioni apologetiche e quelle apocalittiche. Il volume di Federica Cavaletti esamina una questione scarsamente indagata: l’esperienza della vergogna nell’epoca delle tecnologie mediali contemporanee. Se la vergogna è un’emozione “dello sguardo” di soggetti altri, tale sguardo può “continuare a bruciare”, come suggerisce il titolo del volume, prolungando i suoi effetti tramite oggetti e contesti. Le tecnologie contemporanee, capaci come sono di procurare appagamento estetico così come sensazioni di disagio, nel loro essere (anche) “tecnologie dello sguardo” non possono che incidere sull’esperienza della vergogna.

Proponendosi di resistere tanto alle sirene tecnofobiche, quanto a quelle tecnottimistiche, Cavaletti affronta dunque l’incidenza di tali tecnologie consapevole di come queste se da un lato accrescono la nostra visibilità agli occhi degli altri, dall’altro potenziano il nostro sguardo su noi stessi, consentendoci di guardarci ed eventualmente modificarci dal di fuori. I social media e le comunità digitali, così come la realtà virtuale, ad esempio, tendono a prestarsi ad entrambe le funzioni: mettono in vetrina la nostra immagine, sottoponendola così a sguardi altrui, ma ci consentono anche di intervenire su tale immagine.

A differenza di quanti sostengono che nell’attuale contesto di vetrinizzazione tecnomediale, l’esperienza della vergogna tenda a disancorarsi dal suo statuto e dal suo significato morale e relazionale per legarsi soprattutto al giudizio sull’apparenza, dunque a perdere di profondità, Cavaletti si dice convinta del fatto che la vergogna resti ancora oggi un’esperienza tutt’altro che depotenziata, palesandosi piuttosto nella sua variante “scopofobica”, determinata dalla presenza di un sguardo altrui, o di un suo surrogato oggettuale, percepito come giudicante ed i media interattivi contemporanei non possono che accentuare tutto ciò.

Nei media interattivi la condizione di trovarsi a essere oggetto dello sguardo altrui è indubbiamente ulteriormente accentuata. Che l’interlocutore sia un essere umano o una macchina, in tutti i modi replica e modifica più o meno palesemente le dinamiche proprie dei rapporti della vita reale. Se da un lato l’interattività tecnologica può accentuare le esperienze di vergogna proprie della vita concreta, dall’altro, sostiene Cavaletti, questa offre opportunità di «resistenza agli attacchi dello sguardo altrui e di affermazione di un senso di sé irrobustito e rinforzato».

Chi elude gli standard di aspetto “conformi” alla collettività facilmente è oggetto di reazioni avverse. L’universo tecnolgico-mediale contemporaneo «offre uno spazio di presentazione di sé alternativo: la società parallela, per così dire, del web, e in particolare delle comunità virtuali. Si tratta di spazi online accessibili a una moltitudine di utenti, che si trovano ad agire in tempo reale mentre svolgono attività di vario tipo».

Chi intende far parte di una comunità virtuale è tenuto a creare una propria rappresentazione virtuale, o avatar, dunque, nel caso «si trovi a possedere nella vita reale un corpo che lo espone a esperienze di vergogna» ha la possibilità «di sperimentare con il proprio aspetto in modo inedito: riproponendolo quale esso è nella realtà, e provando a manifestarlo in un contesto a rischio ridotto (in quanto in grado di escludere, se non altro, l’aggressione fisica); oppure [di alterarlo] radicalmente, per vestire dei panni completamente nuovi».

Insomma, secondo la studiosa le comunità virtuali permettono di rielaborare «il rapporto con il proprio corpo e con sé stessi, e con la vergogna connessa a questo aspetto». Affinché ciò sia possibile, però, ricorda Cavaletti, occorre che le piattaforme tecnologiche permettano di plasmare avatar “non conformi”, e ciò, al momento, non è sempre garantito.

La studiosa si sofferma anche sul «nesso (supposto) tra caratteristiche corporee e caratteristiche della personalità» che inducono alcuni individui ad espandere il senso di vergogna determinato da un tratto fisico “non conforme” alla “non conformità” dell’identità nel suo complesso, dunque a pensare «di potere “correggere” quest’ultima attraverso un intervento di “correzione” del corpo». Esistono tecnologie in grado di andare in questa direzione, come ad esempio quelle indossabili; si pensi agli smartwatch che permettono il monitoraggio di diversi parametri corporei o la stessa realtà virtuale che consente il rispecchiamento e la manipolazione visiva dell’aspetto di un individuo.

Difendersi da forme di aggressione – es, il “body shaming” – attraverso strumenti tecnologici wearables rischia di condurre il soggetto a una sorveglianza autoimposta votata all’assoggettamento a standard di adeguatezza assoluti mortificanti chi non riesce, o non vorrebbe, raggiungerli. «La posta in gioco, nell’utilizzo di tecnologie di questo genere, non è tanto il rapporto delle persone con il loro corpo materiale, quanto quello con la loro immagine corporea». Quanto tali correzioni siano in grado di determinare un beneficio lenitivo reale al senso di inadeguatezza o quanto invece finiscano per «soggiogare gli individui a vincoli ancora più insidiosi» è oggetto di approfondimento da parte di Cavaletti.

La studiosa analizza anche circostanze e modalità di interazione con le tecnologie contemporanee caratterizzate in «senso solidale, prosociale, eventualmente terapeutico». Rispetto al mondo fisico extramediale, la flessibilità del digitale e del virtuale, sostiene Cavaletti,

fornisce opportunità molto più ampie di sperimentazione e di messa in discussione dello stato di cose esistente. Posta questa condizione di base, diventa possibile lavorare alla realizzazione di una società virtuale che sia improntata al concetto di cura […]; che dunque venga incontro all’esigenza delle persone di venire rappresentate per come sono, o per come ambiscono a essere, senza che questo sia intralciato da interfacce o ambienti ostili. Abitare corpi virtuali in linea con i nostri desideri può davvero […] innescare cambiamenti positivi nel rapporto che intratteniamo con il nostro corpo e con la nostra identità concreti. È quindi indispensabile permettere che questo possa accadere, e che possa accadere per tutti.

Affinché ciò sia possibile, sottolinea l’autrice, è però necessaria un’opera di reale alfabetizzazione tecnologica e mediale e una reale accessibilità ai mondi virtuali e agli strumenti che ne consentono la fruizione. Quanto e come si possa incidere attivamente affinché chi detiene le piattaforme e le tecnologie lo consenta è questione che tocca tutti coloro che riescono a sottrarsi tanto alle sirene tecnofobiche, quanto a quelle tecnottimistiche.

]]>
Immersioni quotidiane https://www.carmillaonline.com/2024/01/30/immersioni-quotidiane/ Tue, 30 Jan 2024 21:00:51 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80661 di Gioacchino Toni

Federica Cavaletti, Filippo Fimiani, Barbara Grespi, Anna Chiara Sabatino (a cura di), Immersioni quotidiane. Vita ordinaria, cultura visuale e nuovi media, Meltemi, Milano 2023, pp. 330, € 22,00

Immersioni quotidiane esplora l’immersività mediale contemporanea intesa come condizione in cui i media, facendosi pervasivi e naturalizzati, divengono parte integrante della vita ordinaria agendo in maniera importante sulle soggettività e sui loro rapporti con gli altri e con il mondo. Ad essere esplorati sono pertanto alcuni aspetti della vita ordinaria contemporanea riguardanti l’identità, i corpi, i sensi, i luoghi, gli oggetti e le immagini, nel loro costante mutare alla luce [...]]]> di Gioacchino Toni

Federica Cavaletti, Filippo Fimiani, Barbara Grespi, Anna Chiara Sabatino (a cura di), Immersioni quotidiane. Vita ordinaria, cultura visuale e nuovi media, Meltemi, Milano 2023, pp. 330, € 22,00

Immersioni quotidiane esplora l’immersività mediale contemporanea intesa come condizione in cui i media, facendosi pervasivi e naturalizzati, divengono parte integrante della vita ordinaria agendo in maniera importante sulle soggettività e sui loro rapporti con gli altri e con il mondo. Ad essere esplorati sono pertanto alcuni aspetti della vita ordinaria contemporanea riguardanti l’identità, i corpi, i sensi, i luoghi, gli oggetti e le immagini, nel loro costante mutare alla luce delle innovazioni tecno-estetiche e visuali prodotte dai nuovi media e dalle loro potenzialità immersive. Il volume si articola dunque in cinque capitoli in cui, attraverso una pluralità e una varietà di sguardi, vengono indagate forme e figure di esperienza della vita ordinaria e delle nuove tecnologie.

Gli interventi raccolti nel Primo capitolo indagano come i media visivi e audiovisivi tendano ad assegnare ruoli e posizioni soprattutto a soggetti marginalizzati ma anche come questi possano, grazie agli usi di tali dispositivi, sottrarsi agli incasellamenti sociali e culturali loro imposti. I saggi di Sofia Pirandello, Margherita Fontana, Alice Cati e Luisella Farinotti affrontano il rapporto delle donne con la fotografia nel suo oscillare tra pratica emancipatava e strumento di mantenimento, se non di rafforzamento, di incasellamento sottomissivo.

Il Secondo capitolo è dedicato alla costituzione della soggettività alla luce del ruolo svolto dai media nel plasmare e riplasmare il modo in cui il soggetto si presenta agli altri. Federica Villa si occupa della rappresentazione del volto e dei filtri digitali, Lorenzo Donghi e Deborah Toschi affrontano la rielaborazione in forma visiva dei dati derivanti dal self-tracking, Paola Lamberti e Clio Nicastro approfondiscono alcune forme di disagio contemporaneo alla luce dei media, dall’ansia giovanile su Tik Tok ai disturbi alimentari messi in scena dal cinema, Imma De Pascale, infine, si occupa della produzione fotografica di Vivian Maier.

Alle forme artistiche ottenute attraverso i dispositivi mediali contemporanei è dedicato il Terzo capitolo. Elena Lazzarini e Augusto Sainati ricostruiscono le tappe principali dell’“immersività” a partire dai sui esempi più remoti, Andrea Mecacci indaga il “Pop diffuso” inteso come processo di estetizzazione della società e della cultura che ha condotto all’esteticità diffusa e post-mediale di oggi, Luca Malavasi si occupa delle forme di espansione dell’universo immaginario e filmico che permettono processi di appropriazione e manipolazione mentre, viceversa, Adriano D’Aloia e Federica Cavaletti indagano casi in cui sono i media a “manipolare” i loro utenti, dal ruolo del selfie nel riorganizzare il rapporto del soggetto con sé stesso all’incidenza della realtà virtuale nel rapporto tra soggetto ed esperienze vissute negativamente come il senso di vergogna.

Il Quarto capitolo presenta una serie di saggi incentrati su come i media mutino tendendo ad adattarsi a determinati requisiti e usi, o abusi. Alessandro Costella ricostruisce la storia che ha condotto all’affermazione della superficie trasparente in varie tipologie di dispositivi visivi, «di quegli schermi cioè che non sono fatti per essere guardati, ma per farsi guardare attraverso», Diego Cavallotti guarda alla “trasparenza” come a una «condizione necessaria per la naturalizzazione o “banalizzazione” dell’uso dei media» esaminando in particolare il ruolo giocato dalle videocamere analogiche, Filippo Fimiani e Anna Chiara si occupano del ruolo delle immagini registrate dalle tante videocamere che riprendono il quotidiano, Max Schleser ragiona attorno al filmmaking portatile intendendolo come un genere cinematografico a sé stante, mentre Emilia Marra si occupa di come la fruizione degli archivi di materiale registrato sul web si rifletta sulle facoltà umane.

L’ultimo capitolo si concentra sui media all’interno del tessuto cittadino e comunitario mettendone in luce le valenze politiche. Ruggero Eugeni guarda all’automobile contemporanea come a un iper-medium, Arianna Vergari riprende le “sinfonie della città” realizzate a partire dagli anni Venti del secolo scorso osservando come queste rappresentino e de-familiarizzino l’esperienza quotidiana dello spazio urbano, Miriam De Rosa indaga come gli artefatti mediali attivino gli spazi in cui sono collocati, delle modalità di costruire spazi si occupa anche Roberto Pisapia esaminando il placemaking, il placetelling e il placedoing, infine Giuseppe Previtali indaga il ricorso ai meccanismi videoludici nella realtà quotidiana, nella comunicazione politica e, in particolare, nella comunicazione della “Guerra al Terrore”.

Nel loro insieme, i contributi raccolti in questo volume forniscono una pluralità e una varietà di sguardi su un fenomeno che oggi sembra tanto più urgente indagare, quanto più a portata di mano e sotto gli occhi di tutti noi. Un fenomeno forse unico, come lo è ogni fenomeno di un certo momento storico, ma né unitario né unificabile, e che anzi chiama a raccolta nuovi punti di vista, nuovamente e diversamente situati, che non potranno che essere seriamente curiosi e arrischiati, cioè davvero interdisciplinari. Perché le immersioni quotidiane nelle nuove tecnologie vanno insieme alle immersioni nel quotidiano grazie ai media e ai loro usi, e alle competenze ermeneutiche e critiche che da tali usi possiamo apprendere e sperimentare. Ogni giorno diversamente.

]]>