FCA – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Insorgiamo https://www.carmillaonline.com/2021/07/13/insorgiamo/ Tue, 13 Jul 2021 21:00:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67191 di Sandro Moiso

Nemmeno ai tempi delle lotte più dure e determinate degli anni Sessanta e Settanta era comparsa in un comunicato di un comitato o di un collettivo di fabbrica una parola o un’incitazione così forte e battagliera. Ma oggi, dopo che la definizione di insorgenti o insurgentes e insurgent nelle sue varie declinazioni linguistiche e politico-militari è stata utilizzata negli ultimi vent’anni di guerra globale per indicare coloro che, per qualsiasi motivazione (occupazione militare del proprio territorio da parte di una potenza straniera o di un’autorità non riconosciuta, proteste [...]]]> di Sandro Moiso

Nemmeno ai tempi delle lotte più dure e determinate degli anni Sessanta e Settanta era comparsa in un comunicato di un comitato o di un collettivo di fabbrica una parola o un’incitazione così forte e battagliera. Ma oggi, dopo che la definizione di insorgenti o insurgentes e insurgent nelle sue varie declinazioni linguistiche e politico-militari è stata utilizzata negli ultimi vent’anni di guerra globale per indicare coloro che, per qualsiasi motivazione (occupazione militare del proprio territorio da parte di una potenza straniera o di un’autorità non riconosciuta, proteste contro il caro vita o le conseguenze della globalizzazione e della prima epidemia globalizzata usata come strumento repressivo e di ristrutturazione socio-economica), hanno “osato” ed osano resistere e ribellarsi contro un modo di produzione la cui protervia e fame di plusvalore richiede da tempo uno stato di guerra civile permanente contro gli interessi vitali della specie, il verbo “insorgere” viene impugnato da chi di quella protervia e sete di profitto era destinato ad essere soltanto vittima designata.

La parola, un tempo proibita e ancora oggi oltraggiosa se proveniente da chi dovrebbe soltanto subire, chiude il bellissimo ed efficace comunicato del collettivo di fabbrica Gkn di Firenze in cui, in poche ma sintetiche righe, si condensa l’analisi di ciò che sta per succedere a tantissimi lavoratori italiani; lavoratori che, oltretutto, fino ad oggi erano stati abituati a sentirsi o pensarsi come “garantiti”. Una situazione che era fin troppo facile prevedere fin dai primi mesi della pandemia e ancor più con la farsa del “blocco dei licenziamenti”, destinato soltanto nella sua fumosa applicazione a calmare le acque di una probabile ribellione sociale diffusa nei confronti dei provvedimenti e delle conseguenze riconducibili alla “lotta alla pandemia”.

Una situazione ambigua, denunciata qui sulle pagine di Carmilla e poi negli articoli raccolti nel testo collettivo L’epidemia delle emergenze1, destinata a rinviare soltanto una ristrutturazione produttiva, industriale e sociale che si è presentata sin da subito come inevitabile conseguenza della gestione politica-economica della pandemia in cui, più che la cura e la salute dei cittadini, è sempre risultata fondamentale, fin dai giorni della Val Seriana e dei morti della Bergamasca e del Dpcm che finse soltanto di fermare le attività produttive (qui), la salvaguardia degli interessi del capitale e l’incremento dei suoi profitti e della produttività del lavoro.

Oggi, grazie anche alla melina dei sindacato confederali e dei loro rodomonteschi leader alla Landini, quelle facili previsioni si rivelano in tutta la loro drammatica e spietata realtà. Però, come la storia della lotta di classe ci ha insegnato tante volte, in caso di necessità la classe operaia dimostra la sua capacità di cogliere nell’immediato (oltre che sulla propria pelle) il reale sviluppo e le reali prospettive delle contraddizioni insite nel modo di produzione dominante, non accontentandosi di stanche e scontate manifestazioni del sabato pomeriggio a Roma, come quelle promosse dai sindacati contro la fine del blocco dei licenziamenti, e porre il dito nella piaga, proprio là dove fa più male, soprattutto per i cantori della pace e della collaborazione sociale interclassista.

Così, mentre un autobus di tricolori trionfanti della nazionale di calcio percorreva le strade della capitale visitando le residenze di un potere politico che gli era riconoscente soprattutto per il servizio reso promuovendo l’unità nazionale dei poveracci, i compagni operai del Collettivo di fabbrica della Gkn cercavano e promuovevano una ben diversa forma di vicinanza e solidarietà. Dal basso, di classe, contro il mostro del capitalismo per cui il loro licenziamento, come hanno ben colto gli estensori del comunicato, non rappresenta affatto un’eccezione o un caso specifico (qui).

«Se sfondano qua, sfondano da tutte le parti. Perché siamo una grossa azienda e siamo organizzati. Immaginatevi aziende piccole e meno organizzate». Il general intellect prodotto dalla riflessione collettiva e dall’esperienza “sul campo” coglie immediatamente le caratteristiche dello scontro che sta per aprirsi. A tutto campo e non soltanto con le multinazionali straniere che, al massimo, possono funzionare da apripista come era già successo una settimana prima con il licenziamento dei 152 operai della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto in Brianza, anche qui per mezzo di una e-mail, ma con tutto il ciarpame capitalista del governo di unità nazionale e del suo Ministro del Lavoro che, nutrito a base di salviniane bistecche d’orso e scadenti film western, non ha saputo dire altro che: «Vogliamo il West, non il Far West». Concentrando in sette parole tutta la filosofia socio-economica e politica leghista.

Hanno ragione i compagni del Collettivo a citare Stellantis e non soltanto perché l’attività produttiva della Gkn è direttamente collegata a quella del gigante dell’auto.
I dirigenti della multinazionale inglese proprietaria della Gkn hanno chiaramente esplicitato che i profitti in Italia sono troppo bassi ergo che i salari dei lavoratori italiani, per ora, sono ancora troppo alti per rendere competitiva e profittevole l’attività produttiva della fabbrica fiorentina, mentre la ditta situata nella provincia di Monza, produttrice di cerchioni per camion della Volvo e della Iveco oltre che per le moto Harley Davidson, pur italianissima e associata a Confindustria, non ha avuto nemmeno bisogno di fare ciò. Si licenzia come e quando si vuole e basta!

Stellantis N.V. (in olandese: naamloze vennootschap, società per azioni) è un’impresa multinazionale di diritto olandese produttrice di autoveicoli. Nata dalla fusione tra i gruppi PSA e Fiat Chrysler Automobiles, la società ha sede legale ad Amsterdam, sede operativa a Lijnden e controlla quattordici marchi automobilistici: Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall. Il gruppo ha siti produttivi, di proprietà o in joint venture, in ventinove Paesi situati tra Europa, America, Africa e Asia.

Il gruppo, secondo The Wall Street Journal, è il terzo produttore di auto al mondo per vendite, secondo gli ultimi dati del 2019; secondo dati di vendita più aggiornati il gruppo è il sesto nella classifica mondiale dei produttori di autoveicoli: ciò a causa della crisi di vendite in Europa per via della pandemia di COVID-19 e del relativo sviluppo delle vendite in Cina dove il gruppo è più debole della concorrenza. Le capacità produttive di Stellantis sono diverse a seconda del gruppo di provenienza infatti, gli stabilimenti di FCA funzionano in media al 55% della capacità in Europa e quelli di PSA al 68% mentre in Nord America, gli stabilimenti di FCA funzionano in media al 75%, secondo quanto affermato da un analista di una società di ricerche in ambito automobilistico (LMC Automotive Ltd).

Il consiglio di amministrazione di Stellantis è composto da undici membri: cinque nominati da FCA e dal suo azionista di riferimento Exor, cinque dagli azionisti di riferimento di PSA e infine dall’amministratore delegato del nuovo gruppo, Carlos Tavares, già precedentemente presidente e direttore generale di PSA. I poteri esecutivi sono congiunti tra John Elkann (presidente, già presidente esecutivo di FCA e della holding della famiglia Agnelli, Exor) e Carlos Tavares (amministratore delegato). I principali azionisti del gruppo, alla data di conclusione della fusione sono:
Exor – 14,4%
Famiglia Peugeot – 7,2% (con opzione per salire fino all’8,5%)[69]
Stato francese (attraverso la banca pubblica d’investimento “Bpifrance”) – 6,2%
DoExor N.V.ngfeng Motor Corporation – 5,6%
Tiger Global – 2,4%
UBS Securities – 1,6%
The Vanguard Group – 0,96% 2.

Se il lettore dovesse sentirsi stremato e, perché no, anche un po’ annoiato dai dati qui riportati, dovrebbe comunque tener conto che gli stessi, ripresi direttamente da quelli forniti dalla società, ci rivelano e confermano come la stessa ex-italianissima FIAT si sia tramutata, prima con Marchionne e poi con la fusione con PSA (Peugeot) in una multinazionale che di italiano mantiene soltanto gli stabilimenti con la capacità di funzionamento più bassa (55%), in un contesto di competizione fortissima per il controllo del mercato mondiale dell’auto. Se a questo aggiungiamo che le due ditte che hanno aperto le danze dei licenziamenti lavoravano entrambe per il gruppo o sue consociate (come Iveco), non occorre essere dei meteorologi per capire come soffierà il vento per i dipendenti della maggiore impresa del settore metalmeccanico e automotive ancora dislocata in Italia.

Questo ci preannunciano i compagni del Collettivo e questo ci preannuncia il vacuo cianciare governativo sui licenziamenti e il Far West. Questo ci preannuncia, infine, il clima da guerra civile che il capitale è andato instaurando in tutto il mondo con la globalizzazione e la successiva gestione della pandemia globalizzata3.
Cui la risposta non può essere altra che quella proposta dagli operai della Gkn: lo sciopero generale, la realizzazione di una pagina di solidarietà alla vertenza (che potrebbe, ad avviso di chi scrive, trasformarsi in un luogo non soltanto virtuale di incontro e autorganizzazione per tutti i lavoratori che saranno toccati dalle inevitabili crisi aziendali future e dai licenziamenti in blocco), il rifiuto dei discorsi sugli indennizzi e sugli ammortizzatori sociali (che nascondono soltanto la passiva accettazione delle scelte delle aziende, multinazionali o meno che siano) e la scelta dell’insorgenza anticapitalista. Di massa, spontanea e allargata a tutti i settori e i lavoratori toccati da una crisi la cui gestione è destinata a trasformare in profondità il volto del tessuto economico e sociale italiano ed internazionale.


  1. Jack Orlando, Sandro Moiso (a cura di), L’epidemia delle emergenze, Il Galeone editore, Roma 2020  

  2. Per ulteriori informazioni si veda qui  

  3. Si veda in proposito anche: Sandro Moiso (a cura di), Guerra civile globale. Fratture sociali del terzo millennio, Il Galeone editore, Roma 2021  

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Alla catena https://www.carmillaonline.com/2018/07/29/alla-catena-2/ Sun, 29 Jul 2018 18:40:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47558 di Alessandra Daniele

Fiat-logo.JPG[I media celebrano Marchionne come fecero con Wojtyla. Il capitalismo è religione d Stato. Ho scritto e pubblicato per la prima volta questo racconto sulla fabbrica secondo il “metodo Marchionne” nel 2010]

– Dovreste essere contenti che la Fabbrica abbia deciso di riportare la produzione di operai in Italia. – Sì, ma le condizioni… – Sono le stesse già applicate con successo in tutta l’Europa dell’est – dice l’amministratore – Gli embrioni umani vengono coltivati in vitro, in batterie da dodici. Al sesto mese di sviluppo accelerato, vengono inseriti nel meccanismo produttivo attraverso una serie [...]]]> di Alessandra Daniele

Fiat-logo.JPG[I media celebrano Marchionne come fecero con Wojtyla. Il capitalismo è religione d Stato. Ho scritto e pubblicato per la prima volta questo racconto sulla fabbrica secondo il “metodo Marchionne” nel 2010]

– Dovreste essere contenti che la Fabbrica abbia deciso di riportare la produzione di operai in Italia.
– Sì, ma le condizioni…
– Sono le stesse già applicate con successo in tutta l’Europa dell’est – dice l’amministratore – Gli embrioni umani vengono coltivati in vitro, in batterie da dodici. Al sesto mese di sviluppo accelerato, vengono inseriti nel meccanismo produttivo attraverso una serie di innesti biomeccanici collegati alla catena di montaggio, e iniziano il loro lavoro.
– Fisicamente collegati ai macchinari? – Chiede il delegato.
– Certamente – l’amministratore annuisce compiaciuto – Appositi macchinari che provvedono anche al loro sostentamento, attraverso l’immissione di fluidi nutritivi direttamente nel flusso sanguigno, allo sporadico inserimento di sostanze solide nell’apparato digerente per evitarne l’atrofia, grazie a un catetere esofageo, e al drenaggio ed eliminazione delle scorie attraverso una sonda rettale.
Il delegato osserva l’immagine sullo schermo.
– E questa mascherina a cosa serve?
– All’interfaccia visiva. Viene applicata dopo la rimozione dei bulbi oculari, e collega direttamente il nervo ottico degli operai al computer centrale della fabbrica – l’amministratore sorride – Niente più problemi di distrazione.
– Rimozione dei bulbi oculari?
– Sì, insieme agli organi sessuali, e altre parti del corpo inutili al processo produttivo.
– Ma è previsto che gli operai non facciano altro che lavorare 24 ore al giorno?
– No, questo ne pregiudicherebbe l’efficienza. Ogni dieci ore di lavoro ne vengono chimicamente indotte due di sonno ipnotico, durante le quali si approfitta per aggiornare il loro condizionamento mentale.
– E resteranno così collegati ai macchinari per tutta la vita?
– Finché non verranno superati da un modello più efficiente.
– Gli operai?
– No, i macchinari. Gli operai risulteranno in esubero, e verranno disconnessi. Poi saranno rottamati.
– I macchinari?
– No, gli operai.
Il delegato fissa l’immagine sullo schermo.
– Possono sopravvivere disconnessi dalle macchine?
L’amministratore si stringe nelle spalle.
– No, ma gli ammortizzatori sociali non sono un problema dell’azienda.
Il delegato scuote la testa.
– Non so quanto queste condizioni siano accettabili…
L’amministratore lo interrompe in tono oltraggiato.
– Opporsi al progresso per ragioni puramente ideologiche sarebbe un errore gravissimo – lo redarguisce – E mi costringerebbe ad attivare l’inibitore a scariche elettriche che lei e tutti i suoi colleghi avete saggiamente acconsentito a farvi installare alla base del cranio, dopo la scorsa trattativa. Allora, qual è la sua decisione? – Chiede l’amministratore puntando il telecomando dell’inibitore.
Il delegato china la testa.

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Ritorno al futuro: Stato d’eccezione dei Black Mirrors https://www.carmillaonline.com/2017/02/09/black-mirrors/ Thu, 09 Feb 2017 22:00:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=36421 di Dziga Cacace

a2222684573_16Ho cominciato a scribacchiare di musica all’inizio degli anni Zero. Nell’industria discografica c’era ancora la baldanza (e la spocchia) di chi si sentiva al sicuro e Napster sembrava un problema lontano, “degli americani”. Poi tutto è crollato e non voglio tirare conclusioni, ma se è venuto meno il mercato discografico, pubblicare un disco oggi o risponde a una logica commerciale per sfruttare un nome, una nostalgia o un fenomeno oppure è la risposta concreta, fisicamente evidente, alla propria esigenza creativa: non importa l’esito delle vendite perché c’è qualcosa da [...]]]> di Dziga Cacace

a2222684573_16Ho cominciato a scribacchiare di musica all’inizio degli anni Zero. Nell’industria discografica c’era ancora la baldanza (e la spocchia) di chi si sentiva al sicuro e Napster sembrava un problema lontano, “degli americani”. Poi tutto è crollato e non voglio tirare conclusioni, ma se è venuto meno il mercato discografico, pubblicare un disco oggi o risponde a una logica commerciale per sfruttare un nome, una nostalgia o un fenomeno oppure è la risposta concreta, fisicamente evidente, alla propria esigenza creativa: non importa l’esito delle vendite perché c’è qualcosa da dire e si ha piacere di farlo.
I Black Mirrors, band con una storia ultratrentennale già raccontata qui, pubblica oggi il suo secondo disco ed è un meraviglioso atto di resistenza, di coraggio e di rivendicazione, un gesto assolutamente punk nel suo uscire da ogni binario precostituito: Stato d’eccezione è scaricabile gratuitamente ma vi invito a procurarvelo nella versione Cd perché è un disco che fa ragionare e fa venire voglia di una pogata urlante. E poi perché suona bene, ma sul serio, e anche perché ha una splendida copertina con un murale di Blu (Occupy Mordor, cancellato con buoni motivi dai muri del centro sociale XM24 di Bologna, oggi minacciato di sgombero).
I Black Mirrors hanno le idee chiare e quando si definiscono un gruppo rock’n’roll dicono semplicemente la verità: Stato d’eccezione è un disco che del punk ha l’attitudine e l’atteggiamento giusto: quello che ha reso grandi i Clash o, più recentemente, la Mano Negra, cioè innervare quei tre accordi di influenze e di suoni da tutto il mondo e renderli ancora una volta nuovi ed eccitanti.
Qui c’è il mezzo secolo che ci ha preceduto, musicalmente e politicamente, senza etichette precise o limitanti, perché si canta e si suona con ogni mezzo necessario, sempre, e in questo caso lo si fa assecondando testi diretti, taglienti come rasoiate. I Black Mirrors passano agevolmente da botte hard rock alla MC5 al meticciato Clash, con escursioni anche in sonorità ska, rhythm & blues o addirittura con l’occasionale distorsione metal. E perché no? D’altronde l’album si chiude con una magnifica ballata elettrica assieme ai fratelli Severini, i Gang, altra esperienza musicale italiana genuina e irriducibile. Insomma: se le etichette aiutano la catalogazione nei negozi di dischi (ormai pochi), qui sembra di voler voltare pagina a ogni traccia, nonostante l’impronta personale dei Black Mirrors sia inequivocabile: punk, sì, ma quel punk che è rifiuto dell’anticonformismo conformista più corrivo, quello che porta in classifica coi suoni addomesticati e qualche slogan urlacchiato per far scena o ancora quello, doppiamente fasullo, che insegue una produzione LoFi che troppe volte maschera una reale capacità strumentale.
Stato d’eccezione è suonato e prodotto benissimo, senza ruffianate ma con una visione musicale chiara e potente che esalta il lavoro compositivo ed esecutivo. Provate a sentire i dischi di chi insegue la programmazione radiofonica: un “tutto pieno” monolitico dove scompare qualsiasi nuance. Qui invece si sente, all’antica – ma quanto avanti! –, ogni strumento, con nitore cristallino. Chitarre, basso e voce ruggiscono o ti accarezzano accompagnando testi curatissimi che spaziano dalla realtà quotidiana del lavoro alle lezioni della storia (le vicende del partigiano Corbari o della guerrigliera Monika Ertl). E c’è l’abilità – figlia di quei lontani anni Settanta – di saper irridere il potere (W la FCA) unendo significato e sfottò senza cadere mai nel ritornello facile ma un po’ vuoto. C’è la volontà sorridente di rivendicare le radici musicali (Punk is Dad) e quella inquieta che ricorda la pacificazione imposta (Omissis, Memoria con divisa). E c’è anche lo sberleffo nei confronti dei pensosi e afflitti cantautori nostrani e di chi invece pare uscito di testa (quando un tempo cercava rifugio nel Patto di Varsavia…).
Non vorrei far torto a una tracklist che non perde un colpo ma forse il pezzo più toccante di Stato d’eccezione è l’omaggio sincero a Freak Antoni, con la cover di Gli italiani son felici, in cui suona anche lo storico chitarrista degli Skiantos, Dandy Bestia: qui passato e presente si ricongiungono magicamente e il testo di Freak – con una nuova strofa aggiunta – suona più che mai attuale e perfettamente coerente col resto dell’album, un album con la maturità dell’età dei Black Mirrors e l’energia e la voglia di chi ha ancora vent’anni dentro e sa dimostrarlo.

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