Fausto Lammoglia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 24 Nov 2024 21:00:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Nemico (e) immaginario. L’Intelligenza artificiale tra timori e utopie https://www.carmillaonline.com/2019/10/24/nemico-e-immaginario-lintelligenza-artificiale-tra-timori-e-utopie/ Thu, 24 Oct 2019 21:00:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=55452 di Gioacchino Toni

Nel saggio L’algoritmo della post-produzione. Come rinunciare al lavoro e vivere felici – contenuto nel volume D. Astrologo, A. Surbone, P. Terna, Il lavoro e il valore all’epoca dei robot. Intelligenza artificiale e non-occupazione (Meltemi, 2019) –, Dunia Astrologo apre significativamente  la sua analisi circa l’incidenza dell’Intelligenza artificiale sul mondo del lavoro riportando una celebre affermazione del Moro di Treviri: “La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in [...]]]> di Gioacchino Toni

Nel saggio L’algoritmo della post-produzione. Come rinunciare al lavoro e vivere felici – contenuto nel volume D. Astrologo, A. Surbone, P. Terna, Il lavoro e il valore all’epoca dei robot. Intelligenza artificiale e non-occupazione (Meltemi, 2019) –, Dunia Astrologo apre significativamente  la sua analisi circa l’incidenza dell’Intelligenza artificiale sul mondo del lavoro riportando una celebre affermazione del Moro di Treviri: “La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressi e oppressori sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta.” Karl Marx

La storia, di tanto in tanto, opera dei veri e propri salti di paradigma e ogni rivoluzione, continua Astrologo in apertura di analisi, ha determinato una modificazione degli stili di vita, delle condizioni economiche e dei modelli culturali. Visto che in molti casi la portata dei cambiamenti non è stata prevista, nel momento in cui ci si occupa dei mutamenti delle tecnologie, risulterebbe utile tentare di comprendere quali saranno le evoluzioni che avranno successo e quali i loro effetti sul modo di produzione, dove si concentrerà il potere economico e quale direzione politica prenderà la società nei prossimi decenni.

Sin da quando, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, si è iniziato a parlare di Intelligenza artificiale, si è sempre palesata una certa dose d’inquietudine derivata dal timore che un prodotto dell’attività cognitiva umana possa prendere il sopravvento su chi l’ha prodotto. La letteratura ed il cinema non hanno mancato di affrontato le paure più profonde del genere umano nei confronti dell’Intelligenza artificiale concentrandosi soprattutto sul rischio di non saper distinguere l’umano dall’artificiale e sul timore che l’umanità venga soggiogata dalle macchine.

Tali paure sono ricorrenti anche nelle diverse stagioni della serie Black Mirror (dal 2011, Channel 4; Netflix) ideata da Charlie Brooker. Nell’episodio Metalhead (ep. 5, quarta serie), ad esempio, si narra di cani-robot che improvvisamente danno caccia agli esseri umani senza che si abbia alcuna informazione a proposito degli scopi per cui erano stati costruiti e dei motivi che li hanno indotti ad attaccare gli umani. Si potrebbe ipotizzare, suggeriscono Fausto Lammoglia e Selena Pastorino1, che le macchine di Metalhead stiano semplicemente svolgendo il compito per cui sono state realizzate o che siano mosse dal timore di essere prossime allo spegnimento.

Secondo i due studiosi l’Intelligenza artificiale potrebbe essere letta come risposta all’esigenza di realizzare una sorta di umanità potenziata che sostituisca gli esseri umani nei compiti faticosi liberandoli così dalla condanna al lavoro e consentendo loro di vivere oziando. La massima espressione della tecnica umana sembrerebbe però coincidere con l’inizio della sua decadenza, visto che con il trasferimento alle macchine delle proprie facoltà, l’essere umano finisce col perderle.

L’episodio di Black Mirror intitolato San Junipero (ep. 4, terza serie), presenta un’esistenza delle coscienze totalmente dipendente dal funzionamento delle macchine che, secondo Lammoglia e Pastorino, rinvia ad un paradigma uomo-macchina ricalcante l’hegeliana dinamica servo-padrone. L’essere umano, realizzando l’Intelligenza artificiale, instaurerebbe un rapporto di signoria che lo vede padrone della macchina in quanto è colui che le ha dato vita; «la macchina riconosce e segue questa dinamica mettendosi a servizio. Ora, la macchina (che per assunto ha le stesse modalità cognitive dell’uomo, ma potenziate), riconosce che è il suo lavoro a dare la vita all’essere umano ribaltando il rapporto, con l’aggravante che gli uomini “disimparano” ad esistere: l’automa è assolutamente libero rispetto al mondo della cosalità, poiché non necessita di nulla per vivere. O comunque, la macchina è capace di produrre autonomamente ciò di cui ha bisogno. L’uomo, invece, è dipendente dalla cosalità e perde la sua autonomia poiché non ha più i mezzi [ad eccezione dell’Intelligenza artificiale stessa] per ottenere ciò che gli è necessario»2.

È possibile ipotizzare una situazione in cui la macchina finisce con l’aspirare a rendersi umana liberandosi dalla dinamica di controllo per vivere libera, oppure si potrebbe vedere come l’essere umano, nel momento in cui raggiunge il vertice della sua parabola tecnologica evolutiva, finisce col porre le basi per il suo regresso ad un’epoca ingenua, in cui non è più in grado di modificare efficacemente la realtà che lo circonda.

L’essere umano tende a pensare all’Intelligenza artificiale e alla sua linea evolutiva in termini umani: essa tende ad essere collocata all’interno di una griglia di intelligenza propria dell’umanità senza che venga preso in considerazione il fatto che questa possa oltrepassarne velocemente il limite massimo. Sostiene a tal proposito Nick Bostrom che l’Intelligenza artificiale «potrebbe compiere un sbalzo in avanti apparentemente improvviso in relazione all’intelligenza soltanto a causa dell’antropofirmismo, la tendenza umana a pensare che lo “scemo del villaggio” e “Einstein” siano le estremità della scala dell’intelligenza, e non punti quasi indistinguibili sulla scala delle menti in generale»3, ma nel momento in cui l’Intelligenza artificiale supera il limite umano, continua Bostrom, si giunge ad un cambiamento radicale.

Secondo Mark O’Connell4 il rischio non è tanto dato dall’ostilità delle macchine intelligenti nei confronti degli esseri umani che le hanno realizzate, quanto piuttosto dalla loro possibile indifferenza. Esattamente come gli umani hanno contribuito all’estinzione di specie non per malvolenza ma perché non rientranti più nei loro piani, altrettanto una macchina intelligente potrà rivoltarsi all’essere umano se la scomparsa di quest’ultimo risulterà una condizione ottimale per il raggiungimento degli obiettivi della macchina.

Sino ad ora, sostiene Dunia Astrologo, l’Intelligenza artificiale ha avuto a che fare con sistemi di machine learning e con le capacità di apprendimento dei cyberbot nell’ambito dei processi per la realizzazione di prodotti e servizi utili alla semplificazione dell’esistenza. Al fine di evitare che tali tecnologie giungano a sottrarre libertà all’essere umano, sostiene la studiosa, occorre saper scindere la ricerca scientifica dalle sue oggettivazioni tecnologiche e valutare il ruolo che andrà ad avere l’Intelligenza artificiale nei decenni a venire, evitando di credere che per ottenere una società migliore occorra per forza contrastare le applicazioni che sostituiscono lavoro umano con macchine.

A fronte di una diminuzione della fatica lavorativa, l’automazione richiede un ampliamento delle capacità e competenze necessarie a governarne i processi. Anche ciò che fino a poco tempo fa era lavoro totalmente subordinato all’organizzazione del sistema produttivo, ora richiede un importante contributo cognitivo anche da parte di chi si occupa dei robot o delle fasi operative delle macchine governate da software. Nelle attività odierne, l’esigenza di interagire con il mercato attraverso sistemi informativi data rich da cui trarre elementi decisionali prevede «lavoratori-della-conoscenza (knowledge workers), la cui partecipazione al processo produttivo sembra non avere quasi più limiti fisici. È difficile immaginare il momento in cui un knowledge worker smette di lavorare e produrre per il suo datore di lavoro, poiché la conoscenza, che appartiene a lui e che può essere accresciuta e allargata molte volte nel corso della sua esistenza, non è un vero e proprio bene economico. Assomiglia assai più a un “bene comune”, un bene di tutti. E la nuova organizzazione dei processi di produzione di beni e servizi ne trae grandissimo vantaggio, sfruttandola senza soluzione di continuità»5. Anziché alleggerire l’impegno di chi lavora con l’ausilio di strumenti digitali, il nuovo modello operativo della società in rete sembrerebbe averlo di gran lunga appesantito.

Jonathan Crary6 ha puntualmente descritto la condizione dell’essere umano contemporaneo connesso con quei device elettronici che lo rendono costantemente disponibile all’interazione di tipo lavorativo, consumistico, formativo ecc., in definitiva in balia, più o meno consapevolmente, di un capitalismo onnipervasivo. Per certi versi, ricorda Astrologo, ciò ricorda i tempi della prima Rivoluzione industriale, quando la fatica e l’estensione oraria del lavoro manuale lasciavano un tempo irrisorio alla riproduzione della forza lavoro. Oggi, chi lavora ricorrendo soprattutto alle proprie conoscenze e competenze paga l’essersi liberato dalla necessità di presenziare in un luogo specifico di lavoro con un’estensione temporale della sua attività produttiva, tanto che, persino quando si prende una pausa lavorativa per interagire su un social o per fare acquisti su una piattaforma di e-commerce, contribuisce al processo di accumulazione dei cosiddetti Big Tech. La “presenza in internet” attraverso la mediazione di device fa sì che ogni atto, decisione, relazione, rapporto sociale ecc. sia registrato e utilizzato, immediatamente o prossimamente, per finalità non per forza di cose cose condivise. Le relazioni tra tutti questi input informativi, suggerisce la studiosa, generano una realtà complessa fatta di link tra soggetti o entità capaci di influenzare i comportamenti collettivi.

È indubbiamente diffuso il timore che l’Intelligenza artificiale, riducendo il numero di persone occupate in un lavoro produttivo, finisca col generare un fenomeno di marcata diseguaglianza tra un numero limitato di knowledge worker e una massa di individui sottopagati e sottoimpiegati, quando non totalmente espulsi dal ciclo produttivo. Il web ha determinato la scomparsa, o quasi, di molte attività tradizionali e pare che nei prossimi dieci anni metà dei lavori, sia manuali che intellettuali, possa essere sostituita da piattaforme digitali e da deep learning systems basati su raffinate proprietà computazionali in grado di sviluppare capacità cognitive simili a quelle umane. Secondo i dati riportati dal rapporto McKinsey 2017, nei settori a maggiore potenzialità di automazione circa il 47% della manodopera sarà presto sostituita. Anche prendendo in considerazione il fatto che non tutti i lavoratori e le lavoratrici possono essere rimpiazzati dalle macchine e che di pari passo alle perdite di molte attività si svilupperanno nuovi posti di lavoro nell’ambito dello sviluppo o della vendita delle app che renderanno inutili le attività più tradizionali, il saldo sembra destinato a restare decisamente negativo.

Sono state create macchine capaci di autoapprendere e di intervenire in numerosi campi applicativi che necessitano di un numero elevato di dati e, come sempre è avvenuto, chi è in grado di generare, raccogliere, organizzare il maggior numero di dati conquista una posizione di privilegio. La concentrazione di potere nelle mani delle major Big Tech (Apple, Google, Microsoft, Amazon, Facebook e Alibaba) soltanto ora inizia a essere percepita come problema con cui occorre confrontarsi al più presto. Alessandro Curioni7 individua proprio in tali colossi dotati di competenze tecniche di altissimo livello, avanzata capacità di analisi delle informazioni e controllo dei flussi di dati sul web, le nuove “superpotenze” dell’era della cyber war8.

Se molte imprese tendono a ricorrere all’Intelligenza artificiale per ridurre i costi del lavoro attraverso processi fortemente informatizzati e robotizzati, ve ne sono altre operanti in attività che, almeno nel breve periodo, non consentono di sostituire la manodopera con processi fortemente automatizzati. Vi sono poi aziende in cui i processi decisionali possono ricorrere all’ausilio di sistemi di controllo al fine di centralizzare i processi gestionali evitando così di dover ricorrere a una lunga catena di comando e consentendo a chi ha il controllo del sistema operativo di riappropriarsi totalmente dell’organizzazione di ogni fase lavorativa attraverso l’esercizio di una stretta sorveglianza. L’effetto orwelliano di tale approccio impedisce ogni permeabilità alla condivisione e allo sviluppo di saperi tecnici “taciti”, propri di chi conosce direttamente i processi aziendali e influisce sul mercato del lavoro rendendo possibile l’espulsione non solo di chi ricopre mansioni dequalificate, ma anche di coloro che hanno ruoli più specialistici.

Visto che non è ipotizzabile che in breve tempo i lavoratori e le lavoratrici sostituiti da macchine intelligenti possano acquisire capacità e competenze più elevate, secondo Astrologo, si prospetta il consolidarsi di «una logica alienante, capace di distruggere ogni forma di umanesimo del lavoro. Purtroppo questo è un modello che si sta diffondendo anche a causa della scarsa conoscenza dei reali e potenziali utilizzi dell’IA, ovvero della convinzione che l’automazione spinta dei processi operativi sia tutto quanto l’IA possa offrire, soprattutto se questa “falsa credenza” o vera ignoranza è sostenuta da una grande campagna di magnificazione delle sorti progressive di ciò che è noto come “Industry 4.0”»9.

É stata l’azienda tedesca Bosch ad introdurre per prima nel 2011 l’espressione Industria 4.0 intendendo indicare, spiega Stefano Zamagni, «una delle più rilevanti novità associate alla quarta rivoluzione industriale, ovvero una nuova modalità organizzativa della produzione, manifatturiera e non. Intelligenza artificiale, robotica, genomica, informatica, tra loro collegate secondo una relazione moltiplicativa, stanno letteralmente rivoluzionando sia il modo di produzione sia il senso del lavoro umano. La fusione tra mondo reale degli impianti e mondo virtuale dell’informazione, tra mondo fisico degli uomini e mondo digitale del dato ha fatto nascere un sistema misto cyber-fisico che mira a sciogliere quei nodi che i modelli del passato non erano stati in grado di realizzare: come ridurre gli sprechi, raccogliere informazioni dal processo lavorativo e rielaborarle in tempo reale, anticipare errori di progettazione per mezzo della virtualizzazione della fabbrica, valorizzare appieno la creatività del lavoratore, incorporare le specifiche richieste del cliente in tutte le fasi del processo di produzione»10.

Se l’Industria 4.0, così come si è presentata, richiede l’abbandono del modello ford-taylorista fondato sulla gerarchia e sulla specializzazione delle mansioni, allora un’azienda come Amazon, sostiene Astrologo, potrebbe invece essere definita “cyberfordista”: «tutta controllo gerarchico, catena decisionale lunga, e una moderna versione dei MTM di tayloriana memoria, finalizzati all’efficienza massima e alla riduzione del costo del lavoro»11. Ad oggi l’Intelligenza artificiale tende ad essere finalizzata ad una produttività basata sulla drastica riduzione dei costi e del numero di occupati senza che siano nemmeno prese in esame le possibilità offerte dall’Intelligenza artificiale: si mira a modellare l’organizzazione alle esigenze della tecnologia e non, viceversa, a ricorrere alla tecnologia per incidere qualitativamente sull’organizzazione al fine di migliorare le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici.

I sistemi di Intelligenza artificiale si basano sull’elaborazione di dati posseduti, dunque tendono a concentrarsi nelle mani di chi li detiene e può elaborarli ed è in queste corporation che sembra concentrarsi il potere economico del futuro. Le macchine intelligenti possono accantonare parte della forza lavoro, materiale e intellettuale, eliminando attività e aspettative umane, e possono persino sostituirsi all’essere umano nell’elaborazione di decisioni complesse. Ad impattare per prima con tale sistema di disuguaglianze sarà la forza lavoro più debole, adibita ai mestieri meno qualificati e ciò darà luogo alla crescita esponenziale di un sottoproletariato destinato ai lavori occasionali, dequalificati e insicuri non eseguibili da macchine. Mano a mano che l’Intelligenza artificiale diventerà più raffinata, sostiene Astrologo, a pagare l’innovazione saranno quelle figure di tecnici e lavoratori che hanno svolto ruoli gestionali o mansioni specialistiche via via marginalizzate: tali figure sono destinate ad essere sostituite da macchine intelligenti e da sistemi di controllo diffusi. A mantenere le posizioni, continua la studiosa, saranno coloro che operano in ambiti in cui l’Intelligenza artificiale farà da supporto alle presa di decisione, gli addetti alla realizzazione di nuove applicazioni tecnologiche e i produttori e controllori di flussi di dati.

Che fine farà chi non rientra nelle prime due aree del mercato del lavoro (i dannati e i futuri dannati) o chi si trova tra queste e i destinati alla salvezza? A tale interrogativo Dunia Astrologo vede sostanzialmente tre possibili risposte: la prima rimanda all’arte dell’adattarsi o dello sgomitare al fine di mantenersi qualche gradino sopra gli altri; la seconda rinvia alla possibilità di lavorare in campi culturali e dell’intrattenimento che offrono servizi, riservati a chi se li potrà permettere, a cui non possono rispondere le macchine; la terza risposta rimanda a una possibile ribellione la cui portata e i cui effetti risultano al momento impossibili da prevedere.

Il diffondersi delle nuove tecnologie in sostituzione del lavoro umano pare aver determinato due diverse visioni: una propria dei tecno-ottimisti ad oltranza ed una dei tecno-pessimisti12. Astrologo ritiene, come detto, che la diffusione nel mondo del lavoro delle tecnologie basate sull’intelligenza delle macchine più che arginata dovrebbe essere orientata al miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani evitando atteggiamenti deterministici, di entusiastica accettazione o d’indifferenza. Secondo la studiosa lo scenario apocalittico costruito attorno all’Intelligenza artificiale andrebbe ridimensionato alla luce delle potenzialità offerte da questa e dai Big Data per migliorare le condizioni dell’umanità in termini cultuali, partecipativi e di qualità della vita. A tale scopo l’ipotesi della fine del modello capitalistico non può che tornare ad essere presa in considerazione e qua l’autrice riprende la nota riflessione di Marx circa la possibilità dell’auto-dissoluzione del capitale come forma dominante della produzione a partire da quel Frammento sulle macchine che, sin dagli anni Sessanta, di tanto in tanto non manca di rifare capolino agitando il dibattito politico antagonista con interpretazioni e forzature più o meno utopistiche.


  1. F. Lammoglia, S. Pastorino, Black Mirror. Narrazioni filosofiche, Mimesis, Milano-Udine, 2019. 

  2. Ivi, p. 167. 

  3. N. Bostrom, Superintelligenza: Tendenze, pericoli, strategie, Bollati Boringhieri, Torino, 2018, p. 119. 

  4. M. O’Connell, Essere una macchina, Adelphi, Milano, 2018. 

  5. D. Astrologo, L’algoritmo della post-produzione. Come rinunciare al lavoro e vivere felici, in D. Astrologo, A. Surbone, P. Terna, Il lavoro e il valore all’epoca dei robot. Intelligenza artificiale e non-occupazione, Meltemi, Milano, 2019, p. 25. 

  6. J. Crary, 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno, Einaudi, Torino, 2015. 

  7. A. Curioni, Strategie tattiche in A. Giannuli, A. Curioni, Cyber war. La guerra prossima ventura, Mimesis, Milano-Udine, 2019. 

  8. G. Toni, Guerre, immagini, big data e cyber war, Il Lavoro culturale, 02/10/2019. 

  9. D. Astrologo, L’algoritmo della post-produzione, cit., p. 35. 

  10. Intervista a Stefano Zamagni, Lavoro e quarta rivoluzione industriale: alcune riflessioni, in Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi, 3 (2019) []. L’intervista è a cura di Tito Menzani. 

  11. D. Astrologo, L’algoritmo della post-produzione, cit., p. 37. 

  12. «I tecno-ottimisti ad oltranza basano la loro visione circa gli effetti della rivoluzione digitale sulla celebre profezia di John Maynard Keynes, che diceva che le macchine avrebbero liberato gli uomini dal lavoro, per cui l’umanità avrebbe potuto dedicarsi alla coltivazione delle arti e del pensiero filosofico. Non poteva certo immaginarsi che dopo la seconda, sarebbero scoppiate due altre rivoluzioni industriali, la cui cifra è la marcata accelerazione con cui si realizza il mutamento tecnologico: da intergenerazionale a intragenerazionale. È questa iperaccelerazione che non consente una metabolizzazione del nuovo: l’avanzamento tecnico-scientifico corre più velocemente della riflessione etica. Secondariamente, il meccanismo della distruzione creatrice, colpisce più pesantemente quelle economie la cui forza lavoro è meno capace di recepire il nuovo. E infatti sono i paesi emergenti quelli che oggi più risentono dei rischi occupazionali associati alla nuova ondata di automazione. D’altro canto, i tecno-pessimisti pensano che il lavoro diventerà sempre meno importante e sempre più lavoratori saranno rimpiazzati dalle macchine. Un recente rapporto del centro di ricerca britannico Nesta pare confermare questo pessimismo quando chiarisce che non bastano più le skills specialistiche ad assicurare l’occupabilità. Quel che in più la nuova traiettoria tecnologica richiede sono abilità di tipo relazionale, quali empatia, propensione al lavoro di squadra, autonomia» Intervista a Stefano Zamagni, Lavoro e quarta rivoluzione industriale: alcune riflessioni, op. cit. 

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Nemico (e) immaginario. La morte, l’oblio e lo spettro digitale https://www.carmillaonline.com/2019/06/18/nemico-e-immaginario-la-morte-loblio-e-lo-spettro-digitale/ Tue, 18 Jun 2019 21:00:37 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53162 di Gioacchino Toni

Il sopraggiungere della morte comporta per ogni essere umano un, più o meno lento, scivolamento nell’oblio. Per certi versi ciò che sembra spaventare maggiormente gli esseri umani, per dirla con Antonio Cavicchia Scalamonti, è «la morte in quanto oblio»1 e, proprio per differire l’oblio, nel corso del tempo l’umanità ha tentato in ogni modo di costruire una memoria duratura.

Anche a causa dell’entrata in crisi delle promesse religiose, almeno in Occidente, il rischio di scivolare [...]]]> di Gioacchino Toni

Il sopraggiungere della morte comporta per ogni essere umano un, più o meno lento, scivolamento nell’oblio. Per certi versi ciò che sembra spaventare maggiormente gli esseri umani, per dirla con Antonio Cavicchia Scalamonti, è «la morte in quanto oblio»1 e, proprio per differire l’oblio, nel corso del tempo l’umanità ha tentato in ogni modo di costruire una memoria duratura.

Anche a causa dell’entrata in crisi delle promesse religiose, almeno in Occidente, il rischio di scivolare nell’oblio velocemente pare essere percepito dall’essere umano con crescente inquietudine. Risulta pertanto particolarmente interessante, in una società iperconnessa come l’attuale, interrogarsi circa il significato che assume il concetto di “immortalità” sul web.

Spunti di riflessione su tali questioni, ed in particolare sulla Digital Death, sono offerti da alcuni episodi di Black Mirror (dal 2011), produzione audiovisiva seriale ideata da Charlie Brooker che, scrive Alessandra Santoro nel libro collettivo dedicato alla serie curato da Mario Tirino e Antonio Tramontana,2 con acume e lucidità disarmante sembra «portare iperbolicamente all’esterno le paure, le dissonanze, le ferite aperte e le crepe di un mondo dominato da una crescente deriva tecnologica. Deriva che riflette non tanto una società governata dai media, quanto un futuro distopico e pessimista dominato dagli uomini attraverso i media» (p. 157).

Affrontando nel volume il lemma “Morte”, scrive Santoro: «la cultura digitale, oggi, sembra […] impegnata nel tentativo di mettere in discussione la stasi che deriva dall’interruzione che la morte porta nello scorrere del tempo, e lo fa offrendo la possibilità concreta di accumulare tracce con l’intento di conservare una memoria digitale (o eredità digitale) di quello che siamo stati e, in alcuni casi, si propone di rielaborare l’insieme dei tratti accumulati nel corso dell’esistenza nel tentativo di realizzare una sorta di immortalità digitale: far sopravvivere i defunti sotto forma di “spettro digitale”, fornendo tecnologicamente un’autonomia vivente ai nostri dati, i quali, sottratti dalla sostanza corporea che li animava e incarnando la nostra identità personale, proseguirebbero la vita, in versione digitale, che la morte ha spezzato» (pp. 159-160).

La difficoltà di accettare la morte è al centro, ad esempio, di Be Right Back (Torna da me, Episodio 1, Seconda stagione). Viene qua mostrata la possibilità per chi resta di mantenrsi in contatto con il defunto attraverso un software in grado di rielaborare il materiale condiviso online durante la vita dallo scomparso. Si viene a creare così un “simulacro” dell’individuo vissuto in grado di comunicare con i vivi.

Facendo riferimento alla realtà extra-schermo, Santoro racconta dell’esistenza di servizi web che si occupano di garantire l’immortalità digitale. È prevista un’iscrizione “preventiva” finalizzata alla memorizzazione continuativa di dati dei principali social media al fine di creare un individuo artificiale potenzialmente eterno. Dopo la morte dell’iscritto, costui viene “tenuto in vita” virtualmente attraverso la rielaborazione dei dati da lui stesso registrati per poi essere collegato con tutte le persone precedentemente indicate. È previsto persino una avatar 3D affinché tale entità appaia ed interagisca con gli altri utenti; una sorta di “spettro digitale”.

Scrive Santoro che «tali sistemi sottovalutano però l’importanza simbolica dell’interruzione del divenire temporale: la sopravvivenza dei nostri avatar virtuali non coincide con le regole evolutive della crescita e dell’invecchiamento, ma si limita alla ripetizione meccanica di ciò che ha fatto parte di una storia vissuta ne passato di chi non c’è più e che è impossibilitata a determinarsi in modo innovativo nel futuro. Un’identità che allo stesso modo di quella “reale” rimane incompiuta, statica, ferma all’istante in cui la morte ha interrotto il corso della sua possibile evoluzione» (p. 163).

In San Junipero (Episodio 4, Terza stagione), «il carattere distopico e l’ineludibilità della morte apparentemente sembrano perdersi con la costruzione di un upload in grado di racchiudere la coscienza delle persone in un corpo metallico da proiettare in una paradisiaca eternità virtuale che sembra vincere la morte e la malattia. Una sorta di cookie (estratti delle persone che riproducono, impressi in una memoria artificiale, ricordi, gusti e abitudini del possessore), come lo rappresenta Brooker in White Christmas (Bianco Natale, speciale 2014), o più comunemente inteso come un mind uploading, ossia un procedimento che consente di creare una copia perfetta del cervello [dell’essere umano] per poi trasferirla su un supporto non biologico di modo che, da un lato, esso possa sfuggire al deperimento naturale e, dall’altro, possa crescere, alimentarsi di nuova coscienza e interagire con il mondo reale» (pp. 163-164).

Santoro si sofferma sul finale di San Junipero, quando le immagini mostrano un braccio meccanico che, nella sede della TCKR System, impianta un chip in una distesa di capsule rimandante ad una sorta di cimitero riproducente il mondo virtuale di San Junipero. Il messaggio lanciato, sostiene la studiosa, diretto e inquietante, sembra chiedere se «è realmente la coscienza delle persone a essere racchiusa in quel corpo metallico» o se non sia piuttosto «un riflesso computerizzato di quella coscienza, una sua copia sbiadita» (p. 165).

Il cervello, però, non può che essere pensato come “esteso”, “incarnato”; ogni attività neurobiologica del cervello umano dipende dai segnali provenienti dal corpo e dall’ambiente. «Il corpo, inoltre, è sempre «immerso e situato in un ambiente che lo influenza e da ca cui è influenzato» (p. 166). Il cervello ha una storia sia biologica che sociale; pertanto non è possibile pensare di poter prolungare la sopravvivenza attraverso il suo isolamento dal resto del corpo trapiantandolo in un supporto vitale artificiale.

Sulle medesime questioni che la serie audiovisiva ha il merito di trattare, ragionano anche Fausto Lammoglia e Selena Pastorino3 a partire da due concetti chiave: “post-umano” e “transumanesimo”.

Con il primo termine, sostengono i due studiosi, «si intende una visione dell’essere umano come una macchina di carne che può essere integrata, riparata e finanche migliorata con parti meccaniche o digitali, che caratterizzerebbe la nostra epoca contemporanea». (p. 29). Con post-umano ci si riferisce non solo le protesi di miglioramento/potenziamento sensoriale o psicomotorio, ma anche alla relazione di dipendenza degli esseri umani con la tecnologia.

Con termine transumanesimo, invece, sempre secondo Lammoglia e Pastorino, si fa riferimento ad «un movimento filosofico, sociale ed economico, figlio del tecnocapitalismo, che ha un unico obiettivo: superare il limite fisico della morte (in particolare della vecchiaia)» (p. 30). Che si tratti di sospensione crionica, di upload delle coscienze o di integrazione cibernetica del corpo umano, il transumanesimo pare ossessionato dal superamento dei limiti della mortalità umana, e tale possibilità, sostengono i due autori, «è, prima di tutto, ricerca religiosa di un senso che possa superare i limiti della nostra mortalità che, per i transumanisti, sono fisici e strettamente dipendenti dalla struttura corporale dell’essere umano. In quanto tale essa ha bisogno di profeti, i ricercatori della Silicon Valley, strenui difensori di tale possibilità che, però, è quasi completamente infondata poiché, ad oggi, non si ha ancora nemmeno una briciola di indizio su come funzioni la nostra mente (sappiamo qualcosa in più dell’hardware cervello, ma pochissimo del software mente)» (p. 48).

Il confronto con il fine vita e la speranza di procrastinare il sopraggiungere della morte, compare anche in alcuni episodi di Black Mirror ma, a differenza dei transumanisti, la serie invita a riflettere circa la disponibilità ad affrontare i “costi” che le “soluzioni tecnologiche” pongono all’individuo ed alla società.

Partendo da presupposti che vogliono per certe tanto l’esistenza della coscienza, quanto la possibilità che questa possa essere “caricata” su un supporto diverso da quello del corpo dell’individuo, Black Mirror si preoccupa di contraddire l’entusiasmo dei ricercatori ponendo questioni inerenti il campo delle relazioni, della psicologia e dell’identità che toccano problemi esistenziali, etici e legislativi.

«Ammesso che sia possibile caricare le coscienze su un cloud, esse hanno sempre bisogno di un supporto fisico (sia questo un pc, un robot, un altro essere umano o un peluche). […] Se accettiamo una definizione che indichi l’essere come tutto ciò che possa agire o subire un’azione, comprendiamo immediatamente come una coscienza senza supporto non possa effettivamente “essere”. È necessario che sia in qualche modo incarnata, che abbia delle propaggini che le permettano di relazionarsi con il reale. […] Possiamo dunque sintetizzare che, a livello pratico, serve un corpo che possa rendere le coscienze esistenti (capaci di interagire con il mondo); che tale corpo dovrebbe essere il più possibile autonomo (non dipendente da altri individui, pena il rischio di perdere la propria esistenza […]); e che, cognitivamente, potremmo avere difficoltà ad accettare l’esistenza di un altro Io virtuale se prima non abbiamo fatto esperienza della sua realtà corporale. La nostalgia, però, sembra un problema identitario ancor più radicale, scalfito in parte dal problema cognitivo appena accennato. Tutti, ma proprio tutti i casi citati negli episodi di Black Mirror, hanno bisogno di vedersi come corpi, poiché il corpo è legato alla concezione di esistenza […] Il corpo non è solo il mezzo per agire, ma è componente essenziale (alla nostra mente) per pensarsi esistenti. Risulta difficile, se non impossibile, ad ognuno provare ad immaginarsi senza corpo. Non riusciamo in alcun modo a pensarci come semplici voci nel nulla. Sembra impossibile quindi giungere alla completa trascendenza dal corpo senza perdere con essa l’identità (se non anche l’esistenza): non c’è una liberazione dal corpo prigione (come sosteneva Platone) che possa configurarsi come esistenza migliore. Non per ciò che abbiamo esperito. Esiste però una differenza tra il bisogno di un corpo e la dinamica identitaria ad esso connessa» (pp. 49-52) .

Continuare a parlare di mente e corpo, come di due entità separate, è quantomeno fuorviante, se non scorretto, sostengono Lammoglia e Pastorino, «meglio sarebbe parlare di persona, la cui identità, radicata nella sua essenza, è costruita (e dipendente) sia dall’aspetto razionale che da quello fisico e materiale. Mente e corpo non sono quindi due parti scisse ma due dimensioni correlate, assolutamente reciproche, e continuamente influenzate l’una dall’altra di ogni persona. Sembra che Black Mirror voglia essere sì profeta, ma di tipo apocalittico, del transumanesimo. Nella notte di questa fede cieca del terzo millennio, la profezia mette le macchine davanti allo specchio chiedendo che si riconoscano, mette i progettisti a sedere chiedendo loro quale bioetica per il futuro e, non ottenendo risposta, prova a mostrare conseguenze non preventivate» (p. 53).

Insomma, a questa partita che l’essere umano si ostina a giocare, la morte vince sempre. Forget about it!


Fausto Lammoglia – Selena Pastorino, Black Mirror. Narrazioni filosofiche, Mimesis, Milano-Udine, 2019, € pp. 170, € 18,00

Mario Tirino – Antonio Tramontana (a cura di), I riflessi di Black Mirror. Glossario su immaginari, culture e media della società digitale, Rogas Edizioni, Roma, 2018, pp. 280, € 19,70

Serie completa di “Nemico (e) immaginario


  1. A. C. Scalamonti, La camera verde. Il cinema e la morte, Ipermedium 2003 

  2. M. Tirino – A. Tramontana (a cura di), I riflessi di Black Mirror. Glossario su immaginari, culture e media della società digitale, Rogas Edizioni, 2018 

  3. F. Lammoglia – S. Pastorino, Black Mirror. Narrazioni filosofiche, Mimesis, 2019, p. 29 

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Nemico (e) immaginario. Il senso dell’esistenza davanti allo specchio nero https://www.carmillaonline.com/2019/04/12/nemico-e-immaginario-il-senso-dellesistenza-davanti-allo-specchio-nero/ Thu, 11 Apr 2019 22:01:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=51942 di Gioacchino Toni

«Black Mirror piazza lo spettatore davanti allo specchio nero. Alla fine di ogni episodio, lo schermo si spegne diventando riflettente e il soggetto si ritrova solo davanti alla sua immagine, al suo Sé da cui non può fuggire e che non può costruire. Lo specchio (nero) incatena lo spettatore con se stesso e lo porta ad interrogarsi sul significato profondo della sua vita, della sua esistenza. Tutto ciò che l’individuo fa serve a riempire di senso la propria esistenza» Fausto Lammoglia e Selena Pastorino

La complessità narrativa di diverse serie audiovisive recenti richiede allo spettatore un coinvolgimento attivo [...]]]> di Gioacchino Toni

«Black Mirror piazza lo spettatore davanti allo specchio nero. Alla fine di ogni episodio, lo schermo si spegne diventando riflettente e il soggetto si ritrova solo davanti alla sua immagine, al suo Sé da cui non può fuggire e che non può costruire. Lo specchio (nero) incatena lo spettatore con se stesso e lo porta ad interrogarsi sul significato profondo della sua vita, della sua esistenza. Tutto ciò che l’individuo fa serve a riempire di senso la propria esistenza» Fausto Lammoglia e Selena Pastorino

La complessità narrativa di diverse serie audiovisive recenti richiede allo spettatore un coinvolgimento attivo al fine di comprendere, ricostruire, interpretare e prendere posizione, magari condividendo con altri spettatori ipotesi, anticipazioni, riscritture ed ampliamenti del testo originario. Con “complex TV” si fa riferimento proprio a questo tipo di produzioni televisive che incorporano al proprio interno la complessità, tanto a livello di narrazione che di fruizione. Black Mirror appartiene sicuramente a questo genere di programmi ma lo fa con alcune sue peculiarità che, secondo il recente volume di Fausto Lammoglia e Selena Pastorino, Black Mirror. Narrazioni filosofiche (Mimesis, 2019), rendono la serie una narrazione filosofica che si impone agli spettatori come una domanda di senso.

Lo schema narrativo di molte serie televisive si articola su più livelli: l’episodio, che tende a concentrarsi sugli aspetti di uno specifico evento o di un personaggio; la stagione, che conclude un determinato aspetto affrontato; la serie nella sua interezza, a cui spetta il compito di trasmettere il significato profondo dell’intera produzione. In Black Mirror, invece, il susseguirsi degli episodi non è finalizzato alla costruzione di una storia ma alla creazione di un mondo. Le diverse e, salvo rare occasioni, slegate puntate della serie contribuiscono a creare un’atmosfera generale, un continuum di esperienze accomunate da una visione del mondo, da universo tecnologico simile e da alcuni fatti che si legano tra loro soltanto attraverso piccoli dettagli, richiamanti altri episodi, disseminati discretamente dagli autori.

La serie è caratterizzata, oltre che da un evidente apparato allegorico (diversi significati sono veicolati attraverso le colonne sonore ed i nomi), anche dal ripetuto suggerire allo spettatore di non fidarsi delle apparenze ed a differenza di quanto accade con i colpi di scena cinematografici classici, le trasformazioni nella serie riguardano il modo di guardare le cose: ad essere rivoluzionato è il punto di vista.

Gli episodi della serie sembrano ambientati in un “domani tecnologico” di cui, sostengono Lammoglia e Pastorino, non viene tanto criticata la tecnologia, quanto piuttosto l’uso che di essa viene fatto, inoltre si tratta di un domani caratterizzato da una sorta di contrapposizione tra “futuristico” e “vintage”. «Tutta la tecnologia o le parti di realtà che non costituiscono una novità vera e propria sono rappresentate nella serie come strumenti superati, stracci vecchi che andrebbero buttati o cambiati ma, al contempo, rimangono sempre attuali, poiché la ricerca si spinge verso la novità assoluta lasciando da parte l’innovazione e miglioramenti» (p. 18).

L’analisi di Black Mirror proposta dal libro è votata a riconoscere il potenziale filosofico della sua narrazione privilegiando quattro direttive a cui sono dedicati altrettanti capitoli: il primo, Commemorare, affronta la questione della “memoria aumentata” grazie alla tecnologia e quella che potrebbe sconfiggere la morte; il secondo, Giudicare, è dedicato all’impatto che ogni parola può avere una volta raggiunta la dimensione pubblica del social(e); il terzo, Esprimere, si occupa delle modalità di comunicazione interpersonale mediatizzata; il quarto, Controllare, affronta la pervasività dello Stato tecnologico e l’ossessione del comando sul “reale”.

Secondo gli autori è possibile leggere l’intera serie come grido di dolore contro la mancanza di significato della vita in un mondo post-umano, immerso nei social. Diversi protagonisti sembrano «dei moderni Amleto costretti a confrontarsi con il dubbio ontologico tra essere e non essere, tra l’esistenza faticosa, dolorosa ma finalizzata alla pienezza di significato e la non esistenza, la resa che sembra possa portare alla tranquillità attraverso l’inazione […] Questo bisogno di senso si cala nella realtà attraverso due riflessioni ulteriori inerenti l’autenticità del significato. Da un lato il significato profondo dipende dall’immersione della vita nel tempo; dall’altro, il rischio è perseguire uno scopo strumentale perdendo di vista il vero fine della propria azione» (pp. 191-192)

Lasciare, alla fine di ogni episodio, chi lo ha seguito davanti allo schermo che si spegne, lo specchio nero, pone lo spettatore davanti alla sua immagine invitandolo ad interrogarsi circa il significato profondo della sua esistenza. Ma la serie, suggeriscono gli autori del saggio, «come ogni altra narrazione filosofica, non è fatta per restare nel campo dell’astratto ma trova la sua ragion d’essere nel mondo. Non basta capire, perché lo scopo è sempre e comunque l’azione, la praxis. Contemplare la realtà, conoscere se stessi, individuare le falle del sistema sono i passi propedeutici ad una ricaduta concreta nel reale che avvenga tramite l’azione diretta del soggetto il quale dovrà impegnarsi in ogni modo perché la realtà che lo circonda sia adatta, sia vivibile, diventando il campo in cui realizzare il significato profondo del suo Sé. Al contrario, se il soggetto resterà spettatore, seduto sul divano e volto all’inedia, ogni significato che assumerà la sua vita dipenderà da altro o da altri fuori di lui. La potenza della narrazione di Black Mirror è questa, in fondo. Chiede al soggetto di tramutare la sua essenza di spettatore per trasformarlo in attore» (p. 196).

Attraversare lo specchio, sottolineano Lammoglia e Pastorino, «significa allora abbandonare l’esteriorità di una teoresi sterile e ordinata per abbracciare la realtà dell’esperienza vissuta di fronte allo svolgersi degli eventi, darle una forma e agirla in una pratica in cui sia possibile riconoscere noi stessi. Perché se anche lo specchio nero può funzionare come una mirror box in cui le nostre convinzioni falsate vengono corrette da una visione attiva, è solo la prassi del pensiero, in ogni sua dimensione, a permetterci di nuotare nell’abisso che siamo. Ogni volta di nuovo» (p. 203).


Serie completa di “Nemico (e) immaginario”

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