fascisti del terzo millennio – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 01 Apr 2025 20:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dacci oggi il nostro fascismo quotidiano https://www.carmillaonline.com/2022/02/28/dacci-oggi-il-nostro-fascismo-quotidiano/ Sun, 27 Feb 2022 23:01:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=70638 di Walter Catalano

Valerio Renzi, Fascismo Mainstream, Fandango Libri, pp.185, euro 17,00 stampa.

«Cosa accadrà se non vinceranno i movimenti progressisti per la giustizia sociale e climatica? Se lo spazio vivibile sulla terrà sarà drasticamente ridotto? […] le idee tenute in circolazione dal Fascismo Mainstream potrebbero tornare utili per giustificare e armare nuovi stermini, fornendo l’infrastruttura ideologica alla sopravvivenza dei privilegiati» (p. 178). Con questa inquietante domanda, in una prospettiva apocalittica sempre più orribilmente presente al nostro orizzonte quotidiano, Valerio Renzi conclude il suo libro. Il fascismo mainstream, è un armamentario [...]]]> di Walter Catalano

Valerio Renzi, Fascismo Mainstream, Fandango Libri, pp.185, euro 17,00 stampa.

«Cosa accadrà se non vinceranno i movimenti progressisti per la giustizia sociale e climatica? Se lo spazio vivibile sulla terrà sarà drasticamente ridotto? […] le idee tenute in circolazione dal Fascismo Mainstream potrebbero tornare utili per giustificare e armare nuovi stermini, fornendo l’infrastruttura ideologica alla sopravvivenza dei privilegiati» (p. 178). Con questa inquietante domanda, in una prospettiva apocalittica sempre più orribilmente presente al nostro orizzonte quotidiano, Valerio Renzi conclude il suo libro. Il fascismo mainstream, è un armamentario di idee, atteggiamenti, fisime, visioni del mondo, eredità diretta di un fascismo storico mai rimosso, mai davvero sconfitto, sempre pronto a risorgere, non essendo purtroppo mai del tutto tramontato, per ripresentarsi – come un attrezzo lasciato in garage per recuperarlo nel momento del bisogno – nel caso una crisi più profonda e destabilizzante minacci il modello neoliberista. Il realismo capitalista – come direbbe Mark Fisher – è già pronto a riutilizzarlo, ancora una volta, a puntello della sopravvivenza del proprio sistema di potere: narrazione politica compatibile prima, instrumentum regni drastico ma efficace poi. Il fascismo quindi ora diventa mainstream, prodotto di massa: un’astuta cosmesi fatta di marketing e propaganda lo rende accettabile, innocuo, addirittura auspicabile.

Il “presidente patriota”, entità fantasmatica enfaticamente invocata da Giorgia Meloni durante la faticosa rielezione di Mattarella e accreditata sui media senza alcuna contestazione o sarcasmo per le dubbie connotazioni dell’aggettivo che la qualifica; le idiozie proferite dal beota Patrizio Bianchi, ministro della pubblica istruzione, in occasione della “giornata del ricordo”, avvalorando la vulgata neofascista delle foibe come strage anti-italiana perpetrata dai sanguinari comunisti titini senza contestualizzare se fosse stato meno sanguinario il precedente dominio italiano e fascista su Istria, Dalmazia, Slovenia e litorale croato, arrivando addirittura a equiparare, con scandalosa ignoranza della storia e offesa ad ogni buonsenso e buongusto, gli infoibamenti alla Shoah. Sono esempi recenti di un evidente e vergognoso lassismo istituzionale di forme e contenuti nei riguardi di temi e posizioni impresentabili nel pubblico dibattito solo pochi anni fa. Paradigmi del fascismo maintream, appunto.

Così come la migliore strategia del diavolo è farci credere che non esiste – almeno a quanto diceva Baudelaire – anche la candida accettazione che il fascismo sia un semplice fenomeno storico e regime politico concluso nel 1945 con la definitiva sconfitta militare e che pertanto, di conseguenza, ogni pregiudiziale antifascista sia un orpello inutile e arretrato da abbandonare senza nostalgie, è sempre stata la tattica vincente e il rassicurante alibi delle destre estreme, versione oggi condivisa ormai ben più largamente in differenti ambiti ideologici. In modo analogo la concomitante esecrazione di fascismo e comunismo, semplicisticamente equiparati senza alcun distinguo come sanguinari totalitarismi, è diventato il dogma ufficiale anche della Comunità Europea, un dogma quanto mai impreciso e superficiale pericolosamente foriero di equivoci sulla erogazione ideale di presunte credenziali democratiche.

Valerio Renzi vuole individuare i presupposti di questa deriva ancora in atto, rintracciando la genealogia di idee “che sono servite a formare un complesso ideologico inedito che mixa efficacemente le idee del passato con risposte adeguate al presente. Un complesso di idee che sembra poter esercitare una significativa egemonia nel senso comune del presente, superando gli angusti steccati di piccoli universi radicali dove questi discorsi hanno fermentato per lunghi decenni” (pag. 9). In altre parole questo fascismo del futuro è l’evoluzione del capitalismo del presente: non un’alternativa ma un epilogo possibile, uno dei gradienti, della crisi della globalizzazione neoliberista.

Il contesto generale del problema viene introdotto seguendo le analisi di Mark Fisher sulle modalità di certi prodotti culturali segno preciso dei tempi: l’ossessione per il revival culturale, per il remake cinematografico, la retromania musicale definita da Simon Reynolds e la contemporanea scomparsa pressochè totale della letteratura di fantascienza, l’estetica postmoderna centrata sull’amalgama di ingredienti conosciuti più che su elementi inediti, sono l’evidente manifestazione di un’“impossibilità di rottura con il presente”, di un’incapacità di “invenzione del nuovo”. La fine della storia profetizzata da Francis Fukuyama è divenuta realtà ma con qualche correzione: se non esiste orizzonte fuori dal capitalismo, la crisi economica e l’incepparsi della globalizzazione, nella prospettiva incombente dei cambiamenti climatici, hanno introiettato questa linea terminale nell’intimo di ogni singolo individuo, entro il margine della sua prospettiva spicciola. La dittatura del presente non ci fa guardare oltre il domani e lo Stato non è più arbitro del mercato – come nel liberismo classico – ma suo braccio armato per garantire la tenuta del sistema produttivo ed i rapporti di forza all’interno di esso. La recente gestione della crisi pandemica ne è un esempio lampante.

Il fascismo è l’ideologia più adatta a garantire la sopravvivenza individuale piccolo borghese in un sistema fondato sul continuo replicarsi e acuirsi delle diseguaglianze – di classe, di genere, di etnia – un neodarwinismo sociale in cui è sempre possibile trovare sotto di sè qualcuno su cui sfogare le proprie frustrazioni. Con la disgregazione della solidarietà di classe, l’abbassamento della conflittualità sindacale e sociale, l’allenamento all’individualismo proprietario e alla competizione, l’egemonia neoliberista sulle società occidentali ha preparato il terreno al fascismo mainstream,  e questo potrebbe essere il prodromo di quello sterminismo, basato su scarsità e diseguaglianza, che Peter Frase individua nel suo saggio Quattro modelli di futuro (Treccani 2019) – testo di riferimento di Renzi nelle conclusioni del suo libro – mettendo in relazione gli esiti di due processi storici in corso, crescita tecnologica e crisi climatica. L’automazione – nel più fosco dei quattro scenari prospettati dal ricercatore neosocialista – renderà inutili al benessere dei proprietari le masse di non proprietari divenuti superflui ai processi di produzione, mentre i cambiamenti climatici ridurranno drasticamente le risorse a disposizione: la riedizione del fascismo, più probabilmente nella declinazione nazista potrebbe essere una soluzione efficace, anzi la soluzione finale.

In attesa di questo fulgido futuro, il fascismo mainstream procede incontrastato. La Religione laica Antifascista dello Stato, cioè «discorsi, idee, simboli, liturgie che hanno ancorato la nascita o il consolidamento delle democrazie liberali dopo la Seconda guerra mondiale» (p. 31) riuscendo per decenni a mantenere in «uno stato di minorità morale e politica i movimenti con una filiazione diretta con il fascismo e nazismo», è definitivamente tramontato. Il predominio incontrastato delle lobbies bancarie in Europa ha svilito le premesse socialiste e democratiche delle costituzioni europee. Ormai “le costituzioni antifasciste non sono di nessun ostacolo al dispiegarsi del capitale, anzi rimangono al loro posto come una sorta di feticcio sacralizzato a giustificazione e sanzione delle ingiustizie del presente” (pag. 33). Come icasticamente sottolinea Renzi, la Religione Antifascista di Stato ora è un’ideologia conservatrice, “è diventata la foglia di fico morale per l’inconsistenza della democrazia liberale, per l’impotenza di un sistema politico ormai esautorato dal capitalismo finanziario” (pag. 34).

In parallelo con il mito della Religione Antifascista di Stato anche la Shoah è stata istituzionalizzata nel Giorno della memoria, ma “la completa sussunzione del portato della Shoah dalle retoriche di uno Stato che perpetua ingiustizie e si fa garante di un ordine sociale mondiale segnato da spaventose disuguaglianze, l’ha trasformata in un insignificante vuoto. Così, di fronte alle parole della liturgia, gli studenti sbadigliano, trasgrediscono tracciando croci celtiche e svastiche sul banco.” (pag. 48) La banalizzazione e l’annacquamento della Shoah divenuta sottogenere spettacolare e narrativo di successo perpetuato in spesso mediocri e storicamente inattendibili film, libri, serie televisive, ecc. (a cominciare dal pessimo La vita è bella di Roberto Benigni in cui, addirittura, sono gli americani e non i sovietici a liberare Auschwitz, ma altrimenti niente Oscar…) fa da contraltare alla sua sacralizzazione in dogma e ideologia: trasgredirlo vuol dire delegittimare ciò che il dogma legittima. L’intoccabilità dello stato di Israele, per esempio, anche quando questo mette in campo politiche di apartheid e pulizia etnica contro i palestinesi.

Un altro tassello del mosaico è l’estinzione della destra moderata o la radicalizzazione della destra di governo. Processo iniziato in Italia al principio degli anni ’90 con la “discesa in campo” di Berlusconi e, archiviando definitivamente il cordone sanitario repubblicano dell’”arco costituzionale”, la sua successiva alleanza con i postfascisti culminata nel 2008 con il Popolo della libertà, nella condivisione di un’agenda comune fatta di anticomunismo fuori tempo, deregulation del mercato del lavoro, e difesa dei ceti sociali medio alti. Il declino di Forza Italia porterà in seguito l’allargamento dell’elettorato alla Lega, sotto il ducetto Salvini, e agli eredi del MSI, Fratelli d’Italia. Berlusconi ha saldato le frange moderate superstiti dello yuppismo craxiano degli ’80, sostenitrici di libero mercato e atlantismo, con i propagatori del bagaglio ideologico neofascista – centrato su ossessione securitaria e antiimmigrazione – sdogananandolo e postideologizzandolo. E proprio i custodi della Religione Antifascista – ad esempio Luciano Violante nel discorso alla Camera del 1996 – e le forze postcomuniste avviate al loro “ravvedimento”, hanno legittimato l’operazione cosmetica del congresso di Fiuggi e la “riconciliazione nazionale”. Ma se gli ex comunisti dismettono il proprio patrimonio ideologico e culturale, gli ex fascisti adattano il loro al nuovo mercato politico. Se la sinistra perde l’”egemonia culturale” archiviando il conflitto sociale e di classe e arroccandosi sulla difesa della legalità, dello statu quo e dell’autonomia del potere giudiziario, la destra abbandona le remore moderate e costituzionali per accogliere spregiudicatamente ideologia e cultura di forze fino ad allora confinate ai margini dell’orizzonte democratico.

Questo porta alla progressiva e sempre più sfacciata irruzione nel linguaggio dei media di modelli razzisti, xenofobi, classisti, sciovinisti e degli stereotipi di genere, spacciati come istanze liberatorie da una presunta dittatura del politicamente corretto. Termini come “pensiero unico”, cancel culture, ecc. stigmatizzano ogni tentativo di arginare la deriva verso il ripristino di schematismi linguistici e mentali volti alla giustificazione e all’esaltazione della diseguaglianza e dell’esclusione delle minoranze non privilegiate.

Nel passaggio dal neofascismo al fascismo mainstream svolge un ruolo cruciale l’opera della nouvelle droite di Alain de Benoist e del Grece (Groupement de Recherche et d’Études pour la Civilisation Européenne), quel cosiddetto “gramscismo di destra” che vede nella – come dicono loro – “metapolitica” la riproposizione del vecchio bagaglio di idee della destra nostalgica, tradizionalista e fascista in una versione post-ideologica più digeribile, mescolando elementi caratteristici della sinistra, ad esempio l’ambientalismo, con altri propri alla destra radicale, come il comunitarismo, nell’ipotetica intenzione – anche questa attributo del fascismo storico – di andare oltre e al di là della destra e della sinistra.

In quest’ottica viene superato il “mito incapacitante del tradizionalismo” di vecchie icone del radicalismo di destra, feticci per necrofili come il “barone” Julius Evola, per riproporne l’essenza aggiornata in altra forma: così il razzismo biologico e la sua trasposizione pseudo-filosofica evoliana, il razzismo “spirituale”, diventa “differenzialismo”, cioè un razzismo culturale, spacciato per relativismo radicale, in cui del Blut und Boden nazista, sia il “suolo” a prevalere sul “sangue”. Non più razze inferiori biologicamente, untermenschen con i quali l’Herrenvolk non si deve imbastardire, ma razze diverse, con bisogni e desideri diversi, che non vanno assimilate ma “aiutate a casa loro”. Il vero razzismo dunque, diventa per i neo-destri l’universalismo – cristiano prima e liberale dopo – che annienta i particolarismi e le identità nella globalizzazione. Grazie a questi sotterfugi dialettici i vecchi “soldati politici” in rivolta contro il mondo moderno, gli uomini in piedi fra le rovine mentre il Kali Yuga imperversa e si consuma, hanno accalappiato nuove soggettività politiche da rappresentare: “le classi medie frustrate dalla crisi della globalizzazione, i maschi spaventati dall’emancipazione femminile, i proletari terrorizzati dal cadere ancora più in basso nella catena della gerarchia produttiva globale”.

Il libro di Renzi dopo aver così ben chiarito le modalità attraverso cui il fascismo, da Berlusconi a Salvini, da Trump a Bolsonaro, si è insinuato all’interno delle democrazie odierne, arrivando a governarle intrinsecamente – un fascismo, se così possiamo dire “recessivo”, come una malattia genetica impiantata nel nostro DNA – denuncia la concreta minaccia, quando le condizioni saranno mature  secondo l’apocalittica prognosi delle ultime pagine, che, se nessuna forza alternativa interverrà a invertire questo processo, possa diventare “dominante” in modo permanente e soprattutto infaustamente terminale.

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CasaPound tra autorappresentazione e realtà https://www.carmillaonline.com/2018/07/03/casapound-e-dintroni/ Mon, 02 Jul 2018 22:01:23 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46737 di Giovanni Iozzoli

Elia Rosati, CasaPound Italia. I fascisti del terzo millennio, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2018, pp. 226, € 18,00

Nella fase storica che l’Europa sta attraversando, con il rischio che una destra radicale e identitaria conquisti una egemonia di massa nel continente, sono quanto mai necessarie le analisi sulle forme soggettive e le subculture che tali destre esprimono concretamente. E rispondendo a tale necessità, Elia Rosati, ricercatore da anni impegnato nell’indagare questi mondi in crescita, costruisce un testo rigoroso e documentato su CasaPound, la formazione neo fascista più spregiudicata e innovativa del [...]]]> di Giovanni Iozzoli

Elia Rosati, CasaPound Italia. I fascisti del terzo millennio, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2018, pp. 226, € 18,00

Nella fase storica che l’Europa sta attraversando, con il rischio che una destra radicale e identitaria conquisti una egemonia di massa nel continente, sono quanto mai necessarie le analisi sulle forme soggettive e le subculture che tali destre esprimono concretamente. E rispondendo a tale necessità, Elia Rosati, ricercatore da anni impegnato nell’indagare questi mondi in crescita, costruisce un testo rigoroso e documentato su CasaPound, la formazione neo fascista più spregiudicata e innovativa del panorama italiano. Un libro che si unisce a una bibliografia già importante, avendo CasaPound negli anni messo al centro della sua autorappresentazione mediatica, una pretesa “diversità” che ha provocato attenzioni (e adesioni) che vanno oltre il perimetro tradizionale del ghetto neofascista italiano. Politica dell’immagine, del mito, del simbolo, ma non solo: Rosati interroga le radici profonde di questa fenomenologia nera e si imbatte in aspetti e ambienti tradizionalmente conosciuti, ma anche in suggestioni inedite.

Il bacino ideologico e territoriale di CasaPound, è il verminaio neo-fascista romano che, dal dopoguerra, non ha mai smesso di produrre generazioni di nuova militanza. In questo ambiente, sul finire degli anni ’70, si produce un area di “rottura” rispetto al consueto mondo missino, che porterà esisti e ricadute organizzative assai diverse: lo spontaneismo armato, Terza Posizione, i campi Hobbit, la Nuova Destra di Tarchi. Tutte queste variegate esperienze sono accomunate dal tentativo attribuirsi uno statuto di discontinuità, rispetto alla stagione delle collusioni con gli apparati di Stato, nonché un’aura “sociale e ribelle”.

Con una battuta potremmo dire che se i giovani di destra si erano persi con loro grande rammarico il Sessantotto, finendo per sgomberare a bastonate (con la polizia) gli studenti che occupavano le università, sicuramente non intendevano perdersi l’impatto giovanile dirompente del Settantasette, creandosene uno loro. A essere protagonista fu l’idea di “uscire dal ghetto”, dotandosi di un nuovo immaginario in vista della costruzione di un progetto comunitario, partendo da un curioso miscuglio di innovazione e tradizione, aspirazioni a crearsi un un futuro liberato dalle ipoteche a nostalgie e richiami a personaggi e miti tutti interni agli anni Venti e Trenta, rozzezze xenofobe e afflati terzomondisti. Alla base di questo nuovo essere e stare insieme da fascisti, c’era la rivendicazione della propria differenza antropologica, di una irriducibilità al mondo massificato, all’industria culturale dominante, al comune modo di essere giovani (p. 27).

Queste spinte innovative, negli anni della leadership rautiana, attraverseranno anche il mondo propriamente missino, con le incursioni nel campo ambientalista, culturale e un rinnovato attivismo studentesco.
Questo humus di identità e prassi – residui spontaneisti degli anni 70, differenzialismo culturale, neofascismo tradizionale romano – è già vivo e pronto quando l’MSI si scioglie in AN. E sarà questo il passaggio storico che libererà queste energie e darà vita a nuove esperienze – dalla Fiamma Tricolore, a Meridiano Zero, al Movimento Politico Occidentale – e, più tardi, anche al grumo organizzato che porta a CasaPound. Quest’ultimo si distinguerà come il filone che riesce a tenere meglio insieme le memorie dei “vecchi camerati” anni ’70, le nuove esigenze di socialità alternativa, il bisogno di svincolarsi dai residui partitici della destra italiana, le rivendicazioni di giustizia sociale. E non è solo la piazza romana, a dare il suo contributo.

Centrale, da questo punto di vista, sarà la zona del varesotto, dove venne messo in piedi uno stabile momento annuale di riflessione teorico-militante “Università d’estate”, e dove già dal 1989 esisteva uno spazio sociale di destra […] Sarà proprio qui a Varese con Rainaldo Graziani, che due giovani camerati romani, orfani del Movimento Politico Occidentale, apriranno un pub alla metà degli anni 90: uno di loro ha appena abbandonato l’esercito, ha circa 22 anni e si chiama Gianluca Iannone. Nello stesso Nord Italia vi era poi una prolifica scena nazirock anche di respiro internazionale (p. 35)

In questo primo “ambiente di prova” c’è tutta la futura evoluzione di CasaPound: l’uso dei temi, fino ad allora tradizionalmente appannaggio della sinistra, degli spazi sociali, l’importanza della musica come vettore identitario, un complesso e ridondante bagaglio simbolico che negli anni tenderà ad allargarsi e assorbire figure e culture sempre più variegate. E naturalmente il rapporto con alcuni “fratelli maggiori” destinati a fornire il pedigree e gli strumenti teorici – centrale, in questa fase, sarà il ruolo di Gabriele Adinolfi, intellettuale eretico, tra i fondatori di Terza Posizione, ambiguissima formazione sedicente rivoluzionaria, ma sempre a un passo da trame e collusioni.
In questa fase convulsa e feconda per la destra italiana, Gabriele Adinolfi si pone in modo spietatamente critico sulla eredità post-missina anni ’90, si augura una catarsi della estrema destra italiana e trova nei ragazzi del gruppo di Iannone, una base di ascolto malleabile e attiva. Rosati riporta brani di un suo famoso documento “rifondativo”:

investire culturalmente e simbolicamente le elites; costruire strutture lobbistiche e quindi politiche, che consentano di mantenere aperti luoghi di incarnazione di un’Idea del mondo e di garantire spazi di libertà e di socialità comuni; realizzare localizzazioni che, salvaguardando tradizioni etniche e culturali, favoriscano produzione e autonomia, in chiara prospettiva imperiale. […] Una miscela tra le linee strategiche e metodologiche più note. Una centralità leninista che agisca gramscianamente nella società e paracaduti commandos con mentalità trozkista nelle cittadelle del potere. […] Per modello organizzativo e per vocazione politica diciamo che la soluzione sta in una sintesi sta tra Avanguardia Nazionale, Autonomia Operaia e la Novelle Droite […] La visibilità deve persistere nella vita d’ambiente (concerti, pub, punti vendita); deve moltiplicarsi negli ambiti giovanili (licei, università); deve modificarsi pienamente nell’interventismo sociale laddove sigle trasversali e rapporti dialettici e non fanatici sono premianti. Senza contare una serena e ingegnosa aggressività comunicativa (p. 52)

Non si può dire che i ragazzi di CasaPound non abbiano seguito alla lettera, nel corso degli anni, queste indicazioni, spregiudicate ed efficaci: astute capacità mimetiche, trasversalismo, entrismo nelle formazioni politiche tradizionali, nonché la capacità di assumere e rovesciare le tematiche proprie del campo antagonista “nemico”.

Dal pub al partito politico nazionale il passo è stato lungo ma sempre, seguendo lo spartito originario, meditato e calibrato. Dietro la melassa “arditista-futurista”, dietro la demagogia del riscatto nazionale e dell’eroismo “antiborghese”, la pratica è stata sempre la stessa: occupare spazi, valorizzare le tematiche sociali, mettere in campo lucrose iniziative economiche (dalla musica allo style fashion…) e infine evocare visibilità in ogni modo. Questo “vitalismo” si fonde con un opportunistica propensione all’inciucio politico con quel mondo di destra e centrodestra che a parole si vorrebbe azzerare e rifondare (vedi il rapporto strategico con il sindaco Alemanno, che regala “ai ragazzi” un palazzo nel cuore di Roma…), fino al trasversalismo più cinico: invitare nella loro sede i “giornalisti di regime” e gli intellettuali “prezzolati”, pur di far parlare di sé e legittimarsi come interlocutori “culturali”.

La sinistra di movimento è sembrata spiazzata da questo avversario, che ne mimava le movenze e talvolta riusciva a occupare i suoi terreni di iniziativa: questo almeno fino al 2008, quando – dopo gli scontri di Piazza Navona – i due campi, fascista e antifascista, tornano a delinearsi con chiarezza agli occhi di tutti, anche di quelli che avevano scioccamente dato credito alle allusioni “nè destra né sinistra” che CasaPound aveva sapientemente diffuso negli anni. Da allora la celebre definizione di “fascisti del terzo millennio” sarà assunta senza più infingimenti, come una bandiera di orgogliosa rivendicazione identitaria – e del resto il retroterra organizzativo, a quel punto, è già abbastanza consolidato e irreversibile.

Se per un lungo periodo le tematiche sociali hanno prevalso nel discorsi di CasaPound, negli ultimi anni l’appello contro “l’invasione extracomunitaria” ha assorbito ogni altra spinta.
Più o meno tra il 2006 e il 2007:

Da via Napoleone III cominciarono ad aumentare nettamente gli accenti xenofobi. Il “mercato della paura” attraeva per il suo potenziale di consenso e le posizioni razziste, volutamente tenute in secondo piano da CasaPound, potevano ora essere più spendibili politicamente (p. 47)

Troppo attrattiva l’idea di farsi accreditare come il “sindacato degli italiani”. Troppo facile spostare il tiro dalla lotta “contro le banche e l’usura” , ai centri di prima accoglienza e i campi rom.

Il lavoro di Rosati si presenta esaustivo e completo, arrivando praticamente fino ai giorni nostri: il flop elettorale del 4 marzo non sembra abbia smontato un dispositivo politico-ideologico, che ormai pare consolidato e con cui l’antifascismo italiano dovrà fare i conti nei prossimi anni. E qui qualche considerazione finale viene spontanea. Quello che è necessario, in questa fase, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, è smontare i miti “rivoluzionari” di cui si adornano queste congreghe: la generazione dei padri (quella di Franco Freda e Carlo Digilio) fu organica ai corpi dello Stato, alla Nato e allo stragismo; quella dei fratelli maggiori (Fiore e Fioravanti) fu pesantemente invischiata con i servizi e le pagine più oscure della storia italiana; e oggi i “ragazzi di Iannone” godono di ampi margini di agibilità e tutela da parte di diverse questure, in mille episodi di piazza, nonostante siano formalmente una formazione anticostituzionale. Destarono scalpore i passaggi di una relazione semestrale dei servizi segreti, di un paio di anni fa, che descrivevano CasaPound quasi come una innocua sezione boy-scout dedita al volontariato, nonostante lo stragista Casseri, le violenze diffuse, nonché i consolidati rapporti con il milieu criminale di Ostia e il sottobosco affaristico e delinquenziale capitolino – che da Gennaro Mokbel a Carminati ha sempre allungato le sue zampe sulla città, a caccia più di soldi che di “riscatto nazionale”.
Leggere, documentarsi, studiare, conoscere la Storia e le storie, può diventare, in questa fase critica, una preziosa risorsa antifascista.

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“Cinghiamattanza”: pensieri, parole ed opere dei “fascisti del terzo millennio” https://www.carmillaonline.com/2015/12/18/cinghiamattanza-pensieri-parole-ed-opere-dei-fascisti-del-terzo-millennio/ Fri, 18 Dec 2015 22:30:32 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27112 di Armando Lancellotti

cover CammelliMaddalena Gretel Cammelli, Fascisti del terzo millennio. Per un’antropologia di CasaPound, Ombre Corte, Verona, 2015, 126 pagine, € 12,00

«Primo: me sfilo la cinta; due: inizia la danza/ Tre: prendo bene la mira; quattro: cinghiamattanza/ Primo: me sfilo la cinta; due: inizia la danza/ Tre: prendo bene la mira; quattro: cinghiamattanza/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Questo cuoio nell’aria sta ufficializzando la danza/ Solo la casta guerriera pratica cinghiamattanza/ Questo cuoio nell’aria sta ufficializzando la danza/ Solo la casta guerriera pratica cinghiamattanza/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Ecco le fruste sonore stanno incendiando [...]]]> di Armando Lancellotti

cover CammelliMaddalena Gretel Cammelli, Fascisti del terzo millennio. Per un’antropologia di CasaPound, Ombre Corte, Verona, 2015, 126 pagine, € 12,00

«Primo: me sfilo la cinta; due: inizia la danza/ Tre: prendo bene la mira; quattro: cinghiamattanza/ Primo: me sfilo la cinta; due: inizia la danza/ Tre: prendo bene la mira; quattro: cinghiamattanza/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Questo cuoio nell’aria sta ufficializzando la danza/ Solo la casta guerriera pratica cinghiamattanza/ Questo cuoio nell’aria sta ufficializzando la danza/ Solo la casta guerriera pratica cinghiamattanza/ Cinghiamattanza!/ Cinghiamattanza!/ Ecco le fruste sonore stanno incendiando la stanza/ Brucia la vita d’ardito, urlerai: “Cinghiamattanza!”» (p. 70).
Sono le parole di una canzone degli ZetaZeroAlfa, gruppo musicale di Gianluca Iannone, frontman della band, leader e guida carismatica di CasaPound Italia, movimento politico nato a Roma nel 2003 e che dà di sé la definizione di “fascismo del terzo millennio”.

Maddalena Gretel Cammelli, antropologa e ricercatrice presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e l’Università di Bergamo, ascolta la canzone e osserva la reazione del pubblico in una sera d’estate del 2010, quando si reca ad “Area 19 – postazione nemica”, dietro lo stadio Olimpico a Roma, uno spazio che «vuole essere l’equivalente fascista dei centri sociali […] in occasione dell’appuntamento annuale di musica ‘non conforme’: la ‘Tana delle Tigri’». (p. 65) Quando risuonano le note della canzone, si scatena una danza collettiva, un pogo fatto di cinture sfilate e di cinghiate reciprocamente scambiate dai militanti di CasaPound che ascoltano il concerto.
Si tratta di una liturgia collettiva, di un rito comunitario che sancisce e ribadisce l’appartenenza al gruppo, che consolida un’identità condivisa, che materializza il legame della comunità, consistente in un condensato di cameratismo, machismo, arditismo e settarismo elitario, nella convinzione di appartenere ad una “casta guerriera”, ad un’entità orgogliosamente ‘non-conforme’, che, seppur con le modalità di un pogo punk-rock sotto il palco di un concerto, intende rievocare e ripraticare il “mito” squadristico del gruppo d’assalto del fascismo della prima ora. Il “mito”, appunto, perché, secondo l’autrice, è di questo che soprattutto si alimenta – e ci sembra una delle tesi più interessanti del libro – l’identità del singolo militante come dell’intero gruppo di CasaPound Italia; il mito della ‘non conformità’ irriducibile, del comunitarismo organico, del fascismo vissuto più come esperienza esistenziale, come categoria mistica dello spirito, come estetico stile di vita che come prassi politica costruita su rigorose e coerenti categorie socio-economiche, politiche e culturali.

Di questo parla il libro di Maddalena Gretel Cammelli, Fascisti del terzo millennio. Per un’antropologia di CasaPound, recentemente uscito per Ombre Corte, nel novembre 2015. Un lavoro importante, dice nella Prefazione Jonathan Friedman, perché studia un movimento politico di estrema destra fascista quale CasaPound che, come tutti gli analoghi gruppi europei ultranazionalisti e populisti, fa del principio identitario, ridefinito su base etnico-nazionale, un punto fermo della propria piattaforma ideologica e pratica, in un momento storico in cui l’intera società occidentale – a seguito degli intensi e crescenti fenomeni migratori, della globalizzazione economica e della sua crisi – pare subire una sorta di “ubriacatura identitaria”, fertile terreno di coltura in cui le cellule di un risorgente fascismo possono moltiplicarsi e prosperare. La «crisi delle tradizionali forme d’identificazione quali la classe sociale» lascia spazi vuoti da occupare per «forme di radicalizzazione ed etnicizzazione legate a specifiche identità culturali, in cui il focus è passato dalla classe all’etnicità, dalla classe alla cultura, dalla razionalità al bisogno di religione» (p. 52). Fenomeni – come è noto – che si sono manifestati in anticipo nell’Europa orientale post-comunista, in cui l’affannosa ricerca di paradigmi identitari da sostituire a quelli esauritisi ha prodotto un pullulare di movimenti neofascisti, neonazisti, comunque variamente nazionalistici (o localistici) che hanno (ri)dato voce a sciovinismi xenofobi vecchi e nuovi e a revisionismi mai del tutto cancellati.
In ogni caso si tratta di forme di “integralismo” politico, che l’autrice definisce, sulla scorta di Douglas Holmes, come correnti o movimenti di pensiero conseguenti a periodi o fenomeni destabilizzanti di radicale crisi di senso e che elaborano modalità di appartenenza essenzializzanti, cioè olistiche, totalizzanti.

L’approccio all’oggetto d’analisi che l’antropologa Maddalena Gretel Cammelli appronta è quello etnografico: una approfondita e rigorosa ricerca sul campo che si sviluppa dalla dialettica tra la prospettiva “emica” dell’oggetto sociale analizzato, del suo punto di vista, del suo sistema di pensiero e di valori, con cui la studiosa deve stabilire un efficace contatto/scambio e la prospettiva “etica” della presa di distanza dall’”indigeno” analizzato e del rigoroso giudizio scientifico che deve concludere il lavoro di ricerca. Lavoro reso ancora più difficile dalla appartenenza dell’autrice all’area politica contraddittoria rispetto a quella studiata e al mondo culturale e valoriale dell’antifascismo. Divergenza dall’oggetto di indagine che se, come Cammelli stessa afferma, ha prodotto da un lato scontate e sospettose diffidenze reciproche – si tratta di uno di quei casi «in cui “non si amano i propri indigeni”» (p. 19) – dall’altro rende ancora più interessante il lavoro svolto e il libro che lo rendiconta.

Tra le parti più interessanti del saggio, quella in cui l’autrice, dopo aver tracciato una sintetica storia del neofascismo dal Msi fino alla nascita di CasaPound – prima come costola di Fiamma Tricolore, poi come movimento indipendente – considera il programma politico del ‘fascismo del terzo millennio’, con cui il movimento partecipa alle elezioni amministrative e regionali del 2013.
Si tratta di una miscellanea di idee e punti programmatici attinti a piene mani dal fascismo del Ventennio e dall’intero suo arco di sviluppo storico, dalla prima ora fino a Salò, con l’aggiunta di qualche variazione, mai essenziale, o adattamento al contesto e alla realtà odierni.

Centrale e fulcro dell’intero impianto programmatico è l’idea della Nazione, intesa secondo le modalità organicistiche dello Stato etico gentiliano, che intende la Stato stesso come un fatto spirituale e morale prima ancora che come un’entità giuridico-politica, dove l’individuale è concepito solo in quanto sussunto dall’universale organico del corpo statale e dove i rapporti sociali di classe si articolano secondo la logica corporativistica dello sforzo interclassista per il conseguimento del bene comune superiore. Una siffatta Italia Nazione dovrebbe, di seguito, essere in grado di imporre una Sovranità forte, variamente intesa come difesa del territorio e conseguente potenziamento del sistema di difesa nazionale, anche attraverso la reintroduzione della leva obbligatoria estesa pure alle donne; oppure intesa come sovranità energetica, tramite il ritorno all’energia termonucleare e la nazionalizzazione dell’energia elettrica e di altri settori economici e infrastrutturali strategici. E’ facile cogliere il nesso con la sovranità autarchica del fascismo mussoliniano, che viene però estesa e traslata sul piano europeo, per il quale CasaPound auspica la creazione di uno spazio commerciale chiuso, una sorta di autarchia continentale, che si coniuga al contempo con l’avversione fortissima per la moneta unica europea, intesa come strumento del “vampirismo” del sistema finanziario e bancario internazionale.

La critica al sistema finanziario, accusato di strozzinaggio e usura ai danni dei popoli, è uno dei temi più ricorrenti nella propaganda politica di CasaPound, soprattutto e comprensibilmente dall’inizio dell’attuale crisi economica in poi. La soluzione proposta consiste nella statalizzazione delle banche e dell’intero sistema finanziario che però, a giudizio della Cammelli, si traduce in uno sciovinismo economico che non mette in discussione i meccanismi strutturali del sistema capitalistico, ma assume la forma di un apparente anticapitalismo che identifica un nemico esterno al corpo della nazione, la finanza internazionale (l’equivalente aggiornato e corretto – neppure troppo! – delle demoplutocrazie degli anni Trenta additate come nemico da Mussolini o del complotto antitedesco della finanza ebraica internazionale denunciato da Hitler) e agisce sulla leva del consolidamento comunitario attraverso il ricorso al fin troppo facile meccanismo del capro espiatorio.

Come già nei fascismi “classici”, l’organicismo comunitario della nazione sovrana trae linfa vitale dalla definizione identitaria etnico-nazionale – se non più razziale – e trova la propria antitesi nel fenomeno dell’immigrazione. CasaPound specifica di non essere contro il migrante in sé, ma contraria all’immigrazione usata dalla finanza internazionale per destrutturate e precarizzare a proprio vantaggio il mercato del lavoro, nella fattispecie quello italiano.
L’associazione Sovranità, fondata nel dicembre del 2014 come piattaforma di convergenza politica tra CasaPound Italia e la Lega Nord di Salvini, sintetizza il proprio programma nei tre punti: no euro; basta immigrazione; prima gli italiani. «Il sintetico progetto si presenta con un logo che sembra richiamare l’estetica del fascio, non littorio, ma esplicitamente legato alla terra: tre germi di grano, su sfondo celeste». (p. 43-44) Radicamento, comunità, identità etnico-culturale sono concetti cari ad un integralismo etnico o essenzialismo culturale che a parole prende le distanze dal razzismo biologico e differenzialista e dal darwinismo sociale ottocentesco e primo novecentesco, ma nella sostanza li ripropone con gli abiti apparentemente più presentabili del razzismo differenzialista, ormai da più di trent’anni idea portante di tutti gli estremismi di destra europei a partire – come ci ricorda l’autrice – dalla cosiddetta Nouvelle Droite francese di Alain De Benoist. Le differenze biologiche veterorazziste vengono ridefinite come “differenze culturali”, che, nonostante la loro natura storico-culturale, sono presentate come qualcosa di immodificabile e statico, cioè come “caratteri naturali”, come essenze incomunicabili tra loro che separano e aborrono qualsiasi tipo di meticciato, di fusione o incontro.

«Nella pagina dedicata alle FAQ del sito [di CasaPound], dichiarano: “Noi ci battiamo per un mondo plurale e in cui le differenze, sotto qualsiasi forma, siano tutelate e incrementate. Vogliamo un mondo con popoli diversi, lingue diverse, culture diverse, religioni diverse, alimenti diversi. Vogliamo un confronto tra forme di esistenza differenti che non degeneri mai nella confusione e nello sfiguramento delle reciproche identità». (p. 45)
Come già un secolo fa la lettura dialettica marxista delle dinamiche sociali e la lotta di classe, opportunamente decontestualizzate, volutamente fraintese e applicate come chiavi interpretative delle reciprocamente ostili politiche di potenza internazionali, avevano contribuito a forgiare i principi portanti del nazionalismo italiano (poi fascista), così oggi l’avversione all’omologazione unidimensionale (economica, politica, culturale…) della globalizzazione viene capovolta in fondamento legittimante le rivendicazioni identitarie etnico-nazionali e le pratiche aggressive ed ostili verso immigrazione e migranti.
Pertanto, osserva Cammelli, «il fondamentalismo culturale non è altri che un’alternativa al tradizionale razzismo, che mantiene una prospettiva di esclusione: due differenti culture non possono approcciarsi, pena il rischio di contaminazione, in cui la purezza identitaria andrebbe perduta. […] In tale contesto, si può meglio cogliere la proposta di CasaPound Italia riguardo l’istruzione nelle scuole pubbliche e l’introduzione del libro unico per ogni materia». (p. 46-47)
In questo caso, addirittura, la propensione alla mimesi del fascismo del Ventennio arriva alla riproposizione anacronistica della legge del gennaio 1929 che introduceva, a partire dall’anno scolastico 1930-‘31, il Libro unico di Stato.

Ma il radicamento comunitario e la difesa e la promozione identitarie passano anche attraverso altri due punti essenziali del programma di CasaPound (di cui, ancora una volta, non è difficile trovare la matrice mussoliniana): demografia/maternità e il mutuo sociale per la casa.
Naturalmente le proposte per la promozione e la difesa della maternità e la crescita demografica del popolo italiano – nel dettaglio esaminate dall’autrice – non sono finalizzate all’arruolamento di “otto milioni di baionette bene affilate e impugnate da giovani intrepidi e forti” (dal discorso di Benito Mussolini del 24 ottobre 1936 a Bologna) che, nei progetti del duce, avrebbero dovuto fare grande l’Italia fascista in Africa e in Europa, ma a difendere l’italianità, la comunità nazionale e la loro identità etnico-culturale, così come l’idea di un mutuo sociale che permetta l’acquisto generalizzato dell’abitazione mira al rafforzamento del radicamento territoriale, del legame con il suolo, attraverso la proprietà della casa.

Come si evince dalle analisi proposte dal saggio della Cammelli, è comunque e sempre il concetto di “comunità” quello che prevale su tutti gli altri, sia essa quella macrocosmica della nazione, dello stato, della cultura, dell’etnia o sia quella microcosmica del palazzo del quartiere Esquilino, sede e centro di riferimento della vita e di ogni attività di CasaPound Italia. E – ancora una volta – come già accadeva nel fascismo del Ventennio, il cemento comunitario è il culto del capo, della guida carismatica, con conseguenti interpretazione gerarchica dei ruoli e delle relazioni sociali interne alla comunità e “mistica” del leader, come emerge chiaramente dalle parole di alcuni militanti di CasaPound dall’autrice intervistati: «Gianluca [Iannone] è importante in questo perché lui comunque secondo me ha permeato di sé tutta la comunità… lui… è l’idea che qualunque cosa è possibile, che qualunque cosa si può fare, il potere della volontà […]». (p. 71)

Per concludere la presentazione di questo interessante saggio, ancora un paio di considerazioni risultano necessarie e riguardano l’olismo oppositivo che qualifica l’idea di comunità di CasaPound e il fascismo inteso ed interpretato come uno stile di vita.
L’idea comunitaria propria dei ‘fascisti del terzo millennio’ – secondo l’autrice – non si regge su una «vera e propria valorizzazione della totalità sociale come unità» (p. 79), ma su un essenziale individualismo, interpretato in senso olistico, cioè esteso alla comunità, che diventa così un individuo collettivo contrapposto all’individuo collettivo dell’”altro”, del “nemico”. In tal senso, si spiega il richiamo costante nel linguaggio dei militanti si CasaPound alla ‘non conformità’: non conformità innanzi tutto rispetto alla carta costituzionale, ai suoi principi democratici e ai suoi valori antifascisti; non conformità rispetto alla «società in generale, ma anche ai centri sociali, il mondo della contro-cultura antagonista e antifascista». (p. 80) Ne consegue una visione combattiva della vita, che vede quest’ultima come lotta per l’affermazione dell’individuo e dell’individualismo e negazione del collettivismo.

Quando le analisi e le riflessioni proposte dal libro affrontano il tema della collocazione all’interno del quadro politico che i ’fascisti del terzo millennio’ scelgono per loro stessi, il discorso si sposta sul fascismo inteso e vissuto più come stile di vita, come esperienza esistenziale che come adesione ad un progetto e ad un programma politici. CasaPound ha elaborato il concetto di “estremo centro alto” per rivendicare e tracciare una collocazione ed uno spazio politici nuovi ed originali, che vorrebbero prendere le distanze dalle definizioni politico-partitiche tradizionali, soprattutto dalla contrapposizione destra e sinistra.
«Alla destra non perdoniamo di aver parlato d’ordine e di averlo confuso con compiti di nettezza urbana e bassa sbirraglia. Alla sinistra non perdoniamo di aver sollevato le masse contro il potere solo per meglio insediarsi in quest’ultimo. Al centro non perdoniamo niente, e basta. […] Basta con destra e sinistra, sorga l’estremo centro alto». (p. 85-86)
Il concetto di “estremo centro alto” è formulato in modo volutamente indefinito e paradossale, quasi provocatorio, al fine di ridefinire la politica come un atteggiamento, uno stile, in cui l’azione precede e fonda la riflessione e non viceversa.
«L’estremo centro alto schifa le ideologie e non possiede la verità. E’ però portatore di uno stile. Lo stile è superiore alla verità, poiché reca in sé la prova dell’esistenza». (p.87).
L’autrice, sulla scorta di Mosse e del suo La nazionalizzazione delle masse, parla di estetizzazione della politica, per cui «il linguaggio assume una forma vaga e imprecisa, il cui significato non risulta essere propriamente logico. A caratterizzare tale linguaggio è, piuttosto, uno stile retorico pieno di immagini dove “l’estetica della politica” assume il ruolo primario descritto da Mosse». (p. 86)

In una concezione estetica della politica risulta fondamentale allora la fertilità mitopoietica del linguaggio utilizzato in modo evocativo, non denotativo, per costruire immagini suggestive e miti potenti capaci di affascinare e mobilitare. E come in ogni concezione mitica della realtà è ad un “passato fondativo” che ci si deve ancorare e in questo caso il “mito fondativo” viene trovato nello squadrismo e prima ancora nel fiumanesimo dannunziano, in cui la concezione estetica della politica aveva raggiunto il suo apice. Per molti di coloro, infatti, che seguirono D’Annunzio, Fiume fu il luogo in cui essere protagonisti sia di un’esperienza politica “eversiva” sia di un’esperienza “esistenziale” nuova e soprattutto trasgressiva, nei costumi e nello stile di vita: indisciplina, individualismo ed originalità nei comportamenti, libertà sessuale, ecc.
In ogni caso si tratta – ora come allora – di una adesione sulla base di un «sentimento del mondo», come dice un militante di CasaPound intervistato dall’autrice, sulla base di «un certo modo di vivere la vita» e non tanto «perché si è letto un programma». (p. 109)
Tornano alla mente le considerazioni di Walter Benjamin sulla estetizzazione della politica e sulla trasformazione della prassi politica in gesto estetico, operate dal fascismo ed anticipate dal futurismo italiano.

Al breve, ma denso ed originale saggio di Maddalena Gretel Cammelli va dunque riconosciuto il merito di aver prodotto un’analisi che tratteggia una antropologia del fascismo italiano contemporaneo, proprio in un momento in cui la politica nazionale ed internazionale sembrano predisporre le condizioni più propizie per una estensione dei suoi spazi di agibilità politica.

 

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