Fabio Strinati – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 22 Dec 2024 06:44:18 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Una poesia libera in viaggio https://www.carmillaonline.com/2018/04/07/una-poesia-libera-in-viaggio/ Fri, 06 Apr 2018 22:01:24 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=44647 di Paolo Lago

Fabio Strinati, Dal proprio nido alla vita, Associazione culturale Il Foglio, Piombino, 2016, pp. 60, € 8,00

Dal proprio nido alla vita, come scrive l’autore Fabio Strinati, è un «poemetto ispirato interamente e totalmente a Miracolo a Piombino di Gordiano Lupi». L’opera di Lupi – che nel titolo rimanda al celebre film di Zavattini e De Sica – è un romanzo di formazione che affronta il tema della crescita di un ragazzo e della scoperta del mondo da parte di un gabbiano, pervaso da un anelito alla libertà che fa [...]]]> di Paolo Lago

Fabio Strinati, Dal proprio nido alla vita, Associazione culturale Il Foglio, Piombino, 2016, pp. 60, € 8,00

Dal proprio nido alla vita, come scrive l’autore Fabio Strinati, è un «poemetto ispirato interamente e totalmente a Miracolo a Piombino di Gordiano Lupi». L’opera di Lupi – che nel titolo rimanda al celebre film di Zavattini e De Sica – è un romanzo di formazione che affronta il tema della crescita di un ragazzo e della scoperta del mondo da parte di un gabbiano, pervaso da un anelito alla libertà che fa rifiutare ogni vuota e cinica convenzione sociale.

Anche il poemetto di Strinati appare attraversato da una costante ansia di libertà, rappresentata in questo caso da una rondine: l’iterazione della frase «ho sempre desiderato essere una rondine» esprime l’aspirazione all’uscita dalla prigione della quotidianità irreggimentata in ripetitivi meccanismi. Il mondo dal quale l’io narrante intende fuggire, comunque, non è caratterizzato da un paesaggio urbano che schiaccia nella sua macina lavorativa le individualità, ma da una campagna rappresentata nella sua solitudine e nella ripetizione dei suoi rituali, legati alla lavorazione dei campi. È infatti il paesaggio della campagna, come sarà nella successiva raccolta poetica di Strinati, Periodo di transizione (2017), lo sfondo ideale sul quale si srotola la parola poetica. Quest’ultima, declinata alla prima persona e caratterizzata da un andamento narrativo che può ricordare il Pasolini dei poemetti raccolti nelle Ceneri di Gramsci (1957), si espande in modo sapientemente calibrato nel cammino poetico cadenzato da sempre nuove e suggestive immagini. La natura, il paesaggio della campagna, soprattutto in inverno, sono i compagni di viaggio di questo movimento narrativo e poetico, della voce del poeta che, come un viaggiatore solitario e incantato, attraversa la dimensione dello spazio e del tempo. Anche il poemetto di Strinati, come il romanzo di Lupi al quale si ispira, appare come un’opera di formazione, nel senso che l’io narrante ricorda un periodo passato nel quale «mi sentivo più un oggetto che un essere umano. / Non avevo forza, non avevo coraggio, / ero un essere stravagante e maleodorante! /Non avevo nulla, non sentivo nulla. / I sapori, gli odori, i suoni: niente di niente. / Una piattezza mortale! / Ero un misto tra il buffo e il buffone. / Una scarpa vecchia e di qualità infima».

Il ricordo del poeta abbraccia con lo sguardo un momento della vita in cui domina l’incertezza, un’età crudele venata dall’attesa per qualcuno o qualcosa, segnata da inverni crudeli e solitarie estati. A fare da contraltare alla parola poetica in viaggio è un paesaggio di campagna attraversato ora dai gelidi venti invernali, ora addolcito dal rigoglio primaverile. Il racconto, svolto in prima persona, è perciò arricchito efficacemente dallo sfondo paesaggistico, il quale pulsa e vive insieme allo stesso io narrante fino a divenire esso stesso suono e canto poetico. Su questo stesso paesaggio si libra il desiderio di fuggire, di volare lontano, di allontanarsi in un viaggio come quello compiuto dal canto poetico. L’immagine, quasi utopistica, di viaggio e di libertà è ancora una volta la rondine: «Vorrei essere una rondine. / Una di quelle rondini che sanno affrontare la vita, / una di quelle rondini che annusano il verde del prato, / che si posano sulla catasta ben riposta agli angoli / dei casolari per i campi arati, / che volteggiano come le api, che sono carine / quando si mescolano ai colori delle foglie, / e quando anche le montagne partoriscono i loro fiumi /avviliti che nascono asciutti nei mesi della secca!». La rondine diviene perciò quasi il simbolo del saper affrontare la vita, e verso la vita, verso una dimensione vitale probabilmente più autentica, è diretto anche il viaggio quasi iniziatico della parola poetica.

Nel suo viaggio, la poesia di Dal proprio nido alla vita, attraversa anche un paesaggio onirico e popolato di fantasmi, come il monte Corsegno, che nella parola poetica che si tramuta in magia, diviene «una montagna scura, / tenebrosa, fredda ed ostile, luoghi di fantasmi / e di leggende che cantano le loro messe / tra gli alberi sudati dalla pioggia e i funghi velenosi / cresciuti sulle rocce scorticate dai venti con le unghie. / Una montagna capace di catturare i tuoi sogni / per giocarci a palla, per vedere la tua anima / e carpirgli i suoi pensieri disadattati per questa vita, / o per questo mondo crudele, che volta le sue spalle / a quei pupazzi che sono destinati a morire giovani». Il canto, quindi, attraversando luoghi onirici e fantastici, si tramuta esso stesso quasi in formula magica, in iridescente parola generata da mondi fantastici come quello delle Mille e una notte, così che si può pensare di «cavalcare la montagna stessa come un cavallo volante, oppure, / come uno di quei tappeti da “Mille e una notte”».

Il viaggio iniziatico della poesia libera di Strinati avviene anche attraverso il tempo, dall’adolescenza alla giovinezza e all’età adulta fino a intravedere, da lontano anche la vecchiaia. Ed è forse questo il punto di arrivo dell’incedere quasi picaresco della parola poetica del poemetto: la coscienza di stare compiendo un viaggio, come un treno che corre nel vento, e ogni fermata di questo viaggio possiede in sé la ricchezza, in positivo o in negativo, dell’intera vita. Così infatti si conclude il poemetto, quasi preludendo ad una nuova apertura, ad un nuovo inizio, ad un nuovo viaggio, sotto la guida di una nuova «rondine madre», ancora, col suo volo, simbolo di libertà:

Il vento è un suono così sottile, così
invisibile, che sa essere custode
e padre al tempo stesso:
il vento è quel treno di ferro
che ti accoglie nel suo viaggio,
facendo scendere ad uno ad uno,
i fantasmi che ti porti dietro!
Nel vento possiamo volare,
leggiadri come piume,
sereni come il cielo
oltre quella linea longitudinale…
oltre un mare lontano,
saggia è la vecchiaia,
matura la tua rondine madre!

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Le due dimensioni della parola poetica https://www.carmillaonline.com/2017/10/15/41165/ Sat, 14 Oct 2017 22:01:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41165 di Paolo Lago

Fabio Strinati, Periodo di transizione, prefazione di Michela Zanarella, Bibliotheca Universalis, Bucarest, 2017, pp. 80, € 10,00

La recente raccolta del poeta e musicista Fabio Strinati, Periodo di transizione, possiede una profonda ricchezza: una doppia dimensione che si esplica sia in superficie, a livello grafico e formale, che in profondità, a un livello più prettamente tematico e contenutistico. I componimenti, infatti, a fianco della forma grafica italiana, sono presenti nel testo anche in traduzione rumena, realizzata da Daniel Dragomirescu. La parola poetica, in questo modo, assume una veste indiscutibilmente polifonica: [...]]]> di Paolo Lago

Fabio Strinati, Periodo di transizione, prefazione di Michela Zanarella, Bibliotheca Universalis, Bucarest, 2017, pp. 80, € 10,00

La recente raccolta del poeta e musicista Fabio Strinati, Periodo di transizione, possiede una profonda ricchezza: una doppia dimensione che si esplica sia in superficie, a livello grafico e formale, che in profondità, a un livello più prettamente tematico e contenutistico. I componimenti, infatti, a fianco della forma grafica italiana, sono presenti nel testo anche in traduzione rumena, realizzata da Daniel Dragomirescu. La parola poetica, in questo modo, assume una veste indiscutibilmente polifonica: si arricchisce di un suono che, vellutato, giunge a lambire nuove rifrazioni lessicali e nuovi lettori e ascoltatori, pronti ad assorbirne l’intrinseca aerea musicalità. L’altra grande ‘bidimensionalità’ della poesia di Strinati si colloca a livello tematico: ogni componimento, infatti, possiede due anime. Una più esteriore, se così si può dire, fatta di paesaggio, di luce e ombra, di campagna e di terra, di aria e di vento. Un’altra, invece, più ‘metafisica’, interiore, relegata al paesaggio dell’anima, non meno brumoso e avvolgente di quello esteriore. Si potrebbe pensare ad alcune immagini regalateci dai simbolisti francesi, ai malinconici tramonti parigini di Baudelaire che rispecchiano l’anima del poeta o ai paesaggi brumosi di Verlaine.

La campagna è quindi l’immagine esteriore predominante in questa raccolta di Strinati: una campagna avvolta appunto, in un «periodo di transizione», un autunno della coscienza che attende una primavera che forse si intravede, in alcuni versi, per poi di nuovo lasciare lo spazio ad un inverno agghiacciato. Ad esempio, in Svuotarsi, l’immagine dei «fossi carichi di foglie sfuggite ai venti / lasciate marcire dagli alberi ricurvi», delle «bestie mature», delle «staccionate riempite di fori» si unisce in un abbraccio visuale alle «fotografie di attimi in scatole / gonfie di stagioni anormali», al «folto brulicare di urli» e alla «morte, che si spoglia della vita / curvata verso buche denutrite / in stati confusamente terminali». La campagna, fisica e ‘terrea’, perduta nei vapori di un autunno corporeamente presente, si trasforma in paesaggio interiore, metafisico e immobile. Le due dimensioni, però, non sono irrimediabilmente separate da una linea di confine: si ‘parlano’, interagiscono e si mescolano. Quel paesaggio interiore è carezzato dalle brume sui campi, dai tramonti spalmati su alberi e case, dalla presenza fisica degli stessi animali campestri. Ugualmente, la dimensione più esterna, incastonata nella sua «transizione», è toccata dall’interiorità perduta nella propria transizione di pensieri, di immagini poetiche che scaturiscono dalla fervida creatività dell’autore, perduta in una altrettanto creativa «depressione» (Depressione, non a caso, è il titolo di una poesia). Una sinergica unione delle due dimensioni, a mio avviso, è presente in Preludio: «La voce arranca, arretra tardiva al tramonto / crepa e sospira, / consuma un tempo nell’ambiguo vuoto circostante, / mentre scompare il vento che lì finisce e straripa». La voce dell’interiorità del poeta, perduta nell’immagine del tramonto, «consuma un tempo nell’ambiguo vuoto circostante», un «vuoto», attraversato dal «vento che lì finisce e straripa», che assomiglia quasi ad un’immagine metafisica montaliana. Anche in Sto per… l’interiorità, rappresa nel «suo malessere che sfianca», come scrive Michela Zanarella nella prefazione, si unisce al paesaggio esterno metamorfizzandosi in esso: «Spoglio come un albero, al vento, / mi estendo (vago, m’arrendo) / e mi brinerò al canto di quest’ora: / a poco a poco….». La dimensione ‘metafisica’ si trasforma in fisica nelle sembianze dell’albero, del vento, del freddo agghiacciato che fisicamente circonda lo spazio divenuto profondamente reale. Lo stesso, il «suono crudo», musica interiore e assoluta, diventa fanghiglia, diventa terra, corpo fisicamente presente (Suono crudo).

Per mezzo di arditi nessi lessicali, poi, la stessa dimensione reale del paesaggio della campagna diviene immaginifica e lontana, trasvola in sensazioni metafisiche e baluginanti. Ad esempio, in Abbandonato, «biada di morte», dove il quasi sermo humilis «biada» si lega alla parola «morte» che giunge come una mannaia; in Se fossi morto prima, «uomo di miscugli e di fiori»; in Io e io, «lenzuoli d’avi e di morte»; in La macchia, «lavagna di vita»; in Io, «voce di primavera», che può ricordare il pavesiano «viso di primavera»; in Testimone, «perla di lingua», ma gli esempi potrebbero continuare.

In Periodo di transizione assume una sicura importanza anche la fisicità legata alle stagioni: il paesaggio della campagna è inserito all’interno di un preciso ciclo stagionale, quello del tardo autunno e dell’inverno, ad eccezione della baluginante immagine di una primavera forse solo intravista. Così, in Io, il «riflesso del mio io» è «come un orsacchiotto screpolato lasciato / ad ammezzire in tardo autunno», mentre in Io e io, sono presenti «quelle giornate umide» «in quei giorni stringati di dicembre». L’incipit di Depressione mia, poi, così suona: «La salute mia è un ramo d’albero appeso al vento di dicembre». Anima, invece, si chiude con l’immagine della morte associata al novembre: «la morte, lei penetra porta scompiglio / e in novembre, solo un vago ricordo di quell’anima / vagante che ha vagato stanca per i campi spenti». Il baluginio della primavera si intravede nella già ricordata Io, dove particolare importanza assume il titolo ‘personale’: il poeta vuole rilanciare il proprio canto e il suo magico suono in un contesto assillato dalla pur dolce bruma invernale. Così, «la mia voce di primavera che segna e risveglia / il mio luogo, molteplice tragitto / mi riduce ad uno specchio / che brilla la sua matura ombra / che viene oppressa / per due soldi di letame». La voce poetica è «voce di primavera» e la sua magia – sembra volerci dire l’autore – non può essere oppressa dal «letame» che, metaforicamente, rappresenta l’oppressione abbrutente della malinconia e del vuoto. E la voce si leva, libra, si fa suono e avvolge anche noi lettori per ammaliarci col suo canto.

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