Eurasia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Derive Rosso-brune https://www.carmillaonline.com/2020/08/04/derive-rosso-brune/ Mon, 03 Aug 2020 22:01:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=61277 di Walter Catalano

David Bernardini, Nazionalbolscevismo: Piccola storia del rossobrunismo in Europa, Shake Edizioni, pag. 175, 14,00 €.

Nell’ormai lontana primavera del 2003, all’inizio della campagna d’invasione dell’Iraq da parte della coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America che si sarebbe conclusa solo alla fine del 2011, venne diffuso nel contesto antagonista che allora si definiva ancora no global, un manifesto antiamericanista, denominato People Smash America e promosso da un sedicente Campo Antimperialista, gruppo costituito in origine da membri di area trotzkista. Non furono pochi i militanti o simpatizzanti di una [...]]]> di Walter Catalano

David Bernardini, Nazionalbolscevismo: Piccola storia del rossobrunismo in Europa, Shake Edizioni, pag. 175, 14,00 €.

Nell’ormai lontana primavera del 2003, all’inizio della campagna d’invasione dell’Iraq da parte della coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America che si sarebbe conclusa solo alla fine del 2011, venne diffuso nel contesto antagonista che allora si definiva ancora no global, un manifesto antiamericanista, denominato People Smash America e promosso da un sedicente Campo Antimperialista, gruppo costituito in origine da membri di area trotzkista. Non furono pochi i militanti o simpatizzanti di una generica sinistra antagonista, non necessariamente legati allo stesso ambiente politico dei promotori ma mossi da una sincera avversione per l’aggressione scatenata dalle potenze occidentali, a firmare quel manifesto e a partecipare alle numerose iniziative tenute in varie città italiane in case del popolo, locali e spazi gestiti, in linea di massima, sotto l’egida di Rifondazione Comunista.

Anche chi scrive queste righe, per ingenuità, ignoranza o disattenzione, ma del tutto in buona fede, si ritrovò firmatario del documento ed ebbe occasione durante un affollato incontro pubblico, di conoscere il variegato sottobosco che ormai patrocinava l’iniziativa: vi si potevano incontrare fianco a fianco intellettuali di indubbia fede marxista, come il filosofo Domenico Losurdo (che aveva allora appena pubblicato il monumentale e non sospetto volume Nietzsche, il ribelle aristocratico), ed altri in varia misura “eretici”, come Costanzo Preve,  che stava per saltare il fosso, o lo aveva già appena saltato, con Marx inattuale. Eredità e prospettiva, l’ultimo suo libro ad essere ancora pubblicato da un editore “normale” e non legato alla destra radicale. In mezzo a loro gravitavano distribuendo rivistine, volantini e libelli, personaggi quantomeno inquietanti: arabisti in teoria antisionisti ma di fatto ferocemente antisemiti, “comunisti”- comunitaristi e nazionalitari, rivoluzionari “al di là della destra e della sinistra” e quant’altro. Molti dei loro nomi, quello di Preve compreso, ad andarseli a cercare con attenzione, li si sarebbero potuti ritrovare fra i collaboratori di Eurasia di Claudio Mutti o di Risguardo di Franco Freda, e delle loro case editrici, All’insegna del Veltro o Ar, in compagnia di personaggi altrettanto “non-conformisti” – come li chiamano loro – al pari di Evola, Goebbels o Codreanu. Tanto per dimostrare da che parte si va a cadere quando ci si proclama “oltre la destra e la sinistra”.

Anch’io nel giro di poche settimane – meglio tardi che mai – mi resi conto dell’errore commesso e interruppi qualunque contatto con tali “antiamericanisti”, ma la mia firma stava ancora tra le altre in calce a quel manifesto e il mio nome era ormai in qualche modo macchiato (me ne sarei accorto nei mesi seguenti…). Questa sgradevole esperienza personale serve da premessa al libro che David Bernardini ha appena pubblicato per Shake Edizioni, Nazionalbolscevismo, Piccola storia del rossobrunismo in Europa, un testo agile ma completo, utilissimo per farsi un quadro preciso di certe dimensioni politiche ambigue, sfuggenti e infide, evitando al lettore, se non altro, di incorrere in equivoci madornali come quello che ho descritto.

Bernardini traccia un percorso completo del fenomeno percorrendolo a ritroso: parte cioè dalle sue manifestazioni più recenti e a noi prossime, per retrocedere progressivamente verso l’origine di questa deriva politica e approfondirne ragioni ed esiti che rimontano agli anni delle Germania di Weimar, a quella congerie complessa di movimenti detta – termine che l’autore non condivide e preferisce non utilizzare – “Rivoluzione conservatrice”, nel 1933 interrotta o, più propriamente, fagocitata dal trionfo politico nazionalsocialista e hitleriano.

Il contesto storico dell’epoca aveva portato i due paesi reietti dalla Società delle nazioni – la Germania sconfitta, giudicata unica responsabile del conflitto mondiale a Versailles, e la Russia sovietica, pericolosa esportatrice del comunismo – a stringere relazioni non ufficiali anche a livello governativo. Molti nazionalisti tedeschi, fra i nostalgici prussiani del Kaiser, i militaristi dei Frei Korps, i mistici völkisch o i naturisti wandervogel, fino a certa sinistra nazionalsocialista, trovarono quindi quasi naturale sentire maggiori affinità con il comunismo sovietico – da loro letto in chiave distortamente stalinista, come socialismo nazionale, e mettendo in secondo piano la lotta di classe – che con la liberal-democrazia delle potenze occidentali umiliatrici della Germania. Anche notevoli figure di intellettuali e scrittori fiancheggiarono gli agitatori politici di questi movimenti, dall’eroe di guerra Ernst Jünger soprattutto nel suo Der Arbeiter, all’ex comandante dei Frei Korps Ernst von Salomon nel suo Die Geächtete (personaggio che resta però, sostanzialmente, un fucilatore di socialisti…).

 Un brulichio di associazioni e gruppi segnarono questa linea di pensiero, dal Widerstand di Ernst Niekisch, allo Schwarze Front del nazista di sinistra Otto Strasser dopo la rottura con Hitler, dai socialrivoluzionari di Karl Otto Paetel, all‘Eidgenossenbund di Werner Lass. Bernardini descrive in dettaglio questi gruppi e i loro tortuosi percorsi nella seconda parte del libro, ma quello che soprattutto emerge e che torna utile per meglio comprendere quanto delineato invece nella prima parte, è il fatto che formule, simboli e modelli “di sinistra“ assunti da questi movimenti di destra, sono soprattutto una soluzione strategica nata da un’incomprensione e da un’interpretazione superficiale e distorta delle dottrine socialiste; come spiega Bernardini: “In questo fenomeno ideologico-politico così complesso, mi sembra però possibile individuare alcuni tratti comuni. Il suo orizzonte ideologico ultimo rimane la nazione (declinata anche come Europa-nazione o in chiave eurasiatica) e la comunità organica, organizzata gerarchicamente e guidata da un’élite. […] Il richiamo al socialismo è allora funzionale a mantenere l’ordine sociale, a imbrigliare il capitalismo e la proprietà privata. Il riferimento alla classe è passeggero poichè è un mezzo, uno strumento per realizzare, anzi rigenerare la nazione, salvandola dalla decadenza della democrazia liberale. Questo, a parer mio, nebuloso anticapitalismo si coniuga con una fraseologia sovversiva che però rimane antimarxista, antimaterialista, anticosmopolita, anti-internazionalista. Lo stesso disprezzo per l’antifascismo nelle sue varie declinazioni la dice lunga sulla dimensione politica di questa corrente“. La prova ulteriore e definitiva è l’incontrovertibile fatto che gran parte dei gruppi e movimenti storici nazionalbolscevichi weimariani, dopo l’avvento al potere di Hitler, confluirono tutti, quasi senza colpo ferire, nella Volksgemeinschaft nazionalsocialista.

La prima parte del volumetto traccia invece i percorsi successivi al crollo dei fascismi europei tratteggiando il recupero e riutilizzo puramente strumentale della confusa ideologia di una dimenticata corrente politica che, se nella Mitteleuropa prebellica poteva ancora avere una qualche sua giustificazione, diventa nel mutato contesto storico-geografico, mera strategia di infiltrazione e disinformazione, camuffamento e riproposizione del fascismo tout court (nel senso dell’Urfascismo, come lo intendeva Eco) sotto altro nome e altra foggia. Bernardini passa in rassegna, capitolo per capitolo, personaggi e situazioni afferenti alla costellazione rosso bruna. Si parte da Carlo Terracciano e Massimo Murelli, la Società Editrice Barbarossa e la rivista Orion, e il loro riciclaggio di un già caotico pantheon urfascista che mescola SS come Degrelle, tradizionalisti integrali come Evola e Guénon, collaborazionisti come Drieu La Rochelle e Brasillach, fascismi periferici come la Guardia di Ferro di Codreanu o la Falange spagnola, mescolato e ibridato, in un aberrante patchwork ideologico, da riferimenti al comunismo di Zjuganov, Mao o Che Guevara, e dall’esaltazione di regimi totalitari come l’Iran dell’Ayatollah Khomeini o la Libia di Gheddafi. Naturali i collegamenti sia con Franco Freda e il suo libello La disintegrazione del sistema, uscito nello stesso anno della strage di Piazza Fontana e teorizzante l’unione degli estremisti di destra e di sinistra contro il regime borghese, sia con Il sistema per uccidere i popoli dell’ex attore pornografico Guillaume Faye, divenuto maître à penser della nouvelle droite francese insieme al meno delirante Alain de Benoist. E proprio de Benoist ha teorizzato quel “gramscismo di destra” che tanta influenza avrebbe avuto su Costanzo Preve, tanto da condurlo ad una revisione così radicale del suo originario marxismo da approdare all’Eurasia di Mutti. Una proliferazione ipostatica di teratologiche aberrazioni, come nei sincretismi sfrenati di un vangelo gnostico, che ci porta dal male al peggio e che da Preve – figura che, con tutte le sue contraddizioni, aveva almeno innegabile fascino e spessore culturale – conduce al suo allievo degenere, il ridicolo Diego Fusaro e ai “valori di destra e idee di sinistra” del suo partito sovranista Vox Italia.

Il secondo capitolo è dedicato al Partito nazionalbolscevico russo, la cui bandiera è identica a quella nazista con l’unica differenza di aver sostituito la svastica con la falce e martello. I due fondatori Alexandr Dugin e Eduard Limonov sono stati separati nel corso degli anni ’90, da una diversa presa di posizione di fronte alla dominazione imperiale del nuovo Zar Putin, il primo – tradizionalista evoliano e misticheggiante – ne è divenuto fervente sostenitore (la russian connection della Lega – pare – passa anche attraverso di lui, che parla l’italiano certo meglio di Salvini); il secondo – mediocrissimo scrittore e dandy pseudo-dannunziano portato alla notorietà dalla fortunata e prevalentemente immaginaria “biografia” che gli ha dedicato Emmanuel Carrère – è invece passato all’opposizione scontando anche qualche anno di carcere. Bernardini ritrova sia nell’eurasismo di Dugin che nel nazionalbolscevismo di Limonov una stessa matrice tipicamente russa: “la concezione di uno stato forte e militare, la mitizzazione del popolo russo e il risentimento contro ebrei e Occidente, talvolta coprendo il tutto con una fraseologia apparentemente marxista-leninista”.

I capitoli dal terzo al quinto presentano invece le complesse filiazioni del rossobrunismo in area francofona, partendo dalla figura di Dominique Venner con il suo libro del 1962, Per una critica positiva, che va ad unire i reduci sconfitti dal Viet Minh di Ho Chi Min e i difensori dell’Algeria francese confluiti nell’Oas (Organisation de l’armée secrète), applicando il modello leninista del Che fare ? alla riorganizzazione della destra radicale francese. Il suo incontro con Jean-Francois Thiriart, ex SS belga e militante contro l’indipendenza del Congo, porta alla fondazione di Jeune Europe, raggruppamento che usa per primo il simbolo neofascista della croce celtica. Thiriart teorizza una “lotta armata insurrezionale contro l’occupazione americana” per un’Europa socialista e (nazional)rivoluzionaria, attraverso la costituzione di Brigate europee che i suoi sodali in seguito millanteranno come prototipo delle Brigate rosse, secondo la discutibile teoria dell’ ”incontro fra gli estremi”.

La Giovane Europa di Thiriart produrrà di lì a poco in Italia, innestandosi su propaggini più o meno ortodosse di Ordine Nuovo, Lotta di Popolo, in cui già appare il nome del futuro eurasista Claudio Mutti e, di passaggio, quello dell’immancabile Franco Freda: si comincia a parlare di nazi-maoismo, deriva duramente criticata dai tradizionalisti ordinoviani come Adriano Romualdi e lo stesso “barone nero” Julius Evola. Da lì seguiranno “Costruiamo l’azione” e Terza Posizione in cui muoveranno i primi passi Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi, in seguito leader rispettivamente di Forza Nuova e di CasaPound. Vediamo quindi come il serpente si morda la coda, e dal passato all’attualità, il groviglio sia del tutto interno alle dinamiche e ai rapporti spesso conflittuali dell’estrema destra. Il comunismo c’entra poco o nulla, per fortuna.

Onde avere ben chiaro senza dubbi o riserve almeno questo concetto basilare, risulta quanto mai proficua la lettura del libro di David Bernardini. Come dice l’adagio inglese: forewarned is forearmed.

 

 

 

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Oltre i limiti dell’Occidente https://www.carmillaonline.com/2017/09/28/oltre-limiti-delloccidente/ Wed, 27 Sep 2017 22:01:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40663 di Sandro Moiso

Peter Frankopan, LE VIE DELLA SETA. Una nuova storia del mondo, Mondadori 2017, pp.725, € 35,00

Per decenni, se non addirittura secoli, le ricostruzioni della storia del mondo trasmesse dalla scuola e dalla ricerca storica occidentale hanno fatto perno sul Mediterraneo e sull’Europa come centro di irradiazione della civiltà e del progresso umano. Facendo grazia giusto al Vicino Oriente e alla Mezzaluna fertile nel ricordare il loro contributo allo sviluppo dell’agricoltura e delle prime società statuali.

In realtà questa ricostruzione, sostanzialmente giudaico-cristiana e greco-romana nelle sue origini, è stata vieppiù rafforzata dalla conquiste imperiali messe in atto [...]]]> di Sandro Moiso

Peter Frankopan, LE VIE DELLA SETA. Una nuova storia del mondo, Mondadori 2017, pp.725, € 35,00

Per decenni, se non addirittura secoli, le ricostruzioni della storia del mondo trasmesse dalla scuola e dalla ricerca storica occidentale hanno fatto perno sul Mediterraneo e sull’Europa come centro di irradiazione della civiltà e del progresso umano. Facendo grazia giusto al Vicino Oriente e alla Mezzaluna fertile nel ricordare il loro contributo allo sviluppo dell’agricoltura e delle prime società statuali.

In realtà questa ricostruzione, sostanzialmente giudaico-cristiana e greco-romana nelle sue origini, è stata vieppiù rafforzata dalla conquiste imperiali messe in atto dalle potenze coloniali attraverso le quali si sono imposti, in patria e all’estero, non solo i principi economici del nascente e del successivo tardo-capitalismo, ma una visione del mondo e dei destini dell’uomo che ha fatto dell’Occidente il centro di irradiazione di civiltà, saggezza, giustizia, libertà e sviluppo economico.

Una visione deformata della storia degli ultimi cinque millenni che è servita sostanzialmente a giustificare il predominio prima europeo e poi statunitense sul mondo intero, di cui il white man burden ha costituito uno dei tanti corollari razzisti ed ipocriti; dimostrando così come le odierne “narrazioni tossiche” abbiano radici piuttosto lontane.

Da qualche tempo, però, l’ascesa di nuove potenze mondiali come la Cina e l’India (solo per citare le due più importanti) ha costretto anche la storiografia occidentale, ed in particolare anglo-sassone, a fare i conti con le nuove realtà emergenti e con le fasulle verità propinate nei corsi scolastici ed universitari per così tanto tempo.

Di questa nuova attenzione per una diversa storia del mondo è testimone il testo di Peter Frankopan, docente di Storia bizantina all’Università di Oxford, senior research fellow al Worcester College e direttore dell’Oxford Centre for Byzantine Research, uscito in lingua originale nel 2015 e pubblicato recentemente in Italia da Mondadori. Attenzione che testimonia in maniera evidente come la storia, e soprattutto la sua interpretazione, sia tutt’altro che immutabile e sia invece piuttosto influenzata dal variare delle condizioni socio-economiche e cultural-politiche che sono alla base della sua produzione.

Come afferma l’autore, citando un testo dell’antropologo Eric Wolf sui popoli senza storia: “La storia della civiltà comunemente e pigramente accettata è una storia in cui «l’antica Grecia generò Roma, Roma generò l’Europa cristiana, l’Europa cristiana generò il Rinascimento, il Rinascimento l’Illuminismo. L’Illuminismo la democrazia politica e la rivoluzione industriale. L’industria, unita alla democrazia, a sua volta ha prodotto gli Stati Uniti, dando corpo ai diritti alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.» Mi resi conto immediatamente che questa era proprio la versione che mi era stata raccontata: il mantra del trionfo politico, culturale e morale dell’Occidente. Ma questo resoconto era fallace; c’erano altri modi di guardare alla storia, modi che non implicavano di guardare al passato dal punto di vista dei vincitori della storia recente.”1

Il Mar Mediterraneo, con il suo significato di centro della Terra, e successivamente gli Oceani avevano finito col divenire il centro non solo dei traffici economici, ma anche dell’interpretazione della storia del mondo, fornendo così alle potenze talassocratiche 2 (Atene, Roma, Spagna, Olanda , Gran Bretagna e Stati Uniti) una giustificazione e un ruolo determinante nello sviluppo non delle, ma della civiltà.

In realtà il cuore del mondo, il Mediterraneo vero, era stato costituito per secoli dalle società e dalle civiltà che si erano sviluppate all’interno dell’enorme massa continentale costituita dal Vicino e Medio Oriente, dalla Russia, dall’altipiano iranico e dai territori desertici e/o montuosi che si estendevano dal Caucaso fino alla Cina e all’India, passando per l’Afghanistan e l’Himalaya.
Un’area emersa enorme che ancora oggi comprende quasi i due terzi della popolazione mondiale.

Ma che già millenni or sono aveva costituito il terreno sul quale si erano formate le prime civiltà urbane, i primi traffici internazionali con i conseguenti scambi non solo di merci e prodotti ma anche culturali e si erano incrociate le filosofie e le interpretazioni cosmologiche destinate a dar vita alle grandi religioni. Non solo monoteistiche.
Fu su questo ponte tra l’Est e l’Ovest che circa 5000 anni fa vennero fondate grandi metropoli, fu qui che le città di Harappa e Moenjo-daro, nella valle dell’Indo, fiorirono come meraviglie del mondo antico, con popolazioni che ammontavano a decine di migliaia di abitanti e strade che si connettevano in un sofisticato sistema fognario che non sarebbe stato uguagliato in Europa per migliaia di anni.3

E mentre oggi uno dei motivi che spingono a riflettere su quale sia stato per millenni il vero centro del mondo può essere una conseguenza della crescita economica cinese che rappresenta attualmente il 17% dell’economia mondiale, va ricordato che anche questa “recente scoperta” è semplicemente il frutto di una rimozione secolare del fatto che almeno fino agli albori del XVIII secolo proprio la Cina avesse costituito l’economia più importante del pianeta, rappresentando da sola, nel XV e XVI secolo, tra il 25 e il 30% dell’intera economia mondiale. Come è sintetizzato nella tabella pubblicata qui di seguito.

E’ chiaro che quell’economia, insieme a tutte le altre che la circondavano e ad essa erano correlate, aveva costituito il fondamento di traffici e aperture di via di terra che sarebbero poi andate sotto il nome di Via o vie della Seta,4 che per secoli avrebbero costituito il maggior canale di collegamento tra Est e Ovest.

La storia di queste vie è tracciata da Frankopan attraverso venticinque intensi e densissimi capitoli, ognuno caratterizzato da un tema centrale indicato nel titolo: La Via delle Fedi, La Via della Rivoluzione, La Via dell’Argento, La Via dell’Oro nero, La Via del Grano, La Via della Guerra e così via, soltanto per citarne alcuni. Sottolineando come “per secoli, prima dell’era moderna, i centri intellettuali di eccellenza a livello mondiale, le Oxford e le Cambridge, le Harvard e le Yale, non si trovavano in Europa o in Occidente, ma a Baghdad e Balkh, a Bukhara e a Samarcanda. C’era una buona ragione perché le culture, le città e i popoli che vivevano lungo le Vie della Seta si sviluppassero e progredissero commerciando e scambiandosi le idee, imparavano e prendevano a prestito gli uni dagli altri, stimolando ulteriori avanzamenti […] Il progresso era essenziale, come sapeva anche troppo bene, più di 2000 anni fa, uno dei sovrani del Regno di Zhao, nella Cina nord-orientale, a un’estremità dell’Asia. «Avere talento nel seguire le strade di ieri» affermava re Wu-ling nel 307 a.C. «non è sufficiente a migliorare il mondo di oggi.»5

Osservando meglio i territori di cui si occupa il libro ci si accorgerà come essi appartengano in gran parte a quello che è stato definito Heartland,6 un concetto geopolitico di grande importanza e che ha visto come corollario quello di un Rimland, costituito dalla fascia marittima e costiera che circonda l’Eurasia, divisa in 3 zone: zona della costa europea; zona del Medio Oriente; zona asiatica.

Affinché una delle tre zone periferiche, quella rappresentata dall’Europa Occidentale, assumesse la rilevanza storica che le è stata successivamente attribuita occorse che , verso la fine del XV secolo, nell’arco di sei anni fossero gettate, a partire dal 1490 e grazie ai viaggi di Cristoforo Colombo e Vasco da Gama, le basi di una radicale rottura del ritmo dei ben consolidati sistemi di scambio precedenti. “D’improvviso, da regione isolata e stagnante, l’Europa occidentale si trasformò nel fulcro di un sistema di comunicazione, trasporto e commercio in costante sviluppo, diventando il nuovo punto mediano tra Oriente e Occidente. L’ascesa dell’Europa scatenò un aspro scontro per il potere e il per il controllo del passato. Mentre i rivali si fronteggiavano, la storia fu riplasmata per dare risalto agli eventi, ai temi e alle idee che potevano essere utilizzati ei conflitti ideologici che divampavano di pari passo con la lotta per accaparrarsi le risorse e conquistare il dominio delle rotte marittime. […] La storia veniva distorta e manipolata per creare una martellante narrazione in cui l’ascesa dell’Occidente risultasse non soltanto naturale e inevitabile, ma la continuazione di ciò che era accaduto in precedenza.7

Questa lettura delle trasformazioni avvenute non solo a livello socio-economico, ma anche a livello di immaginario culturale suggerisce a chi legge anche un’altra osservazione: ossia che mentre sulla terra e sulle vie che occorre seguire per gli spostamenti sulla stessa si sono sempre dovute ricercare strategie destinate a rafforzare i legami tra gruppi, società ed individui affinché possano essere conseguiti risultati positivi e collettivi (l’altra ipotesi sarebbe quella della guerra permanente per modificare gli equilibri, ma questa impedirebbe lo sviluppo degli scambi e il miglioramento dei rapporti tra culture diverse e complementari), sul mare e sugli oceani finirà con l’affermarsi quel principio individualista ed egoistico di cui la guerra di corsa e la pirateria organizzati dagli stati, come già ben sapevano Adam Smith e Daniel De Foe, costituiranno la manifestazione più evidente e, allo stesso tempo insieme al traffico oceanico degli schiavi, la base per la rapina su cui si fonda la prima accumulazione capitalistica.
Proseguendo in tale riflessione si potrebbe, poi, aggiungere che il dominio dell’aria e dei cieli hanno infine portato all’estreme conseguenze tale distacco dai principi umani di condivisione e collaborazione, come i bombardamenti a tappeto sulle popolazioni civili, lontane e invisibili per l’occhio di chi uccide, e l’uso omicida dei droni ben dimostrano ancora e soprattutto oggi.

L’arco di parecchi millenni che il testo di Frankopan ricostruisce giunge fino ai nostri giorni e ai conflitti attuali e non evita di ricordare come la riflessione “storica” che ha dato il via allo studio sull’importanza passata delle vie della seta nasca proprio dalla crisi dell’Occidente e dal suo ruolo di dominio nel mondo. Giungendo a sottolineare come i conflitti attuali, che sconvolgono il pianeta e in particolare molti territori toccati dalle antiche vie, siano dovuti alla necessità di ridefinire chi governerà il futuro e le vie della seta che stanno tornando a tracciarlo.

Al di là infatti dell’autentico ciarpame ideologico che sembra motivare sia le iniziative dello Stato Islamico sia le altrettanto fasulle “guerre per la libertà e la democrazia” promosse dagli Stati Uniti in quell’area a partire dalla prima guerra del Golfo nel 1991, ciò che l’autore sottolinea è che: “Da molti punti di vista, la fine del XX secolo e l’inizio del XXI si sono rivelati disastrosi per gli Stati Uniti e l’Europa, impegnati nella loro fallimentare battaglia per mantenere la loro posizione nei territori di vitale importanza che collegano l’Est con l’Ovest. Ciò che è apparso evidente negli ultimi decenni è la mancanza di prospettiva dell’Occidente rispetto alla storia globale, ovvero rispetto al quadro complessivo, ai temi più vasti e agli schemi più ampi che sono in gioco nella regione. Nelle menti dei pianificatori, dei politici, dei diplomatici e dei generali, i problemi dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Iraq sembrano distinti, separati e soltanto vagamente connessi tra loro.8 Azzardando un paragone, si potrebbe dire che la “cura” occidentale per i problemi della regione riproduce l’approccio medico occidentale per la cura del corpo: curare la malattia oppure la singola parte malata senza preoccuparsi del resto del corpo e delle conseguenze che la cura potrebbe avere sullo stesso o su altre sue parti.

Ma c’è ben di più in gioco, al di là dei maldestri interventi occidentali in Iraq e in Afghanistan, o dei tentativi di esercitare pressioni in Ucraina, in Iran o altrove. Da est a ovest, stanno ancora una volta rinascendo le Vie della Seta […] Sono tutti segnali che indicano che il centro di gravità del mondo si sta spostando, per ritornare nel punto dove è stato per millenni.9
Per potere affermare ciò ci sono ragioni evidenti, al di là dello sviluppo economico cinese: prima di tutto le ricchezze naturali della regione. Per fare un unico e significativo esempio, basti pensare “che le riserve combinate di greggio sotto il mar Caspio ammontano, esse sole, quasi al doppio di quelle di tutti gli Stati Uniti.10

Ma ai giacimenti petroliferi di grandissima rilevanza che si estendono dal Kurdistan al Kazakistan e alla Russia, occorre aggiungere l’enorme bacino carbonifero del Dombass e la presenza diffusa di ingenti quantità di gas naturali, di cui soltanto il Turkmenistan controlla il quarto più grande giacimento del mondo: 20.000 miliardi di metri cubi stimati. Seguono poi i giacimenti auriferi.dell’Uzbekistan e del Kirghizistan, secondi soltanto al bacino del Witwatersrand in Sud Africa. Senza contare e senza stare ad elencare tutte le are ricche di materiali preziosi quali il berillio, il disprosio e tutte le altre “terre rare”, indispensabili per l’industria elettronica moderna, oltre all’uranio e al plutonio.

La terra riveste poi una grande importanza per l’agricoltura, in particolare nella steppa russa caratterizzata da una vasta presenza di chernozem (letteralmente “terra scura”), molto fertile e ricercata, che caratterizza, ad esempio, gran parte del suolo dell’Ucraina.
Le nuove Vie della Seta possono essere costituite anche dagli imponenti gasdotti ed oleodotti per il cui controllo già si combatte più o meno distintamente e che, in alcuni casi, sembrano seguire esattamente i percorsi degli antichi mercanti. Gasdotti ed oleodotti che non convergono più soltanto su un unico centro di sviluppo centrato ad Ovest, ma anche verso la Cina e l’India.

Proprio attraverso di essi “la Cina si garantisce forniture di gas per i prossimi trent’anni, per un valore di 400 miliardi di dollari per l’intera durata del contratto. Questa somma astronomica, da pagare parzialmente in anticipo, offre a Pechino la sicurezza energetica a cui ambisce, oltre che giustificare il costo del nuovo gasdotto stimato in 22 miliardi di dollari, e garantisce a Mosca libertà di manovra e ulteriore forza nei rapporti con vicini e rivali. Non sorprende, quindi, che la Cina sia stato l’unico stato membro del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite a non ammonire la Russia per le azioni intraprese durante la crisi ucraina del 2014; la fredda realtà del commercio reciprocamente vantaggioso è un argomento molto più convincente della politica del rischio calcolato dell’Occidente.11

E poi, naturalmente, vengono i trasporti. “La rete dei trasporti, proprio come quella dei gasdotti, si è spaventosamente estesa negli ultimi tre decenni. Importanti investimenti nelle ferrovie transcontinentali hanno già aperto linee per il traffico merci lungo gli 11.000 chilometri della ferrovia Yuxinou, che collega la Cina con un grande centro di distribuzione nei pressi di Duisburg, in Germania […] Treni lunghi quasi un chilometro hanno cominciato a trasportare milioni di computer portatili, scarpe, vestiti e altre merci non deperibili in una direzione, ed elettronica, pezzi di ricambio ed apparecchiature mediche nell’altra, in un viaggio che dura sedici giorni, molto più veloce della rotta marittima dai porti cinesi sul Pacifico.12 Per questo motivo, oltre che per un minor costo del lavoro nelle sue province occidentali, la Cina ha iniziato a spostare importanti aziende in prossimità di quella che un tempo costituiva “la Porta di Zungaria, l’antica porta di ingresso all’Ovest del paese, dalla quale passano oggi i treni moderni.13

Fermiamoci un attimo e comprenderemo perché questo testo, così affascinante nella sua descrizione del passato, è così utile per la comprensione del presente. Anche per chi si vuole opporre al modo di produzione attuale e ai suoi principi, poiché il centro del mondo si sta spostando e il parto non sarà facile.
L’heartland sta trionfando sulle passate potenze marittime e lo dimostra anche il fatto che le merci possano oggi spostarsi più velocemente al suolo che non sui mari, così come è stato invece negli ultimi cinque secoli. Forse questo può aiutarci a comprendere anche l’attuale crisi delle grandi compagnie dedite ai trasporti marittimi di cui si è parlato recentemente anche su Carmilla.14

Così come il fatto che dalla Germania la ferrovia, di cui si è parlato sopra, proseguirà per la Francia e Parigi, senza dover superare barriere montagnose, ci spiega l’attuale indifferenza francese nel progetto dell’alta velocità in Val di Susa e del suo mefitico ed inutile tunnel di 57 chilometri. Chiarendo, altresì, perché la Germania, ancora una volta, tornerà obbligatoriamente ad oscillare come centro di interesse tra Occidente ed Oriente, tra Europa e Stati Uniti da una parte ed Eurasia dall’altra. Suggerendoci infine che tutte le interpretazioni puramente ideologiche, sia di destra che di sinistra, entrambe antiquate, sono perfettamente inutili per affrontare la tempesta che sta arrivando.

Come afferma lo stesso Frankopan: “L’era dell’Occidente è a un crocevia, se non al capolinea. […] Il mondo intorno a noi sta cambiando. Stiamo entrando in un’era in cui il dominio politico, militare ed economico dell’Occidente comincia ad essere messo in discussione, provocando un senso di incertezza inquietante15 e “Mentre le forze dell’ordine sono impegnate in un costante gioco del gatto col topo con chi sviluppa nuove tecnologie miranti al controllo del futuro, la battaglia per il passato sta ugualmente assumendo un’importanza decisiva nella nuova epoca in cui stiamo entrando.16 Con buona pace di Trump e dei suoi recenti e minacciosi discorsi alle Nazioni Unite, non certo rivolti soltanto alla Corea del Nord, che rivelano l’apprensione con cui la nazione padrona dei mari guarda allo sviluppo delle nuove vie della seta.


  1. Frankopan, pp.5-6  

  2. dal greco θαλασσα, mare, e κρατος, potere 

  3. pp.7-8  

  4. Come le avrebbe definite verso la fine del XIX secolo un importante geologo tedesco, Ferdinand von Richthofen: Seidenstraße, Vie della Seta.  

  5. pag.10  

  6. L’ideatore del concetto di Heartland fu un generale e geopolitologo britannico, Sir Halford Mackinder, che la sottopose alla Royal Geographical Society nel 1904. Il termine derivava dal fatto che tale vastissimo territorio era delimitato ad ovest dal Volga, ad est dal Fiume Azzurro, a nord dall’Artico e a sud dalle cime più occidentali dell’Himalaya. Per Mackinder, che basava la sua teoria sulla contrapposizione tra mare e terra, l’Heartland costituiva il “cuore” di tutte le civiltà di terra, in quanto logisticamente inavvicinabile da qualunque talassocrazia. Teoria che egli condensava in una singola frase: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland; chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo; chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo». Cfr: https://www.carmillaonline.com/2015/09/16/vae-victis-germania-1-sulla-loro-pelle/  

  7. pag.11  

  8. pag.581  

  9. pag.582  

  10. pag.582  

  11. pag.589  

  12. pp.589-590  

  13. pag.590  

  14. cfr. https://www.carmillaonline.com/2017/08/10/uno-tsunami-planetario/  

  15. pp.593-595  

  16. pp.591-592  

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