ergastolo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 23 Apr 2025 19:20:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Un giorno nella CR di Parma https://www.carmillaonline.com/2025/01/09/un-giorno-nella-cr-di-parma/ Thu, 09 Jan 2025 22:50:40 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=86325 di Cesare Battisti

(Racconto tratto dall’autobiografia che l’autore sta preparando)

Come la tua mano tremava mentre teneva la mia. È il buon vecchio De Gregori che sta cantando nel mio PC e mi fa pensare a tutte le mani che non ho saputo trattenere tra le mie. Mi sembra di vederle, quelle mani, tutte tese oltre il freddo delle sbarre. Fanno la fila davanti a un sogno caduco. Avevamo un sogno in comune, così ci sembrava, ma oggi si sente dire che era un’allucinazione collettiva. A me sembra strano, che ci stanno a fare quelle tutte mani là  fuori [...]]]> di Cesare Battisti

(Racconto tratto dall’autobiografia che l’autore sta preparando)

Come la tua mano tremava mentre teneva la mia. È il buon vecchio De Gregori che sta cantando nel mio PC e mi fa pensare a tutte le mani che non ho saputo trattenere tra le mie. Mi sembra di vederle, quelle mani, tutte tese oltre il freddo delle sbarre. Fanno la fila davanti a un sogno caduco. Avevamo un sogno in comune, così ci sembrava, ma oggi si sente dire che era un’allucinazione collettiva. A me sembra strano, che ci stanno a fare quelle tutte mani là  fuori se il sogno non c’era?

È la mente che corre e si schianta, finirà  spiaccicata al muro, tra le macchie brune che raccontano un mucchio di storie, tutte maledettamente simili. Sono racconti di menti esauste, che si sono arrese al tempo e adesso non si distinguono più dall’unto atavico che tiene in piedi questa cella. Certi pomeriggi, soprattutto quelli lunghi d’estate, sulla parete affianco alla branda mi è parso di vederci anche la mia, di mente. Sembrava morta di noia e allora le ho chiesto perché era finita lì. La risposta mi parsa pasticciata, ma non importa, volevo solo fare due chiacchiere con una macchia nuova.

Alla fine la storia è sempre la stessa: sui muri di prigione s’incontra del sangue, un po’ d’amore e un sacco di bugie; anche qualche ravvedimento, ma è sospetto, e poi il sospiro finale. A questo punto mi rimetto gli auricolari per la prossima canzone, per non sentire le grida di Karim che dal fondo del corridoio chiama per l’insulina. È l’ora dell’ipoglicemia, lo lasceranno sgolare prima dell’iniezione. È sempre così, ci si fa l’abitudine.

Karim è arrivato qui piuttosto malconcio, pieno di tagli sulle braccia e sulle gambe. Un altro tossico da parcheggiare, vanno e vengono in continuazione. Molti di loro tornano, soprattutto l’inverno, perché almeno ogni tanto qui c’è il riscaldamento che funziona. Poi c’è anche la frutta del vitto da far fermentare per farci la grappa e, soprattutto, niente fila al freddo per il metadone. Li maltrattano un po’, è vero, ma hanno visto di peggio e, sapendoli al “sicuro”, i familiari sono più tranquilli.
 Quando non esplode e sfascia tutto, Karim è un tipo riservato. Gli succede di passare davanti alla mia cella, ma fino a qualche giorno fa non si voltava neanche a salutare. Non ci facevo troppo caso, tanti fanno così: io sono il “terrorista”, con la cella piena di libri e mi credono pure uno scrittore. So quello che pensano perché penso così anch’io. L’entità  del detenuto è il reato per cui è dentro: c’è il ladro, l’assassino, lo stupratore, il femminicida e il terrorista. Noi siamo misfatti che camminano, mangiano e dormono, soffrono ognuno a modo suo e gioiscono in solitario, qualche volta.

Karim è grande e grosso e parla poco, ma mi sono accorto che quando passa davanti al mio cancello scopre apposta il braccio per mostrare il tatuaggio del Che. Non dovrebbe voler dire niente, ormai il barbuto lo firma anche Armani. Ma nonostante l’età  e le scottature, io non riesco a sottrarmi al fascino di una gioventù che ci credeva. C’è chi dice che non ho ancora perso il desiderio di rivoluzione.

Comunque sia, un giorno che Karim si stava tagliando con una Gillette per spruzzare di sangue l’insensibile corazza della Sicurezza, non ce l’ho fatta e mi sono avvicinato per mostrarmi solidale. L’hanno lasciato in pace e lui mi ha guardato in modo strano. Ma dopo l’iniezione e con le fasciature al braccio, è venuto da me senza dire niente. Mi ha lanciato un’occhiata di traverso, sul suo volto devastato c’era come un sorriso. Ho notato che la sola parte visibile del suo corpo senza tagli era proprio la faccia del Che. C’eravamo capiti e a lui luccicavano gli occhi. Quando il silenzio è diventato troppo rumoroso, ho sparato la domanda che avrei voluto fare prima ma non avevo osato:
«Perché tagliarsi?» 
Mi ha guardato storto, poi ci ha pensato su, un lungo istante, e fa:
«Sto cercando il mare, ce l’abbiamo dentro e io ci vado a pescare, ci trovo granchi, perle e bottiglie scolate. Avresti… Tu non fumi, vero?»

Io ho smesso di fumare il secolo scorso e Karim se ne va dondolando il capo lungo il corridoio. Sembra tutto così ovvio qui dentro, la sofferenza quasi naturale. Vedo tutto il giorno persone ciondolare da un cella all’altra alla ricerca di una pastiglia forte da sniffare. La Tachipirina per tagliare altre sostanze si trova facilmente, prima di barattare la mistura per un pacchetto di tabacco, che vale pressapoco cinque pacchi di zucchero da aggiungere alla frutta fermentata da distillare per fare la grappa. Fuori la chiamano economia circolare, ma è in carcere dove non si spreca proprio niente.

Con un ergastolo da scontare, anzi due, chissà  come farò per il secondo, non mi resta molta vita da offrire alla giustizia, ma mi capita lo stesso di guardare il viavai nel corridoio e provare una gran pena per tutti gli altri. Alcuni sono molto giovani, le loro condanne irrisorie, in carcere non ci dovrebbero neppure stare, ma ho come l’impressione che non usciranno mai. Invece di pensare alle pene altrui, dovrei preoccuparmi degli affetti propri, quelli che ho lasciato fuori e che si rifiutano di credere al mio “fine pena mai”.

Mi sono chiesto mille volte se anche loro fingono di crederci perché è così che bisogna fare con un padre ergastolano. E così aspetto il prossimo colloquio, la telefonata settimanale per sentire dalla loro voce che è vero, che il loro tormento è di attesa e non di disperazione. Le parole che ci diciamo sono pacche sulle spalle, un’altra spinta fino al prossimo colloquio. Me le porto tutte in cella e ci ragiono, ma mi perdo sempre tra mille sfumature. Così chiudo gli occhi e fingo di dormire: sto sognando oppure quello che sento è il ronfo della macchina che mi riporta a casa insieme a loro?

Chiudere gli occhi e non svegliarsi più è il desiderio di ogni carcerato. Ma nessuno qui lo confesserebbe, è segno d’inaccettabile debolezza, oltre ad essere una soluzione troppo comoda. Qualcuno si sentirebbe defraudato. Si sente dire alla televisione, e non solo da familiari di vittime affranti dal dolore, che i trenta anni di carcere che hanno inflitto al reo tal dei tali sono pochi per pagare il debito sociale. Ma se vivessimo secoli. come succede a certe tartarughe, trecento anni sarebbero allora sufficienti a colmare il vuoto di giustizia? Probabilmente no e così si aggiunge il vuoto al vuoto, il dolore al dolore e non ci resta più animo e né tempo per parlare al cuore. Né per un momento di grazia davanti alla finestra con le sbarre. Come faceva mia madre stanca a sera, quando alzava gli occhi al cielo quasi lo volesse benedire, in nome della vita andata e quella di ogni mattino ritrovata.

 

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Oltre l’ergastolo e il 41 bis https://www.carmillaonline.com/2023/06/27/oltre-lergastolo-e-il-41-bis/ Tue, 27 Jun 2023 20:00:35 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=77603 di Marc Tibaldi

Pensare l’impensabile, tentare l’impossibile. A fianco di Alfredo, contro ergastolo e 41 bis, a cura di Archivio Primo Moroni, Calusca City Lights, Cox 18, Edizioni Colibrì, Milano 2023, pp. 80, 10 euro

L’Archivio Primo Moroni, la libreria Calusca City Lights e il c.s.o.a Cox 18, tre realtà che garantiscono sul rigore documentativo, sulla riflessione critica e sulla scelta di studiosi e militanti che affrontano con cognizione l’argomento trattato, hanno curato un importantissimo lavoro di controinformazione, si tratta di “Pensare l’impensabile, tentare l’impossibile. A fianco di Alfredo, contro ergastolo [...]]]> di Marc Tibaldi

Pensare l’impensabile, tentare l’impossibile. A fianco di Alfredo, contro ergastolo e 41 bis, a cura di Archivio Primo Moroni, Calusca City Lights, Cox 18, Edizioni Colibrì, Milano 2023, pp. 80, 10 euro

L’Archivio Primo Moroni, la libreria Calusca City Lights e il c.s.o.a Cox 18, tre realtà che garantiscono sul rigore documentativo, sulla riflessione critica e sulla scelta di studiosi e militanti che affrontano con cognizione l’argomento trattato, hanno curato un importantissimo lavoro di controinformazione, si tratta di “Pensare l’impensabile, tentare l’impossibile. A fianco di Alfredo, contro ergastolo e 41 bis”. L’occasione per riflettere sul “carcere di tortura” e sulla “pena di morte viva”, come viene definito l’ergastolo, è stata data dalla lotta dell’anarchico Alfredo Cospito e dai suoi sei mesi di digiuno per protestare contro la condanna all’ergastolo (nessun beneficio penitenziario, né semilibertà, né lavoro esterno) e al 41bis (un’ora d’aria in quattro mura di cemento, niente libri e giornali, un colloquio al mese con il vetro, zero socialità e attività…), veri regimi di annientamento sensoriale. Ricordiamo che Cospito, in carcere da 11 anni, è condannato per “Strage contro la sicurezza dello Stato”, un reato del Codice fascista per cui la condanna è l’ergastolo (pena mai usata neanche per le stragi di Piazza Fontana, Capaci, Bologna) con l’accusa di aver fatto esplodere un ordigno contro una caserma dei Carabinieri, in cui non ci sono stati né morti né feriti.

I saggi contenuti nel libro ci dimostrano l’esistenza del “carcere di tortura” e della “pena di morte viva”. Maria Teresa Pintus, avvocata di Cospito, ci ricorda dell’articolo 27 della Costituzione che afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” e che dovrebbero tendere alla rieducazione e di come il 41bis sia argomento tabù per la destra e anche per la sinistra. Riprende nella sostanza il Michel Foucault di Sorvegliare e punire: “oltrepassate le porte della prigione, regnano l’arbitrio, la minaccia, il ricatto, le percosse … nelle prigioni è di vita e di morte e non di ‘correzione’ che si tratta”. Charlie Barnao (Università di Catanzaro), sostiene che “la tortura all’interno delle nostre carceri non è un evento occasionale, potendo invece essere vista come una pratica strutturata all’interno di un generale percorso trattamentale. C’è un filo conduttore che unisce da una parte la cultura della guerra e, dall’altra, la cultura sottesa all’idea di utilizzare il diritto penale per punire alcune categorie ben precise di persone al fine di ottenere consenso popolare. Un discorso che possiamo inquadrare in un processo generale di militarizzazione della nostra società”. Il contributo di Elton Kalica (Università di Padova) sul cosiddetto “diritto penale del nemico” si sostanzia sulle ricerche di Gunter Jakobs (Giuffrè editore, 2007) e sostiene: “c’è un diritto penale ordinario liberale, quello che conosciamo noi tutti, indirizzato ai cittadini, che li considera come persone, quindi come soggetti aventi un corredo di diritti e garanzie in tutte le fasi dell’azione penale: indagine, processo ed esecuzione. Poi c’è un diritto penale del nemico, in cui i soggetti non sono più considerati come persone, come cittadini, bensì come nemici, quindi spogliati di questo corredo di tutele e garanzie”.

Ci sembra interessante riportare anche un breve passaggio dell’introduzione che Giuseppe Mosconi ha scritto per il libro di Kalica La pena di morte viva, 41bis e diritto penale del nemico (Meltemi, 2019): “le retoriche e la cultura connesse in vario modo all’istituto del 41 bis agiscono nel senso di rafforzare e radicalizzare la presenza dell’ergastolo come una pena di morte viva, il quale riassume in sé gli aspetti deteriori dell’afflittività penale, estremizzandoli, sia nei termini dell’intensità della sofferenza afflittiva, che della definitiva marginalizzazione sociale”.

Un libro breve ma ricchissimo anche di fonti documentative, bibliografia, testimonianze (di Cospito, Anna Stranieri, Flavio Rossi Albertini, un operaio dell’ex Ilva), illustrazioni (di Zerocalcare, Stefano Bombaci, Antonio Panzuto, Thomas Ott). Scrivono i curatori del volume: “Il carcere moderno nasce come istituzione con cui ‘trattare’, disciplinare e recuperare forzosamente al lavoro i vagabondi e tutta quella variegata popolazione che, cacciata dalle campagne, affluiva disordinatamente verso i centri urbani del protocapitalismo, attirata dal nuovo sistema industriale. Questa anima originaria il carcere non l’ha mai persa”. Come dire, non si tratta di abolire solo il carcere, si tratta di trasformare la società che lo presuppone.

Note.

Il libro è ordinabile nelle librerie, dal sito delle edizioni Colibrì, o richiedibile a: libreriacalusca@yahoo.it.

Chi invece volesse conoscere le idee di Alfredo Cospito, segnaliamo Sinergia. Raccolta di testi e comunicati, edito da Biblioteca Anarchica Sabot, 166 pagine, 2022. Si tratta di vari contributi che coprono una decina di anni – dal 2012 al 2022 – pubblicati su varie riviste (Vetriolo, Fenrir, Caligine), interventi a assemblee, dibattiti, fiere dell’editoria anarchica, che dimostrano il confronto con l’anarchismo “storico”, con i neoanarchismi, ma anche altre componenti del movimento antagonista; si tratta dell’elaborazione di un anarchismo insurrezionale e nichilista, in cui c’è una stretta correlazione tra pensiero e azione. “Continuo a essere convinto che l’odio di classe sa la leva principale per scardinare e capovolgere questo mondo. Non metto in dubbio che la molla che scatena la nostra lotta può avere tante origini, sessismo, animalismo, ecologismo, ma se questi discorsi alla base non hanno anche un discorso di classe non portano a nulla, se non un assestamento, un perfezionamento della democrazia” (pagina 37). Pubblicato un mese prima che Cospito decidesse la lotta dello sciopero della fame, il libro si può richiedere a: bibliotecasabot@autistici.org

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Fuori legge: a proposito del 41 bis https://www.carmillaonline.com/2023/02/03/fuori-legge-liberi-tutti-dal-41-bis/ Fri, 03 Feb 2023 21:00:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=75889 di Sandro Moiso

[Mentre uno Stato senza alcuna vergogna, che tratta con i capimafia e irride gli ultimi vendicandosi sui detenuti e i settori sociali più deboli, finge un’intransigenza che è soltanto una mascherata dichiarazione di guerra di classe, mai cessata e mai scomparsa con qualsiasi governo in carica, le condizioni di salute di Alfredo Cospito impongono, oltre che la manifestazione di una piena solidarietà nei suoi confronti e di tutti gli altri detenuti, la ripubblicazione di un articolo, già apparso il 24 Settembre 2012 su Carmillaonline e debitamente aggiornato per questa occasione, [...]]]> di Sandro Moiso

[Mentre uno Stato senza alcuna vergogna, che tratta con i capimafia e irride gli ultimi vendicandosi sui detenuti e i settori sociali più deboli, finge un’intransigenza che è soltanto una mascherata dichiarazione di guerra di classe, mai cessata e mai scomparsa con qualsiasi governo in carica, le condizioni di salute di Alfredo Cospito impongono, oltre che la manifestazione di una piena solidarietà nei suoi confronti e di tutti gli altri detenuti, la ripubblicazione di un articolo, già apparso il 24 Settembre 2012 su Carmillaonline e debitamente aggiornato per questa occasione, il cui intento era e rimane quello di svelare le origini, il vero volto e la vera sostanza del famigerato articolo 41 bis. Un modo per rispondere anche ad una bagarre parlamentare e mediatica in cui a trionfare sono i veleni e il conformismo dell'”ordine” borghese più che la ragione. Tanto meno quella di Cesare Beccaria.]

Nel paese in cui l’aspersorio e il manganello continuano ad andare a braccetto sulla testa dei cittadini, qualunque sia il governo in carica, è inevitabile che permangano zone d’ombra di cui non si parla o di cui si parla soltanto in una maniera talmente distorta da travisare anche ciò che sta sotto gli occhi di tutti. Tale opera di distorsione, se non di vera e propria rimozione, del reale, è evidente, non deriva solo dai “forti” argomenti rappresentati dall’acquasantiera e dalla violenza dello stato, ma, e soprattutto, dall’accondiscendenza di tutte le forze politiche e dal totale asservimento dei media alle esigenze del regime catto-tecno-fascio-capitalista.

Opere come quella di Maria Rita Prette1, che ha già curato il quinto volume del “Progetto Memoria” edito da Sensibili alle foglie e dedicato al carcere speciale, acquisiscono quindi, nonostante l’esiguo numero di pagine, un’importanza che travalica l’argomento trattato.
I paragoni possibili sono, infatti, con le opere sulla storia dell’Inquisizione dello storico americano ottocentesco Henry Charles Lea2 e quella, importantissima, di Italo Mereu3 sulla nascita delle strutture giuridico-repressive dello stato moderno a partire dalle procedure messe in atto dai tribunali dell’Inquisizione.

In questo preciso istante diverse centinaia di detenuti4 sono sottoposti, in Italia, a misure restrittive assolutamente inaccettabili all’interno di uno Stato che voglia dirsi democratico. Tale giudizio non è espressione delle idee dell’autrice o dell’autore del presente articolo, ma il risultato del giudizio della Corte Europea dei diritti dell’uomo, nei confronti dello stato italiano, che ha assimilato alle torture i trattamenti riservati ai detenuti in regime di isolamento.

Come afferma Maria Rita Prette: «L’assunto inaccettabile è che ad una persona, quando le sia appiccicata addosso un’etichetta qualunque (in quest’epoca e qui da noi vanno di moda le etichette mafioso o terrorista), possa essere fatto di tutto, con spirito vendicativo o secondo il principio che la sua sofferenza possa agire come deterrente verso altri» (p.8).

I fatti della Diaz, la morte di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi, il suicidio quasi quotidiano di detenuti dimenticati ed isolati, affondano quindi le loro radici in una struttura giuridico-repressiva che ha pian piano sostituito il normale corso dell’accertamento della responsabilità e della pena successivamente inflitta con soprusi, violenze e pratiche, non riconosciute dalla “giustizia” italiana, di esplicita tortura fisica e psichica.

Tracciare la storia del 41 Bis, a partire dall’originario codice Rocco e dalle leggi speciali varate negli anni settanta per far fronte alle lotte diffuse e alle pratica della lotta armata, significa perciò indagare lo sviluppo di pratiche inquisitoriali che hanno progressivamente cercato non soltanto di annullare la personalità e l’individualità del detenuto, ma di sostituirla con un’altra, «plasmata allo scopo di servire la causa dei torturatori» (p.57).

Se fino alla metà degli anni ’70 era stato il Regolamento per gli istituti di Prevenzione e Pena di Alfredo Rocco, approvato nel 1931, a codificare l’istituzione carceraria, a partire dalla stagione delle grandi lotte sociali sarà la legge n. 354 del 26 luglio 1975 a riformarne i contenuti e a “modernizzare” il carcere. L’articolo 90 però, “disposizione finale e transitoria” apposta all’ultimo minuto, reciterà:

Esigenze di sicurezza. Quando ricorrano gravi ed eccezionali motivi di ordine e sicurezza, il Ministero di Grazia e Giustizia ha facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l’applicazione in uno o più stabilimenti penitenziari per un periodo determinato, strettamente necessario, delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza.

Tale articolo introduceva in una Legge che doveva costituire una risposta all’ondata di lotte sociali e dei detenuti, finalizzate ad un ampliamento delle garanzie democratiche fuori e dentro il carcere, un enorme potere discriminatorio a discrezione della magistratura e degli organi destinati alla repressione. Il provvedimento seguiva di pochi mesi l’approvazione della cosiddetta legge Reale, cioè la numero 152 del 22 maggio 1975, che aveva come titolo Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico e, di fatto, sanciva il diritto delle forze dell’ordine a utilizzare armi da fuoco quando strettamente necessario anche per mantenere l’ordine pubblico. Il ricorso alla custodia preventiva — misura prevista in caso di pericolo di fuga, possibile reiterazione del reato o turbamento delle indagini — veniva esteso anche in assenza di flagranza di reato. C’era quindi la possibilità di effettuare un fermo preventivo di quattro giorni, entro i quali il giudice doveva poi decretare una convalida da parte dell’autorità giudiziaria. Infine, veniva ribadito che non si potevano utilizzare caschi o altri elementi che rendessero non riconoscibili i cittadini, salvo specifiche eccezioni. I provvedimenti previsti dalla legge Reale, modificati nel 1977 dalla legge 533, portarono, dal giugno del 1975 a metà 1989 all’ uccisione di 254 persone e al ferimento di altre 371. Nel 90 per cento dei casi le vittime non possedevano nemmeno un’arma da fuoco al momento del confronto con le forze dell’ordine. Lo Stato si era in questo modo modernizzato e riformato per far fronte alle nuove realtà determinate dallo scontro di classe in atto.

Due anni dopo, un decreto interministeriale (n. 450 del 12 maggio 1977) istituiva le carceri speciali. In Italia, negli anni ottanta saranno costruite 80 nuove carceri.

Sarà il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a scegliere gli istituti o le sezioni delle carceri da adibire a circuito speciale. E a selezionare, sulla base di informazioni raccolte dalla direzione di tutte le carceri con criteri totalmente arbitrari, i detenuti da trasferire in questo circuito. Nel luglio del 1977, un migliaio di persone viene prelevato nelle celle di diversi carceri italiane e trasferito in segretezza, facendo uso anche di elicotteri, in sezioni adibite allo scopo (p.18).

La funzione prevalente del circuito speciale sarà quella dell’isolamento, cui andranno ad aggiungersi le violenze che varieranno da luogo a luogo nella forma e nella consistenza. Le nuove strutture di ferro e cemento sorgeranno come funghi alla periferia delle città, quasi a voler minacciare con la loro presenza quelle aree, già degradate, da cui sembra debba provenire ogni pericolo per l’ordine sociale e la tranquillità borghese. Così, mentre da un lato si inizia sollevare il problema dell’incostituzionalità dell’art. 90 dall’altro la risposta saranno le botte (come al solito) e l’istituzione dei braccetti della morte che saranno proprio i “tecnici” del Ministero a chiamare in questo modo.

Le testimonianze sui braccetti della morte sono chiarissime su un punto: le misure di sorveglianza e privazione a cui sono sottoposti i reclusi (una ventina) in queste sezioni non hanno alcun nesso con la sicurezza, ma semmai si prefiggono l’annichilimento della persona. Non si capisce infatti come potrebbe essere lesivo della sicurezza lavarsi, mangiare, sentire un notiziario, vestirsi con i propri vestiti, scrivere e ricevere posta, leggere (p.25).

Il 1982 sarà un anno decisivo per la lotta al “terrorismo”: 965 persone finiranno in carcere per reati connessi a quello di “banda armata”. Ed è anche l’anno in cui le torture fisiche e psicologiche inizieranno a dare i loro risultati: almeno 300 arrestati decidono infatti di collaborare con polizia e carabinieri. Il Parlamento, coerentemente, approverà la legge 304 del maggio 1982, la cosiddetta legge per i “pentiti” che prevede la non punibilità per coloro che determinano lo scioglimento delle associazioni o delle bande e forniscono in tutti i casi ogni informazione sulla loro struttura e sulla loro organizzazione. Dal 1983 al 1986 saranno

gli anni delle ammissioni collettive di colpa nei tribunali speciali. Qualcosa che ricorda l’Inquisizione nell’esplicita richiesta di abiura che li caratterizza […] gli anni necessari ad incubare due nuove leggi: la legge n. 663, cosiddetta Legge Gozzini del 10 0tt0bre 1986 e la legge n. 34 recante misure a favore di chi si dissocia dalla lotta armata, del 18 febbraio 1987 (p. 31).
Dal punto di vista generale, la Legge 34, insieme alla 304 del 1982, sancisce definitivamente nella cultura giuridica del Paese un salto di qualità. La pena non è più commisurata al reato, bensì diventa una merce scambiabile sul mercato della giustizia: quale che sia il reato commesso, un comportamento, un’opinione, possono determinare in maniera rilevante la pena che lo sanzionerà. La legge Gozzini riforma la Legge 354 del 1975, introducendo articoli basati sul binomio premio-punizione, che valorizzano l’individualizzazione del trattamento […] La parola chiave è premialità (pp.32-33).

Proprio nella riforma prevista dalla Legge Gozzini della legge 354 del 1975 sarà abrogato l’articolo 90 che rientrerà dalla finestra, e in maniera più articolata, come art. 41 Bis, posto cioè subito dopo l’articolo 41 della suddetta legge e che avrebbe dovuto regolamentare e limitare l’uso della forza e delle armi, da parte dell’istituzione, all’interno del carcere. Riprendendo tale quale l’art. 90, il 41 Bis reciterà:

Situazioni eccezionali. 1 – In caso eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministero di Grazia e Giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto. 2 – L’art. 90 della Legge 26 luglio 1975, n. 354 è conseguentemente abrogato.

La sua applicazione non servirà affatto a sedare rivolte o a fronteggiare situazioni d’emergenza,

bensì colpirà raggruppamenti per categorie di detenuti, indipendentemente dal comportamento carcerario in senso stretto tenuto da quei detenuti. Ad essere determinante, per essere sottoposti al regime di 41 bis, saranno di volta in volta il tipo di reato per il quale si è finiti in carcere e, successivamente, il comportamento processuale (p.35).

La Legge Gozzini introduce inoltre all’interno della Legge 354 l’art. 14 bis che

si occupa del regime di sorveglianza particolare cui può essere sottoposto il detenuto, qualora con il suo comportamento comprometta la sicurezza o turbi l’ordine nell’istituto, o con la violenza impedisca le attività degli altri reclusi, ma anche sulla base di precedenti comportamenti penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell’imputazione, nello stato di libertà (p.36).

Tra il 1990 e il 1991 il numero dei detenuti aumenta da 25000 a 45000. La legge 203 del 12 luglio 1991 introdurrà nell’ordinamento penitenziario l’art. 4 bis, che ammette i benefici di legge (permessi, riduzione di pena, etc.) solo per coloro per i quali saranno «acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamento con la criminalità organizzata o eversiva». Un anno dopo, con la Legge n. 306 del 8 giugno 1992, sarà aggiunto un secondo comma al 41 bis che stabilisce uno a stretta connessione tra trattamento e tipo di reato e finirà con il sancire i benefici per chi collabora con la giustizia e l’inasprimento del trattamento per tutti gli altri.

Il 23 dicembre 2002, il Parlamento approverà la legge 279, che modifica ancora gli articolo 4 bis e 41 bis e da quel momento la premialità si sgancerà completamente dal comportamento carcerario e si misurerà soltanto più sulla base della collaborazione con gli ordinari giudiziari e di polizia.

«Lo Stato d’eccezione non è più eccezione: diventa regola ordinaria» (p.42). Con circolare n. 3359/5809 del 21 aprile 1993, saranno istituite le sezioni di Alta Sicurezza con l’intento di «separare i detenuti appartenenti alla realtà della criminalità mafiosa e del terrorismo da tutti gli altri detenuti».

Mentre nel 1998 verrà istituito il circuito di Elevato Indice di Vigilanza (EIV) al quale verranno assegnati «detenuti di particolare pericolosità desumibile». Circuito che «verrà poi abolito, come sigla, nel 2009 a seguito della condanna inflitta dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo all’Italia, per la violazione dell’art. 6, par.I, della Convenzione» (pag. 44). Nonostante ciò oggi languono nelle carceri italiane almeno 1500 ergastolani con “reati ostativi” privi di qualsiasi accesso ai benefici previsti dalla legge. «A nessuno interessa quanti sono, dove sono. Sono considerati scarti, non del passato ma del presente, il che è ancora peggio. A nessuno interessa se vivono o se muoiono» (p.45).

Sono circa 66600 i detenuti delle 206 carceri sparse sul territorio nazionale (dati 2012). In una decina di queste sono state istituite delle Aree riservate «nelle quali non è consentito l’accesso alle delegazioni che normalmente frequentano il carcere per parlare con i detenuti e accertarsi delle loro condizioni, ma neanche al cappellano del carcere, per fare un esempio […] Le aree riservate sono un indicibile nell’indicibile» (pp.52-53). Occorre, dunque, prendere atto che

il regime del 41 bis è ispirato ad un principio di vendetta e, nella sua funzione fondamentale, si accosta pericolosamente all’istituzione della tortura […] il fine ultimo della tortura non è, in sé, ottenere delle informazioni, bensì distruggere l’identità personale del torturato […] La richiesta esplicita che viene infatti rivolta ai condannati con il 41 bis e il 4 bis è quella di collaborare con la giustizia. Le statistiche ministeriali dimostrano con estrema chiarezza che l’obiettivo del provvedimento non viene raggiunto: nel 2010, su 680 detenuti in 41 bis, 8 sono state le persone diventate collaborative per uscire da quel circuito. Le statistiche sui 19 anni che vanno dal 1992 al 2011 indicano una percentuale del 1,87%. Non solo il 41 bis è abominevole per uno stato di diritto, ma sembra pure del tutto inefficace (pp.57-58).


  1. M. R. Prette, 41 Bis. Il carcere di cui non si parla, Sensibili alle foglie 2012  

  2. Henry Charles Lea (1825- 1909) autore della monumentale A History of Inquisition of the Middle Ages (Filadelfia 1888 – Parigi 1902), parzialmente tradotta in Italia (vol. III) in H. C. Lea, Il processo ai templari e altri roghi, Sul ruolo della repressione inquisitoriale nella nascita dello Stato-nazione europeo, Celuc Libri, Milano 1982  

  3. Italo Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa, Mondatori 1979  

  4. Attualmente 759 – con una concentrazione massima all’Aquila, dove sono ben 152, e ad Opera, vicino a Milano, dove se ne contano 100. A Sassari sono 91 e a Spoleto 81 – dati 2022. Mentre almeno altri 1500 sono sottoposti all’ergastolo ostativo.  

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No all’emergenza perenne contro le lotte e i movimenti https://www.carmillaonline.com/2022/10/08/la-memoria-del-presente/ Sat, 08 Oct 2022 21:56:05 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=74338 [Riceviamo e pubblichiamo questo testo di denuncia degli attacchi forcaioli ai quali viene sottoposto Cesare Battisti da parte di esponenti del mondo politico per puri fini propagandistici e per mantenere un clima di emergenza soprattutto riguardo le lotte e i movimenti sociali. A piè di articolo il link per tutti coloro che volessero aderire.]

La memoria del presente

In queste settimane, la notizia del declassamento del regime di carcerazione a cui è sottoposto Cesare Battisti, da “alta sicurezza” a “media”, ha scatenato la solita canea reazionaria e forcaiola, [...]]]> [Riceviamo e pubblichiamo questo testo di denuncia degli attacchi forcaioli ai quali viene sottoposto Cesare Battisti da parte di esponenti del mondo politico per puri fini propagandistici e per mantenere un clima di emergenza soprattutto riguardo le lotte e i movimenti sociali. A piè di articolo il link per tutti coloro che volessero aderire.]

La memoria del presente

In queste settimane, la notizia del declassamento del regime di carcerazione a cui è sottoposto Cesare Battisti, da “alta sicurezza” a “media”, ha scatenato la solita canea reazionaria e forcaiola, che da sempre si accompagna alle vicende di Battisti. Inutile dire che tale provvedimento non costituisce un elemento di clemenza: il Dap ha precisato che si tratta di un atto dovuto, tutto interno alle procedure vigenti, che non “normalizza” la condizione del detenuto Battisti né influisce sull’esecuzione della pena

L’accanimento con cui si pretenderebbe la sepoltura civile di Battisti, va al di là della sua biografia o della sua fedina penale – considerando che l’ultimo reato di cui è accusato risale a 43 anni fa e l’organizzazione in cui militò si sciolse nel 1980!  Aver trasformato in questi anni Battisti in un simbolo di criminalità politica, averlo braccato ed esibito come una preda, pretendere un aggravio punitivo del suo ergastolo, rivela due elementi ormai cronici del nostro presente:

1) la memoria irrisolta del conflitto sociale degli anni 70 – soprattutto nella sua componente armata – è ancora una ferita aperta con cui l’Italia non ha saputo fare i conti;

2) la sanzione penale, soprattutto davanti alla violazione dell’ordine costituito, continua ad essere la risposta prevalente, dentro un paese livido, invecchiato, che vede un imbarbarimento del diritto, del sistema giudiziario, del carcere (fresco di stragi), e soprattutto dei rapporti sociali e degli spazi di democrazia e conflitto.

Tali elementi sono propri di un regime che, al di là di ogni ritegno, ci costringe ad uno stato permanente di emergenza, di legislazione eccezionale, di repressione politico-sindacale, colpendo i lavoratori che lottano (emblematico il caso di Modena o e Piacenza, dove si cerca nei tribunali di derubricare a reato il diritto di sciopero), imponendoci la guerra e l’economia di guerra, aprendo la strada all’impoverimento di massa.

Il fatto che gli attacchi alla memoria degli anni ’70 giungano dagli eredi della fiamma missina rende più paradossale e triste la parabola di questo paese. Siamo sicuri che piddini, forcaioli vari e garantisti a corrente alternata, condividano l’indignazione missina.

Per tutte queste ragioni, contrastare la campagna di accanimento contro Cesare Battisti, significa battersi contro la deriva antioperaia, guerrafondaia e autoritaria in cui ci stanno conducendo: appoggiare la resistenza sociale di oggi contro il riarmo, il carovita, la devastazione dei territori, dal No Muos alla Val di Susa, per un nuovo sindacalismo conflittuale.

Allo stesso modo dobbiamo riprendere la battaglia politica e culturale sulla memoria antagonista – che è il nostro retaggio, la nostra eredità; un patrimonio da rivendicare per intero, sul quale troppo spesso la sinistra di classe ha mostrato reticenze o oblii. Se non ricordiamo e raccontiamo noi, la nostra storia, saranno altri a farlo al posto nostro: contro le nostre ragioni e contro ogni opzione di trasformazione dell’esistente.

Tiziano Loreti – Nico Maccentelli – Giovanni Iozzoli

Per adesioni vai qui: https://chng.it/TcjmCSY2

]]> Un granello di sabbia/2 https://www.carmillaonline.com/2015/07/16/un-granello-di-sabbia2/ Wed, 15 Jul 2015 22:30:26 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23941 di Alexik

Volterra 4[A questo link il capitolo precedente.]

“La prima volta che sono arrivato a Volterra era di sera. Arrivo e mi portano in una specie di corridoio … C’era un televisorino e una cinquantina di persone, tutte anziane. Vedo tutti questi vecchi ergastolani, ‘senza fine’. Seduti su sgabelli, in silenzio, che guardano… Lì vidi l’ergastolo1”. (Sante Notarnicola)

La presa in carico a livello legale di Adriano Rovoletto, e [...]]]> di Alexik

Volterra 4[A questo link il capitolo precedente.]

“La prima volta che sono arrivato a Volterra era di sera. Arrivo e mi portano in una specie di corridoio … C’era un televisorino e una cinquantina di persone, tutte anziane. Vedo tutti questi vecchi ergastolani, ‘senza fine’. Seduti su sgabelli, in silenzio, che guardano… Lì vidi l’ergastolo1”. (Sante Notarnicola)

La presa in carico a livello legale di Adriano Rovoletto, e a livello umano di tutti i componenti della Banda Cavallero, segnò l’inizio, per Bianca Guidetti Serra, di un lunga battaglia contro la pena dell’ergastolo, “incompatibile con il principio costituzionale che assegna alla pena una finalità di recupero del condannato, al quale non può dunque essere negata la speranza in un futuro oltre le sbarre”. 

Così disse nella sua arringa finale, anche se non riuscì ad evitare le condanne a vita per quella banda di rapinatori anomali, collocata a metà strada fra la Resistenza e la lotta armata degli anni ’702. Li abbracciò ad uno ad uno – con un atto poco consono al distacco professionale – prima che, in ceppi, venissero consegnati alla galera definitiva, suggellando la nascita di un lungo rapporto. Di Rovoletto, Cavallero e Notarnicola, Bianca Guidetti Serra raccolse e pubblicò brani sull’esperienza dell’ergastolo3, nell’ambito del suo costante impegno per l’abolizione del ‘fine pena mai’. Anni dopo, come deputata di Democrazia Proletaria, avrebbe provato a scardinare l’istituto della galera a vita anche con una proposta di legge. Senza successo, visto che il vento tirava da tutt’altra parte, verso l’approvazione, cioè, dell’ergastolo ostativo4 (tuttora vigente), che impedisce l’accesso ai benefici di pena a chi rifiuti la delazione.

Le Nuove di Torino.

Le Nuove di Torino, costruite secondo il sistema “panopticon”.

Ma alla fine degli anni ’60 gli argomenti che il nascente movimento delle carceri poneva sul tappeto non riguardavano solo quanta pena fosse comminata, ma anche di quale pena si trattasse, dentro galere per nulla mutate dai tempi del fascismo. Le Nuove di Torino aprirono la stagione delle lotte carcerarie nel ’68, innescando un incendio che si estese in tutta Italia. Il vecchio carcere sabaudo riesplose poi nell’aprile ’69 quando “ fu distrutta la cappella (la religione è una delle chiavi del cosiddetto sistema rieducativo basato sulla violenza); l’ufficio matricola; l’ufficio fascicoli personali, dove il detenuto riceve il marchio di reietto; l’infermeria simbolo della discriminazione classista interna, in quanto è noto che le persone di elevata condizione (o che possono pagare) vi sono ricoverate sine die. Furono distrutte le fogne del 1857 e le tubature d’acqua antiquate, i miseri “impianti” per l’igiene, con lo scopo dichiarato di farle costruire nuove e come denuncia di una condizione di vita disumana. Furono resi inservibili i macchinari delle lavorazioni su cui si fatica otto ore per guadagnare 350 lire al giorno”.5

Questo l’epilogo della rivolta nei racconti di un detenuto: “Alle Nuove di Torino ho evitato per miracolo le raffiche dei mitra, sparate dalle mura di cinta, l’acre odore dei gas è ancora nelle mie narici, la visione di alcuni compagni feriti, due seriamente, una raffica alle mani a uno e un proiettile in una gamba a un altro, solo feriti per fortuna a Torino”.6

Le NUove di Torino.

Le Nuove di Torino.

Bianca Guidetti Serra si trovò nel collegio di difesa dei 68 imputati di quella lotta, in un processo che finì, come monito, con una sentenza fra le più dure. In seguito dimostrò la sua vicinanza al movimento dei detenuti anche nella difesa dei ribelli del carcere di Pescara, con i quali costruì una nuova modalità di affrontare i processi: gli imputati vollero gestire in prima persona la propria autodifesa “affiancati da noi avvocati che cercammo di fare il processo con loro, reinterpretando il nostro ruolo professionale”.7

Furono lotte durissime quelle carcerarie, con un prezzo molto alto in termini di morti, feriti e anni di galera, contro il regolamento penitenziario fascista datato 1931. Ottennero nel ’75 la riforma dell’ordinamento penitenziario (alla cui fase preparatoria lavorò anche la Guidetti Serra), che offriva, sulla carta, livelli minimi di decenza. Benefici presto annullati per i ribelli, a cui vennero destinati, due anni dopo, gli inferni delle carceri speciali.8

Avvocatessa dei rivoltosi, Bianca portò assistenza legale anche ai braccianti di Cutro, che nel novembre ’67 occuparono le terre incolte di Isola Capo Rizzuto sostenendo pesanti scontri con la polizia. Quella volta insorse un intero paese, e il Municipio finì in fiamme9. Fu uno degli ultimi fuochi del ciclo di lotte bracciantili, e forse l’anticipazione di quello che da lì a poco sarebbe divampato nelle università, e poi nelle fabbriche e nella società intera. Come è d’uso oggigiorno, anche i braccianti calabresi vennero accusati di devastazione e saccheggio, ma per loro fortuna, a differenza dei condannati del G8 di Genova, la questione si concluse con l’amnistia.

Torino 1967Intanto, dall’altro capo della penisola, gli studenti di Torino anticiparono di qualche mese il ’68 occupando la sede universitaria di Palazzo Campana, contro l’autoritarismo dei baroni e per la riforma dei programmi di studio. “Quel “restare” nei locali dell’università – disse Bianca – provocò presto a Torino circa cinquecento denunce per occupazione di pubblico edificio, e una folla di studenti nel mio studio per consigli legali”.10

Bianca fu interna al comitato di difesa organizzato dai giuristi democratici per fare fronte alle centinaia di arresti e denunce che seguivano gli sgomberi, le manifestazioni, gli scontri di piazza. Presto i processi per picchettaggio davanti a Mirafiori cominciarono ad interessare anche studenti, e non solo gli operai. Ancora uno volta lo studio legale si dimostrava un osservatorio privilegiato dei cambiamento, intercettando sul nascere questa saldatura, e l’emergere della conflittualità di un nuovo soggetto operaio, quello che aveva già ricevuto il battesimo del fuoco qualche anno prima a Piazza Statuto.

In fabbrica il ’68 cominciava a entrare nei reparti. Si intuiva dalla partecipazione altissima agli scioperi indetti dai sindacati per le pensioni, per la riduzione dell’orario, per la rinegoziazione del cottimo, contro i turni di notte e i sabati al lavoro, per l’abolizione delle gabbie salariali.

Alla Fiat l’era Valletta si era chiusa due anni prima, col subentro di Gianni Agnelli al timone della ditta. Duro esordio per il rampollo degli Agnelli: nella primavera del ’69 negli stabilimenti di Torino gli operai delle presse si autoridussero la produzione, per la prima volta nella storia della Fiat. Cortei interni, scioperi a scacchiera … da allora fu un susseguirsi di lotte spontanee, in un crescendo sempre meno controllabile dagli organismi sindacali. L’11 aprile tutti gli operai Fiat di Torino uscirono in corteo dalle fabbriche (e non accadeva da almeno 20 anni) dopo l’uccisione da parte della polizia di Carmine Citro e Teresa Ricciardi, durante uno sciopero generale a Battipaglia

fiat69Il 3 luglio, nel tentativo di riprendere l’egemonia delle lotte, il sindacato organizzò uno sciopero contro il caro affitti. L’assemblea operai-studenti colse l’occasione per collegare le autoriduzioni degli affitti in corso nel quartiere Nichelino con le lotte di reparto, dando appuntamento alla porta due di Mirafiori. Il concentramento venne attaccato a freddo dalla polizia, ancora prima della partenza del corteo.

Succedeva. Ai tempi dirigeva la questura di Torino Marcello Guida, amico personale di Mussolini durante il ventennio e direttore, all’epoca, della colonia penale di Ventotene (evidentemente, la Commissione per le epurazioni non lo aveva minimamente sfiorato). Al vertice dell’ufficio politico vi era Ermanno Bessone, col suo sottoposto Aldo Romano. Entrambi, assieme al questore, risultarono in seguito sul libro paga della Fiat. Pertanto il comportamento poliziesco era abbastanza prevedibile.

Ciò che non era previsto e che forse non era prevedibile né dalla polizia né dagli organizzatori fu la reazione spontanea della massa dei dimostranti, che anziché disperdersi iniziarono a rispondere alle cariche della polizia con una fitta sassaiola e tentarono di ricostruire il corteo poco lontano, in corso Agnelli, dirigendosi quindi verso  in Corso Unione Sovietica per sfociare in Corso Traiano”.11

La battaglia di strada durò più di 10 ore, coinvolgendo operai di altre fabbriche e abitanti del quartiere, che dalle finestre tiravano sulla polizia oggetti di ogni tipo.12. Un assaggio anticipato dell’autunno caldo.  (Continua)

 


  1. Bianca Guidetti Serra,  Storie di giustizia, ingiustizia e galera (1944-1992), Linea D’Ombra, 1994, p. 87. 

  2. Per la storia della Banda Cavallero: Sante Notarnicola, L’evasione impossibile, Odradek, 2005, pp. XXVI- 197. 

  3. Bianca Guidetti Serra, Contro l’ergastolo. Il processo alla banda Cavallero, Edizioni dell’Asino, 2010, pp. 56. 

  4. Rosa Ugolini, Ergastolo, una pena infinita

  5. Irene Invernizzi, Il carcere come scuola di rivoluzione, Giulio Einaudi editore, Torino 1973. 

  6. Idem, p. 324. 

  7. Bianca Guidetti Serra, Santina Mobiglia, Bianca la rossa, Einaudi, 2009, p. 163. 

  8. La controriforma carceraria

  9. Chiedevano la terra e ora sono in tribunale, L’Unità, 21 febbraio 1968. 

  10. Bianca Guidetti Serra, Santina Mobiglia, Bianca la rossa, Einaudi, 2009, p. 158. 

  11. Diego Giachetti, Marco Scavino, La Fiat in mano agli operai: l’autunno caldo del 1969, BSF, 1999, p. 43. 

  12. Per approfondire: Diego Giachetti, Il giorno più lungo: la rivolta di Corso Traiano, BDF, 1997, 119 p. 

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