entropia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:19:34 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il morbo neoclassico https://www.carmillaonline.com/2023/10/18/il-morbo-neoclassico/ Wed, 18 Oct 2023 20:00:30 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=79245 di Sandro Moiso

Steve Keen, L’economia nuova. Moneta, ambiente complessità. Pensare l’alternativa al collasso ecologico e sociale, Meltemi editore, Milano 2023, pp. 220, 18 euro.

Al contrario di quanto riguarda il Covid 19 e altri virus e morbi manifestatisi sul pianeta negli ultimi decenni, vi è un morbo altrettanto pericoloso, e forse ancor più devastante dal punto di vista sociale, di cui si può affermare con certezza che si è diffuso a partire dai laboratori universitari, in questo caso americani, nel corso degli ultimi cinquant’anni: quello dell’economia cosiddetta neoclassica.

Steve Keen, professore [...]]]> di Sandro Moiso

Steve Keen, L’economia nuova. Moneta, ambiente complessità. Pensare l’alternativa al collasso ecologico e sociale, Meltemi editore, Milano 2023, pp. 220, 18 euro.

Al contrario di quanto riguarda il Covid 19 e altri virus e morbi manifestatisi sul pianeta negli ultimi decenni, vi è un morbo altrettanto pericoloso, e forse ancor più devastante dal punto di vista sociale, di cui si può affermare con certezza che si è diffuso a partire dai laboratori universitari, in questo caso americani, nel corso degli ultimi cinquant’anni: quello dell’economia cosiddetta neoclassica.

Steve Keen, professore di Economia alla Western Sidney University e Distinguished Research Fellow alla University College di Londra, importante critico della scienza economica convenzionale e uno dei pochi economisti ad aver previsto la crisi economica del 2007-2008, in questo testo appena uscito per Meltemi, nella collana «Rethink», cerca di dimostrarne l’infondatezza soprattutto sulla base dell’attuale e più che evidente cambiamento climatico di cui la suddetta teoria non ha mai tenuto sufficientemente conto.

Il giudizio espresso dall’autore sull’insieme degli assiomi del paradigma neoclassico è netto e tagliente:

Ripensando ai cinquant’anni trascorsi da quando mi sono reso conto dei difetti dell’economia neoclassica, il termine che esprime al meglio i miei sentimenti a riguardo è, come Marx disse del proto-neoclassico Jean-Baptiste Say, “insulsa” (Marx , Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica,1857). Al meglio, il capitalismo è visto come un sistema che evidenzia l’armonia dell’equilibrio, dove ognuno viene pagato il proprio giusto salario (secondo il suo “prodotto marginale”), la crescita procede senza intoppi secondo un tasso che massimizza nel tempo l’utilità sociale e tutti sono mossi dal desiderio di consumare, invece che dall’accumulazione e dal potere, perché, per citare Say, “i produttori, benché abbiano tutti l’aria di chiedere soldi in cambio dei loro prodotti, in realtà vogliono scambiarli con altri prodotti” (Say, Catechisme d’economie politique, 1821, capitolo 18).
Che visione monotona e grigia del complesso e mutevole mondo in cui viviamo!1

Ed è proprio la complessità del mondo reale ad essere esclusa dai modelli economici neoclassici dominanti, a partire non soltanto dall’idea di un fantomatico equilibrio tra produzione, consumi, investimenti e “giusti” profitti raggiungibile soltanto attraverso l’applicazione di regole esoteriche derivate da calcoli improbabili, ma anche dalla sostanziale negazione della divisione in classi della società attuale.

Una visione “monotona” e riduttiva che già non ha saputo prevedere la crisi del 2007-2008, certamente la più grave e devastante crisi economico-finanziaria sviluppatasi a partire dagli Stati Uniti dopo quella che aveva generato la Grande depressione a partire dal martedì nero del 29 ottobre1929, ma che ha fatto anche di peggio ignorando oppure sottostimando i danni, non solo economici, derivanti dal drastico cambiamento climatico in corso. Di cui l’attuale modo di produzione, insieme ai calcoli previsionali che lo accompagnano e “giustificano”, è uno dei fattori più rilevanti e devastanti.

Questa scuola, o dottrina economica, però ha un inizio e un laboratorio d’origine come racconta lo stesso Keen:

Com’è successo che la rappresentazione esaltante del capitalismo proposta da Marx sia stata sconfitta dalla insipida visione di Say? In parte è stato intenzionale. Nitzan e Bichler notano che il robber baron per antonomasia del XIX secolo, John D. Rockefeller, riteneva che i 45 milioni di dollari lasciati in dote all’università battista di Chicago, la quale sarebbe poi diventata l’alma mater di Milton Friedman, fossero il miglior investimento che avesse mai fatto (Nitzan J., Bichler S., Capital as Power: A Study of Order and Creorder [Londra 2009], p. 76.). Come ha sostenuto De Vroey, “il nuovo paradigma era particolarmente attraente perché sembrava scientifico al pari delle teorie delle scienze naturali, mentre evitava di trattare le pericolose tematiche degli interessi di classe e della trasformazione del pensiero […] Dal punto di vista della classe dominante capitalistica, il principale pregio del paradigma neoclassico era ed è proprio il suo essere innocuo” (De Vroey M., The Transition from Classical to Neoclassical Economics: A Scientific Revolution, «Journal of Economic Issues»,1975, p. 435.)2.

E’ infatti la scuola monetarista di Chicago,da cui ebbero inizio gli esperimenti politico-sociali che Milton Friedman suggerì di metter in atto nel Cile golpista di Pinochet, ad esser messa sotto accusa dall’autore del testo. Autore che, pur non allontanandosi affatto dal paradigma del mercato e degli scambi monetari e dei modelli matematici più adatti a migliorarne l’interpretazione (ma non il cambiamento radicale), ha sicuramente il merito di sottolineare i gravi danni che l’attuale modello interpretativo economico dominate causa a livello climatico e ambientale.

Mentre l’Europa e l’America soffocano in una delle estati più calde mai registrate, mentre tremende siccità pregiudicano i raccolti e azzoppano le centrali elettriche, mentre diluvi improvvisi distruggono paesi e città, emerge con forza il fatto che le cose non stanno così: abbiamo decisamente superato la capacità della biosfera di sostenere la nostra civiltà industriale. Il nostro obiettivo dovrebbe essere ridurre nel modo più equo possibile l’impronta ecologica dell’umanità,
non contribuire ad aggravare la situazione. Anche in questo caso l’economia mainstream è un ostacolo ingombrante a fare ciò che si dovrebbe fare. […] gli economisti ortodossi hanno sempre
minimizzato il pericolo rappresentato dal cambiamento climatico, in quelli che sono, senza alcun dubbio, i peggiori studi che abbia mai letto.
[…] Il fallimento degli economisti mainstream nell’analizzare gli effetti del cambiamento climatico è di gran lunga peggiore dei loro errori nel prevedere la crisi finanziaria globale, quando, ignorando del tutto la crescita del debito privato e sulla base dei loro modelli macroeconomici sbagliati, erano convinti che l’immediato futuro fosse decisamente roseo. Nel 2008, d’altronde, ci hanno solo condotto, bendati e inermi, alla più grande crisi economica dai tempi della Grande depressione. Questa volta, invece, ci stanno portando a vivere la potenziale, completa distruzione dell’economia capitalista per effetto dei cambiamenti climatici, proprio loro che del capitalismo sono i cantori.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di una teoria economica realistica, che sia in grado di tenere pienamente conto dei vincoli ecologici del pianeta finito in cui ci troviamo a vivere. E il compito fondamentale di questa economia nuova non sarà quello di gestire l’economia, bensì di salvare il salvabile dopo che sui nostri sistemi economici e sociali si sarà abbattuta la furia devastatrice di questo Prometeo scatenato con la complicità degli economisti neoclassici3.

Come ben si può comprendere da queste ultime righe l’intento di Keen non è quello di rivoluzionare l’attuale modo di produzione, nonostante i suoi frequenti ricorsi a Marx nel corso dell’esposizione, ma piuttosto quello di rendere più governabili i processi in atto e sviluppare una maggior “giustizia” distributiva in ambito economico e sociale. Ma l’interesse del libro sta proprio no tanto nel proporre nuovi modelli matematici di interpretazione dell’economia vigente e della sua crisi, quanto nell’avvicinare scienza economica e scienze naturali e fisiche. Sottolineando come l’attuale modello economico estrattivista ed energivoro sia destinato ad ampliare sempre più, e in maniera sempre più distruttiva, la tendenza all’entropia compresa nelle attività della specie rivolte alla sua sussistenza ovvero la tendenza alla dissipazione dell’energia senza possibilità di ricrearne.

Tendenza che, se era contenuta in quelle società che primariamente si affidavano alle energie rinnovabili (vento, acqua, energia animale o umana) o almeno parzialmente (ad esempio il calore prodotto bruciando legname che poi poteva essere rinnovato con nuove piantumazioni), ha raggiunto il massimo della sua capacità energivora e della sua voracità nei confronti dell’ambiente con lo sviluppo della Rivoluzione industriale e la susseguente necessità di consumare e distruggere ogni forma di risorsa e/o combustibile fossile.

Ecco allora che il giudizio sulla convenienza o meno del consumo delle risorse fossili non spetta tanto al mondo della morale o della politica, ma semplicemente a quello della fisica e delel sue leggi. Come afferma ancora Keen nella parte più interessante del suo testo:

Non c’è mai stata una crescita sostenibile. Se pensate altrimenti – se siete, per esempio, uno scettico del cambiamento climatico (come molti economisti, d’altronde) – dovreste prendere in considerazione quanto sostenuto di recente dun fisico (T. Murphy, Exponential Economist Meets Finite Physicist. Do the Mat, San Diego 2012). ora, la crescita delle nostre economie implica una crescita del nostro impiego di energia. Una crescita continua non può non tradursi in un’alterazione significativa del nostro pianeta, e la nostra economia, in ultima analisi, finirebbe per distruggere la vita sul pianeta Terra – e questo non ha niente a che fare con il riscaldamento climatico: è una conseguenza delle leggi della termodinamica.
In virtù della seconda legge della termodinamica, il ricorso all’energia per svolgere lavoro implica la generazione di una quantità prevedibile di dissipazione o di scarto. A un ritmo di crescita economica globale sostenuto, come il 2,3% annuo attuale – un tasso di crescita peraltro ritenuto al giorno d’oggi troppo basso, in quanto porterebbe a una crescita continua della disoccupazione – l’energia dissipata porterebbe la temperatura sulla superficie della Terra a quella dell’acqua che bolle (100°) per il venticinquesimo secolo […] Non credo sia necessario specificare che la vita sulla Terra per allora sarebbe scomparsa del tutto – e il capitalismo ben prima4.

E’ proprio il quarto capitolo del libro, intitolato Economia, energia, ecosistema, a rivelare definitivamente come l’economia del capitale e dei suoi servitori neoclassici non possa costituire altro che un’inevitabile produzione di morte e distruzione in tutte le loro più diverse forme. Vale dunque la pena di riportare quindi anche qui quanto citato da Keen nel suo studio, nel paragrafo dello stesso capitolo, intitolato Un futuro insostenibile, sostenendo che «il riscaldamento globale non ci concede il lusso dei secoli: abbiamo a stento qualche decennio. Abbiamo infatti raggiunto quel punto che già trent’anni fa Kennet Boulding chiamava “l’economia dell’astronauta”, rispetto all’“economia del cowboy” all’origine del capitalismo»:

Il sistema-Terra chiuso del futuro richiederà dei principi economici differenti rispetto a quelli della Terra aperta del passato. Per amor di metafora, sono tentato di chiamare l’economia aperta una “economia del cowboy”, dove il cowboy rappresenta simbolicamente le pianure senza confini ed è associato a un comportamento spregiudicato, sfruttatore, romantico e violento, tutte caratteristiche delle società aperte. L’economia chiusa del futuro invece potrebbe essere piuttosto un’“economia dell’astronauta”: la Terra è come una nave spaziale, senza riserve illimitate di alcun genere, sia per fini estrattivi sia per la gestione degli scarti, e in cui, ne consegue, l’uomo deve trovare necessariamente il suo posto in un sistema ecologico ciclico che riesca a sostenere una riproduzione costante delle sue forme materiali, anche se non può sottrarsi alla necessità di ricorrere a input di energia5.

Su queste riflessioni è bene concludere la recensione di un testo che evidenzia, tra le mille altre cose, anche se indirettamente, come il termine antropocene sia assolutamente da abbandonare a favore di un ben più preciso e utile capitalocene, soprattutto per tutti coloro che, oltre la critica climatologica e ambientalista, vogliano rivolgere la loro attenzione e pratica militante al superamento definitivo del modo di produzione più devastante, mai esistito prima, per la specie e per l’ambiente: quello capitalistico.


  1. Steve Keen, L’economia nuova. Moneta, ambiente complessità. Pensare l’alternativa al collasso ecologico e sociale, Meltemi editore, Milano 2023, Capitolo sesto, p. 177.  

  2. S. Keen, op. cit., p.178.  

  3. Ibidem, pp. 12-14.  

  4. Ibid., pp. 142-143.  

  5. Boulding K.E., The Economics of the Coming Spaceship Earth. In Markandya A., Richardson J. (eds.), Environmental Economics: A Reader. New York, St. Martin’s Press, 1992, pp. 27-35 ora in N. Keen, op. cit., p. 143.  

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Dal situazionismo di Agaragar alla teoria della complessità. Intervista a Mario De Paoli https://www.carmillaonline.com/2023/05/30/dal-situazionismo-di-agaragar-alla-teoria-della-complessita-intervista-a-mario-de-paoli/ Tue, 30 May 2023 20:00:45 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=77233 di Marc Tibaldi

Della rivista Agaragar, diretta dal filosofo Mario Perniola, dal 1970 al 1972, uscirono 5 numeri, 3 per Silva Editore e 2 per Arcana Editrice (nel 2020 sono stati ripubblicati da PGreco). Agaragar è stata una rivista nata dall’incontro, con il movimento situazionista, in particolare con Guy Debord, con cui Perniola aveva instaurato un rapporto di amicizia e un confronto. Negli anni ’60, Perniola era entrato in contatto in Francia con il movimento studentesco e con le ultime propaggini del surrealismo, diventando uno dei primi a far approdare in Italia [...]]]> di Marc Tibaldi

Della rivista Agaragar, diretta dal filosofo Mario Perniola, dal 1970 al 1972, uscirono 5 numeri, 3 per Silva Editore e 2 per Arcana Editrice (nel 2020 sono stati ripubblicati da PGreco). Agaragar è stata una rivista nata dall’incontro, con il movimento situazionista, in particolare con Guy Debord, con cui Perniola aveva instaurato un rapporto di amicizia e un confronto. Negli anni ’60, Perniola era entrato in contatto in Francia con il movimento studentesco e con le ultime propaggini del surrealismo, diventando uno dei primi a far approdare in Italia le tesi del movimento situazionista proprio su Agaragar. Il pensiero che Perniola elabora in quegli anni resterà nelle sue riflessioni con l’attenzione a rilevare le contraddizioni e la complessità della società dello spettacolo. Co-fondatore di Agaragar, assieme a Perniola, fu Mario De Paoli che, dopo la fine della rivista, ha continuato la sua ricerca sviluppando – in una serie di pubblicazioni – una originale teoria della complessità che tiene assieme l’analisi dell’evoluzione dei processi sociali e l’analisi della dinamica dei processi psichici. La sua ricerca merita di essere conosciuta, per questo siamo andati a intervistarlo. De Paoli, nato a Dolo, Venezia, nel 1940, vive a Padova, città dove si è laureato prima in chimica e poi in fisica e dove ha insegnato al liceo scientifico Eugenio Curiel.

Ci racconta innanzitutto come ha conosciuto Mario Perniola e come è nata la rivista Agaragar?
Ci conoscemmo durante il servizio militare, a Padova, fine anni ’60. Avevamo da poco terminato gli studi universitari, scientifici io e filosofici lui, nonostante le diverse formazioni c’era una sensibilità culturale in comune e dopo aver letto un mio studio (che sarà pubblicato sul terzo numero della rivista con il titolo: “Economia commerciale e linguaggio razionale: denaro e logos”), mi propose di partecipare all’elaborazione di Agaragar. Lui in quegli anni stava elaborando gli studi che confluiranno poi in L’alienazione artistica, che ritengo sia ancora uno dei suoi libri migliori. Nel primo anno eravamo solo noi due in redazione, lui si occupava anche dei rapporti con l’editore Silva. Con Perniola avevo punti in comune e alcune diversità. Lui partiva dalla questione dell’alienazione artistica, in cui considera la separazione di una realtà senza significato nell’economia politica e di un significato senza realtà nell’arte. Questa separazione si è accentuata nel Rinascimento con la separazione tra arte e artigianato. Separazione che è significativa per l’inizio della frattura tra produzione materiale e produzione immateriale. Separazione decisiva per capire che il capitalismo ha agito non solo a livello della produzione materiale, ma anche a livello linguistico/immateriale. Era importante considerare lo sviluppo del capitalismo a livello di controllo della produzione materiale ma anche nella produzione immateriale: nella letteratura, nei processi psichici, nella scienza. Bisogna ricordare che Perniola su Agaragar porta anche una critica al situazionismo. I situazionisti consideravano solo un lato della separazione tra realtà e significato, non riconducevano alla realtà il significato dei processi linguistici, bisognava invece ricomporre questi due aspetti.

Perniola, in Del terrorismo come una delle belle arti (Mimesis, 2014), uno dei suoi ultimi libri, dedica un capitolo all’avventura di Agaragar, e racconta anche di un vostro incontro con Debord. Aveva già letto i situazionisti prima di conoscere Perniola?
No. Conoscevo bene il pensiero della Scuola di Francoforte. Nelle mie riflessioni sul nesso fra capitalismo commerciale e linguaggio razionale avevo in mente Adorno e Horkheimer che, in Dialettica dell’illuminismo, descrivono Ulisse come il primo ‘Illuminista’ che usa il linguaggio per avere un vantaggio.
Andammo a Bruxelles a conoscere Guy Debord e Raoul Vaneigem. Debord non ci accolse in modo molto affabile. Ci portò a giocare a calcetto. Graziella, la simpaticissima moglie di Perniola, di nascosto continuava a fare degli sberleffi a Debord, sostenendo che era antipatico e borioso. Molto meglio andarono le cose con Vaneigem, molto simpatico. Ricordo in particolare una discussione in una birreria in cui gli feci notare che “l’immaginazione al potere” era quella del capitalismo che controllava la produzione di informazione.

Negli anni in cui progettavate la rivista, c’erano almeno altre due persone in Italia che seguivano da vicino il situazionismo, si tratta di Giorgio Agamben e Gianni-Emilio Simonetti. Avevate rapporti con loro?
Simonetti non l’ho mai conosciuto. Agamben era amico di Perniola, ricordo che andammo a fargli visita in una sua tenuta, vicino a Roma. Agamben insistette perché provassi a montare un cavallo che diceva mansueto e che invece mi coinvolse in un galoppo sfrenato. Durante il mio soggiorno nella casa romana dei Perniola, in occasione del mio scritto L’educazione come processo produttivo, appesi un poster che raffigurava la Lupa Capitolina con uno dei gemelli che sputava il latte, e vi apposi sotto la scritta “bambini di tutto il mondo unitevi”. Una mattina Graziella, la simpaticissima moglie di Mario, mi fece credere che il Perniola aveva sognato che lui era Marx e io ero Engels. Racconto questi aneddoti perché evidenziano i détournement giocosi del gruppo.
Nel primo anno eravamo solo noi due in redazione, Perniola si occupava anche dei rapporti con l’editore Silva. La collaborazione tra di noi non è continuata oltre i primi anni ’70 ma, ma nonostante i nostri percorsi culturali abbiano avuto una divergenza di interessi, filosofici lui, scientifici io, questo non ha intaccato la nostra amicizia e nel corso degli anni, abbiamo continuato a sentirci, scambiandoci alcuni dei libri che pubblicavamo.

Come venne accolta Agaragar nel dibattito ideologico di quegli anni? Suscitò discussioni?
Il dibattito culturale, il confronto e la critica erano molto serrati negli anni ’70 perché proprio in quelli anni si profilava un cambiamento di paradigma nel modo di produzione del capitale (la transizione dal fordismo al toyotismo iniziò nel 1976). Ma, mentre il capitale finanziario combinava in una nuova sintesi produzione materiale e produzione immateriale, i vari movimenti di sinistra rimanevano divisi fra loro, oscillando fra gli estremi dell’operaismo e del situazionismo. Agaragar proponeva una ‘sintesi sociale’ alternativa a quella proposta dal capitale. La rivista fu accolta con un certo entusiasmo, ma fu anche fraintesa. Per fare un esempio: Giuseppe Sertoli, redattore di Nuova Corrente (che in quegli anni era un’importante rivista di letteratura e filosofia. n.d.r.), mentre si dichiarava in perfetto accordo con gli scritti di Perniola, criticava aspramente i miei scritti sul primo numero della rivista. Perniola ed io gli rispondemmo con una lettera di quattro pagine in cui affermavamo l’importanza della nostra ricerca di una nuova sintesi sociale. Ritenevamo, inoltre, che fosse necessaria un’analisi storico-critica del rapporto fra scienza e capitale. Nel 1972 (all’epoca della guerra del Vietnam) partecipai ad un convegno internazionale di storia della scienza in cui diversi fisici, fra i quali Paul Dirac, prendevano atto di ‘una massiccia soggezione della scienza al capitale’, iniziata con il Progetto Manhattan per la costruzione della bomba nucleare.

In Agagar lei ha impostato la critica del materialismo dialettico di Marx, che non considera il carattere genetico-strutturale dei processi psico-linguistici e la sintesi sociale costituita dall’evoluzione parallela di strutture economiche e strutture linguistiche.
Si. In L’educazione come processo produttivo (Agaragar n.2, 1970) mi sono posto il problema della genesi sociale. Data la forte dipendenza dalle cure parentali e una rimarchevole capacità di apprendere tramite l’esperienza, l’evoluzione biologica della specie uomo si estende in un’evoluzione sociale mediata da un processo educativo. Un sistema di segni che media socialmente la relazione uomo – natura diviene così un ‘codice genetico’ di specifiche società umane intese come ‘specie semiotiche’. Un’ ipotesi simile, del prolungamento dell’evoluzione biologica nell’evoluzione sociale, veniva poi formulata dal biologo evoluzionista Stephen Jay Gould nel saggio Ontogeny and Phylogeny (Belknap Press of Harvard University Press, 1977). In Economia commerciale e linguaggio razionale: denaro e logos (Agaragar n.3, 1971) mi sono poi posto il problema della sintesi sociale considerando l’evoluzione parallela ‘isomorfa’ di determinazioni formali della politica economica e del linguaggio razionale nella società greca classica. Una correlazione simile fra linguaggio ed economia nella polis greca era stata evidenziata dal filosofo Sohn-Rethel In Lavoro intellettuale e lavoro manuale: per la teoria della sintesi sociale (Feltrinelli, 1977), ma allora non conoscevo le sue ricerche, non erano ancora state tradotte.

Dopo aver collaborato con Perniola, come è continuata la sua ricerca?
Dal 1973 al 2005 ho insegnato matematica e fisica al Liceo scientifico Eugenio Curiel di Padova, dove sono stato promotore dell’introduzione della storia della scienza nella didattica e fra gli organizzatori e i relatori del Progetto Ipazia per la promozione della cultura scientifica nei licei. In quel periodo ho scritto i saggi Rivoluzioni parallele isomorfe. Copernico, Ariosto e Josquin de Prez (pubblicato poi da Aracne nel 2015), in cui evidenzio la sintesi sociale fra gli ambiti economico, cosmologico, letterario e musicale all’ epoca della costituzione dello Stato politico moderno e Modelli dinamici dell’evoluzione della civiltà urbana (pubblicato poi da Aracne nel 2022), in cui considero la genesi sociale del capitalismo. Nel 2018 ho scritto poi un saggio conclusivo dal titolo Capitale finanziario e populismo. La scienza nell’ evoluzione del capitale (Aracne, 2020), in cui considero l’evoluzione parallela di economia politica e scienza nelle tre fasi fondamentali dell’evoluzione del capitale. 

Parallelamente, assieme allo psichiatra e psicoanalista Alessandro Pesavento, ha sviluppato una teoria dei modelli di processi psicolinguistici.
Sì, dal 1987 al 2001 ho collaborato con Pesavento allo studio delle successioni di ‘stati dell’Io’ nelle narrazioni oniriche di un paziente in analisi. Abbiamo pubblicato assieme Un modello probabilistico del processo onirico e la sua applicazione ai sogni prodotti in analisi (Bollati Boringhieri, 1992), poi La signora del piano di sopra. Struttura semantica di un percorso narrativo onirico (Aracne, 2013). Una prima formulazione del secondo saggio era stata proposta ad un convegno di psicoanalisi tenutosi a Trieste nel 1999. Dal 2001 al 2020 mi sono dedicato allo studio delle neuroscienze e all’ applicazione alle reti neurali della teoria della biforcazione dei punti critici di sistemi non-lineari aperti in non-equilibrio. Ho elaborato un modello delle reti neurali corticali coinvolte nella dinamica del Sé: Self’s Splitting and Self-Other Identification. A phase transition model, che ho esteso poi ad un modello pubblicato in un saggio dal titolo Brain Dynamics for Goal-Directed Social Navigation. A non-linear statistical model of consciousness (Aracne, 2021).

Mi piacerebbe che ci approfondisse la presentazione delle tesi articolate in Capitale finanziario e populismo. La scienza nell’ evoluzione del capitale.
Questo saggio si propone una riconsiderazione critica delle fasi dell’evoluzione del capitalismo, e della scienza ad esso associata, nell’ epoca in cui questo sembra ormai giunto ad una fase ‘terminale’ della sua evoluzione, con il predominio sull’intero ciclo dell’economia e con uno sfruttamento esaustivo delle risorse naturali, oltre che umane, difficilmente sostenibile a livello di ecosistema. Verso la fine del XX secolo, è avvenuta una transizione dal modo di produzione fordista del capitale monopolistico al modo di produzione toyotista del capitale finanziario delle multinazionali. Due classi di fenomeni sono associate a tale transizione.

Quali sono queste due classi?
Una prima classe, evidenziata da Marco Revelli nel saggio Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e toyotismo, in Appuntamenti di fine secolo (manifestolibri, 1995), comprende: una forte competizione fra capitalisti, dovuta all’ esaurimento delle risorse naturali e alla saturazione dei mercati, cui consegue una permanente imprevedibilità dei mercati; il predominio della speculazione del capitale finanziario (liquido) sull’ investimento del capitale industriale (fisso) e di un’economia multinazionale sulla politica nazionale, con conseguente crisi della politica; e infine l’asservimento della scienza al capitale e un uso di tecnologie sofisticate per il controllo globale dell’informazione cui corrisponde la parcellizzazione e precarizzazione delle capacità produttive umane (e un aumento delle diseguaglianze sociali). Una seconda classe, solo in parte evidenziata da Byung-Chul Han, in Psicopolitica (Nottetempo, 2014), comprende: la disgregazione dei vincoli sociali tradizionali e lo sfruttamento intensivo della libertà di scelta individuale allo scopo di aumentare la produzione e lo scambio di informazione a livello globale; un’estensione dalla produzione materiale alla produzione immateriale con conseguente alienazione nell’informazione del significato delle merci; e infine la costituzione di un nuovo asse delle opposizioni [populismo – neoliberalismo] che si combina con il vecchio asse [destra – sinistra] dei poli politici nel comporre il quadrato delle opposizioni di un nuova logica in cui, più che il valore di verità degli enunciati, è essenziale l’informazione comunicata da questi. Inoltre, nella prima parte del saggio, oltre ad analizzare il nesso fra queste due importanti classi di fenomeni psico-sociali, propongo: un modello matematico che evidenzia una transizione al caos nel caso della valorizzazione del capitale in ambiente con risorse limitate e un modello logico che evidenzia il carattere informazionale del quadrato delle opposizioni dei poli politici.

Nella seconda parte del saggio viene proposto un superamento della critica marxiana dell’economia politica.
Questa è adeguata all’analisi della produzione materiale del capitale industriale, ma non all’analisi della produzione immateriale del capitale finanziario, che sfrutta le capacità umane di comunicazione e di consumo oltre che di produzione. Marx non considera tale sintesi sociale e il fatto che l’alienazione nell’ informazione del significato connesso al valore d’ uso richiede una ridefinizione del valore di scambio. Per far ciò è necessario integrare il rovesciamento della dialettica hegeliana con una critica della teoria kantiana della conoscenza e risalire all’origine storica della politica e delle determinazioni formali dell’economia.

Lei formula l’ipotesi che la logica della politica e le determinazioni formali di valore d’ uso e di valore di scambio si siano formate all’ interno di una confederazione di città-stato greche, con lo sviluppo della proprietà privata della terra e con lo scambio commerciale, mediato dalla moneta di conio, dei prodotti in eccedenza ottenuti con la divisione del lavoro agricolo.
Sì, scopo della politica nella costituzione della polis era garantire per legge (logos), l’incorruttibilità della moneta di conio e l’inalienabilità della proprietà privata e stabilire con un’argomentazione logica la verità della proposizione “il soggetto gode / non gode di una certa proprietà” in base a un principio di non contraddizione. Ma compito della politica era anche, secondo Aristotele, fare in modo che il ciclo Merce-Denaro-Merce, i cui limiti sono fissati dal nesso fra produzione e consumo, prevalga sul rovesciamento nel ciclo Denaro-Merce-Denaro’ del capitale commerciale, in cui l’accumulazione di plusvalore consiste nel comperare merci nei luoghi in cui sono comuni per venderle a prezzo più alto nei luoghi in cui sono rare. Ciò dimostra che Aristotele aveva chiara la distinzione fra il valore d’uso di una merce per il consumatore e il valore di scambio di una merce per il mercante.

In questo libro sostiene anche che nell’ evoluzione del capitalismo si possono distinguere tre fasi.
Sì. Nella fase della proprietà privata fondiaria e del capitalismo commerciale, si ha il predominio della politica sull’economia, la separazione del consumatore dal produttore con la divisione del lavoro agricolo e il predominio del consumatore che definisce il valore d’ uso della merce (mentre il valore di scambio è dato dalla sua rarità). Con lo sviluppo del capitalismo industriale si ha un equilibrio fra potere politico e potere economico, la divisione del lavoro nella fabbrica e la determinazione del valore di scambio come lavoro accumulato. Invece nella fase del capitalismo finanziario si ha il predominio dell’economia sulla politica, una produzione insieme immateriale e materiale, la connessione fra significato e valore d’uso della merce e la determinazione del valore di scambio come informazione accumulata. Claude Shannon introdusse nel 1949 una misura probabilistica dell’informazione contenuta in un messaggio sulla base del numero di scelte fra alternative necessarie ad eliminarne l’incertezza: essendo la formula dell’incertezza eguale a quella dell’entropia, la determinazione soggettiva di incertezza e quella oggettiva di entropia vennero equiparate fra loro. Nel lavoro si ha, in particolare, un trasferimento di energia a bassa entropia con la produzione materiale di informazione. L’informazione è quindi un’estensione del lavoro alla produzione immateriale.

In un passaggio finale parla dell’entropia ambientale e dell’incertezza sociale che caratterizzano questo momento storico…
L’evoluzione della civiltà urbana consiste nell’auto-organizzazione di sistemi sociali sempre più complessi con lo sviluppo delle capacità umane di produzione e di comunicazione. Tale evoluzione è caratterizzata, da un lato, da un aumento progressivo dell’informazione incorporata da un ristretto gruppo sociale che domina l’intera società, dall’ altro da un aumento progressivo dell’entropia e dell’incertezza diffuse, rispettivamente, nell’ambiente e nel resto della società, dato lo sfruttamento sempre più intensivo sia delle risorse naturali che delle capacità umane. Nell’ evoluzione della civiltà urbana si possono distinguere tre grandi ere in cui si alternano, con un periodo di circa 900 anni, il predominio delle civiltà occidentali e quello delle civiltà orientali. Lo sviluppo del capitalismo e della scienza, che caratterizza l’evoluzione della civiltà occidentale, è alla base del suo predominio a partire dal XVI secolo. Nella seconda parte del saggio viene evidenziata la corrispondenza biunivoca di determinazioni formali dell’economia politica e della scienza, nelle tre fasi di evoluzione parallela del capitalismo e della scienza, evidenziando il progressivo asservimento della scienza al capitale.

L’analisi di queste forme di potere l’ha portata anche a individuare e/o proporre nuove possibilità di confronto, conflitto, cambiamento?
Penso che la concezione di una decrescita felice e l’opposizione del sovranismo della destra populista al globalismo neoliberale – come l’opposizione politica dei proprietari fondiari della polis greca al capitalismo commerciale – siano reazionarie in quanto pongono un limite allo sviluppo delle capacità umane di produzione e di comunicazione. Nel Rinascimento Pico della Mirandola affermava che l’uomo ha la straordinaria capacità di produrre le più grandi innovazioni e le peggiori efferatezze. Purtroppo l’evoluzione del capitalismo ha preso una brutta piega. Si tratta di cambiare indirizzo e, da un lato, ridurre al minimo l’aumento di incertezza distribuendo all’ intera comunità la ricchezza di informazione accumulata da un ristretto gruppo dominante, dall’ altro ridurre al minimo l’aumento di entropia dell’ambiente. I movimenti artistico-letterari della sinistra che, come il situazionismo, ‘narrano’ di mondi possibili alternativi, non considerano il fatto che un asservimento della scienza è alla base del potere del capitale. “L’immaginazione al potere” è possibile solo con il détournement della produzione scientifico-tecnologica per metterla al sevizio dell’intera comunità e con una nuova sintesi sociale fra narrazione e produzione che realizzi mondi possibili alternativi a quelli proposti dal capitale.

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