Dr. Seuss – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Divine Divane Visioni (Cinema porno) – 80 https://www.carmillaonline.com/2018/04/15/divine-divane-visioni-cinema-porno-80/ Sun, 15 Apr 2018 20:00:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=45048 di Dziga Cacace

C’è de’ bei pezzi di harne dentro!

935 – Lo sconcertante Alex, l’ariete di Damiano Damiani, Italia 2000 “Senza parole” è un abusato modo di dire e figuratevi se un logorroico come me possa rimanere realmente senza parole. Ma è accaduto. Giuro. Perché ho assistito a qualcosa di ineffabile, che sfugge all’espressione verbale. Di fronte al foglio elettronico il mio cervello s’è comportato come un opossum che si finge morto: è crollato di lato e non ha più dato segni di vita. Cosa si può scrivere di un film [...]]]> di Dziga Cacace

C’è de’ bei pezzi di harne dentro!

935 – Lo sconcertante Alex, l’ariete di Damiano Damiani, Italia 2000
“Senza parole” è un abusato modo di dire e figuratevi se un logorroico come me possa rimanere realmente senza parole. Ma è accaduto. Giuro. Perché ho assistito a qualcosa di ineffabile, che sfugge all’espressione verbale. Di fronte al foglio elettronico il mio cervello s’è comportato come un opossum che si finge morto: è crollato di lato e non ha più dato segni di vita. Cosa si può scrivere di un film che sembra rinunciare programmaticamente alla dignità? Allora procedo con una fredda elencazione dei fatti: si parte con la giovane Michelle Hunzinker (sic, nei titoli di testa) che inorridita raccoglie un coltello insanguinato. È stata testimone di un assassinio e fugge col coltello tra le mani, il Nobel. Un giornalista televisivo in preda ad anacoluti (immagino per adesione realistica) consegna all’opinione pubblica la certezza che lei sia colpevole (di nuovo per amor di verità, se uno ricorda il Bruno Vespa vintage e tanti colleghi che sono seguiti). Lei fugge in macchina, i cattivi la incrociano su una strada di campagna e la cacciano giù da un dirupo. Esplosione e miracolo del buon pastore coi pecuri che la raccoglie. Poi conosciamo il personaggio di Alberto Tomba, Alex, agente del CIS: Albertone è attorialmente cane con pedigree stratosferico e mettiamoci anche anni di prese per il culo della Gialappa’s Band e di dichiarazioni insensate ai cronisti sportivi ed è fatta: la credibilità è nulla e la sensazione è di vedere uno Z Movie, tanto più che la regia alterna mestiere a vaccate imbarazzanti, zoomate missilistiche e altri attori senza senso (Ramona Badescu, porella).
E poi i dialoghi, con il sedicente infelice attore costretto a recitare (…) alla fidanzata versi seduttivi come “Giuro che stasera sono lì a stropicciarti le piume”. Ci mettiamo mezz’ora per arrivare al cuore della vicenda: Alex deve accompagnare la Hunziker, sospettata, a incontrare il giudice, ma lo mandano da solo. Uhm, sospetto! Fughe, scontri degni di una lite tra alunni ripetenti di terza elementare e il rapporto tra carabiniere e protetta che cresce con una profondità emotiva degna di un episodio di Peppa Pig. La coppia regala alla grande e devo dire che ho cominciato a tenere per loro, perché i delinquenti ai quali sfuggire non sono i tizi perversi che vogliono far secca lei, no, lo sono i produttori di questa incommensurabile vaccata. Che posso pure immaginare l’imbarazzo quando avranno visto per la prima volta il risultato della dissennata operazione: doveva essere una fiction Mediaset, poi s’è deciso per un’uscita estiva, nascosta, sinché il passaggio televisivo ha sancito la natura stracult della porcata in questione. Si arriva stancamente fino al finale e io metto da parte dialoghi stralunati come: “Mi hai fatto puntare la pistola contro una suora!” (e cosa volevi? Toccarti i coglioni?); oppure: “Mi devi rintracciare una targa: ti faccio lo spelling” (lo spelling?). Tomba è un patatone con l’espressività propria di chi aspetta un’autopsia e la Hunziker al confronto sembra Meryl Streep e l’apice si raggiunge quando i due, ammanettati, devono procedere a una pisciata boschiva. Uno pensa possa bastare la trafila di castronerie sinché non irrompe nella trama anche il vero cattivo, Orso Maria Guerrini, il baffo della Birra Moretti!, con una voce bassissima da vero attore di teatro, ma capitato in una recita dell’asilo. Insomma: fa tutto schifo e tenerezza e ho assistito a incontri di rubamazzo con più azione. Il finale è una specie di parodia di Ufficiale e gentiluomo e la parole FINE è l’unico momento riuscito di un film firmato da quel Damiano Damiani già glorioso regista di cinema impegnato. Che poi uno dice l’impegno… ma lo vedi i danni che fa? (Dvd; 6/6/12)

936 – Rocky III di Sylvester Stallone, USA 1982
L’idea era goderselo oscenamente con l’avanzamento veloce, scegliendo le scene migliori e tagliando la fuffa, ma non c’è stato niente da fare: i film di Rocky sono ineludibili, costruiti con una sapienza spettacolare infallibile, con tutti i meccanismi del Mito che girano a mille. E mi sono arreso praticamente subito: Rocky è uomo della strada, ignorante, rozzo, ma con un sogno, un pizzico di talento, forza di volontà e una squadra di amici e familiari che lotta per lo stesso obiettivo. Il problema è quando si è raggiunto il top della carriera: soldi, successo e lusinghe ottenebrano il già non lucidissimo fronte occipitale del pugile che guadagna sempre più, si allena di meno e diventa un po’ borghese, perdendo l’occhio della tigre. La noia, insomma, esistenziale e pure a livello di coppia, anche perché Adriana è appetitosa come un passato di verdure. Mettiamoci che l’entourage è completato da quel buzzurro di suo fratello Paulie, pseudo manager, e dall’allenatore Mickey, con l’apparecchio acustico e pronto per la fossa. Un incontro di wrestling con Hulk Hogan (!) rischia di finire male e il Balboa e i suoi si guardano negli occhi: hanno tutti la panza piena e lui è stufo di pigliare legnate come un somaro. Ma al momento dell’annuncio del ritiro davanti a una statua celebrativa si fa avanti Clubber Lang (Mr.T, quello dell’A-Team), lingua lunga, cresta e bicipite potente. Sfida Rocky e lo intorta insultandogli la moglie, tranello in cui lui casca come un tontolone. Come da manuale di sceneggiatura (di film un po’ di merda, in effetti) si riparte, solo che Rocky si allena davanti alla stampa con l’orchestra che suona e annesse manifestazioni circensi mentre l’altro, il negro cattivo che parla a mitraglietta, suda sette camicie al riparo dai flash. E quando si arriva all’incontro Clubber tira uno spintone al vecchio Mickey: Rocky non vuole combattere perché ne è turbato, stellassa, e il suo avversario ha messo nell’equazione – di nuovo, come con Adriana – qualcosa di estraneo allo sport. E non solo: prima del match Mr.T trova il modo di insultare anche l’elegante Apollo Creed, nero ripulito e commentatore tivù, cioè per lo spettatore medio negro accettabile. E a metà secondo round Rocky è già knock out, mentre il vecchiaccio sta morendo, cosa che farà puntualmente credendo che il suo protetto abbia vinto. Bene, siamo al punto di non ritorno: Balboa, sconfitto, si deve confrontare col suo monumento, metaforicamente e realmente, risultando in effetti meno espressivo del bronzeo gemello, eretto in cima a quella famosa scalinata. E come si fa? Apollo Creed vuole riportarlo sul ring, stavolta ci si allena the old way, in cantine puzzolenti, correndo sulla spiaggia, danzando sul cemento, al suono supercafone dei Survivor. Poi c’è il momento di crisi ed è Adriana che dà la svegliata e allora riparte il tema di Rocky, evvai di allenamenti, corse, sudore, danze, con Apollo che passa un po’ di negritudine e senso del ritmo a questa specie di blocco di travertino che esibisce una canotta veramente gayissima. Aggiungo che Apollo gli regala i suoi mutandoni: del resto, tra particolari dei muscoli guizzanti, abbracci intensi e praticamente nessun accenno etero, qui la bromance si trasforma in un amore omo che verrà spezzato solo da Ivan Drago, eh. Si arriva al match e Rocky adotta la strategia di Muhammad Ali in Zaire e fa stancare Clubber Lang che lo pesta come un mastro ferraio ed è provocato da parole grosse come “Mia madre me le dava più forte!”.
È una tattica curiosa, un po’ come pigliare a testate un muro e chiedergli: “Sei stanco, adesso?”. E quello lì a un certo punto è stanco sì e a Rocky torna l’eye of the tiger e lo tarella di brutto e vince. Yo, Adrian! I did it! E poi, a concludere la vera storia d’amore del film – a questo punto rivoluzionario perlomeno dal punto di vista sessuale – Rocky e Apollo sono a darsele di santa ragione in cantina, quindi di nascosto perché non è ancora epoca di coming out, ma sudati, felici e vivi. E io cosa posso dire? Che mi aspettavo anche peggio, perché la regia è ottusa ma essenziale, asinina con i primi piani insistiti ma anche movimentata quando la tensione lo esige, e in generale montaggio e recitazione sono inappuntabili. Okay, e Stallone? Ma Stallone non deve recitare bene, perché Rocky è così, un babbo di minchia, bloccato neuronalmente: gli devi leggere negli occhi la decrittazione del pensiero, devi abbassarlo al nostro livello di spettatore del Midwest, se no non funziona! E detto questo, c’è ritmo, drammaturgia e qualche (forse inconscio) spunto per una lettura erotica interessante. E poi, cosa posso dire? Io ormai voglio bene a tutti i film: brutti, belli, scarrafoni… il mio cuore ha più stanze di un bordello (cit.). Sarà l’età, il rincoglionimento, la malinconia, la depressione – che ne so! – ma di fronte a un film (un filmaccio) degli anni Ottanta, ritrovo quell’atmosfera, quel tempo, quelle sensazioni. Sto scrivendo un romanzo ambientato nel 1986 e rimpiango quel mondo senza telefoni, internet e social: cerco quel sapore come un cefalo merdaiolo perché in fondo quello è il cinema con cui sono cresciuto, che mi ha formato, informato, deformato e in cui mi ritrovo. Ora forse questo è il film sbagliato da prendere a esempio, perché è di una semplicità imbarazzante, ma oggi ricerco la linearità narrativa quasi elementare di certo cinema del passato e non sopporto più la ricchezza odierna, dove forma, effetti e innovazione nascondono il narrato, quasi lo soffocano. Certo, la mancanza di tempo e quella faccenda di una volpe con l’uva devono avere il loro peso, ma è così e non so che farci. (Dvd; 3/6/12)

938 – L’eccezionale Fawlty Towers di John Howard Davies, Gran Bretagna 1975
Ne avevo un pallido ricordo di quando ero a Londra, nel 1988, e avevo assistito con religiosa devozione a un’ennesima replica sulla BBC. John Cleese, lo spilungone dei Monty Python, è Basil Fawlty, un ambizioso quanto megalomane – e instabile mentalmente – direttore d’albergo: deve gestire le 22 stanze della umile pensioncina di grandi pretese Fawlty Towers, sulle costi inglesi, in un posto freddo, umido e dove non passa mai un cane. Lo affianca la stolida moglie Sybil, il cameriere pasticcione Manuel (uno spagnolo che non parla inglese) e Polly, una giovane cameriera sveglia. In 6 episodi da mezz’ora Cleese e compagnia disintegrano con ferocia inarrestabile e in un’isteria sublime tutte le vecchie buone maniere inglesi: un Little Britain anni Settanta acre e assolutamente irresistibile. La serie purtroppo brevissima si conclude con un finale grandioso, con la commozione cerebrale del personaggio principale e gaffe a ripetizione con degli ospiti tedeschi, a cui si ricordano tutte le malefatte della Seconda Guerra Mondiale, qualcosa che oggi – in epoca di correttezza politica – si farebbe fatica non solo a mettere in scena ma anche a concepire, con una censura preventiva su tutto quanto sia nazismo. La seconda serie (di Bob Spiers, 1979) l’abbiamo vista in tempi lunghissimi ed è meno riuscita, esasperata ma senza finezze, con vicende che nascono da equivoci verbali e si trascinano fino a che non va puntualmente tutto in vacca. Meno brillante, insomma, ma il tutto è una boccata d’aria fresca e di gas esilarante che si può recuperare grazie alla generosità della Rete. Approfittatene! (Giugno e luglio 2012)

940 – Mani sulle palle per The Day After di Nicholas Meyer, USA 1983
Questo l’ho visto al cinema Orfeo di Genova nel febbraio 1984, in via XX Settembre, sala che ormai da chissà quanto tempo ha chiuso… Era un film televisivo che aveva fatto parlare tutto il mondo ed era andato in onda dopo l’abbattimento di un aereo di linea sudcoreano da parte dei sovietici e, due mesi dopo, l’invasione USA di Grenada. Tutte cose che nell’equilibrio del terrore erano sollecitazioni per nulla tranquillizzanti; il mondo era diviso in due e anche se ti dicevi che non sarebbe mai successo nulla, ogni tanto ti si stringeva il culo solo a pensarci: e se uno si sbaglia e schiaccia il pulsante sbagliato? E se uno perde la testa? E soprattutto: oggi, quella marea di missili dove sono finiti? Io non ci credo mica che abbiano smantellato tutto, figurati, e non dormo all’idea che Putin abbia in mano questo arsenale. O che l’abbia avuto quello scemo di Bush. No, scusate: quegli scemi dei Bush. Vabbeh: per cui The Day After è un pezzo di storia che non sappiamo realmente se non possa tornare attuale. Il film è decisamente iettatorio, ossessivo, lugubre e rozzamente efficace. La fotografia bruttina, gli effetti così cosà (tremendi quelli con le persone che diventano radiografie!) e la musica orrendissima accompagnano una narrazione opportunamente frammentata in tante microstorie: i destini individuali di alcuni bifolchi di Lawrence, Kansas, che si trovano a vivere presso una base missilistica, ovvio obiettivo sensibile. Il fatto è che in DDR c’è casino, rivolte, scaramucce nei pressi del Muro e poi scontri tra truppe della NATO e del Patto di Varsavia. Finisce che a qualcuno – non è chiaro a chi per primo – scappi la mano e comincino a volare missili e al 55° minuto di proiezione Kansas City e dintorni conoscono gli effetti della tecnologia sovietica quando tre piccanti funghetti nucleari si alzano nel cielo. C’è la coppietta di contadinotti con figli che si fa una (ultima) trombatina incurante delle notizie che arrivano dal televisore, prima di essere tutti spazzati dal vento nucleare. C’è il soldato nero che vuole tornare dalla moglie ma strada facendo perde i pezzi e finisce in una fossa comune. E poi c’è il medico di buona famiglia (Jason Robards) che si danna invano per portare cure a tutti, fino a soccombere. Insomma: non c’è un cazzo di lieta fine e il giorno dopo è quello che viene a film concluso, con la terra rasa al suolo. Il film è angosciante ma decisamente antiretorico ed è girato in modo asciutto, con un percorso agonico senza speranza (e in realtà abbastanza ottimistico, secondo gli esperti). Però, al di là della confezione televisiva cheap, l’organizzazione del racconto non è male: la crescita del timore, il sentirsi totalmente succubi, senza difese, senza futuro, senza speranze, senza notizie. Nel tempo è diventato un film da considerarsi brutto, ma invece ha una sua forza di verità e dice cose sgradevoli a tutto campo (le esecuzioni degli sciacalli, l’egoismo e la violenza che esplodono di fronte alla tragedia). Reagan ne fu impressionato, anima sensibile. (Dvd; 3/6/12)

941 – Coraggio… fatti ammazzare di Clint Eastwood, USA 1983
Ravanando negli archivi della memoria e nei meandri della Rete mi ricapita tra le mani questo Callaghan reaganiano di cui avevo vaghi ricordi, se non per la famosa frase “Go ahead, make my day”, cioè “Va’ avanti, dà un senso alla mia giornata”. E decido di dargli retta, ritrovando un film rozzo come il suo protagonista ma efficace e divertente nella sua semplicistica bruttezza. Sì, perché la trama è perlomeno discutibile nella sua implausibilità e la messa in scena talvolta stupisce per sciatteria, però… Dunque, io con Clint ho un rapporto difficile: lo amo per i film di Leone, per Bird, per Madison County, per il magnifico e delirante Lo straniero senza nome e anche perché gli hanno cioncato una gamba ne La notte brava del Soldato Jonathan, ma di fronte a certe prese di posizione politiche che in qualche modo finiscono nei suoi film più sbirreschi, boh, vacillo. Diciamo che qui siamo – nell’arco parlamentare del suo operato cinematografico – molto a destra. Callaghan lo conosciamo già e qualunque cosa faccia, ci sono dei morti (come gli dirà un collega: “La gente quando ti frequenta ha il brutto vizio di morire”). Qui Harry ha 53 anni, è taciturno e parla solo per cavernose sentenze che più scritte non si può (in effetti tutte abbastanza memorabili), tiene le braccia pendule come il gorilla di Filo da torcere e con questa pellicola – di enorme successo – Clint incassò una barcata di dollaroni. Il film inizia, il protagonista va a prendersi il caffè e fa secchi tre rapinatori su quattro che hanno la sfiga di aver scelto quel diner lì da rapinare. Poi va a bluffare da un boss mafioso e lo fa schiattare d’infarto. I superiori gli dicono di darsi una calmata e lui decide di fare serata tranquilla sennonché i mafiosi provano a vendicarsi ma gli dice male e ne fa secchi altri tre. La sera dopo è un trio di stronzetti (tra cui uno mandato libero da una giudice troppo cavillosa) che prova ad arrostirlo con due molotov, ma lui gliene rende con estrema cortesia una e l’ameno trio finisce nella baia di San Francisco. Oh, ne fa secchi a mazzi di tre per volta: siamo al 43° minuto e ne ha già seppelliti dieci. Intanto una donna dalla memoria dolorosa (Sondra Locke, allora moglie di Clint e affascinante e disinvolta come un manichino) va vendicandosi della ghenga che dieci anni prima ha violentato lei e la sorella. Incrocia Callaghan nella cittadina (immaginaria) di San Paulo dove i superiori l’hanno mandato e da uno sguardo i due si intendono subito. Non sto a dirvi come va a finire perché c’è uno sviluppo ulteriormente violento e delirante che può dare qualche soddisfazione, specialmente con la scena finale che si conclude in groppa a un unicorno (…). Sappiate solo che Clint, con gli occhi spiritati e un virilissimo pistolone, perderà progressivamente la pazienza, specie dopo che gli hanno sgozzato l’amico nero e azzoppato il cane (scoreggione, giuro). (Dvd; 4/6/12)
P.s. del 2018: tre mesi dopo questa mia visione Eastwood si era surrealmente rivolto a una sedia vuota alla convention repubblicana, perculando Barack Obama e sostenendo Mitt Romney. Due anni fa ha ammesso una sorta di pentimento per il gesto, salvo poi informarci che lui, piuttosto che Hillary presidentessa, sosteneva Trump. Ecco.

943 – Il delirante Fantastica Moana di Riccardo Schicchi, Italia 1987
Moana Pozzi: l’angelo, la puttana, la santa, boh. E chi lo sa chi era, realmente? Specie dopo i misteri della morte e la beatificazione come perfetta icona cult. Io ricordo più l’imitazione di Sabina Guzzanti che le sue apparizioni tivù o le interpretazioni cinematografiche. Per cui, da vero studioso, mi procuro il film in pellicola che la lanciò, diretto dal visionario Riccardo Schicchi. Fantastica Moana è – a scanso di equivoci – una micidiale schifezza che fa quasi tenerezza per il tentativo, impossibilitato dalla mancanza di mezzi intellettuali e materiali, di costruire una fantasia erotica con uno sviluppo narrativo coerente. Anzi, se vogliamo, è un porno sbagliato, di cui si potrebbe sentenziare TROPPA TRAMA, perché la vicenda vede un ossessionato erotomane, Gabriel Pontello (già protagonista di fotoromanzi hard e idolo della generazione precedente la mia), che è ossessionato da Moana e s’ingroppa qualunque femmina gli si pari davanti – anche violentemente -, sognando di possedere la steatopigia pornodiva platinée. Il racconto è ambientato in un borgo che puzza di povertà, con esterni rurali squallidissimi e scene urbane che ci rimandano a un’Italia provinciale anni Ottanta imbarazzante. Lui ha una faccia da scemo rara ed è peloso come un orsetto. Lei è altera e bellissima e per qualche misteriosa trasmissione del pensiero viene turbata ed eccitata dalle fantasie del protagonista maschile. Le gesta del Pontello sono patrimonio comune di Moana, del suo agente e dei suoi compari: come per miracolo di sceneggiatura si conoscono tutti e condividono le info, arrivando alla mutua decisione che per liberare il borgo e la testa di Moana dall’incubo di questo satiro conviene farlo trombare con l’oggetto del suo desiderio.
Lei, voce off, ci spiega: “Esorcizzarlo consisteva nel coinvolgerlo in un’orgia a quattro e cioè distruggere ai suoi occhi la mia immagine”. Roba che neanche Deleuze e Guattari. Per cui Moana si concede generosamente all’indemoniato Pontello (assieme anche a Siffredi, che è il futuro tanto quanto Pontello era il passato) e si chiude in bellezza con champagne stappato. È finita? Ma no! C’è l’uscita magnificamente folle: Moana finalmente liberata guarda in camera, si contorce di nuova in preda a frenesia belluina e conclude: “E adesso… chi sarà di voi?”. Wow! Beh, che dire? L’alternanza tra realtà e sogno è dilettantesca ma il continuo montaggio parallelo è anche di un coraggio spropositato per un genere solitamente al risparmio. Detto questo le qualità tecniche del film sono imbarazzanti e quando ci sono momenti di recitazione Moana sonda gli abissi dell’infamità attoriale con un distacco quasi metafisico. E del resto anche quando zompa facendo e facendosi fare di tutto è straniante: non sembra mai partecipe, semmai dignitosamente indifferente, nivea, alta, bionda, aristocratica e sfuggente. Probabilmente questo atteggiamento che si riscontrava anche nelle uscite pubbliche ha contribuito a renderla l’icona che è diventata: silenziosa e misteriosa e presuntamente intelligentissima (ma per quali dichiarazioni non si sa), forse – come ha ipotizzato qualcuno – per accreditare i tantissimi amanti importanti (spettacolo, sport e politica… si diceva del cinghialone) dichiarati. Boh. (Youporn, 15/6/12)

945 – Lorax – Il guardiano della foresta di Chris Renaud, USA 2012
Lorax sembra il nome di un gastroprotettivo da banco. E invece è un discreto film, che da una storiellina piccina picciò del Dr. Seuss costruisce una vicenda più articolata. Chi si lamenta che il film è per bambini: 1) non ha sicuramente letto l’originale di Seuss (e gli basterebbero 5 minuti), 2) ha visto il film in preda a turbinio digestivo. Però qualche criticonzo ha detto questa stupidaggine per primo e da lì tutti hanno scopiazzato l’affermazione. Sbagliata. Comunque: si schianta dal caldo e al cinema si sta al fresco, per cui ci andiamo con le due bimbette. Loro si divertono molto e io le seguo, Barbara invece borbotta un po’ annoiata. Film dal messaggio ambientalista e anche anticapitalista, in un film hollywoodiano che farà milionate di dollaroni col merchandising. È contraddittorio? Sì, e alcuni hanno aspramente criticato il tradimento del messaggio del Dr. Seuss ma grande è la confusione sotto il cielo e questo è sempre bene. In termini spettacolari il film fila come un razzo. Straordinario il lavoro scenografico e la cura dei particolari: ormai non stupisce l’accuratezza della realizzazione quanto la scelta dei materiali, come in un film vero e proprio, girato live action o come cazzo si dice, ma ci siamo capiti. Qui il vetro o il metallo o la pietra hanno una resa più vera del vero che fa impressione. Ammirevole è l’invenzione di un mondo rotondo spassoso, allietato da canzoni molto divertenti, dove il cattivo è un tappetto iroso e avido (cosa che a noi italioti ricorda sicuramente qualcuno). Proiezione perfetta e luci solo tenui accese sui titoli. Esperienza da ripetere il cinema: ogni volta che ci torno lo penso. E poi non lo faccio, ach! (Cinema Ducale, Milano; 23/6/12)

946 – Mondo Cane oggi, l’orrore continua commesso da Max Steel, Italia 1986
L’orrore è quello che prova lo spettatore, non equivochiamo. Trattasi di repellente documentario erede dei Mondo Movie di Jacopetti, Cavara e Prosperi e che mette in fila, col solito commento stolido e suadente, nell’ordine: un aborigeno nudo che dorme sul ciglio della strada, un duello tra cani, un campeggio nudista tedesco (mmh) e – sdoganate le tette – vai!: donne in palestra, lotta di donne nude, modelle di nudo, danzatrice nera delle Figi seminuda che sa muovere indipendentemente le tette (oooh!), pescatrici di alghe giapponesi a seno nudo, donne nude che si fanno spugnare con le alghe. Poi, dopo l’erezione inversa provocata, passiamo a New York (cioè, la civiltà, si direbbe, ma…) e ci scoppiamo una bella apertura di cadavere ripieno di droga, allenamento di judoka, indiani che lavano i panni, tuffi in un tempio indiano, gauchos argentini, agopuntura ustionante, tatuaggi giapponesi, pitoni cinesi scuoiati, gastronomia estrema con serpentelli decapitati, corrida spagnola, lapponi che bevono sangue di renna e cibi afrodisiaci con tartarughe mangiate fresche. Il passaggio deve aver solleticato il montatore che subito propone dei massaggi occidentali con una bella patata pelosa in primissimo piano, bassorilievi erotici a Khajuraho e una lesbicata veloce veloce, per par condicio. Si passa poi a usi e costumi del mondo: svastiche indiane, cadaveri bruciati sulle rive del Gange, pipistrelli giganteschi, pesca nel fango, sushi servito su una donna nuda, ciccione americane alle Hawaii, vacche sacre che cagano letame poscia impastato a mano, allevamento di bovini in USA e macellazione, vita tra i morti di fame in India, tonsura dei monaci buddhisti, bambini storpiati per chiedere l’elemosina, culturisti indiani, igiene giapponese, massaggi sensuali, amputazione yakuza di un dito (la scena si direbbe vera, ma chissà), elettroshock, operazione a pene aperto, travestitismo orientale very exciting, evirazione a Casablanca (nel momento supremo del taglio, commento illuminante: “Il re è morto!”), crescita del seno con tubi aspiranti, cadaveri e rimozione di una calotta cranica e infine visita sul set di un film porno atroce con attori urfidi. L’orrore continua, indubbiamente: alla fine cosa ho visto? Una carrellata antologica di cose “strane”, impressionanti e pruriginose, senza un vero filo conduttore. Stelvio Massi è il responsabile di cotanta ignominia, subìta a tratti – confesso – con l’avanzamento veloce che, va bene l’aggiornamento professionale del Cacace, ma a tutto c’è un limite. (24/6/12)

947 – Cazzi vostri: Open Water di Chris Kentis, USA 2003
Attenzione agli spoiler, eh. Dunque: film di grande successo in diversi festival per appassionati di cinema horror e/o serie B, Open Water parte da una bella idea ma soffre per la malaccorta realizzazione: è infatti girato con una telecamera digitale peggiore della mia che risale al 2002. Non c’è alcun controllo della fotografia, con errori da operatore alle prime armi (ambiente luminoso e volti neri, per esempio). E inoltre il riversamento per l’emissione tivù (come accadeva anche a Italiano per principianti in Dvd) non passa evidentemente attraverso lavorazioni su pellicola e il risultato è poverissimo, proprio da filmino delle vacanze. In questo caso vacanze che finiscono in vacca ma a livelli epici. Dunque: esiste gente che si diverte a fare escursioni subacquee per guardarsi il fondo marino. Oh: hanno ben inventato i Dvd documentari PROPRIO per farci vedere comodamente da casa cosa cazzo ci sia la sotto, eh. Lo dico perché una volta ho fatto snorkeling sul mar Rosso e da allora mai più: m’è venuto un infarto perché un sacchetto bianco fluttuante mi ha fatto credere di essere vittima dell’attacco di una manta assassina. Vabbeh. Ad ogni modo la coppia dei protagonisti fa parte invece di questi invasati con bombole, mute, pinne etc., solo che il destino è beffardo e siccome queste cose sono organizzate da tipi che passano il loro tempo a sbevazzare e a dire “easy man” agli stolidi turisti, finisce che i due vengono dimenticati in mare aperto, ai Caraibi, ma mica a venti metri dalla riva come a me. E in mezzo al mare fa freddo e capita di incrociare bestiole come squali, barracuda e meduse. E poi viene la notte e hai una sete micidiale e la fatica ti ammazza. Da un punto di vista narrativo l’inghippo è ben gestito: l’attesa dei soccorsi e l’angoscia crescono bene fino a un prefinale buttato via (una lite insulsa – in quella situazione, poi –, la notte che passa in un baleno, l’attacco degli squali velocissimo) e un finale gestito veramente col culo, in campo lunghissimo, mentre dovrebbero arrivare i soccorsi. Un anticlimax frustrante, dove tenti di capire cosa stia succedendo al posto di goderti sadicamente l’epilogo GIUSTO della vicenda. Ispirato a una storia vera, film decisamente inferiore alle ambizioni e premiato perché queste operine grammaticalmente atroci fanno tenerezza al pubblico dei festival, che intravede una possibilità per piazzare un giorno i propri filmini matrimoniali. Non m’ha fatto impazzire, s’intuisce, no? (Coming Soon Television; 26/6/12)

(Fine – 80)

Utilizzate a dovere il vostro Bonus Cultura! È ancora in libreria per i tipi di Odoya Divine Divane Visioni – Guida non convenzionale al cinema, con la prefazione di Mauro Gervasini (direttore di FilmTV) e la postfazione di Giorgio Gherarducci (Gialappa’s Band).
Altre Divine Divane Visioni su Twitter e Facebook.
Oppure binge reading qui, su Carmilla.

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Divine Divane Visioni (Cinema di papà 07/08) – 64 https://www.carmillaonline.com/2014/11/20/divine-divane-visioni-cinema-papa-0708-64/ Thu, 20 Nov 2014 21:42:54 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18491 di Dziga Cacace

dvd6401Non stupirti se ti dico che io parlo con le piante, il millepiedi e l’elefante

702 – Il necessario Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi, Italia 2008  Un documentario sull’evoluzione del ruolo della donna nella società italiana, tra diritti negati e conquistati e battaglie che non finiscono mai. La formula è intrigante e si sviluppa attraverso tre diari intimi, diversi per estrazione e cultura. Ed è una scommessa difficile: non c’è un personaggio principale cui affezionarsi e bisogna affidarsi a delle voci, senza una presenza fisica tangibile. In compenso l’apparato iconografico è ricco e curioso, utilizzando immagini di [...]]]> di Dziga Cacace

dvd6401Non stupirti se ti dico che io parlo con le piante, il millepiedi e l’elefante

702 – Il necessario Vogliamo anche le rose di Alina Marazzi, Italia 2008 
Un documentario sull’evoluzione del ruolo della donna nella società italiana, tra diritti negati e conquistati e battaglie che non finiscono mai. La formula è intrigante e si sviluppa attraverso tre diari intimi, diversi per estrazione e cultura. Ed è una scommessa difficile: non c’è un personaggio principale cui affezionarsi e bisogna affidarsi a delle voci, senza una presenza fisica tangibile. In compenso l’apparato iconografico è ricco e curioso, utilizzando immagini di pubblicità, dibattiti tivù, fotoromanzi, super 8 privati, filmati militanti, cartoni animati e si perdonano anche alcuni didascalismi per “macchiare” il narrato. Il film è venuto fuori in un momento particolare, durante il consueto e ricorrente attacco ai diritti acquisiti, stavolta guidato dal debordante Giuliano Ferrara, scopertosi feroce antiabortista televisivo quotidiano, ed è sicuramente interessante, necessario e piacevole ma non so quanto riuscito in toto. Nel senso che ha acquisito meriti dovuti anche alla crociata del panzone “però molto intelligente” (viene sempre specificato, mi adeguo anche per evidenziare la manica di coglioni che gli vanno dietro) ma questo non può e non deve diventare uno dei pregi di Vogliamo anche le rose (titolo bellissimo). A me manca una regia un po’ più forte e mi rimane l’impressione di un collage stimolante, dove però viene fuori la consueta distanza dal pubblico: nessuna didascalia, nessuna contestualizzazione esplicita, tutto affidato alla tua capacità di leggere le immagini e fare le giuste connessioni. Okay, non ti obbliga nessuno a coccolare così lo spettatore, però… ecco, io vorrei che un film così fosse popolare, visto da tanti, non solo dagli ultimi cittadini di sinistra rimasti, magari donne (sui “democratici” non conto più da mo’, sono scomparsi), se no fa solo venire la lacrimuccia alla femminista nostalgica e un ghigno feroce allo stronzo maschilista (che mai il film lo guarderà) e finisce lì, come tante buone intenzioni. La regista ha scelto una cifra sommessa, ammirevole in epoca di urlate mediatizzate e provocazioni continue, ma il risultato alla fine mi sembra più consolatorio che efficace, insomma. La parte più incisiva è paradossalmente l’ultima, slegata dal destino individuale delle tre voci ascoltate fino a quel momento, ma in realtà patrimonio di tutte e tutti: una carrellata delle battaglie sostenute e vinte e oggi messe in discussione, che nella sua semplicità è quasi emozionante. Film molto dibattuto sui media (anche perché la Marazzi è in gamba, parla bene e l’intento era doveroso) e spinto dalle tristi vicende politiche nostrane: purtroppo lo hanno visto in troppo pochi. Peccato. (Dvd; 3/6/08)

ddv64 24 Bauer703 – L’annata di pregio 24 – Season Five di Joel Surnow e Robert Cochran, USA 2006
L’ennesima giornata infernale di Jack Bauer. Dopo due serie discrete (meglio la quarta della terza, comunque), una serie di nuovo clamorosa, zeppa di complotti, tradimenti e sorprese, sicuramente la migliore del lotto dopo la sorpresa del primo anno. Tanta azione ma stavolta con fosforo e plot e sub plot di altissima qualità a cascata. I cattivi sono inizialmente dei simil ceceni ai quali, ancora una volta va la mia simpatia di spettatore politicamente consapevole. Però poi la serie prende una piega clamorosa: si va dritti al cuore dell’impero del Male. Il presidente degli USA è un fifone isterico e complessato e gli balla il mento come Nixon quando caccia qualche balla; sua moglie, mezza matta con passioncella alcolica, è in realtà consapevole del consueto complotto interno alla Casa Bianca e nessuno le crede; la congiura è orchestrata alla grande e urla “11 settembre” a più non posso. Certo, uno vede 24 e poi pensa che le teorie della cospirazione siano sempre tutte fandonie. E invece no! Ancora una volta la fiction racconta la realtà meglio di ogni inchiesta e reportage. Solo che gli americani (produttori inconsapevoli e fruitori ipnotizzati) non l’hanno capito e pensano che sia tutto solo entertainment e basta. Cast clamoroso che si arricchisce anche di Peter Weller, Julian Sands, Paul McCrane (il dottor Romano di E.R. ma con le braccia) e – in una parte di 6 secondi non accreditata – pure del futuro candidato repubblicano alla Casa Bianca vera, John McCain, presenza oltremodo inquietante. Ad ogni modo, datemi retta: diamo a Jack Bauer Ustica, Bologna, G8, Italicus, piazza della Loggia, caso Pinelli, 12 dicembre e pure Moggi e vi assicuro che questo risolve tutto in due giorni a dir tanto. Senza neanche farsi una scappata in bagno. (Dvd; giugno e luglio ‘08)

ddv6403704 – L’emozione interrotta di Ortone e il mondo dei Chi di Jimmy Hayward e Steve Martino, USA 2008
In casa siam tutti dietro ad Elena – due settimane -, aspettando che cominci a darci tregua la notte, e allora decido di portare la sorella maggiore, emozionatissima, a vedere il suo primo film nel buio della sala. Ma a metà proiezione Sofia, disillusa, si confessa: “Torniamo a casa, che qui non si riesce a dormire, il volume è troppo forte”. Missione fallita. Del resto avrei dormito anch’io volentieri, ma è vero che c’era un dolby esasperato reso inoltre irritante dall’immotivato doppiaggio di Christian De Sica che butta lì un po’ di romanesco alla maniera sua, troncando le parole da pelandrone, tutto senza motivo se non per appagare chissà quale fan vanziniano, boh. La trama – del mitico dr. Seuss – è lineare: l’elefante Ortone scopre che in un granello di nettare che fluttua nell’aria si nasconde un mondo, quello minuscolo dei Chi (e non so quanto questo fosse chiaro a Sofia): l’allegro mammiferone zannuto s’incarica di salvarlo superando diverse peripezie. Animato freneticamente mi sembra più rivolto ai grandi che ai bimbi, o forse lo penso perché la mia è veramente piccola e io ho preteso troppo. Insomma: sono influenzato dal parere di una treenne e trovo il film piacevole ma non clamoroso, anche se so che meriterà un’altra visione più rilassata. Un giorno. (Cinema Ducale, Milano; 22/6/08)

ddv6402705 – Lo scintillante Eastern Promises di David Cronenberg, USA/Canada/Gran Bretagna 2007
Dovrei parlarvi del film, perché lo meriterebbe: questo La promessa dell’assassino è dritto al punto, con trama perfettamente articolata, dialoghi secchi ed essenziali, una fotografia che è spettacolare e degli attori in parte (Naomi Watts morbida e intrigante, Viggo Mortensen maschissimo). Dovrei parlarvene perché capita raramente un film così riuscito e che, dopo più di una delusione, ha fatto risalire Cronenberg nel mio personale ranking. Dovrei, lo so, ma son stravolto da troppo poco sonno e troppo tanto Springsteen ieri sera. Sono andato a San Siro già scosso dalle ultime notti in bianco (la neonata Elena ha un curioso modo di vivere l’oscurità), con una congiuntivite appena esplosa e con cosce del turista irritate. E cosa ti imbandiscono Bruce e la sua E Street Band? Una performance oceanica, incurante di multe promesse in caso di sforo sull’orario, con una Twist and Shout finale da maratoneti del rock. Io – temo – non ho veramente più l’età per tutto ciò. (Dvd; 26/6/08)

ddv6405706 – Balliamo? Con Happy Feet di George Miller, Australia/USA 2006
Quando la giornata volge al termine, prima che calino le ombre della sera, ci sta un Dvd con Sofia. Magari a pezzetti, ma tivù niente. Ci pensano già quei fedifraghi dei nonni, noi no: lavoro nell’Inquisizione e so quali danni faccia. E poi non abbiamo Sky, coi canali tematici lardellati di pubblicità pericolosissime (“Papà, io devo avere Baby Amore”, il pupazzo che caga e piscia, non bastasse l’Elena vera che già abbiamo). Per cui vediamo un film che solo a posteriori scopro da chi è stato fatto: il regista di Mad Max che è tornato dietro la cinepresa per dedicarsi ai bambini con una sorta di musical in computer grafica. E ci ha vinto un bell’Oscar. Un carpiato pazzesco, come se Berlusconi si arruolasse nell’EZLN in Chapas e poi trionfasse al Nobel per la pace. Però, devo dire: film divertente e pieno di idee, animato in maniera perfetta con una regia che predilige movimenti (virtuali) di macchina al montaggio, senza frenesie fuori luogo. Protagonista è Mambo, un pinguino imperatore che a differenza dei suoi simili non canta ma preferisce ballare (e le coreografie sono eccezionali!). Cacciato dalla comunità conservatrice, intraprende il classico percorso iniziatico che lo porta a conoscere il mondo (gabbiani stercorari mafiosi, foche assassine, leoni marini puzzolenti, altri pinguini danzerecci, fino agli uomini, i temibili alieni che minacciano l’Antartide) sinché non torna a casa: e secondo voi come va a finire? L’epilogo è pacifico e surreale e si può sopportare di fronte al messaggio ecologista. Film a più livelli, molto denso, che dà piacere a tutte le età e a tutti i gradi di competenza musicale, con belle cover adattate. Sofia s’è divertita abbastanza, senza grandi spaventi (“Tanto finisce bene, no?”), anche se abbiamo dovuto spiegarle che l’uomo è cattivo etc. etc. e frega il cibo ai poveri pinguini. “Ma io non sono cattiva!”. Eeeh… tipico rifiuto delle responsabilità collettive. Ma a tre anni non si può pretendere troppo, o no? Bel filmetto, ‘anvedi. (Dvd; 1/7/08)

ddv6406707 – L’illusorio Red e Toby nemiciamici di tre tizi, USA 1981
Film disneyano del periodo di crisi, all’alba degli Ottanta: c’è incertezza registica (Art Stevens, Ted Berman e Richard Rich, due ultra sessantenni vecchia scuola e un trentenne) e grafica e una vicenda “antica” e sempliciotta a fronte di tutta un’evoluzione del genere. Dunque, per farla breve: nel profondo paese interno yankee con cretinismo campagnolo annesso, volpe e cane sono amici da piccini ma nemici da grandi, secondo l’istinto naturale. Finisce bene in spregio di ogni considerazione etologica, turlupinando il pubblico infantile. Musica country and western e melense song, animazione classica, trama lineare, montaggio disteso, morale rassicurante. Esattamente per bambini. A Sofia piace e la rilassa dopo le convulsioni tersicoree di Happy Feet. Io lo sopporto, ma non l’han fatto per me, è chiaro. (Dvd; 8/7/08)

Cronache del pre-Bomba
dvd6407Se non lo scrive, non esiste.
Sarà che non dormo da due mesi, ma ormai devo scrivere ogni cosa. Ma non solo per raccontare la mia vita in scala 1 a 1, proprio per ricordarmi ogni cosa che devo fare. Ci manca che mi segni sul taccuino “vai in ufficio”, “mangia”, “caga”. E devo appuntarmi anche tutti i bagliori di memoria: se queste cose non le segno ora, adesso, subito, non le recupererò più.
Per cui eccovi una veloce Cronaca di prima che diventassi una palla di lardo, per nervoso e golosità compulsiva incurabile. Siamo negli anni Settanta più profondi e io sono in piazza Ragazzi del ’99, a Genova, in un cinema che oggi è diventato un supermercato. Non so come, ma son finito lì per una proiezione gratuita del pessimo Tarzan in India con protagonista un biondone col torace enorme (scopro ora il suo nome: tale Jock Mahoney). Tra i due tempi di un film la cui evidenza come vaccata era chiara anche ai miei 7/8 anni, una cinevendita infinita – giuro – di pentolame assortito. Come ci ero capitato a ‘sta cosa? Ricordo che in quegli anni ti arrivavano cartoline o telefonate a casa in cui ti proponevano di andare a ritirare un regalo per il tuo compleanno e allo stesso tempo provavano a venderti un’enciclopedia. Mia madre avrà letto che c’era una proiezione gratis e allora… sai, da genovesi…
Del resto erano tempi di ingenuo marketing e zero privacy.
Più o meno come adesso: mi chiamano a tutte le ore sul telefono di casa per propormi magiche offerte per ogni operatore telefonico. Siccome non sono sull’elenco da sempre, stanno utilizzando il numero del vecchio inquilino, ma non di rado sanno anche il mio nome. La prima volta sono cortese ma con una punta di fastidio, la seconda irritato, la terza sbotto e bestemmio come un camallo: chi cazzo vi ha detto chi sono?
E qui il colpo di genio. Loro, però: “Non glielo posso dire per rispetto della privacy”! Aaargh!
Chiamo ‘sto benedetto Garante della privacy, l’authority che dovrebbe difendermi dalla pubblicità invasiva, tra le altre cose (presieduta da tale Francesco Pizzetti che guadagna per il disturbo 289mila euro all’anno, misero), e il gentilissimo operatore telefonico mi invita a iscrivermi al Registro delle opposizioni. Siccome siamo in un paese medievale sono dunque io che devo specificare che nessuno mi rompa i coglioni a casa, non loro a non doverlo fare. Come se sul portone di casa ci dovesse essere una targhetta: “Non gradisco furti in casa”, se no è lecito entrare e rubare quel che si può. E perché non girare per strada con la t-shirt con scritto “Non inculatemi” sulla schiena, allora? Vabbeh. Ci metto venti minuti a far capire all’operatore che non posso iscrivermi al Registro, perché NON sono sull’elenco telefonico. Compreso – ma dopo un po’ – il Comma 22, subentra il silenzio. Poi la soluzione: compilare una protesta dove devo specificare tutti i dati sensibili possibili, pure con gli estremi della carta d’identità, ci mancano giusto il peso, il deodorante che uso (Neutro Roberts, banale, lo so) e il curriculum studi.
Insomma: il Garante garantisce quelli da cui dovrebbe difendermi. Rinuncio rodendomi il fegato. E poi non dormo. E devo segnarmi tutto.
dvd6408Giusto, dov’ero rimasto? Ah, sì: ritorno al passato, fine anni Settanta: La gang dei Dobermann in un cinema di corso Buenos Aires, sempre a Genova, con mia nonna Franca che chissà come aveva scelto quel titolo. Anche quella sala oggi è un supermarket e il thriller canino da straculto – lo ricordo nitidamente – faceva cagare a spruzzo anche uno di bocca buona come me.
E poi non so più il titolo di un film che ho visto al parrocchiale di Casella, nell’entroterra genovese vicino a Busalla (dove, in quegli anni, mi beccai anche il flaccido I due superpiedi quasi piatti con Bud e Terence e il colonialista La conquista del West, in bianco e nero). Quello di Casella era invece un western fossile – tipo anni Sessanta – che finiva con l’arrivo del Settimo cavalleggeri a salvare qualcuno catturato dagli apache cattivi. Ricordo ancora i colori vivissimi, la grotta dove stavano i prigionieri e l’eroico trombettiere (era forse di colore? Mi ha influenzato Hollywood Party?) che riusciva a dare l’allarme per non fare cascare i suoi commilitoni in un’imboscata…
Ecco, quel titolo, purtroppo, è perso per sempre: non posso più scrivermelo.

dvd6409709 – L’ennesimo classico: Gli Aristogatti di Wolfgang Reitherman, USA 1970
E anche qui, come in Ortone c’è un personaggio, il gatto Romeo, che – non si sa bene perché, o meglio sì: per qualche astuzia dei traduttori creativi – parla romanesco (con la voce di Renzo Montagnani). E poi il quadro è stato tagliato dagli originali 7:4, come se non fosse possibile vederselo (se siete dei deficienti) autonomamente in 16:9, zoomando sull’immagine, preservando però la ratio per chi vuole vederselo così come il film era stato fatto. Il concetto di composizione dell’immagine evidentemente sfugge alla Disney, anche in un’edizione deluxe come questa: che grossissime teste di. Vabbeh. Per fortuna Sofia non lo sa e gode di questa simpatica avventura e io non sporgerò denuncia al Telefono Azzurro. Mi attacco a ‘ste cose perché sono fuso come la colata di un altoforno e non mi faccio un sonno filato da cinque ore da almeno due mesi e mezzo e la famosa svolta del settantesimo giorno di cui blaterano i pediatri non esiste, credetemi. Comunque, dette queste cose assolutamente fondamentali, il film è caruccio. Semplice semplice, con un’architettura classista che faccio finta di non notare (ma se mi metto anche a pensare a Dorfman e Mattelart e al loro Come leggere Paperino allora è la fine), è ricchissimo cromaticamente e pittoricamente, con sfondi parigini Belle Epoque deliziosi. Tratto anni Sessanta, qualche zoom (era il periodo, del resto, in cui lo si utilizzava di più anche nel cinema non d’animazione), belle caratterizzazioni e scatenata musica dixieland (che non c’entra nulla a Parigi, ma non importa). (Dvd; 19/7/08)

dvd6410710 – Di corsa assieme a Balto di Simon Wells, USA 1995
Gradevole filmetto spielberghiano che Sofia molto apprezza. Si ispira alla corsa sulla neve di una squadra di cani che nel 1924 portò di gran carriera un medicinale a Nome, Alaska, salvando così molti bimbi da una morte per difterite. Quando una vicenda si ispira a un fatto reale è evidente che l’hanno stravolta per fini cinematografici, ma al Central Park di New York c’è effettivamente un monumento al cane Balto che guidò la spericolata corsa tra i ghiacci. Animazione tradizionale, cast “disneyano” (animali umanizzati, antagonista cattivo con coprotagonisti comici, storia d’amore, uomini di contorno), buon ritmo, narrazione semplice e diverse ideuzze rubate poi da L’era glaciale (ne conto almeno quattro). Prologo e finale con sorpresa filmati dal vero e non particolarmente riusciti. Buonino. (Dvd; 28/7/08)

dvd6411711 – Estate animata con Alla ricerca di Nemo di Andrew Stanton, USA 2003
Niente di nuovo da dichiarare rispetto a quanto già blaterato alla prima visione (vedi qui). Ora l’interesse è vedere la reazione della pupattola: è molto più affamata di cinema di me, ha l’hard disk vuoto e soprattutto è decisamente più sveglia. Coglie particolari e significati che ormai al mio occhio cinico e – vista anche l’ambientazione marina – giustamente da triglia, sfuggono. Me li passa e io puntualmente dimentico, tanto che adesso non ho nulla da scrivere. Comunque ha apprezzato, anche se rispetto agli altri film visti quest’estate è un po’ più difficoltoso (due vicende parallele abbastanza articolate, molti episodi, troppe ambientazioni) e non so se lei riesca a comprenderne il disegno generale: le piace ma non lo richiede – per fortuna – nei giorni successivi alla prima visione. Ci sarà un motivo, no? (Dvd; 1/8/08)

dvd6412712 – E ancora: Le avventure di Bianca e Bernie di tre vecchie volpi, USA 1977
L’aristocratica Bianca e il proletario Bernie volano a recuperare un’orfanella rapita, passando da una New York cosmopolita e moderna a un sud fangoso popolato da assortito white trash. Fiaba carina e ritmata e progetto che risente un po’ dell’indecisione Disney anni Settanta: le musiche, il montaggio e anche il tratto del disegno non rispondono mai – secondo me – a un progetto forte, unitario, ma sembrano sempre un po’ a cavallo tra classicismo e rinnovamento. La regia era di tre veterani di Burbank (Wolfgang Reitherman, Art Stevens e John Lounsbery, morto a lavorazione in corso) e il film sbancò il botteghino. A Sofia è piaciuto, ovviamente, nonostante sia molto dark e abbastanza tensivo. A me sembra un’occasione persa, anche perché l’ambientazione nelle paludi del sud degli States poteva essere veramente spunto per un sacco di cose che rimangono solo a livello embrionale: c’è giusto una gag sulla grappa bootleg esplosiva, ecco. Un po’ poco, ma anche qui le visioni ripetute e il sorriso stampato sulla faccia di mia figlia mitigano il giudizio. Tagliato arbitrariamente in widescreen ad usum yankeebus coglionibus. (Dvd; 14/8/08)

dvd6413713 – L’insostenibile fracassamento genitale di Anna dai capelli rossi, Giappone 1979
La nonna Claudia regala alla nipotina i primi due episodi di questo seriale giapponese di fine anni Settanta e la visione risulta devastante: un cagamento di cazzo mai visto. America di inizio secolo, direi: Anna è un’orfana macrocefala e rossocrinita, una stracciacoglioni di livello galattico che per errore viene mandata ad una coppia adottiva (fratello e sorella anziani) che però voleva un maschio che li aiutasse nei campi. Il primo episodio consta praticamente di tre scene. In una la signora Cuthbert racconta a un’altra comare perché vuole adottare un bambino ed è un realistico conciliabolo tra due vecchie zitelle rimbambite che ripetono le cose più volte. Ci mancava giusto la gag della sordità per allungare la broda e giuro che non avrebbe stupito. La seconda scena vede il signor Cuthbert che in stazione attende il ragazzo, con di fianco Anna che aspetta. Silenzio e attesa per qualche minuto fino al reciproco riconoscimento. Infine, nell’ultima scena, eterna ed esiziale, la strana coppia si dirige verso casa e praticamente il viaggio in calesse è in tempo reale: una dozzina di minuti di commenti estatici della cretina dai capelli rossi che vede la campagna, i fiori e i colori, e orgasma tutto il tempo. Col povero Cuthbert che dovrebbe affezionarsi a ‘sta rompiballe petulante, logorroica e perbenista. Sofia l’ha guardato distraendosi continuamente e io mi volevo sparare una rivoltellata: questo non è un cartone animato, è un Sinflex grosso come una boccia da bowling. Al confronto un film di Ozu sembra un action movie e consiglierei l’uso di questo Dvd in sala operatoria perché io non ho mai provato un anestetico così potente. Micidiale e firmato, secondo l’IMDB, da Hayao Miyazaki come scene design e layout: non so bene cosa significhi, se non che anche lui è coinvolto in questo disastro e la cosa mi inquieta molto. Sigla di Albertelli e Tempera scopiazzata impunemente da Boney M., musicalmente gradevole ma un po’ insensata a livello di testo. Non andiamo oltre le prime due puntate, comunque: come Lubitsch, vogliamo vivere! (Dvd; 16/8/08)

dvd6414716 – L’improbabile Sognando Beckham di Gurinder Chadha, USA/Gran Bretagna/Germania 2002
Concludo l’annata scolastica 07/08 con un film da grandi. Per modo di dire, visto che si tratta di una commedia giovanilistica, ma sembro un recluso di Guantanamo, esaurito dalla deprivazione del sonno e dai continui cartoni animati, e mi berrei qualunque sbobba. La Rai m’è venuta incontro con questo filmetto commerciale, politicamente corretto e completamente implausibile. Keira Knightley e Parminder Nagra, una ragazza di origine indiana, giocano a pallone: le due faranno strada nonostante opposizioni familiari e la rivalità in amore nei confronti dell’allenatore, il plasticoso Jonathan Rhys-Meyers. Che, e qui si tocca il sublime, preferisce l’immigrata alla Knightley, nello splendore dei suoi vent’anni, gnocca come non mai. E vabbeh, buoni sentimenti e cinema permettono queste fantasie folli (sono semplicemente innamorato di Keira e molto geloso). Commediola multirazziale ruffiana, ben congegnata e con aberrazioni calcistiche degne di Holly e Benji. Ma in una sera d’estate, distrutti dalla figliolanza e con troppissimo sono arretrato, si può vedere. Prima di crollare, fino al primo risveglio verso l’una circa, maledizione. (Diretta su RaiUno; 30/8/08)

(Continua – 64)

Qui le altre puntate di Divine divane visioni

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