Disoccupazione giovanile – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 25 Dec 2024 21:00:48 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 “DEVONO IMPARARE A OBBEDIRE”. Lo stage: lavoro coatto gratuito en travesti https://www.carmillaonline.com/2017/11/02/devono-imparare-obbedire-lo-stage-lavoro-coatto-gratuito-en-travesti/ Thu, 02 Nov 2017 22:00:17 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41244 di Alessandro Mantovani

Rossana Cillo (a cura di), Nuove frontiere della precarietà del lavoro, Stage, tirocini e lavoro degli studenti universitari, Venezia, Ed. Ca’ Foscari, 2017, pp.296, free access.

La risposta di Renzi allo sciopero con cui gli studenti, venerdì 13 ottobre, sono scesi in piazza in tutta Italia per protestare contro le forche caudine della cosiddetta “alternanza scuola-lavoro” introdotta obbligatoriamente dalle regole della sedicente “buona-scuola”, non si è fatta attendere: ha proposto che il servizio civile, attualmente volontario, divenga obbligatorio, per un mese, per tutti i giovani. Una contromossa, come si vede, che suona come provocatoria verso le richieste [...]]]> di Alessandro Mantovani

Rossana Cillo (a cura di), Nuove frontiere della precarietà del lavoro, Stage, tirocini e lavoro degli studenti universitari, Venezia, Ed. Ca’ Foscari, 2017, pp.296, free access.

La risposta di Renzi allo sciopero con cui gli studenti, venerdì 13 ottobre, sono scesi in piazza in tutta Italia per protestare contro le forche caudine della cosiddetta “alternanza scuola-lavoro” introdotta obbligatoriamente dalle regole della sedicente “buona-scuola”, non si è fatta attendere: ha proposto che il servizio civile, attualmente volontario, divenga obbligatorio, per un mese, per tutti i giovani. Una contromossa, come si vede, che suona come provocatoria verso le richieste del movimento studentesco.

A questo punto, quello curato dalla Cillo è un libro necessario. Le analisi che i diversi autori presentano, e che costituiscono il primo approccio scientifico ad un mondo ancora in larga misura sconosciuto, diventano infatti in questo contesto un’arma contro l’ignobile retorica sulla “formazione” di competenze atte a risolvere il problema della disoccupazione giovanile con cui questo cinico abuso della forza lavoro viene paludato. Malgrado tutte le difficoltà nel reperire i dati, che nessuno ha interesse a raccogliere e soprattutto divulgare, difficoltà che gli autori non sottacciono, il volume riesce nell’impresa di fornirci un quadro sufficientemente ampio e chiaro della dimensione del fenomeno e delle modalità con cui irreggimenta masse crescenti di giovani dietro il miraggio di un accesso al mondo del lavoro. Promessa destinata per i più ad essere totalmente disattesa, visto che, nel nostro paese, nel settore privato, solo l’11,9% degli stagisti otterrà un contratto di lavoro nell’impresa che ha ospitato lo stage, 1 mentre nessuno (per le stesse norme che regolano l’accesso al pubblico impiego e per il blocco del turn-over) lo troverà nel settore pubblico.

Benvenuti, dunque, nell’epoca in cui stage, “tirocini” e altre forme di lavoro non pagato e totalmente privo di diritti sono ormai un fenomeno stabile di massa (vedi Expo) e istituzionalizzato: in Italia il 68% dei giovani tra i 18 e i 34 anni ha avuto almeno un’esperienza di lavoro gratuito.2 Gli stagisti, nel 2016, hanno raggiunto la fantastica cifra di un milione e mezzo, solo il 15,9% dei quali riesce ad ottenere l’indennità prevista dalle normative, 3 laddove il 70% non percepisce alcun rimborso spese, 4 appena il 43% ha firmato un accordo scritto e soltanto il 64% gode di una copertura assicurativa in caso di incidente o malattia.5

Se l’Italia, con l’introduzione dello stage obbligatorio nell’ambito dell’”alternanza scuola-lavoro”, spicca ormai per l’invenzione di una moderna forma di lavoro coatto giovanile, la gallina dalle uova d’oro della “formazione tramite lavoro” ha una dimensione internazionale ed una storia. Negli Stati Uniti una prima normativa in tal senso risale addirittura alla presidenza Johnson (anni ’60). Nel 1982 Reagan sostituì il “Public Service Employement”, volto a fornire ai giovani un’offerta di lavoro, coi “work based learning programs”, intesi ad offrire non lavoro ma “competenze” (skills). Con Clinton il ricorso agli stage venne esteso ai college e alle università (si ricorderà …Monica Lewinsky era una stagista). L’Europa comincia in ritardo, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, ma brucia in fretta le tappe, adeguando “il sistema educativo alle esigenze del neoliberismo”,6 e inserendo gli stage all’interno di una politica complessiva di flessibilizzazione della forza lavoro. In Italia le prime misure si devono al “Pacchetto Treu” del 1997, seguite dalla riforma-Berlinguer del 2000, fino all’odierna “buona scuola” renziana del 2015.

Queste misure, parte organica della politica del lavoro neoliberista a livello internazionale (adottate, ad es., anche in Cina), sono presentate all’opinione pubblica come uno sforzo per contrastare la crescente disoccupazione giovanile, ma sono in realtà, nella migliore delle ipotesi, uno sforzo di adeguare la formazione della forza lavoro alle sempre più mutevoli esigenze delle imprese: il sistema educativo e formativo deve – come spiega il McKinsey Global Institute nel rapporto Poorer than their parents? (2016) – produrre “job-ready skills”, ossia non individui “occupati”, bensì occupabili, pronti (e disposti) a cambiare lavoro, mansione, luogo. Insomma individui “flessibili”. La flexibility è infatti la religione che da anni si cerca di inculcare, anche da noi, alle nuove generazioni. In questo senso, lo stage è il primo passo della vita del lavoratore precario moderno, capace – anche grazie alla “formazione continua” (lifelong learning) – di affrontare l’alternarsi di disoccupazione, lavoro parziale, cambio di lavoro, e, già che ci siamo, fasi di lavoro gratuito. Fa scuola, in questa direzione, la legislazione britannica, che prevede la subordinazione del sussidio di disoccupazione all’accettazione di qualsiasi forma di lavoro, anche non pagato se in forma di stage.

Questa però, è ancora la “buona” teoria. In realtà, come dimostra abbondantemente l’esperienza italiana, in gran parte dei casi lo stage non ha alcuna seria valenza formativa, e si configura come uno sfrontato mezzo per impiegare forza lavoro a costo zero in mansioni spesso degradanti, dalle fotocopie alle pulizie (i blog studenteschi sono ricchi di esempi di questo tipo).7 Alle obiezioni in questo senso politici ed imprenditori amano rispondere che, anche quando non acquisisce alcuna “competenza” relativa al proprio percorso formativo, comunque lo stagista apprende a relazionarsi con altri lavoratori e con un ambiente di lavoro, ecc. Più prosaicamente, e più cinicamente, l’assessore al lavoro della Regione Veneto, Elena Donazzan, ha dichiarato che con lo stage “s’impara ad obbedire”,8 svelando brutalmente la realtà autoritaria del fenomeno.

Non può sfuggire che la presenza di milioni di giovani, nolentes volentes costretti a darsi gratuitamente e senza diritti sul mercato internazionale del lavoro, rappresenta una minaccia per tutti i lavoratori, una pressione sui salari e le condizioni contrattuali, insomma uno “strumento formidabile di precarizzazione e disciplinamento di tutti i lavoratori, di oggi e di domani”. 9 In questo contesto non va presa troppo sottogamba la boutade del sociologo Domenico De Masi, il quale, per combattere la disoccupazione, propone ai disoccupati di offrirsi temporaneamente gratis alle imprese, al fine di esercitare una forte pressione sugli occupati, convincendoli ad accettare una riduzione dell’orario lavorativo (con corrispondente riduzione salariale), creando così posti di lavoro: “Lavorare tutti, lavorare …gratis”!

Il volume curato dalla Cillo non affronta il problema soltanto dal punto di vista sociologico, ma anche da quello teorico. Un saggio di Iside Gjiergji, in particolare, sulla scorta di Marx ed Engels, sottolinea come la precarietà e l’insicurezza siano la condizione standard di tutti i proletari in regime capitalistico, mentre la Cillo, nella sua Introduzione, evidenzia come solo una congiuntura particolare della storia di questo sistema sociale, i “trenta gloriosi”, abbia consentito ad una porzione rilevante della classe lavoratrice di sfuggirvi relativamente, facendo nascere l’idea del diritto ad un lavoro stabile, e legislazioni corrispondenti. Con la globalizzazione insomma, la società capitalistica chiude questa parentesi, rigettando di nuovo tutto il proletariato nella sua “normale” e permanente condizione d’incertezza esistenziale. Sarebbe perciò errato non soltanto ritenere che questa fase del capitalismo globalizzato stia partorendo (o abbia già partorito) una nuova classe, il precariato, ma anche che sia in corso un processo di “deproletarizzazione”.10

Ora, se concordiamo interamente sul primo punto, in quanto non vediamo alcun bisogno di introdurre una nuova classe sui generis a cavallo tra proletariato e sottoproletariato, liquidare troppo sbrigativamente la questione della “deproletarizzazione”, e magari immaginare sotto la categoria “proletariato” qualcosa di omogeneamente antagonista al sistema del capitale, sarebbe un po’ troppo auto-tranquillizzante.

In realtà gli ultimi quarant’anni hanno visto una trasformazione epocale delle società capitalistiche avanzate: le trasformazioni tecnologiche, l’informatizzazione in primis, hanno comportato una completa ristrutturazione del mercato del lavoro, con l’aumento esponenziale del lavoro flessibile, precario, atipico, ossia una “nuova morfologia del lavoro” (Antunes) che non costituisce un ritorno alla condizione proletaria dell’epoca della “rivoluzione industriale”.

Allora – malgrado l’elevato grado d’instabilità della condizione proletaria – l’elemento trainante della classe era rappresentato dal proletariato di fabbrica e la tendenza era quella di una crescente concentrazione sia urbana che produttiva dei wage workers. Una tendenza di lungo periodo, al punto da essere considerata permanente e costitutiva dell’accumulazione capitalistica. Riassumeva il Manifesto dei comunisti:

“Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato […]. Masse di operai addensate nelle fabbriche vengono organizzate militarmente […]. Ma il proletariato, con lo sviluppo dell’industria, non solo si moltiplica; viene addensato in masse più grandi, la sua forza cresce, ed esso la sente di più. Gli interessi, le condizioni di esistenza all’interno del proletariato si vanno sempre più agguagliando man mano che le macchine cancellano le differenze di lavoro […]. Il progresso dell’industria […] fa subentrare all’isolamento degli operai risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria, risultante dall’associazione. Con lo sviluppo della grande industria, dunque, vien tolto di sotto i piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono del pari inevitabili”.11

Questa tendenza, che metteva le grandi officine al centro dello scontro con la borghesia, si rifletteva nelle modalità di organizzazione e lotta dei salariati e nello strumentario teorico con cui venivano interpretate. Ecco ad es. un tipico passo di Lenin:

“È nell’organizzazione degli operai delle grandi officine – dato che le grandi officine (e fabbriche) riuniscono quella parte della classe operaia che predomina non soltanto numericamente, ma anche e ancor più per la sua influenza, la sua coscienza, la sua capacità combattiva – che risiede la forza principale del movimento”.12

Giusto o sbagliato che fosse, era questo il paradigma con cui fino alla crisi capitalistica internazionale della metà degli anni ’70 del secolo scorso il movimento proletario guardava a se stesso, ed era ben diverso da quello che attualmente si profila nelle aree di capitalismo avanzato. Se negli anni ’80 i salariati industriali dei vecchi paesi capitalistici rappresentavano ancora il 40% circa della popolazione attiva, oggi la loro incidenza si è pressoché dimezzata, e, benché il numero dei proletari e semi proletari sia da allora indubbiamente cresciuto (ad es. nei servizi), in luogo di una maggior concentrazione proletaria sui luoghi di lavoro abbiamo una sua maggiore frammentazione, in luogo dell’omogeneizzazione prevista dal Manifesto una maggiore differenziazione, per non dire disgregazione. Non si tratta di fenomeni da prendere alla leggera perché, se è vero che il “precariato” non è e non può essere una classe, è altrettanto vero che l’estensione senza uguali nella storia del numero dei disoccupati e dei “precari” aumenta non solo il numero dei proletari, ma anche quello dei sottoproletari, producendo una serie di sfumature digradanti dai primi ai secondi e rappresentando una remora importante (accanto all’invecchiamento della popolazione) ad una ripresa dell’antagonismo di classe.

Se è dunque verissimo che l’incertezza dell’esistenza costituisce un elemento permanente della figura sociale del proletariato, non ne consegue in modo meccanico che i giovani precari, gli immigrati, i lavoratori atipici (e gli stagisti) possano essere tout court e in tutti i casi assimilati al proletariato, perlomeno al proletariato tipo. Una cosa è lavorare costantemente sotto la minaccia del licenziamento, un’altra è una condizione in cui in un anno di vita si possono cambiare vari lavori e varie forme di lavoro, passando ad es. da uno stage gratuito in una ONG ad un periodo di disoccupazione, seguito da un tirocinio sottopagato da McDonalds, ancora da una pausa di disoccupazione, fino ad un altro contratto temporaneo come lavoratore atipico (con partita IVA) in un’agenzia di pubblicità. La possibilità di organizzare od anche solo immaginare una resistenza allo sfruttamento è nel secondo caso immensamente più problematica, e a nostro avviso non bisogna sottovalutare la novità permanente di questa difficoltà.

Che poi questi fattori negativi possano essere compensati da altri, come ad esempio il maggior numero di “senza riserve”, la possibilità di comunicare attraverso la rete e i social network, o un latente (ma solo latente) livellamento della condizione proletaria a livello internazionale, sono questioni da studiare che esulano dall’oggetto di Nuove frontiere della precarietà del lavoro.

Resta il fatto che “gli stage […] svolgono un ruolo chiave nell’educare i futuri lavoratori, oggi studenti, a non considerarsi lavoratori. Contemporaneamente sono uno strumento di primaria importanza per il disciplinamento dei futuri lavoratori alla precarietà, all’autosvalorizzazione, all’autosfruttamento, alle gerarchie esistenti sui luoghi di lavoro” (Cillo, p. 37), e nella “svalorizzazione complessiva della forza lavoro che è stata perseguita nei trent’anni di neoliberismo”. 13

N.B.
Il libro è scaricabile gratuitamente al seguente indirizzo:
http://edizionicafoscari.unive.it/libri/978-88-6969-160-7/


  1. Cillo, p. 29  

  2. Cillo, p. 179  

  3. Cillo, p.130  

  4. Cillo, p.179  

  5. Cillo, pp. 163-164  

  6. Cillo, p.21  

  7. https://tirocinioancheno.noblogs.org/
    www.chainworker.org
    www.repubblicadeglistagisti.it
    www.unionedegliuniversitari.it
    www.studenti.it
    www.controcampus.it  

  8. Giornale di Vicenza, 17/10/2017  

  9. Gjergji, p. 130  

  10. Gjergji, p.132  

  11. Citazioni sparse tratte dall’Edizione Einaudi del 1962, capitolo I. Borghesi e proletari  

  12. V.I. Lenin, Un passo avanti e due indietro, 1972, Ed. Riuniti, Roma, p.52  

  13. Cillo, p. 35  

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DEATH ECONOMY: KREMATORIUM. Collasso Economico Planetario: dispersione delle ceneri https://www.carmillaonline.com/2013/09/10/death-economy-krematorium-il-baratro-terminale-del-collasso-economico-planetario/ Tue, 10 Sep 2013 21:47:36 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=8971 di Alan D. Altieri crematorium

I precedenti testi di DEATH ECONOMY sono stati pubblicati qui, qui & qui (DEATH ECONOMY. Il baratro terminale del collasso economico planetario) e qui (DEATH ECONOMY: AUTOPSY)

If I owned this place and Hell, I’d rent this place out, and live in Hell. “The Chronicles of Riddick”

We’re stupid, we’ll die. “Blade Runner”

1. L’INELUTTABILE DOMINIO DELL’ENTROPIA

Un giorno, necroland cesserà di esistere. Qualche opportuno aggiustamento di tiro. La “espressione geografica” che è [...]]]> di Alan D. Altieri crematorium

I precedenti testi di DEATH ECONOMY sono stati pubblicati qui, qui & qui (DEATH ECONOMY. Il baratro terminale del collasso economico planetario) e qui (DEATH ECONOMY: AUTOPSY)

If I owned this place and Hell,
I’d rent this place out,
and live in Hell.
“The Chronicles of Riddick”

We’re stupid,
we’ll die.
“Blade Runner”

1. L’INELUTTABILE DOMINIO DELL’ENTROPIA

Un giorno, necroland cesserà di esistere.
Qualche opportuno aggiustamento di tiro. La “espressione geografica” che è necroland – città dilapidate, strade sfondate, territorio macellato, idro-geologia disastrata, coste cementificate, ambiente avvelenato etc etc etc – tutto questo esisterà ancora. Ma solo a livello geo-fisico. Per contro, sarà dilapidato, sfondato, macellato, disastrato, cementificato, avvelenato in modo non più controllabile, non più arginabile, non più riparabile.
Ultimo atto sarà la dissoluzione di quanto viene spacciato come infrastruttura nazionale. A tutti gli effetti, a necroland NON è mai esistita – non esiste nemmeno ora, né mai esisterà in futuro – nessuna infrastruttura, né nazionale né di qualsiasi altra natura.
Se non quella del crimine organizzato.
A necroland – anche se, verosimilmente, non soltanto a necroland – mafia, ’ndrangheta, camorra, maffya, triadi, yakuza etc. etc. etc. sono le uniche infrastrutture in costante crescita. Di pari passo con i loro profitti, ovviamente tax-free in quanto completamente illegali. Oh, well, nothing is perfect, right?
Tornando alla dissoluzione, essa ha un nome preciso:

default nazionale

strangolata-italia-moody-264268Il termine inglese default ha svariati significati, tutti comunque attinenti & sinonimi: difetto, omissione, mancanza, assenza, contumacia. In senso lato, un default è “qualcosa che non esiste”, o che “ha cessato di esistere.”
Il lessico della Death Economy, Economia della Morte, fase cannibalico/suicida estrema, è molto più gelidamente pragmatico di qualsiasi dizionario: default = bancarotta. Default è quindi il collasso economico, finanziario, bancario, di un qualsiasi apparato organizzato, sia esso stato, città, conglomerato, corporazione, società etc etc etc.
Default nazionale è pertanto la situazione collassata nella quale un intero stato (sovrano?) diventa incapace/inabile/inaffidabile/
incompetente/impotente a sostenere se stesso e, di conseguenza, a mantenere le proprie infrastrutture.
Quanto sopra, è null’altro che l’applicazione della ineluttabile Legge dell’Entropia, pilastro della Termo-dinamica. Il suo eunciato: “lo stato di disordine di un qualsiasi sistema complesso può solamente aumentare.”
Nel caso di necroland, essendo le sue infrastrutture non-in-esistenza, il default nazionale sarà il collasso entropico, e quindi sistemico, di tutto quello che resta.
Sarà la cremazione di un’intera epoca, il ventennio laido, che ha tramutato una nazione già intrinsecamente fragile dal punto di vista etico – ma ancora debolmente alla ricerca di un’identità ricostruibile – in una venefica sentina post-umana.

Non sussiste, né può sussistere, il benché minimo dubbio sui responsabili della cremazione prossima ventura:

necro-Kasta

Soggetti altrimenti noti & nefasti, famosi & famigerati come politiKanti.
Anticipando fin da ora la fatidica etichetta/accusa/marchio di qualunquismo — oh-my-(dead)god! Ain’t that shocking! — qualsiasi (tentativo di) differenziazione tra partiti, gruppi, movimenti, cellule, club, fondazioni etc etc etc della necro-Kasta è del tutto irrilevante. I motivi:

la necro-Kasta ha un unico interesse: la necro-Kasta;
la necro-Kasta ha un un unico scopo: perpetuare la necro-Kasta;
la necro-Kasta ha un un unico obbiettivo: mantenere & allargare profitti & privilegi della necro-Kasta;
la necro-Kasta ha un un unico programma: desertificare tutto ciò che non è necro-Kasta.

I nomi della necro-Kasta – unitamente ai nomi dei loro segretari, assistenti, portaborse, pretoriani, lenoni, escort, pusher, trans, etc etc etc – faranno da epigrafe al richiudersi del krematorium nel quale i residui smembrati, lungamente decomposti, di necroland verranno finalmente consegnati alle fiamme.
Così da essere definitivamente tramutati in ceneri ad alto contenuto tossico.
Quanto appena esposto è una metafora solo in parte.
A causa della rapidità e della contradditorietà degli eventi a necroland, non è cauto azzardare previsioni sul tempo che rimane prima dell’attivazione del krematorium. A parere dello scrivente – e NON solo dello scrivente – trattasi di un tempo breve, molto breve.
So you just get ready, out there: time waits for no (dead)man!

2. L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEI NUMERI

I necros – il (non)popolo di morti abitatore di necroland – sono agli ultimi posti al mondo riguardo a comprensione dei numeri. Hey, man, we ain’t no stinkin’ Neuton, okkkey?
La necro-Kasta è non solo congruente, ma si trova a un livello addirittura più infimo.
La necro-Kasta rimane per contro imbattibile nell’unico conteggio – di certo non matematico, ma quanto meno aritmetico – davvero cruciale: quello dei loro emolumenti. Sull’aumento dei quali l’intera necro-Kasta vota sempre solidamente compatta, nessuna astensione e/o assenza mai registrata nel necro-parlamento. In materia:

salario di un necro-deputato (anno 2012): € 180.000 (approx)
diaria di un necro-deputato (anno 2012): € 40.000 (approx)
costo totale di un necro-deputato (anno 2012): € 220.000 (approx)
numero totale necro-deputati: 630
costo totale necro-camera dei deputati (anno 2012): € 138.600.000
salario di un necro-senatore (anno 2012)): € 200.000 (approx)
salario di un necro-senatore “a vita” (anno 2012) : € 240.000 (approx)
diaria di un necro-senatore (anno 2012): € 52.000 (approx)
costo totale di un necro-senatore (anno 2012): € 250/290.000 (approx)
numero totale necro-senatori: 317
costo totale necro-senato (anno 2012): € 85.590.000 (approx)
costo totale necro-parlamentari (anno 2012): € 224.190.000 (approx)

A quanto sopra – quasi un quarto di miliardo di (n)euri all’anno – vanno poi ad aggiungersi tutti i costi relativi alle conduzione del necro-parlamento, necro-governo, necro-istituzioni: ministri, ministresse, ministrini/e, sottosegretari/e, segretari/e, stenotype, manutenzione, trasporti, approvvigionamenti, logistica, trasferte, rimborsi, prebende, privilegi, pensioni etc. etc. etc. Riprendendo, quindi, e aggiornando dati complessivi da DE #3, si arriva a cifre… bibliche:

costo complessivo necro-politiKa (anno 2012): € 1.61 miliardi (approx)

Quale termine di confronto, si prenda una qualsiasi “legge necro-finanziaria”:

Costo Totale legge necro-finanziaria, media annuale: € 14 miliardi (approx)

Per cui:

La sola poliTTiKa di necroland grava su una necro-finanziaria media per circa un ottavo del suo ammontare complessivo.

Al suddetto apparato di privilegio, di natura squisitamente feudale – ognuno dei membri della necro-Kasta, va ribadito, possiede un suo seguito che va dai vassalli ai servi della gleba fino alle meretrici – vanno ad aggiungersi stipendi di ministri & manager di stato che superano di gran lunga lo stipendio del Presidente degli Stati Uniti. Inoltre bonus, buonuscite & pensioni nell’ordine di centinaia milioni di (n)euri all’anno. A cui si aggiungono sprechi gestionali, amministrativi, logistici etc etc etc, altre centinaia di milioni di neuri all’anno, che ormai sfuggono a qualsiasi quantificazione.
A fronte di questo paesaggio da rogue nation (=stato criminale), fa da contrasto la miserabile condizione dei necros sottoposti a regime con prelievo fiscale “all’origine”:

salario lordo persona fisica (anno 2012): € 24.000
prelievo fiscale persona fisica (anno 2012): 50/55% reddito lordo
prelievo fiscale azienda (anno 2012): 60/72% reddito lordo

Scenari che comunque non possono prescindere dalla curva discendente dei dati occupazionali:

disoccupazione (anno 2012): 12% forza lavoro
disoccupazione giovanile, età 18/24 (anno 2012): 34% forza lavoro
disoccupazione globale (anno 2012): 3,2 milioni

In materia, si confronti la posizione di necroland rispetto al paesaggio complessivo europeo (fonte: http://www.floatingpath.com, qui)

Eurozone-Youth-Unemployment-May-28-2013-600x572
A detto quadro, si contrappongono beffardamente i dati relativi alla illegalità, la vera forza economica trainante di necroland in quanto, va parimenti ribadito, trattasi di somme non tracciabili, non sequestrabili, non tassabili:

proventi lavoro nero (anno 2012): € 155 miliardi
ammontare evasione fiscale (anno 2012): € 230 miliardi
profitti crimine organizzato (anno 2012): € 135 miliardi
Perdita Erariale Totale (anno 2012): € 520 miliardi

Come termine di riferimento valga il PIL (Prodotto Interno Lord) di necroland calcolato per l’anno 2012:

Prodotto Interno Lordo (anno 2012): € 1.688 miliardi.

L’implicazione è evidente:
Un terzo della economia complessiva di necroland è di natura illegale, fraudolenta, criminale.

Il che conduce al dato finale, e terminale:

debito pubblico di necroland (anno 2013): € 2.052 TRILIARDI

Vale a dire la cifra 2,052 seguita da dodici zeri.

Considerando un rapporto di cambio valutario tra [(n)euro] e $ [dollaro USA], pari 1,3, il debito pubblico di necroland ammonta così a 3.04 triliardi di dollari US. Equivalente a poco meno di un sesto del debito pubblico degli Stati Uniti d’America: 17 triliardi di dollari US, la cifra 17 seguita da dodici zeri. La tabella seguente offre un raffronto allargato con le altre nazioni europee [clicca qui per ingrandirla]:

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Tornando alla marcia suicida guidata della necro-Kasta verso il krematorium del default nazionale, è però opportuno procedere a un minimo di aggiornamento e di ri-focalizzazione.

3. L’INTOLLERABILE PESANTEZZA DELL’ARROGANZA

AD 2011, novembre. A fronte del rapido degenerarsi della situazione economica, sociale & poliTTiKa – vedi DE #4 – a necroland viene insediato di un governo “techno”.
Il governo in carica – demokratikamente eletto attraverso liBBere eleZZioni condotte con il sia pure controverso sistema elettorale chiamato bordellum – governo che peraltro è una ennesima, trimalcionesca espressione del “ventennio laido”, viene sostituito da un techno-direttorio con missione “salvifica” a livello nazionale & non solo. È un atto oggettivamente controverso, da più parti definito incostituzionale, illegale, golpista etc etc etc.
Detto techno-direttorio è una oKulata selezione di (presunte) grandi teste: professori, docenti, consulenti, banchieri, manager, esperti etc etc etc. Grandi teste a elevata esperienza e/o competenza specifica – ma soprattutto (presunti) al di fuori dalla necro-Kasta – di certo riusciranno laddove la necro-Kasta gravemente & grevemente fallisce da decenni.
Il techno-direttorio è sostenuto da una maggioranza a propria volta stile bordellum tipica di necroland. Partiti che (all’apparenza) professano viscerali odio & disprezzo nei confronti gli uni degli altri, ma che (nella sostanza) continuano a procedere nel ben noto programma della necro-Kasta.

Parola d’ordine del techno-direttorio: rigore. Da attuarsi nel senso più lato possibile attraverso l’attuazione di una serie di misure informate da oKKiuta & altretanto oKulata austerità. Oh (dead) god, help us all!…
AD 2013, primavera. Dopo diciotto mesi di doppietta (a canne mozze) rigore & austerità, i techno portano la legislatura alla conclusione (in)naturale. Viene quindi il momento di trarre le conclusioni di tale esperienza. In materia, l’opinione dominante rimane impietosa.
Al di là della loro epocale arroganza, spocchia, cialtroneria, ridicolaggine, ignoranza, inadeguatezza, incompetenza riguardo ad alcune fondamentali leggi sempre blaterate ma mai realizzate – prima tra tutte la riforma del famigerato bordellum – a riassumere l’egualmente epocale fallimento dei techno è sufficiente un unico dato:

debito pubblico di necroland  (marzo 2012):                                €  2,000 triliardi
debito pubblico di necroland  (marzo 2013):                                €  2,034 triliardi

auschwitz_01 Pertanto, in soli dodici mesi di rigore da burla, austerità da farsa, legalità da trivio, tassazione da sfacelo, proclami da baraccone etc etc etc:

i techno riescono a pompare il debito pubblico di necroland di altri 34 miliardi di (n)neuri,

È l’equivalente di 2,834 miliardi di (n)euri al mese. In dodici mesi, i techno scavando nelle cime abissali delle finanze di necroland un ulteriore abisso profondo più del doppio di due necro-finanziarie cumulate. Hey, man, are we the REAL brainers, or what?

Completata la salvifica opera di cui sopra, i techno si fanno da parte, incassando in ogni caso congrue/i cariche, titoli, prebende, liquidazioni, bonus, benefici, pensioni etc etc, lasciando quindi nuovamente campo libero alla necro-Kasta. Inoltre, giusto per tamponare le lacune che restano, parecchie delle grandi, grandissime teste techno trovano modo di riciclarsi nella necro-kasta stessa. What an unexpected surprise!

4. L’IMMARCESCIBILE FARDELLO DELL’AVIDITÀ

Il presente intervento non analizza la progressione – da molti definita indecente, infuriante, infamante – che conduce alle susseguenti elezioni poliTTiKe, condotte ancora una volta con l’esecrabile (a parole) bordellum, elezioni che portano la necro-Kasta alla formazione del governo attualmente in carica.
La nuova maggioranza è null’altro che la clonazione della techno-maggioranza precedente. Così come il nuovo necro-governo è null’altro che una la clonazione, virata ancora di più al ridicolo, del techno-direttorio.
Rafforzato (a parole) dall’illusorio, fittizio abbassamento del famigerato spread – divario percentuale tra titoli di (non)Stato e bund emessi dalla Germania – l’attuale necro-governo continua quindi a perseguire la strada economica dei techno: rigorosa & austera messa all’asta di titoli di (non)stato con scadenze a cinque, dieci anni.

Come la definizione stessa implica, un titolo di (non)stato è un frammento finanziario del (non)stato stesso. Il necro-governo continua così a (s)vendere – a conglomerati bancari, entità finanziarie multi-nazionali, investitori privati, oligarchi d’assalto, altri stati criminali, etc etc etc – frammenti del (non)stato. Ancora una volta però, la necro-Kasta non focalizza. O forse focalizza perfettamente:

Giorno verrà in cui il (non)stato medesimo sarà costretto a ri-comprare quei medesimi frammenti, gravati peraltro di un interesse attorno al 4/5%.

Per cui:

Domanda: con un (non)stato attualmente sommerso da 2.052 triliardi di (n)euri di debito pubblico, dove trovarà mai la necro-Kasta i fondi per ri-acquistare, su un arco di tempo di cinque/dieci anni, quegli stessi frammenti?

Risposta: da nessuna parte.

Uno stato in default nazionale (bancarotta) è, appunto, bancarotta.
Uno stato in default nazionale (bancarotta) è uno stato fallito.
Fallimento che la necro-Kasta premeditatamente, autodistruttivamente finge di ignorare.

In realtà, la necro-Kasta non può fare altro, non ritiene di fare fare altro, non vuole fare altro. Per la necro-Kasta ogni giorno di privilegi, prebende, vassalli, valvassori, valvassini, servi della gleba, pusher & meretrici È un giorno guadagnato. Ecco perché da più parti tra le grandi, titaniche teste della necro-Kasta si sente rimbalzare una la medesima indecente, infuriante, infamante barzelletta: a noi questo non può accadere.
Giusto?
Sbagliato.
Avendo i necros, i necro-techno & la necro-Kasta la memoria corta, premeditatamente, autodistruttivamente corta, non sorprende affatto che i soggetti di cui sopra non ricordino che, in tempi molto recenti, questo è già accaduto.
Dal 2009 alla data attuale, tre stati europei – Islanda, Grecia, Cipro – sono già (ufficiosamente) andati in bancarotta.
By the way, anche una fondamentale metropoli americana, per quelle necro-memorie ancora più corte, è andata bancarotta. Trattasi di Detroit, Michigan, impero (dead & buried) dell’automobile. O forse è necro-mobile? Who can say?
Detroit è schiantata da un default pari a 18 miliardi di dollari. Trattasi di oltre il doppio dell’attuale deficit dello stato della California, 31 miliardi di dollari.
Se è accaduto in questi luoghi, allora più accadere in qualsiasi altro luogo.
E necroland – per quanto dilapidata, sfondata, macellata, disastrata, cementificata, avvelenata – È comunque un luogo.

5. L’INESORABILE INCOMBERE DEL META-CENTRO

perfect_storm_03 Nel suo best-seller mondiale The Perfect Storm – divenuto poi un kolossal cinematografico di mirabolanti effetti speciali diretto dal più che notevole regista tedesco Wolfgang Petersen – , l’Autore americano Sebastian Junger spiega con estrema chiarezza in che modo uno scafo che superi ciò che viene definito “limite meta-centrico critico” sia fatalmente, ineluttabilmente destinato a rovesciarsi.
Il “meta-centro”, punto di applicazione del vettore della spinta archimedea (la forza che permette agli scafi di galleggiare sull’acqua) è l’equivalente idrodinamico del baricentro, punto di applicazione del vettore attrazione di gravità (la forza che permette alle masse di restare appoggiati alla terra).
La Torre di Pisa non cade in quanto la linea verticale tracciata dal suo baricentro fino al suolo rimane (per ora) all’interno del poligono di base. Il “limite baricentrico critico” (perimetro del poligono di base) non è quindi superato.
Tornando agli scafi, un qualsiasi velista alle prime armi è in grado di spiegare come uno scafo dotato di chiglia di deriva finisca con il rovesciarsi nel momento in cui la punta della chiglia di deriva esce dall’acqua. Questo è il “limite meta-centrico critico”.
Può sorprendere solo fino a un certo punto che gli equilibri e/o dis-equilibri dei vettori macro-economici – a meno delle inevitabili varianti & variabili generate della meccanica statistica e della legge del caos – presentino similitudini con gli equilibri meta-centrici.
Tornando a necroland, ed evidenziando di nuovo i dati terminali:

debito pubblico: 2.052 triliardi di (n)euri, in aumento;
disoccupazione nazionale: 3.2 milioni di unità, in aumento;
prelievo fiscale pro-capite: 50%, in aumento;

L’implicazione diretta è che nessun sistema economico-finanziario può risalire da un simile baratro di depauperamento, peraltro in ulteriore, inarrestabile aumento. A necroland, sotto una pressione di debito pubblico pari a 2.025 triliardi di (n)euri il limite meta-centrico critico è già superato. Conclusione:

necroland è inesorabilmente destinata a finire nel kramatorium del default nazionale.

Il punto non è se questo accadrà.
Il punto è quando questo accadrà.

6. L’INELUTTABILE PERVICACIA DEL SUICIDIO

Alla data della stesura del presente intervento, l’attuale governo necroland si trova in una condizione di estremo dis-equilibrio. Datta condizione sembrerebbe essere stata superata dal vero di una ennesima legge (necro)finanziaria. Nella realtà, tempi & metodi di applicabilità della legge medesima rimangono dubbi. Indubbia è per contro l’instabilità del necro-governo.
silvio-berlusconi-dietro-197290_tnPrimario motivo di instabilità non è il macigno del debito pubblico, non è l’ombra a lunga del krematorium, non è la tensione sociale causata della disoccupazione rampante, non è la protesta di una larga parte dell’opinione pubblica volta alla salvaguardia della carta costituzionale.
Primario motivo d’instabilità del governo di necroland è il futuro penale, e conseguentemente poliTTiKo, di un unico personaggio, un solo individuo a fronte di sessanta milioni di necros.
Davanti a condanna penale definitiva in tutti e tre i gradi di giudizio, il necro-parlamento è quindi chiamato, per legge, a votare l’espulsione di detto personaggio da qualsiasi carica poliTTiKa.
Per converso, nella prospettiva individuale di detto personaggio – demiurgo di un partito da lui stesso creato pressoché dal nulla – la situazione di cui sopra è inconcepibile e inaccettabile, intollerabile e irricevibile.
Detto personaggio, e la dirigenza del partito da lui creato dal nulla, rimangono fermi nelle loro posizioni:
deve essere trovata una soluzione affinché l’espulsione non abbia luogo.
Deve essere trovata una configurazione che cancelli la realtà giudiziaria e la sostituisca con una realtà disconnect opportunamente confezionata a misura e su misura del detto personaggio.
Si potrebbe argomentare che, qualora siffatta soluzione/configurazione venisse davvero trovata – e susseguente posta in essere dalla necro-Kasta – allora necroland sarebbe effettivante una (non)società distopica. Sarebbe realmente n (non)luogo dove il concetto di “legge” perde qualsiasi significato significato e il criterio di congruenza non tanto poliTTika quanto etica si tramuta in una sorta di disquisizione sul sesso degli angeli.

In sostanza, si potrebbe quindi argomentare che, qualora siffatta soluzione/configurazione venisse davvero trovata, necroland cesserebbe di essere un luogo di leggi.

Detto personaggio lancia/ha lanciato svariati ultimatum che sembrano rievocare fin troppo un altro, tragicamente profetico, ultimatum: Après mois, le déluge!
All’atto della stesura del presente intervento, il diBBattiDo che si avvita su quanto suesposto sembra avvicinarsi al day of reckoning, il giorno della resa dei conti.
Eppure, a dispetto della surreale risonanza di quanto suesposto, potrebbe non essere inverosimile che il destino di detto personaggio sia ormai del tutto irrilevante. Wait a sec
Così come anche i destini del governo di necroland, del parlamento di necroland, della distopica (non)società di necroland siano ugualmente del tutto irrilevanti.
L’Economia della Morte ha propri algoritmi, proprie equazioni, proprie modalità. E forse, per l’Economia della Morte, fase cannibalico-suicida estrema

il tempo di necroland è scaduto.

Forse, sia chiaro.
Inoltre, nell’ambito allargato dell’Economia della Morte, può bastare una instabilità, una sola – connessa a una qualsiasi delle sue componenti cannibalico-suicide – perché il limite baricentrico critico di necroland, già superato, vada definitivamente in frantumi.
Oltre quei frantumi c’è solo il default nazionale. Le déluge, appunto. E quindi il krematorium.
Quale genere di instabilità? Well, simili scenari sono di facile intuizione. Nell’attuale, isterica marco-economia globalizzata, l’innesco dell’instabilità potrebbe essere:

una nuova crisi petrolifera;
una ennesima guerra in uno scacchiere strategico;
un dirompente attentato terroristico;
un epocale fallimento bancario;
l’improvviso decesso di una qualche figura chiave;

Tutti eventi in grado di fare saltare il banco. Ma soprattutto le banche. O anche, in chiave di mega-cospirazione:

la volontà da parte della DE di portare necroland al day or reckoning.

Il precedente intervento della serie Death Economy si chiude con una visione forse non così millenaristica di quello che potrebbe accadere nel momento in cui il governo di necroland (o qualsiasi imitazione del medesimo) dichiarasse il default nazionale. Riassumendo al massimo:

sistema bancario (o qualsivoglia imitazione del medesimo) fallito;
scambi import-export (o qualsivoglia imitazone dei medesimi) interrotti;
apparati governativi (o qualsivoglia imitazione dei medesimi) disgregati;
sistemi pensionistici (o qualsivoglia imitazione dei medesimi) bloccati;
produzione industriale (o qualsivoglia imitazione della medesima) azzerata;
servizi pubblici (o qualsivoglia imitazione dei medesimi) cancellati;
apparati sanitari (o qualsivoglia imitazione dei medesimi) annullati.

Oltre il default nazionale, necroland potrebbe così diventare una sorta di cuneo da quarto mondo – allo stesso livello, se non addirittura inferiore, di luoghi quali Nigeria, Etiopia, Bangladesh, Afghanistan, Pakistan etc etc etc – conficcato nelle parti intime della cosiddetta (dis)UE, (dis)Unione Europea, veicolo pseudo-internazionale tra i più ininfluenti, inefficaci, inutili, ma anche più offensivamente costosi, attualmente in (non)esistenza.
In un ulteriore scenario oltre il default nazionale, necroland potrebbe essere “kommissariata” dalla suddetta UE. That’s right.
Vista la storica incapacità di necroland ad amministrare se stessa, vista la sua genetica impotenza a gestire una qualsiasi crisi sistemica, potrebbe rivelarsi necessario trattare necroland quale (concetto già menzionato) rogue nation, stato criminale.
Ciò implicherebbe la sospensione della costituzione, lo scioglimento (coatto) del parlamento, l’avvento di un primo ministro incaricato “da fuori”, corpi militari “della pace” inviati “da fuori”, milizie private arruolate “da fuori” che facciano rispettare le leggi in una situazione di “stato di emergenza permanente.”
Oltre il default nazionale, necroland potrebbe peraltro essere teatro di una “guerra tra poveri”: necros che si sbranano gli uni con gli altri per una confezione di tonno in scatola e/o per un sixpack di acqua minerale in bottiglia di plastica riciclata. Don’t you just LOVE this concept? Un buon esempio grafico di quanto sopra può venire da questo video.

Andando addirittura oltre l’estremo, essendo necroland comunque parte integrante della macro-economia globalizzata, il default nazionale potrebbe addirittura innescare una reazione a catena nell’ambito dell’intero sistema Death Economy. Collasso della moneta unica europea, contraccolpi su dollaro e yen et al, disgregazione dei rapporti di forza finanziari su vasta scala, caduta verticale dei mercati azionari etc etc etc.
Ironicamente, oltre il default nazionale, necroland potrebbe rivelarsi l’anello più forte della catena: l’anello che spezza la catena stessa.
E questo, tutto questo, È l’essenza profonda della Death Economy, Economia della Morte: suicidio assoluto, cannibalismo terminale.

Ma questo, tutto questo, è anche, inevitabilmente, congettura.

Deve per contro essere ricordato di nuovo che questo, tutto questo, È GIÀ accaduto.
Al di là degli esempi menzionati in precedenza, sono molti gli imperi, molte le nazioni che, nel corso del tempo, hanno commesso suicidio sull’altare della Death Economy. Citando solo gli esempi storicamente più recenti:

– nella seconda metà del Secolo XVII l’impero spagnolo andò bancarotta a causa delle infami politiche di razzia nel Nuovo Mondo e del ferneticante coinvolgimento nella Guerra dei Trent’anni;

– alla fine del secolo XVIII, il Regno di Francia andò bancarotta a causa della disastrosa conduzione delle finanze nazionali, sprofondando poi nella Rivoluzione Francese e nell’ulteriore disastro dell’era napoleonica;

– agli inizi del Secolo XX, l’impero russo degli zar andò bancarotta per le stesse ragioni, aprendo così la strada alla Rivoluzione d’Ottobre e al marxismo-leninismo;

– al primo terzo del Secolo XX, gli Stati Uniti andarono bancarotta nel Black Monday del 1929, finendo in un baratro di dissoluzione e degenerazione dal quale si risollevarono solamente quindici anni più tardi;

– alla metà dello stesso secolo XX, la Germania andò bancarotta dopo avere commesso suicidio politico, sociale ed economico seguendo il delirio genocidario di tale Adolf Hitler, provocando da un lato la distruzione dell’Europa, dall’altro lato la propria distruzione e auto-distruzione;

– all’ultimo quarto del Secolo XX, il marxismo-leninismo sovietico andò a propria volta bancarotta, spezzato dal doppio moloch economico di una buroKraZZia sauriana e della delirante corsa agli armamenti nucleari pompata dalla Guerra Fredda;

– nella prima decade del presente secolo XXI, gli Stati Uniti hanno di nuovo sfiorato la bancarotta nell’orgia della Economia della Morte iniziata nel 2008 con la gigantesca frode dei titoli tossici e dei mutui immobiliari a basso livello (sub-prime).

Nell’Economia della Morte nessuno, nessuno in assoluto, è immune dal krematorium.

Certamente non può esserne immune un (non)luogo grottesco e farsesco, deturpato e depravato come necroland.
Il che conduce a una inevitabile domanda: Esiste un futuro oltre il krematorium?
La ugualmente inevitabile risposta: Esiste sempre un futuro, certo.
Forse questo futuro è descritto in modo lapidario da una lirica di Jim Morrison, rocker & poeta che ancora oggi sfida l’immortalità:

We live, we die,
But death ends it not,
Journey we more into the nightmare.

Noi viviamo, noi moriamo,
Ma la morte non è la fine,
Il viaggio dentro l’incubo continua.

the_road

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La voce del padrone (seconda parte) https://www.carmillaonline.com/2013/07/03/la-voce-del-padrone-seconda-parte/ Tue, 02 Jul 2013 23:00:07 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=7058 di Sandro Moiso

gezi park

Proprio mentre mi accingevo a scrivere la seconda parte di questo intervento ho letto, su un supplemento mensile del Sole 24ore, che “uno studio scientifico invita a diffidare di chi propone soluzioni radicali ai problemi più delicati: di solito non sanno di che cosa stanno parlando, sono solo ignoranti”*. E io che pensavo che le molotov dei manifestanti brasiliani contro i municipi e i parlamenti regionali costituissero l’equivalente, in termini di sintesi di una teoria critica della società, della formula einsteiniana della relatività ristretta (E = mc²)!?!

 Ma forte del [...]]]> di Sandro Moiso

gezi park

Proprio mentre mi accingevo a scrivere la seconda parte di questo intervento ho letto, su un supplemento mensile del Sole 24ore, che “uno studio scientifico invita a diffidare di chi propone soluzioni radicali ai problemi più delicati: di solito non sanno di che cosa stanno parlando, sono solo ignoranti*. E io che pensavo che le molotov dei manifestanti brasiliani contro i municipi e i parlamenti regionali costituissero l’equivalente, in termini di sintesi di una teoria critica della società, della formula einsteiniana della relatività ristretta (E = mc²)!?!

 Ma forte del mio ignorante estremismo, corroborato, nonostante tutto, da una bella serie storica di ignoranti ed estremisti (da Karl Marx a Rosa Luxemburg e da Friedrich Engels a Amadeo Bordiga), ho deciso di continuare lo stesso a cercare di disvelare ciò che si nasconde in alcune semplicistiche affermazioni, collegate ai problemi della crisi e del lavoro, contenute nei più recenti non-provvedimenti governativi e in alcune affermazioni di principio di sindacati e movimenti, presunti, di opposizione.

Che i provvedimenti governativi varati negli ultimi tempi siano, a tutti gli effetti, dei non-provvedimenti è ormai cosa acclarata anche da i principali organi di informazione di regime. Il gioco delle tre carte con cui il governo Letta cerca di guadagnare tempo in attesa dei mitici miliardi di euro previsti in entrata dalle casse europee per il 2014 è sotto gli occhi di tutti. Il caso del rinvio del pagamento dell’Imu e dell’aumento dell’IVA grazie ad un saldo anticipato di Irpef, Irap ed altri balzelli oppure all’aumento di tasse su carburanti e sigarette (elettroniche e non) oltre che una più che probabile ulteriore operazione autunnale di spending review ha costituito soltanto la dimostrazione più eclatante di tale modo di procedere. Una paralisi assoluta travestita da agilità.

 Le casse dello Stato sono  evidentemente vuote e il remake di “Prendi i soldi e scappa”, realizzato dal governo Monti a favore delle banche e della finanza internazionale, inizia a dare i frutti previsti, mentre nel panico generale i partiti e gli uomini di governo cercano di mantenere la calma dietro un vuoto dibattito sulle vicende giudiziarie di Berlusconi, su chi sarà il futuro segretario del PD oppure sullo scontro tra falchi e colombe nella  formazione politica berlusconiana o, ancora, con l’ennesima bufala sulla possibile estradizione di Battisti dal Brasile. Tutto, naturalmente, col più grande aplomb da parte del premier più insipido che la Repubblica abbia mai prodotto.

 Gli annunci roboanti riguardanti gli ottanta punti del Decreto del fare, i provvedimenti europei previsti per affrontare la disoccupazione giovanile e, per finire, l’ultimo decreto su IVA e Lavoro, hanno rivelato chiaramente che la montagna (l’ennesimo Governo di salvezza nazionale) ha partorito un topolino. Che lascia insoddisfatti tutti, anche coloro che dovrebbero  esserne i maggiori beneficiari.

 Che si tratti di un gioco d’azzardo simile a quello operato da bari di scarso valore sulle piazza dei mercati è rivelato da tanti particolari. Prendiamo ad esempio l’intervento sull’istruzione. Si annuncia in maniera roboante che si favorirà un nuovo avvicinamento tra scuola e impresa grazie alle attività di tirocinio nelle imprese per gli allievi delle classi quarte, soprattutto degli istituti tecnici e professionali.   Peccato che tale attività, nota come stage di formazione, sia già in atto da anni nelle scuole professionali e tecniche, sotto il nome di alternanza scuola-lavoro. L’unica vera novità, ma in realtà non lo è neanche quella, sta nel fatto che essendo esauriti da tempo i fondi assegnati per tali attività il governo in carica ha pensato bene di trovarli falcidiando ulteriormente i fondi assegnati agli insegnanti per le attività non direttamente connesse alla didattica curricolare, i cosiddetti fondi di istituto. Con buona pace della ministra carrozza e della sua “ferma opposizione a qualsiasi ulteriore taglio alla scuola pubblica”!

 Vale la pena di fermarsi ancora un momento su questa iniziativa, poiché ha raccolto il plauso soprattutto del PD, convinto di operare in vista di una scuola più attenta ai bisogni delle imprese e del lavoro, di una scuola più tedesca. Dimenticando che in Germania il rapporto tra scuole tecniche e imprese non è solo affidata ad una variazione del 20 – 25% dei programmi curriculari delle singole scuole, ma ad un fermo impegno, anche finanziario, delle imprese nei confronti degli istituti che ad esse si collegano. Qui, in compenso, ma nessuno lo dice, con la scusa della liceizzazione (a partire dalle riforme dell’allora ministro alla Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer e, forse, già anche prima con la chiusura dei laboratori di Officina nel biennio iniziale dei tecnici) si sono progressivamente ridotte le ore e le spese inerenti ai laboratori tecnici così importanti ai fini di una seria formazione tecnica e professionale. Ma si sa, in una nazione in cui l’unica aspirazione degli imprenditori è quella di avere una manodopera sempre meno qualificata e sempre più a basso costo, questa non con serve e non conta.

Anzi sempre più spesso si ha l’impressione che il lento, ma inesorabile passaggio dall’istruzione professionale statale alla formazione professionale regionale non preluda ad altro che a trasformare le attuali scuole tecniche e professionali nell’equivalente del vecchio avviamento professionale, messo definitivamente a dormire dall’avvento della scuola media unica nei primi anni sessanta. Un percorso di formazione più breve e già intriso di prestazioni lavorative sottopagate sotto forma di apprendistato. Nelle piccole e medie imprese. Di cui si continuano a cantar le lodi, dimenticando il ruolo reale assegnato loro dal percorso dello sviluppo ( ma vogliamo proprio ancora chiamarlo così?!) capitalistico. Per comprenderlo può essere utile fare riferimento, ancora una volta, a un testo di Rosa Luxemburg del 1898, già precedentemente citato.

Il medio ceto capitalistico, si trova, proprio come la classe operaia, sotto l’influenza di due opposte tendenze, una che tende ad innalzarlo ed una che tende ad abbassarlo. La seconda è nel caso in questione il costante elevarsi del livello della produzione, che supera periodicamente i limiti dei capitali medi e li esclude sempre da capo dalla concorrenza. La prima è data dal deprezzamento periodico del capitale esistente, che abbassa sempre da capo per un lasso di tempo il livello della produzione a seconda della entità del necessario capitale minimo, come pure dall’estendersi della  produzione capitalistica a nuove sfere. Il duello della media azienda col grande capitale non dev’essere immaginato come una battaglia regolare, nella quale la truppa della parte più debole si riduce sempre di più, direttamente e quantitativamente, ma piuttosto come una falciatura periodica dei piccoli capitali, che poi sempre rapidamente ricrescono per essere nuovamente falciati dalla falce della grande industria. Delle due tendenze che giocano a palla con il medio ceto capitalistico, in ultima analisi vince la tendenza depressiva. Ma essa non ha assolutamente bisogno di manifestarsi nell’abolizione numerica assoluta della media azienda, bensì in primo luogo nell’aumento progressivo del capitale  minimo, necessario alla sopravvivenza delle imprese nelle vecchie branche, in secondo luogo nel periodo di tempo sempre più breve durante il quale i piccoli capitali possono sfruttare per conto loro le branche nuove. Ne deriva per il piccolo capitale individuale un periodo di vita sempre più breve  e un trasformarsi sempre più rapido dei metodi di produzione e dei modi di impiego, e per la classe nel suo complesso un ricambio sociale sempre più rapido.

 […] in tal modo è stabilita anche la legge medesima del movimento delle medie aziende capitalistiche. Se i piccoli capitali sono le truppe d’avanguardia del progresso tecnico, e se il progresso tecnico è il polso vitale dell’economia capitalistica, i piccoli capitali costituiscono evidentemente un fenomeno collaterale inseparabile dello sviluppo capitalistico, che può scomparire soltanto insieme a quest’ultimo. La scomparsa graduale delle medie aziende […] significherebbe non il processo di sviluppo rivoluzionario del capitalismo, ma proprio il suo ristagno e il suo intorpidirsi” (R. Luxemburg, Riforma sociale o rivoluzione?, Editori Riuniti, 2012, pp. 177-178).

In altre parole, mentre la concentrazione finanziaria e industriale opera per la caduta in letargo dello sviluppo capitalistico, la piccola e media azienda, nella loro disperata battaglia per mantenersi a galla e sviluppare nuove prospettive di quote di mercato e dinamiche produttive, determinano la continuità dello stesso, in una sorta di simbiotica e complessa battaglia per la sopravvivenza. Che, però, la crisi accentua in maniera drammatica.

 Ecco allora che se per la grande azienda diventano importantissime le prebende statali, il mercato azionario e l’azione bancaria di supporto, per la piccola e media azienda diventano importantissime le azioni volte a ridurre i costi del lavoro e delle tecnologie necessarie alla produzione.  Si spiega così il piagnisteo delle PMI sui costi del lavoro e le risposte in tal senso che i governi della crisi hanno iniziato a dare. Quando sentiamo che in Albania operano ormai decine di piccole e medie aziende italiane che approfittano di salari medi intorno ai 300 euro per fornire al mercato un prodotto competitivo con quello cinese (per qualità, costo e tempi di realizzazione e consegna), capiamo qual è il destino dei lavoratori italiani.

 Non solo dal punto di vista salariale, poiché nel decreto del fare oltre che provvedimenti tesi a favorire i prestiti alle aziende per l’acquisto di nuovi macchinari o a facilitare la realizzazione di nuovi edifici ignorando i limiti di sagoma precedenti, si è inserita anche una norma che permette alle aziende di auto-certificare la sicurezza dei cantieri, anche là dove operano imprese diverse e, quindi, aumentano i rischi…ma si sa, sicurezza e prevenzione rappresentano un costo che, con questi chiari di luna, è meglio tagliare.

 Anche su scala europea, soprattutto per i giovani, le cose non sembrano andare meglio. Tutto sommato l’unica proposta concreta uscita dal vertice europeo sull’occupazione giovanile sembra essere quella di tornare a favorire, anche con incentivi dai 250 euro per un colloquio di lavoro fino a 1200 per un trasferimento per motivi di lavoro, l’emigrazione verso altri paesi europei (Germania) dei giovani disoccupati dei paesi più in crisi (Spagna, Italia, Portogallo).

 Ciò non costituisce una novità per la politica italiana, ma, anzi, un autentico ritorno alle politiche democristiane del 1947, quando, in un solo anno, l’allora Ministro del lavoro e della previdenza sociale Amintore Fanfani stipulò   cinque diversi accordi con Francia, Belgio, Svezia, Argentina e Cecoslovacchia per permettere l’invio di manodopera italiana in  quei paesi (accordi che furono all’epoca definiti come “braccia in cambio di carbone”), seguiti poi da quelli degli anni cinquanta con Germania e Gran Bretagna.

 Certo, oggi, sembra differente il target costituito dai nuovi migranti (diplomati e/o laureati), ma sostanzialmente la soluzione occupazionale non cambia, anche se forse sarebbe meglio ridefinire il tutto, invece di “Erasmus”, con “braccia e cervelli in cambio di fondi europei”. Tanto per gli esclusi rimarrà il nuovo incentivo mensile di 650 euro, per dodici mesi, per le aziende che, soprattutto al Sud, assumeranno a tempo indeterminato i giovani tra i 18 e i 29 anni privi di licenza media o di istruzione superiore, magari con persone a carico e non residenti con i genitori. Per questo motivo, nel nuovo decreto, sarebbe stato meglio parlare di “fondi per i desperados”, destinati chiaramente ad essere pagati poco più dell’incentivo offerto dallo stato alle imprese che li assumeranno.

Appare perciò veramente logora la retorica di Enrico Letta che, mentre finge di spronare le imprese ad investire ( e quando mai lo hanno fatto negli ultimi anni?), sa benissimo che il miliardo e mezzo di euro strappati all’Europa (probabilmente in cambio della fornitura di forza-lavoro intellettuale a basso costo, come si diceva più sopra, per i paesi più ricchi) finiranno coll’essere distribuiti a pioggia tra imprese “amiche” o ad hoc per contratti destinati a finire col finanziamento stesso. Altro che assunzioni a tempo indeterminato!

In tutto questo può esserci davvero qualcosa che accomuni gli interessi delle imprese, anche piccole, a quelli dei giovani e dei lavoratori? Non occorre pensarci su troppo, la risposta è semplice: NO! Proprio per questo motivo sarebbe meglio ripensare quelle parole d’ordine un po’ avventate di coloro che, pur mossi dalle migliori intenzioni, finiscono col rimanere irretiti nelle maglie dell’ideologia filo-capitalistica e nazionalista e di cui, ad esempio, le proposte di uscita dall’euro e dall’Europa costituiscono un contraddittorio aspetto.

 Se si valutassero con attenzione queste proposte ci si accorgerebbe che tra i loro fautori non  soltanto ci sono anche leghisti beceri e fascisti di ogni risma, ma pure i rappresentanti del mondo delle imprese (tra cui, indirettamente, il solito Sergio Marchionne) che da una svalutazione dell’euro o dal ritorno alla lira godrebbero di indubbi vantaggi commerciali e di esportazione del proprio prodotto. A danno di chi? Dei soliti lavoratori italiani naturalmente, il cui  lavoro sarebbe immediatamente e  ulteriormente svalutato  nel momento in cui un salario in lire non potrebbe far altro che ridurre ancora la loro capacità di acquisto  di beni di consumo. Il populismo, Grillo ne è la dimostrazione più evidente, striscia soltanto nelle vicinanze degli interessi dei lavoratori, ma alla fine tende a propendere sempre dalla parte del capitale e delle aziende .

 Non è stata vantaggio dei lavoratori la scelta di entrare in Europa e nell’euro, è chiaro, ma oggi  una richiesta di uscita non può essere considerata prioritaria da un punto di vista classista poiché servirebbe soltanto a far precipitare nella povertà e nel nazionalismo più becero i disoccupati e i lavoratori dipendenti. Separandoli dai loro compagni “di classe” europei. In fin dei conti il dittatoriale Erdogan su una cosa aveva ragione nei giorni scorsi, quando ha affermato che “in Turchia e in Brasile gli organizzatori della protesta sono gli stessi”. Sì, sono i lavoratori e i giovani stufi di soprusi, corruzione ed ingiustizie. Stufi di pagare un debito non loro, (non importa se in real, euro o lire turche), stufi di dipendere dalle promesse di leader autoritari ed inconcludenti, stufi della società del capitale, dei suoi sprechi e delle sue distruzioni.

Le parole d’ordine ci sono già tutte (sospensione o ricontrattazione del pagamento del debito pubblico accumulato attraverso i titoli di stato, sospensione delle spese e delle missioni militari, cessazione degli investimenti nelle grandi opere inutili, patrimoniale severamente progressiva, riduzione dell’orario di lavoro… solo per ricordarne alcune), non occorre cercarne altre per unificare le lotte che si muovono in questo senso dalla Val di Susa a Gezi Park, da Taranto ad Atene e da Smirne a Belo Horizonte. Perché è solo in questa unità di lotte e di intenti, e nella chiarezza che li determina, è possibile che si manifesti la difesa e l’affermazione degli interessi dei giovani, dei lavoratori  e, nel suo insieme, della comunità umana futura.  

 * Antonio Sgobba, Sei estremista? Be’, vuol dire che ti illudi di sapere, IL, giugno/luglio 2013, pag.24

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