Deutsche Bank – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Fare come in Francia? https://www.carmillaonline.com/2023/03/25/fare-come-in-francia/ Sat, 25 Mar 2023 21:00:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76612 di Sandro Moiso

La prima conseguenza del rinnovato accordo tra Italia e Francia, unico trofeo che la premier Meloni può vantare dopo i colloqui con Macron e la fine del vertice europeo conclusosi il 23 marzo, è stata quella di veder scaramanticamente cancellato dalle prime pagine dei quotidiani e dai telegiornali, di ogni tendenza politica e appartenenza, qualsiasi riferimento alle agitazioni che stanno scuotendo la Francia con milioni di manifestanti nelle strade. Eppure, anche all’occhio meno accorto o critico, non può non essere evidente il fatto che la carta geo-politica di ciò [...]]]> di Sandro Moiso

La prima conseguenza del rinnovato accordo tra Italia e Francia, unico trofeo che la premier Meloni può vantare dopo i colloqui con Macron e la fine del vertice europeo conclusosi il 23 marzo, è stata quella di veder scaramanticamente cancellato dalle prime pagine dei quotidiani e dai telegiornali, di ogni tendenza politica e appartenenza, qualsiasi riferimento alle agitazioni che stanno scuotendo la Francia con milioni di manifestanti nelle strade. Eppure, anche all’occhio meno accorto o critico, non può non essere evidente il fatto che la carta geo-politica di ciò che avrebbe dovuto essere l’Unione europea si caratterizza ormai per tre grandi aree di crisi che la percorrono tutta, da Est a Ovest.

Ai confini orientali la guerra in Ucraina, con i suoi possibili sbocchi mondiali che già spaventano alcune élite europee e le spingono a correre a Pechino a chiedere che il presidente Xi Jinping si affretti a impostare una reale proposta di tregua (in barba al diniego esibito nei confronti di tale ipotesi dal presidente Biden e dagli imperialisti pezzenti del Regno Unito).

Nel cuore del continente la crisi bancaria, che è sbarcata dagli Stati Uniti coinvolgendo due delle più importanti banche europee, Credit Suisse, morta in un battibaleno e sostanzialmente assorbita da UBS per un valore impensabile fino a qualche settimana fa, e Deutsche Bank che, ancora una volta, traballa sulla sua “pancia” piena di titoli spazzatura, subprime e derivati, ma “povera” di liquidità.

Nella parte occidentale e atlantica la rivolta sociale francese che si allarga sempre più, di cui la riforma autoritaria delle pensioni è stato soltanto il fattore scatenante di una crisi economica e sociale che covava sotto le ceneri, imposte dai due anni di provvedimenti liberticidi sventolati come necessari per la salvaguardia della salute pubblica, fin dai tempi dei gilets jaunes e, ancor prima, delle rivolte delle banlieue.

Un’autentica tempesta perfetta che testimonia come lo stato di salute del capitalismo occidentale e del suo modus vivendi sia tutt’altro che buono, così come quello dell’ambiente che ha colonizzato senza pietà e senza riguardo per il futuro della specie, proprio a partire del continente europeo.

Come i quattro cavalieri dell’Apocalisse, la crisi economica, la guerra, la crisi ambientale e l’impoverimento di ampi settori sociali, un tempo magari rientranti nelle fila della classe media, indicano che il modo di produzione basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e del capitale sull’ambiente sta volgendo al termine nel più drammatico dei modi.

La Francia e i moti che sempre più la percorrono sembra indicare, contemporaneamente, tutte e due le strade che la società derivata dall’attuale distruttivo modo di produzione può imboccare nell’affrontare la drammaticità del momento storico dato.

Da un lato l’autoritarismo governativo che, come da anni si va ripetendo su questa pagine e in altri contesti1, nulla concede e nulla può più concedere sia alle richieste più elementari provenienti dal basso che a qualsiasi ipotesi riformistica destinata a migliorare le condizioni dei servizi sanitari, pensionistici2, scolastici, lavorative e salariali in un contesto in cui la concorrenza per la spartizione del plusvalore complessivamente prodotto si è fatta mondiale, con competitor giovani, scaltri e del tutto intenzionati a scalzare il primato “occidentale” nell’accaparramento delle ricchezze delle risorse.

Un autoritarismo che si maschera dietro le formulazioni generiche di difesa di improbabili transizioni green o di diritti liberali che poco incidono sulla concreta vita materiale di milioni di cittadini di ogni sesso, appartenenza etnica e sociale (purché medio-bassa), tutti destinati soltanto ad essere sempre più sfruttati in ogni ambito lavorativo (in cui ormai occorre inserire tutta l’economia falsamente definita illegale, collegata al mercato del sesso e degli stupefacenti) oppure come carne da cannone nella guerra che, proseguendo su questa strada, certamente verrà.

La scelta di Macron sull’imposizione dei due anni di aumento dell’età pensionabile dei lavoratori francesi, infatti, non è nemmeno una scelta. E’ una decisione imposta dal voler mantenere l’attuale assetto sociale e politico, di cui la democrazia parlamentare non è altro che un orpello. Un gioiello fatale con cui l’ideologia dominante è riuscita ad ammaliare lavoratori, giovani, donne e proletari di ogni tipo (sottoproletariato incluso) finché, almeno in Occidente, alcune riforme potevano essere finanziate con il plusvalore estorto ai lavoratori sottopagati di altri angoli del pianeta.

Ora il plusvalore colà estratto rimane in gran parte, o del tutto, nelle tasche di altri imprenditori, di altre borghesie che, oltre a rimpinguare i propri profitti e investimenti, preferiscono ridistribuirne una parte in casa soltanto per migliorare e ampliare anche il proprio mercato interno, oltre che per placare, almeno in parte, i segni di conflittualità di classe che si manifestano nelle fabbriche e nei settori produttivi dislocati a casa loro.

Paradossalmente l’accumulo di ricchezze in numero di mani sempre più ridotto, infatti, più che segnalare che la produzione mondiale sia in aumento (dato ancora tutto da verificare), indica che il valore prodotto è, rispetto agli investimenti necessari, sostanzialmente diminuito, soprattutto in Occidente e nelle aree ad esso direttamente collegate.

In questo senso la crisi di SVB (Silicon Valley Bank), più che ricordare i rischi connessi allo scarso controllo esercitato sulle banche dallo Stato (quasi come se questo fosse davvero uno strumento neutro e imparziale nella gestione della ricchezza e della società), rappresenta un po’ la fine del sogno delle start up, degli investimenti spericolati legati più alle promesse che ai risultati effettivi, di cui Elon Musk è stato il gran maestro. Forse ancor più dei pionieri come Billa Gates, Steve Jobs, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg che, arrivati per primi sul mercato delle nuove tecnologie e delle promesse ad esse collegate, si vedono oggi comunque costretti a licenziare complessivamente centinaia di migliaia di dipendenti (fatto che potrebbe avere conseguenze deflagranti anche sul prossimo voto presidenziale americano).

Finanza, rete, piattaforme e computer insieme hanno contribuito a velocizzare lo spostamento delle ricchezze, a intorbidire le idee e le battaglie e a confondere i singoli individui trascinati nel vortice della velocità della comunicazione e della disinformazione organizzata (spesso ufficiale, ancor prima che “artigianale”). Ma non hanno contribuito a produrre autentico “valore”, semmai l’illusione del valore di qualcosa che non esiste. E in questo senso l’unico vero proletariato, al di là delle balzane teorizzazioni degli ultimi trenta o quarant’anni, collegato al settore è stato quello direttamente coinvolto nella produzione manuale di apparecchi elettronici e della componentistica ad essi collegata (programmi compresi) .

La crisi di SVB ci conferma tutto questo3, ma ci annuncia anche la fine di un sogno: produrre valore e ricchezza senza passare dal lavoro manuale, senza produrre alcunché di materiale, sostanzialmente, come è successo in molti casi e in particolare in quello di Musk, vendendo fuffa e muffa ideologica.
Infine riporta alla luce il “paradosso di Solow”, economista statunitense che aveva ricevuto il premio Nobel nel 1987 per i suoi contributi alla teoria della crescita economica, in cui si sosteneva che «i computer si vedono ovunque, tranne che nell’aumento di produttività»4.

Certo oggi l’industria del riarmo, verso cui tutti i maggiori stati si stanno orientando, sembra promettere, in una prospettiva neppur troppo lunga, maggiori e più solidi guadagni, insieme ai titoli di stato necessari per finanziarla, e così la “concretezza” della materia militare, in tutti i sensi, riprende il sopravvento sulla leggerezza della già invecchiata new economy caratterizzata dalla produzione “immateriale”. E questo no va separato da ciò che il presidente francese ha fatto a proposito di riforma delle pensioni.

Nel gioco degli equilibri economici dello Stato, la recente promessa macroniana di giungere ad un investimento di 200 miliardi di euro per il rinnovo degli equipaggiamenti delle forze armate e della loro riorganizzazione in chiave più moderna, accompagnata da un accenno alla possibile reintroduzione della leva obbligatoria, non può preveder un costo zero. Costo che, naturalmente, è destinato fin da oggi, e come sempre, a ricadere integralmente sulle spalle dei contribuenti, dei lavoratori, dei giovani, delle donne e di chi vive al margine tra disoccupazione e “lavoro illegale”. Rendendo impossibile al “Mario Antonietto” di turno anche la semplice offerta di brioches per placare l’ira dei cittadini.

Ecco, allora, che, sì, per l’opposizione di classe occorre fare come in Francia.
La lotta sociale diffusa, testarda, ad oltranza e senza sconti per gli avversari è l’unica forma di lotta che il capitalismo attuale ci obbliga ad esercitare. Sia per le rivendicazioni sociali che per l’opposizione ai sacrifici che già ci vengono imposti per la guerra. Approfittiamone, dimostrando così che lotta contro il capitale e i suoi funzionari e contro la guerra sono, nella sostanza, la stessa cosa5, poiché ogni lotta sociale di queste dimensioni mette per forza di cosa in discussione e in crisi l’iniziativa del capitale. Fosse anche, per l’appunto, la guerra.

Le condizioni materiali di esistenza e non le idee; i rapporti tra le classi e non i discorsi politically correct segnano il cammino della Storia e delle rivoluzioni. Oggi possiamo trovarci sull’orlo di un baratro (guerra mondiale generalizzata) oppure di un nuovo domani tutto da inventare. I compagni e le compagne francesi, ancorché inconsapevoli, sono già costretti a porsi il problema (qui) sotto l’urgenza del divenire e dell’azione collettiva. Facciamo sì che quella francese diventi la nuova epidemia destinata a sconvolgere l’ordine europeo del capitale.


  1. S. Moiso (a cura di), Guerra civile globale. Fratture sociali del terzo millennio, Il Galeone Editore, Roma 2021  

  2. Va qui ricordato che proprio intorno al discorso sul costo della spesa per le pensioni si realizzò nel 2011, qui nella democratica Italia, una sorta di autentico colpo di Stato tecnocratico per mezzo del governo Monti, all’epoca incensato dalla Sinistra in chiave anti-berlusconiana, e la cosiddetta riforma Fornero.  

  3. “Apple, Microsoft, Amazone Web Services (branca di Amazon legata allo sviluppo del Cloud, dei micro servizi software e dell’internet delle cose, che fornisce alla intera multinazionale percentuali di utile netto decisamente superiore di quello derivante dal colossale fatturato della parte logistica e dell’e-commerce), Google, Oracle, Salesforce, IBM, ed Intel – in sostanza quasi tutte le big corporate strategiche della new digital economy – sono agli inizi di una crisi profonda.
    Prima del fallimento della Silicon Valley Bank, tutte queste grosse multinazionali ad inizio 2023 hanno avviato una massiccia ristrutturazione fatta di licenziamenti di massa nei loro settori chiave della ricerca e sviluppo, come già avevano preannunciato nel corso del passato autunno. Una operazione che impatterà 120 mila posti di lavoro in California appunto nel settore informatico, dell’internet delle cose, nel Cloud computing e nella ricerca software e digitale. Amazon (nel settore AWS), Google, Microsoft, Salesforce, stanno eseguendo licenziamenti pari al 15% della forza lavoro, Apple al momento sta tagliando tutte le forniture di subappalto con software house terze parti e l’aria che tira che questo non basterà a salvare i lavoratori diretti. Twitter appena acquistata da Elon Musk subirà un ridimensionamento pari al 50% della forza lavoro impiegata. Intel si trova immediatamente costretta a tagliare rispettivamente le compensation dei manager ed i salari dei dipendenti rispettivamente del 15%, del 10% per i quadri e del 5% per gli altri tecnici informatici, mentre annuncia i primi esuberi al momento contenuti.
    Che probabilità di successo avranno le cosiddette Startup della new economy e della tecnologie che da questa catena dipendono? Che prospettive di valorizzazione potevano avere quei capitali depositati e per le operazioni di finanziamento nella fu Silicon Valley Bank?” qui  

  4. L’autore del presente articolo deve questa osservazione ad Alberto Airoldi e al suo romanzo Sugar Mountain. Il brusco risveglio, Casa Editrice Leonida, Reggio Calabria 2022, p.29  

  5. Per questo motivo, alcuni commentatori della stampa italiana dovrebbero forse, e per vantaggio della loro stessa causa, esimersi dall’esprimere in prima pagina idee superficiali e riduttive come questa: “Proprio Macron, ieri, ha spiegato la differenza tra populismo e politica: la sovranità appartiene al popolo elettore, non al popolo in tumulto. Il populismo si mette dietro al popolo in tumulto, il politico si mette davanti al popolo elettore, là dove è stato messo dal popolo sovrano”, M. Feltri, Mario Antonietto, «La Stampa», 23 marzo 2023. Tra l’altro straordinariamente in linea con quanto espresso dall’ormai vieux, più che nouveau, philosophe Bernard Henri-Lévy in un suo articolo su «Repubblica», del 25 marzo, dall’allarmistico titolo: Una protesta giusta sfociata in violenza: la Francia rischia l’autodistruzione.  

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L’alba dei morti viventi https://www.carmillaonline.com/2018/05/30/lalba-dei-morti-viventi/ Wed, 30 May 2018 21:00:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46038 di Sandro Moiso

Il grottesco e ridicolo dramma in corso sulla scena politica italiana mi ha ricordato, in un primo tempo e a cent’anni esatti di distanza (ahi, potenza del teatro e dell’immaginario!), il pirandelliano “Giuoco delle parti”, scritto dall’autore siciliano nel 1918, in cui un marito cinico (Leone Gala) lascia correre la moglie Silia, volubile e capricciosa, tra le braccia dell’amante, il debole Guido Venanzi, completamente dominato dagli altri due. Lascia correre però soltanto per stringere poi un cappio mortale intorno al collo del più debole, con un colpo di scena [...]]]> di Sandro Moiso

Il grottesco e ridicolo dramma in corso sulla scena politica italiana mi ha ricordato, in un primo tempo e a cent’anni esatti di distanza (ahi, potenza del teatro e dell’immaginario!), il pirandelliano “Giuoco delle parti”, scritto dall’autore siciliano nel 1918, in cui un marito cinico (Leone Gala) lascia correre la moglie Silia, volubile e capricciosa, tra le braccia dell’amante, il debole Guido Venanzi, completamente dominato dagli altri due. Lascia correre però soltanto per stringere poi un cappio mortale intorno al collo del più debole, con un colpo di scena destinato a troncare in maniera irrefutabile la corrispondenza di amorosi sensi tra i due illusi. Rimediando però, allo stesso tempo, un marchio di infamia destinato ad accompagnarlo fino alla fine dei suoi giorni.
Mettete Sergio al posto di Leone, Matteo al posto di Silia e Luigi al posto di Guido e otterrete lo stesso risultato (che appunto non cambia col mutare dei fattori).

Ma il tormentone degli ultimi novanta giorni mi ha fatto anche ricordare che Amadeo Bordiga scrisse sul quindicinale “Il programma comunista” n. 14 del 1956 un compianto per Stalin: Plaidoyer pour Staline.
In tale articolo, proprio colui che fin dagli anni Venti si era erto ad intransigente avversario delle politiche che avrebbero portato l’Internazionale Comunista e l’URSS a diventare uno dei baluardi della controrivoluzione mondiale, si sarebbe trovato da solo a ripercorrere il percorso politico del suo avversario per dimostrare come ben poco, nel corso della Storia, sia dovuto alla volontà o alla personalità del singolo individuo. Proprio nel momento in cui, a tre anni di distanza dalla morte del “piccolo padre”, tutti i rappresentanti del perbenismo di destra e di sinistra si erano avventati come iene sulle spoglie di colui che, in occasione del XX congresso del PCUS svoltosi tra il 14 e il 26 febbraio di quello stesso anno, era stato accusato di tutti i “crimini” veri o presunti messi in atto dal regime e individuato come l’artefice di ogni errore seguito alla morte di Lenin.

Così fino a ieri, sarebbe stato possibile “compiangere” un governo ancora mai nato, contro cui erano stati indirizzati, fin dai primi giorni successivi alle elezioni del 4 marzo, gli strali della Sinistra, della Destra, del perbenismo, del filo-europeismo, dell’Europa germanica e di quella delle banche e della finanza, del berlusconismo, dell’anti-berlusconismo più scontato, dell’antifascismo più trito e di un antagonismo che di tale appellativo non riesce più nemmeno a salvare la facciata.

Un governo non nato, non solo per il possibile bluff di qualcuno dei suoi artefici, ma anche a causa di una rigida volontà di mantenimento dell’immutabilità sociale ed economica che si è mostrata dal 2011 in avanti e che è, sostanzialmente, conseguenza di un sistema di governo PD-Forza Italia che ha costruito il proprio potere finanziario e politico appoggiandosi sulle scelte più scellerate messe in atto dalla BCE, dai governi di Berlino e Parigi e dall’inconsistente parlamento europeo. Così, come aveva previsto Lucio Caracciolo, direttore della rivista mensile “Limes” e uno dei pochi, forse l’unico, commentatori politici italiani degni di essere ascoltati, affermando qualche settimana prima delle elezioni del 4 marzo che PD e FI avrebbero fatto di tutto per impedire un governo con i 5 Stelle, salvo poi tornare ad elezioni (nel corso dello stesso anno) in cui i populisti avrebbero trionfato.

Possibile governo che, dalla sua, avrebbe un risultato elettorale ottenuto attraverso la simultanea distruzione, avvenuta nelle urne da Nord a Sud, dei due feticci che insieme hanno governato l’Italia nel corso degli ultimi 25 anni: Berlusconi e il PD, in tutte le loro differenti formule elettorali. Uno scossone elettorale che ha rivelato, e pochi l’hanno colto, come gli italiani con tale voto abbiano cercato di togliere di torno i due falsi avversari che hanno inquinato la politica italiana; in cui berlusconismo e anti-berlusconismo hanno costituito l’esercizio di una fasulla opposizione sia di “Destra” che di “Sinistra”. Gioco in cui sono cascati quasi tutti, anche negli ultimi mesi e comprese alcune delle migliori penne di ciò che rimane di più vivace nel circo mediatico italiano.

Ma, in realtà, le ultime giravolte avvenute intorno al Quirinale con un frenetico via vai inconcludente ed inconsistente di un rappresentante del Fondo Monetario Internazionale come Carlo Cottarelli, la sua fuga dal retro del Palazzo, il disordine in sala stampa e negli studi televisivi, le affermazioni affrettate del giovane partenopeo, tutto avvolto nel tricolore e pentito dello sgarbo nei confronti del Presidente Mattarella, la paura degli economisti e dei commentatori di fronte alla salita dello spread e alla caduta dei titoli di borsa italiani oltre agli ondeggiamenti dell’uomo “con le palle” fascio-leghista, hanno infine ricordato al sottoscritto, ancora a quarant’anni di distanza, le prime, magnifiche immagini di disordine e caos mediatico fuori controllo di Dawn of the Dead (in Italia Zombi) di George Romero. E sinceramente a tutt’ora sembra, e si spera anche con soddisfazione dell’ esperto in tale settore Gioacchino Toni, l’impressione più corretta ed efficace da trasmetter ai lettori di Carmilla.

Il sottoscritto, poi, non ha mai nutrito simpatie per i 5 Stelle, fin dalla loro prima comparsata politica nel 2012 (qui), e tanto meno per il leghismo, ma quanto è accaduto in questi giorni (sostanzialmente la manovra di Mattarella per respingere il governo proposto originariamente dalle due forze politiche) più che rappresentare una vittoria del costituzionalismo contro l’avventurismo e il fascismo, ha rappresentato, definitivamente, la perdita di autonomia dei parlamenti nazionali, dei sistemi elettorali e della volontà dei cittadini rispetto alle regole stabilite degli interessi della finanza internazionale, dalle attuali classi dirigenti e del capitalismo tedesco.
L’affermazione di un autentico fascismo europeo che è, nonostante tutto, tutt’altro e, per ora, ben più autoritario e armato del fascismo verde-giallo nostrano della cui presunta sconfitta si nutrono con soddisfazione gli ancor troppi sinistrati mentali.1

Ma qui occorre aprire una parentesi per capire di cosa si parla quando si parla di Europa e di capitalismo finanziario. Se si pensa infatti a un blocco unico (modello SIM, Stato Imperialista delle Multinazionali) si è fuori strada tanto quanto chi alla fine degli anni Settanta produsse quel tipo di analisi politico-economica.2 Come ho affermato più volte il capitale è unitario soltanto nei confronti degli oppressi e degli sfruttati di ogni razza, genere e nazionalità, ma non nella sua intima essenza imperialistica ed espansionistica. Come le ultimissime decisioni sui dazi sull’acciaio e l’alluminio europei volute dal presidente americano confermano pienamente (qui).

Anche se, spesso, gli stessi suoi rappresentanti, proprio come è successo ieri, tranquillizzati da periodi troppo lunghi di funzionamento in modalità pilota automatico, perdono completamente la capacità di affrontare e rimettere nelle giuste bottiglie i demoni scatenati, indipendentemente dal fatto che questi siano costituiti dalla speculazione finanziaria, da un voto andato male oppure dal trambusto istituzionale, politico ed economico causato da un rappresentante dello Stato, forse, non all’altezza della situazione. Rivelando così che non solo valore e denaro sono meri feticci che, se male agitati, possono causare improvvise cadute e malattie peggio degli spilloni dei riti voodoo, ma anche che lo stesso pilota automatico, più volte evocato, potrebbe alla fine rivelarsi soltanto come una delle tante leggende metropolitane. Così anche come il termine Europa, di volta in volta sbandierato come un feticcio di irrinunciabile salvezza o come un mostro tentacolare dominato da una volontà maligna e da un’intelligenza onnicomprensiva.

L’Europa di cui si parla oggi è un’Europa a trazione tedesca, certo non più quella sperata dai suoi ideatori sotto il fascismo, quali Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il Manifesto di Ventotene.
E’ un‘Europa “unificata” dal trattato di Maastricht nel febbraio del 1992, un passo previsto all’interno del percorso di unificazione europea successivo all’avvio del Mercato Comune Europeo (MEC), ma avvenuto sostanzialmente poco dopo la riunificazione tedesca del 3 ottobre 1990. Una riunificazione che aveva avuto un immediato e pesante riflesso nell’esplodere delle guerre balcaniche, causate dal tentativo di alcune repubbliche (prima quella slovena, poi quella croata ) di correre al riparo di una Mitteleuropa tedesca e protetta dal marco (che già come moneta dominava gli scambi anche in Serbia).

Guerra che si basava sì anche sulle mai definitivamente risolte divisioni inter-etniche che soltanto il carisma di Tito era riuscito a sopire (e reprimere), ma che, in primo luogo, vide Francia e Regno Unito cercare di limitare immediatamente la novella espansione economica e politica della Germania riunificata verso l’Europa dell’Est che, proprio in quegli anni, sembrava essersi liberata dall’ipoteca ex-sovietica. Mentre Stati Uniti, attraverso la NATO, e Russia intervennero soprattutto per lasciare l’Europa cuocere nel proprio brodo di conflitti mai sopiti fin dal primo macello mondiale e non perdere la possibilità di interferire reciprocamente in un’area non secondaria dello scacchiere internazionale.

Maastricht doveva quindi servire anche ad ingabbiare Germania e marco in una rete di relazioni economico-politiche destinate, lasciando allo stesso tempo libertà di espansione al dinamismo economico tedesco, a portare beneficio anche agli altri rappresentanti dell’Unione Europea, magari trasformando il marco (che all’epoca era uno delle tre grandi monete di scambio a livello internazionale, dopo dollaro e yen) in una moneta unica (l’euro) in grado di rivaleggiare soprattutto con il dollaro.

Se non si capisce questo si continua a parlare inutilmente di aria fritta. Infatti Maastricht doveva servire a frenare l’evidente capacità espansiva del capitalismo e della moneta tedesca, sfruttandone allo stesso tempo le potenzialità di produzione e di assorbimento di merci (all’epoca soprattutto italiane), senza ripercorrere le strade assassine, che si stavano nuovamente affacciando ai confini d’Europa, che erano già state percorse due volte nel corso del XX secolo. Che poi all’interno dei promotori ci fossero paesi filo-tedeschi (come l’Italia) e anti-tedeschi (Francia e Gran Bretagna in particolare) non modificava affatto il profilo che l’Europa, unita da una moneta unica, avrebbe dovuto mantenere approfittando comunque della potenza economica tedesca come fattore di centralizzazione economico-politica. Fatta salva la possibilità per la Gran Bretagna di aderire a tale principi comunitari senza rinunciare alla propria moneta, la sterlina. Ancor importante sul mercato dei cambi.

Il trattato, entrato in vigore nel 1993, vide però, a partire dagli anni a cavallo tra i due secoli, i veri padroni della moneta unica, sostanzialmente i tedeschi, farsi rapidamente detentori del codice comportamentale di tale unione e sfruttare a loro vantaggio le norme monetarie, finanziarie e commerciali messe in atto. Anche senza una nuova guerra la Germania tornava, ed è effettivamente tornata, ai suoi vecchi, irrinunciabili obiettivi di controllo sul continente europeo e, in particolare sulla sua manodopera e il suo costo (in casa e fuori) (qui).

Il modello cui si fa quindi riferimento, quando si parla di europeismo e di adesione all’euro è dunque sostanzialmente quello fin qui delineato. Un accordo tra fratelli-coltelli in cui il cosiddetto asse franco-tedesco non è mai davvero decollato, come le frizioni tra Macron e Merkel hanno dimostrato ancora nelle ultime settimane (qui e qui)), mentre altri paesi, come l’Italia e la Spagna, hanno dovuto accodarsi in nome di un maggior vantaggio finanziario (usufruire di una moneta forte) destinato nel tempo a strangolare il tenore di vita dei lavoratori e dei propri cittadini, dopo un primo illusorio balzo in avanti.

Sostanzialmente, da qualche anno (diciamo dal 2011) la Germania di Merkel è passata all’incasso del prestito di benessere fasullo concesso a paesi come l’Italia con l’introduzione dell’euro. Spinta a questo anche dai rischi che la sua banca più importante, Deutsche Bank, sta correndo, dopo aver incamerato per anni titoli spazzatura e derivati sul debito italiano di cui sta cercando di incrementare la reddività (qui, qui e qui ). Motivo ulteriore di spinta per un rialzo del rendimento dei titoli di paesi come l’Italia (aumento del differenziale di redditività o spread) per poter guadagnare sui propri investimenti esteri mantenendo basso o addirittura negativo quello dei titoli emessi in Germania.
Così, con la macelleria sociale che ne è conseguita, è stato annunciato pubblicamente che la festa era finita, perché lo era anche su scala mondiale, altrimenti non si capirebbe l’irrigidimento delle politiche autarchiche statunitensi nei confronti soprattutto dei prodotti europei e tedeschi, visto che con la Cina Trump dovrà per ora, e per forza di cose, trovare ancora una quadra.

Qualcuno, proprio oggi (qui), ha affermato che la caduta delle borse di New York (-1,58%), di Parigi (-1,29%) e Francoforte (-1,53%) registrato ieri, sia dovuto alle affermazioni di Di Maio, Salvini e Savona (chissà poi perché non Mattarella) attribuendo così a dei semplici battilocchi la responsabilità di eventi che affondano le loro radici in un modo di produzione socialmente obsoleto e in un sistema finanziario destinati, ormai da parecchio tempo, ad un irreversibile e drammatico tramonto.Così come la crisi europea, cui tutti si stanno preparando facendo finta che non possa avvenire, è ormai all’ordine del giorno e non certo soltanto per colpa dei nostri miseri omuncoli. Miseri omuncoli impauriti e convinti allo stesso tempo di essere così determinanti sul piano delle relazioni politiche ed economiche internazionali. Ci vorrebbe il Principe Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio in arte Totò a dir loro, con maggiore autorevolezza: Ma mi faccia il piacere…

Intanto, negli ultimi anni, i nuovi paesi produttori (Cina e India), le nuove potenze locali (Turchia, Iran, Arabia Saudita) e vecchi avversari sono tornati in gran spolvero di attività diplomatica e militare (Russia) reclamando un nuovo posto al sole e gli Stati Uniti devono concederglielo oppure sostenere guerre locali destinate a ridurre il numero dei pretendenti alla ricchezza mondiale (magari cercando di eliminare i più scomodi, come l’Iran, e contenendo i più pericolosi dal punto di vista militare, come la Russia di Putin). Che poi questo si intrecci alle mille vie del petroli e del gas non è certo né secondario né, tanto meno, casuale.

L’Europa, da questo punto di vista è tagliata fuori e l’unificazione del comando e dell’azione diplomatica e militare resta soltanto un bel, e oramai sorpassato, sogno. La parola d’ordine continua ad essere quella del secolo appena passato: ognuno per sé e la Germania contro tutti o sopra tutti. Deutschland, Deutschland Über Alles! Prendere o lasciare, non c’è altra scelta. Il pilota automatico di cui si parla spesso, a proposito delle varie crisi economiche e politiche nazionali è essenzialmente un pilota di lingua tedesca, anche se poi tutti i centri e gli organismi finanziari cercano comunque ogni volta di speculare ed ingrassare a spese dei lavoratori e dei cittadini sempre meno garantiti di ogni paese reso più debole. Un gioco per il quale potenzialmente non può esserci, al momento fine (qui). Se non con il nuovo scatenarsi di un altro conflitto mondiale destinato a ristabilire un nuovo ordine dei vincitori. Preceduto magari anche da un’uscita proprio della Germania dal sistema dell’euro o, perlomeno, dalla creazione di due diverse euro-aree. Ipotesi tutt’altro che peregrina secondo numerosi osservatori finanziari e politici (qui).

In attesa di ciò, la maggioranza dei governi europei, talvolta a malincuore, ha scelto lo status quo, poiché diversi sistemi di governo oppure differenti gruppi di potere potrebbero rappresentare un salto nel buio, pericoloso sia per gli interessi tedeschi che per quelli dei suoi competitor (come la Francia). Da qui la risposta univoca e negativa che i rappresentanti dell’Unione hanno dato e continuano a dare ogni volta ad istanze di cambiamento dei rapporti e delle regole già stabilite. E da qui, dunque, un primo motivo dell’aborto, tutt’altro che spontaneo, intervenuto in occasione della mancata formazione del governo giallo-verde in Italia.

Forse perché la regola più condivisa è costituita dal fatto che non essendo l’Italia un paese qualsiasi, poiché è ancora il secondo paese industriale del continente europeo dopo la Germania, la realizzazione di un governo populista in loco potrebbe avere una deriva politica decisiva nei maggiori paesi (Francia e Germania) le cui elite, pur già potenzialmente avversarie, preferiscono ancora mantenere un ruolo direttivo all’interno dei propri confini. Per ora meglio cercare di ridimensionare gli obiettivi e i risultati dei cosiddetti populismi (ovunque sia possibile) e prender tempo, in attesa che qualcosa cambi. Tenuto conto, come ha sottolineato il quotidiano spagnolo El País del 24 maggio, che mentre i partiti populisti anti-europeisti erano 10 in Europa nel 2017, oggi sono saliti a 43. Mentre anche il fedelissimo governo di Mariano Rajoy sembra oggi traballare pericolosamente. Un autentico scenario da brivido per le prossime elezioni del parlamento di Strasburgo.

Paventato oggi con grande preoccupazione dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker alla plenaria a Strasburgo: «Entro un anno gli europei avranno votato per un nuovo parlamento europeo di cui nessuno conoscerà la composizione e che sarà differente da quella attuale, cosa che mi fa nutrire qualche inquietudine. – ha precisato Juncker – E vorrei che tutti noi ci impegnassimo in una sorta di contratto contro il populismo galoppante che possiamo vedere in Europa e in tutti i Paesi, compreso il mio» (qui).

Questo è il significato dell’autentico coup d’etat/coup de theatre realizzato da Sergio Mattarella che però, nella sua foga di zelante servitore, non ha realizzato di essere egli stesso expendable, al contrario di Re Giorgio che lo aveva preceduto. Gli errori si pagano, soprattutto quelli madornali, quelli che suscitano, invece di placarli, i demoni sopra citati. Prova ne sia la scarsa fiducia suscitata, anche nei possibili ministri, dall’uomo del Fondo Monetari Internazionale che, probabilmente non intascherebbe neanche il voto di fiducia da parte del PD (qui). E il ritorno alla proposta di un governo “politico” con i due giovani galletti (dalle creste però un po’ abbassate) sembra riproporre un gioco dell’oca politico in cui ogni volta che arrivano alla casella Savona i concorrenti devono tornare sui propri passi.

Certo è il fatto che se il governo SalviMaioConte non è ancora nato, non è dovuto soltanto all’intervento di forze esterne. Anche le contraddizioni al suo interno, non solo tra 5 Stelle e Lega, ma anche interne alle due stesse forze politiche (qui) hanno contribuito a paralizzarne l’azione. Cosa però che potrebbe essere superata nel corso dei prossimi giorni, con un più deciso schieramento a destra dei 5 Stelle. Le comparsate pubbliche negli ultimi giorni di un risorto Di Battista segnalano infatti un cambio di marcia e di argomentazione in vista della prossima campagna elettorale, in cui probabilmente il pallido e moderato Di Maio potrebbe essere messo da parte e sostituito da argomenti e personaggi più muscolari.

Mentre potrebbe farsi sempre più difficile la via di un’alleanza del centro destra in cui Berlusconi, pur precocemente liberato dai carichi pendenti, potrebbe non più avere lo stesso potere di attrazione fatale sugli elettori di destra e sulla Lega, considerato che quest’ultima avrebbe forse più da guadagnare elettoralmente da una sua autonomizzazione dal Cavaliere che non da un ulteriore rinsaldamento dei legami con lo stesso; debolezza segnalata anche dal brusco calo dei titoli azionari della società del Cavaliere che, nel giorno del calo del 2,3% della borsa milanese, sono scesi del 5% ovvero più del doppio, vuoi per ricatto finanziario e politico nei confronti di colui che stringe ancora i cordoni della borsa di Forza Italia e Lega, vuoi per sfiducia nella sua tenuta politica, unica garanzia per le aziende Mediaset. Dubbio che assale anche i fratelli minori dello stesso schieramento, la cui leader ha già deciso che piuttosto che perdere ulteriori voti della destra cosiddetta sociale a favore del programma fascio-leghista, sparendo dal quadro elettorale, sarà meglio piegarsi a Salvini e continuare a vivere nelle pieghe di un sovranismo meglio espresso a Varese che non a Roma.

Sovranismo che, una volta giunto al governo, potrebbe liberare tutte le proprie potenzialità repressive e autoritarie approfittando, come modello politico, proprio dell’azione esercitata da Mattarella, così come l’azione di Minniti ha favorito l’affermazione del dettato leghista sulla questione migranti e sicurezza, come si è accorto, sebbene in ritardo ed opportunisticamente, anche il presidente del PD Matteo Orfini (qui e qui).

L’ultimo dato “istituzionale” da segnalare è che la promessa del Presidente della Repubblica di voler salvare con il suo veto i risparmi degli italiani si è rivelata inconsistente fin da subito, considerato il fatto che nei due giorni successivi lo spread è salito fino a 320 punti e in Borsa il valore dei titoli italiani, prevalentemente bancari, ha continuato allegramente a scendere. Mentre il capo zombi di un governo nato già morto continuava a promettere aumenti dell’IVA e peggioramenti economici vari se il suo governo non avesse ricevuto la fiducia delle camere. Alla faccia del bon ton e del garbo che così tanti hanno rimpianto nelle trasmissioni televisive precedenti alla mancata realizzazione del governo giallo-verde.3 Il tutto contornato da un minaccioso clima da colpo di stato bianco in cui il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza dichiarava, dal 29 maggio e in previsione delle manifestazioni del 2 giugno, la necessità di blindare e proteggere le sedi delle istituzioni non solo a Roma ma in tutta Italia.

Tralasciando di completare adesso un quadro che potrebbe complicarsi ancora nei giorni e nelle ore a venire, occorre ora provare a delineare quali potrebbero essere le possibili strategie e tattiche che un movimento antagonista allo stato di cose presente dovrebbe sperimentare se davvero volesse opporsi autonomamente a tali trasformazioni e duelli in atto su scala nazionale ed europea.

Prima cosa da dire sarebbe che la partecipazione elettorale non ha, al momento, più ragione d’esistere, soprattutto se tale partecipazione invece di voler solo rappresentare una cassa di risonanza parlamentare per le lotte, volesse, come hanno immaginato alcune vecchie mummie sindacali e politiche annesse a Potere al Popolo, proporsi come parte di possibili alleanze di governo.
Se due forze, sostanzialmente conservatrici e nazionaliste come 5 Stelle e Lega, che pur a breve potrebbero essere pienamente riconosciute per un rilancio politico di un’unità nazionale destinata a far fronte all’inevitabile crisi dell’Europa di Maastricht, sono state bloccate in ogni modo nel loro tentativo di sostituirsi all’ancien regime di PD e FI, c’è da immaginarsi quale possibilità di affermazione parlamentare potrebbe avere una forza caratterizzantesi come di estrema sinistra (tenuto conto che oggi i media tendono a definire come tali le mummie di LeU, di Rifondazione o di Sinista Italiana).

Come seconda cosa non si parli più di democrazia parlamentare: non esiste. È stata definitivamente stracciata davanti agli occhi di milioni di cittadini in diretta televisiva.
Dalla Catalunya a Parigi fino a Roma la risposta del potere è una sola: lasciate ogni speranza voi che entrate nell’arengario politico, non avrete più ascolto e possibilità di soddisfazione delle vostre speranze, per quanto misere. E’ già di sabato 26 maggio la risposta di Macron, a nome di tutti gli oligarchi europei: Non saranno le manifestazioni oceaniche a poter modificare il nostro programma di riforme.

Nemmeno se i cittadini si rivolgono ancora a forze sostanzialmente conservatrici quali Lega, Movimento 5 Stelle o il Partito Democratico Europeo Catalano di Carles Puidgemont.
Per il capitale la riposta è per ora soltanto: guerra senza quartiere! Come dimostra, ad esempio, l’insegna elaborata dal comandante della gendarmerie francese operante sul territorio della ZAD, trattando tale operazione di polizia come un autentica operazione di guerra. E rivelando perciò definitivamente come, ormai da anni, qualsiasi operazione di polizia sia in realtà un’operazione di guerra, esterna o interna ai confini nazionali che sia.

Gli antagonisti, gli oppressi, i lavoratori, gli sfruttati, i migranti da oggi avranno davanti soltanto il Moloch del capitale e i suoi irreprensibili funzionari. I movimenti reali già lo sanno di non aver e di non poter avere governi amici, ma ora lo sapranno anche tutti coloro che, pur illudendosi e molto spesso tappandosi il naso, hanno riposto le loro speranze in partiti populisti che, ricordiamolo sempre, hanno raggiunto e raggiungerebbero ancora, la maggioranza dei seggi in Parlamento

Proprio per questo motivo sarà sempre più inutile inseguire quegli stessi partiti sul loro stesso terreno. Lo fanno meglio loro, liberi da considerazioni di classe poiché interclassisti, mentre la scelta dell’inseguimento costringerebbe il movimento antagonista a spingersi sempre di più sul terreno della Destra, non dal punto di vista sociale (milieu piccolo borghese deluso, sottoproletariato e proletariato privo di qualsiasi garanzia), ma proprio su quello ideologico.
Ricordiamoci sempre che molti membri delle S.A. (Squadre d’assalto) hitleriane, poi eliminate dalle S.S. nella Notte dei Lunghi Coltelli tra il 30 giugno e il 1° luglio 1934, provenivano da un’estrema sinistra delusa dai continui ondeggiamenti della politica della Terza Internazionale stalinizzata.

Dovremmo forse difendere ancora i confini nazionali, la democrazia parlamentare, una Costituzione buona per tutti gli usi e chiedere ancora il diritto di espressione a chi usa qualsiasi strumento politico, mediatico, economico e militare per negarcelo? Oppure quel fetido antifascismo, come quello oggi rappresentato da Renzi in qualità di mediano (qui), che si presenta solo, sempre e soltanto quando serve a compattare, in chiave elettorale, una sinistra divisa con i peggiori rappresentanti del vero fascismo istituzionale e del capitalismo finanziario? E, infine, dovremmo forse rimpiangere la vecchia moneta nazionale, così come sembrano fare le orrende pubblicità televisive sulle sue riedizioni in oro zecchino da parte del Gruppo poligrafico e della zecca di Stato (qui)?

No, se il capitale finanziario ha necessità, nel suo sviluppo di abbattere i confini nazionali e le istituzioni giuridiche sacre per la borghesia faccia pure. Se, come ha fatto il 29 maggio il commissario tedesco al bilancio europeo Oettinger. minaccerà ancora gli italiani o gli altri cittadini europei affermando che «i mercati insegneranno agli italiani come si vota» (qui), ci aiuterà soltanto nell’opera di distruzione dei feticci di una società ipocrita ed autoritaria, che sventola unità di intenti ma prepara immani conflitti imperialistici e di classe. Una società che parla di umanità, ma che sa offrire soltanto sofferenza, distruzione e sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sull’ambiente.

Non abbiamo nulla da salvare di questo Stato, non abbiamo interessi nazionali, non abbiamo territori vitali da difendere ad ogni costo e non accetteremo nessun appello alla loro difesa, sia che provengano da Destra come da Sinistra. Siamo tutti migranti e i confini ci sono soltanto di ostacolo, e lo sono ancora di più per le lotte. Il capitale ha lavorato per noi, non nei termini banali del progresso sbandierato per decenni dai rappresentanti di partiti liberali o di sinistra asserviti agli interessi di un indistinto sviluppo economico, ma rivelando il suo vero e autoritario volto.

Chi lo rappresenta evidentemente ha oggi tutto da perdere, tanto da doversi preoccupare anche soltanto per un banalissimo scossone elettorale, e poiché ce lo ha rivelato in maniera così meschina possiamo essere certi, al contrario, che noi avremo tutto da guadagnare e soltanto delle vecchie catene da perdere o da rivolgere come armi contro i nostri oppressori.
Il Re è nudo e il Kapitale anche e così i loro fasulli avversari istituzionali.
Affogheranno insieme nella tempesta che hanno scelto di scatenare.
Il tempo delle briciole cadute dal tavolo e dei piatti di lenticchie offerti in occasione delle promesse elettorali sta per finire perché noi vogliamo tutto.


  1. Devo qui ringraziare Nico Maccentelli per l’efficace definizione  

  2. Si veda L’ape e il comunista, (a cura del Collettivo Prigionieri Politici delle Brigate Rosse), “Corrispondenza Internazionale” N° 16/17, ottobre-dicembre 1980 poi ripubblicato per Pgreco, 2013  

  3. Si vedano le ridicole affermazioni di Lilli Gruber e Evelina Christillin nella trasmissione 8 e mezzo dell’8 maggio, in cui la prima rimpiangeva il bon ton chiedendo più garbo in politica, mentre la seconda paragonava lo sgarbo istituzionale di 5 stelle e Lega nei confronti di Mattarella al bullismo scolastico.  

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La grande truffa del rating (e del capitalismo finanziario) https://www.carmillaonline.com/2016/02/03/la-grande-truffa-del-rating-e-del-capitalismo-finanziario/ Wed, 03 Feb 2016 22:00:54 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28384 di Sandro Moiso

la grande scommessaLa verità è come la poesia. Piace quasi a nessuno” (udita in un bar di Washington D.C.)

Schiacciato, in Italia, tra due uscite cinematografiche di cui si è parlato forse anche troppo (“Quo vado?” – 1 gennaio – e “Revenant” – 16 gennaio) il film di Adam McKay “La grande scommessa” (7 gennaio) ha ricevuto meno attenzioni di quelle che sicuramente avrebbe meritato e merita. Certo, il film è candidato per interpretazione, regia, sceneggiatura e molto altro ancora a quasi tutti i premi cinematografici disponibili sul mercato americano, a partire proprio dagli Oscar, ma non [...]]]> di Sandro Moiso

la grande scommessaLa verità è come la poesia. Piace quasi a nessuno” (udita in un bar di Washington D.C.)

Schiacciato, in Italia, tra due uscite cinematografiche di cui si è parlato forse anche troppo (“Quo vado?” – 1 gennaio – e “Revenant” – 16 gennaio) il film di Adam McKay “La grande scommessa” (7 gennaio) ha ricevuto meno attenzioni di quelle che sicuramente avrebbe meritato e merita. Certo, il film è candidato per interpretazione, regia, sceneggiatura e molto altro ancora a quasi tutti i premi cinematografici disponibili sul mercato americano, a partire proprio dagli Oscar, ma non sono queste candidature e nemmeno la magistrale recitazione di alcuni interpreti (Steve Carell e Christian Bale su tutti) a far sì che questo film valga la pena di essere visto e recensito.

Già altri ne hanno segnalato la valenza puramente filmica e morale delle immagini, del ritmo narrativo serratissimo, degli sguardi e dei dialoghi. Ma non si tratta solo di questo. No, perché ci troviamo di fronte ad uno dei più determinati, feroci e limpidi attacchi contro il capitalismo finanziario, la sua alterigia, la sua crudeltà, la sua spietatezza e, soprattutto, la totale incompetenza dei suoi manager e dirigenti che siano mai comparso sugli schermi. Non soltanto americani.

Non si fanno sconti nel film. I personaggi sono reali, così come i nomi delle banche e delle società finanziarie coinvolte nella catastrofe che ci perseguita a partire dal 2008. Merrill Lynch, Goldman Sachs, Moody’s, Morgan Stanley, Deutsche Bank, Chase Manhattan Bank, JPMorgan, Lehman Brothers sono soltanto alcune (anche se tra le più pericolose) delle associazioni a delinquere in guanti bianchi che compaiono nel corso delle vicende narrate.

case in bilico 2Adam McKay, noto principalmente come regista del Saturday Night Live (dal 1995 al 2001) e di varie commedie oltre che come produttore cinematografico,1 basandosi sul best seller di Michael Lewis,2 pubblicato negli USA nel 2010, ricostruisce le vicende che, tra il 2006 e la fine del 2007, portarono all’esplosione della gigantesca bolla speculativa ed immobiliare venutasi a creare negli Stati Uniti a causa della diffusa abitudine di concedere mutui per l’acquisto di una casa senza badare alla solvibilità dei contraenti.

Le conseguenze di tutto ciò si misurarono in sei milioni di americani che persero la casa e in otto milioni di disoccupati in più soltanto sul territorio statunitense, mentre l’onda lunga dello tsunami finanziario si sarebbe propagata sull’intera economia mondiale con le conseguenze sociali, economiche, politiche ed occupazionali che ancora tutti ben conosciamo.

Raccontare qui le vicende di come alcuni broker si fossero resi conto della catastrofe imminente e della autentica truffa contenuta negli swap (strumenti derivati della finanza utili a facilitare lo scambio di crediti o la loro assicurazione contro eventuali rischi di default) e nei pacchetti obbligazionari venduti da banche e società di brokeraggio come sicuri, ma in realtà strapieni di titoli spazzatura, non avrebbe senso. Così come non lo avrebbe sottolineare la presunta moralità o meno dei principali protagonisti della vicenda: Michael Burry (Christian Bale), Mark Baum, basato su Steve Eisman un manager di fondi speculativi, (Steve Carell) e Jared Vennet, personaggio basato sul trader della Deutsche Bank Greg Lippmann (Ryan Gosling). Perché, al di là delle necessità di narrazione filmica, il loro intento non è morale ed ognuno di loro acquisirà, all’esplodere della crisi, un guadagno colossale. Sulla pelle di milioni di cittadini, lavoratori e piccoli proprietari di immobili e pacchetti finanziari.

A differenza, però, di un altro bel film su quella/questa crisi (Margin Call di J.P. Chandor – 2011) il lungometraggio di McKay, che ne è anche lo sceneggiatore, non si limita a suggerire un giudizio, ma espone esplicitamente la sua tesi: non ci troviamo di fronte all’avidità di alcuni oppure alla mancanza di scrupoli morali ed etici di alcune banche o società. E non ci troviamo neppure davanti ad un piano ben congegnato di cui soltanto alcuni sono al corrente mentre la stragrande maggioranza dei comuni mortali è distratta da altro o ad altri interessi affaccendata.

No, niente Trilateral, niente Club Bilderberg: siamo davanti al capitalismo nella sua età finale, puramente speculativa, avida, imbecille. In cui le società di rating non fanno altro che attribuire triple A o doppie B, o qualsiasi altro tipo di giudizio, non sulla base di ragionate ed approfondite analisi delle situazioni finanziarie oggettive, delle esposizioni e degli asset di color che lo richiedono, ma sulla base degli interessi del momento, di certezze e assunti mai testati e comprovati o, ancor peggio, soltanto per interessi di bottega o per la necessità di strappare clienti agli altri concorrenti. Mentre anche coloro che dirigono le banche centrali, si tratti dl Alan Greenspan (esplicitamente e ripetutamente citato) o dei funzionari di Bruxelles, sembrano brillare per incompetenza e superficialità al di sopra di tutti gli altri, già scadenti, comprimari.
Un’idra tentacolare ma priva di testa, la cui unica funzione cerebrale sembra essere quella ereditata dai rettili, dedita principalmente a soddisfare gli istinti primari e in cui l’aggressività svolge un ruolo fondamentale.

Un mostro acefalo e caotico che sembra trovarsi più a suo agio ad un tavolo di roulette che non a quello di una seria riflessione ed analisi della situazione economica e sociale. Non a caso il climax del film è ambientato proprio a Las Vegas, nel casinò di quel Caesar’s Palace che sembra riassumere in sé tutte le illusorie promesse e tutte le follie del capitalismo dell’azzardo finanziario. In cui i gettoni persi oppure vinti e accumulati non sono costituiti da altro che dalle vite di milioni di cittadini comuni e dai loro risparmi ed averi.

Un film che, anche se dovesse essere premiato agli Oscar, non potrebbe nemmeno suscitare le simpatie dei vari populismi grillini e leghisti. E’ un film schierato, antagonista. E la società dello spettacolo, non potendolo ignorare, farà di tutto per digerirlo e renderlo innocuo. Probabilmente senza riuscirci, poiché il messaggio di cui è portatore è troppo chiaro (sintetizzando: il capitalismo è un misto di avidità, di truffe e di merda), così come sembra essere confermato dalle più recenti statistiche sulla concentrazione della ricchezza mondiale in pochissime mani (meno dell’1% della popolazione).3

La straordinaria forza comunicativa del film, però, non è solo nella ricostruzione minuziosa e a tratti rocambolesca degli eventi. E’ l’autentico detournement di stampo situazionista che viene operato attraverso le immagini a determinarne, in alcuni momenti, la novità e l’efficacia. Se è da antologia la scena in cui una lap dancer, volteggiando sul palo, spiega a Mark Baum come si trovi ad essere intestataria di mutui per cinque ville, altrettanto valide sono quelle in cui Margot Robbie (in una vasca da bagna piena di schiuma e drink in mano) e Selena Gomez (ad un tavolo da gioco di Las Vegas) ci mettono la faccia, oltre che il nome, e spiegano agli spettatori i meccanismi finanziari messi in atto da Wall Street per accumulare profitti colossali sulle spalle degli ignari risparmiatori. Senza dimenticare il cuoco-scrittore Anthony Bourdain che affettando un pesce, ormai non più fresco, spiega come trasformarlo in una magnifica e costosa zuppa di pesce ovvero come titoli spazzatura e crediti inesigibili possano essere trasformati in “solidi” pacchetti obbligazionari. Se per caso ancora non vi fosse chiaro il linguaggio, qui espressamente semplificato, pensate pure a Banca Etruria e alle altre tre banche coinvolte nell’ultimo scandalo bancario italiano e ai risparmiatori rovinati. Ecco, ci siete arrivati? Proprio così.

working class 1Sì, perché il film ci lascia con un’unica certezza: da allora nulla è cambiato e nessuno ha pagato, se non i lavoratori e i risparmiatori che continuano a camminare sul filo del vuoto, senza alcuna speranza legale di veder risarciti i propri diritti o i propri risparmi. Ma anche su questo punto il film non scade mai nel populismo: il meccanismo funziona perché la gente ci vuole credere. Tutti vogliono la casa di proprietà e tutti sperano di arricchirsi facilmente con i pochi risparmi a disposizione. Punto. Ora tutti a casa.

Ma non prima di essere rimasti seduti fino al termine dei titoli di coda per ascoltare i Led Zeppelin interpretare il brano più adatto a concludere il film: When The Levee Breaks, un blues scritto ed interpretato per la prima volta nel 1929 da Kansas Joe McCoy e da sua moglie Memphis Minnie.
Quando il pranzo di gala finisce, appunto. Come in quell’altra “grande crisi” degli anni trenta di cui, inevitabilmente, si parla molto nel film, soprattutto attraverso i dialoghi di Mike Burry/Christian Bale.


  1. Uno degli ultimi film prodotti è stato Duri si diventa di Etan Cohen, 2015  

  2. The Big Short – Il grande scoperto, Rizzoli 2011  

  3. http://vocidallestero.it/2015/10/18/theguardian-la-meta-della-ricchezza-mondiale-nelle-mani-dell1-della-popolazione/  

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Dove vola l’avvoltoio https://www.carmillaonline.com/2015/03/01/21048/ Sun, 01 Mar 2015 06:30:20 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=21048 di Alexik

PAH-Blackstone2“Questo è un messaggio dalla Spagna per Blackstone. Noi siamo gli abitanti delle vostre nuove case, case che erano il nostro focolare. Può darsi che voi non ci conosciate… ma ci conoscerete! Il governo spagnolo e la banca, salvata dal fallimento, vi stanno vendendo le nostre case con uno sconto enorme, uno sconto che a noi è stato negato. Ora state alzando i prezzi, ponendoci tutti a rischio di sgombero. Può darsi che vi riteniate intoccabili, nascosti nei vostri uffici a Manhattan. Ma non lo siete. Voi non sapete di cosa siamo capaci… lotteremo per [...]]]> di Alexik

PAH-Blackstone2“Questo è un messaggio dalla Spagna per Blackstone. Noi siamo gli abitanti delle vostre nuove case, case che erano il nostro focolare. Può darsi che voi non ci conosciate… ma ci conoscerete! Il governo spagnolo e la banca, salvata dal fallimento, vi stanno vendendo le nostre case con uno sconto enorme, uno sconto che a noi è stato negato. Ora state alzando i prezzi, ponendoci tutti a rischio di sgombero. Può darsi che vi riteniate intoccabili, nascosti nei vostri uffici a Manhattan. Ma non lo siete. Voi non sapete di cosa siamo capaci… lotteremo per le nostre case, per i nostri diritti, per la nostra dignità, per i nostri figli e figlie, per i nostri nipoti. Lotteremo contro i vostri interessi economici, contro tutto quello che rappresentate. Noi ci impegnamo affinché tutto il mondo sappia chi siete e cosa fate. Tenetevi pronti ! Noi lo siamo !”

Con questa promessa uomini e donne di ogni età, organizzati nella Piattaforma spagnola contro gli sfratti (PAH) stanno affrontando Blackstone, una delle multinazionali finanziarie più grandi del mondo (qui il video). Nel luglio 2014 Blackstone ha comprato in blocco le loro case, contenute nel portafoglio ipotecario della CatalunyaCaixa, una banca spagnola già salvata a suo tempo dallo Stato con 12 miliardi di euro. Vincendo la gara contro altri fondi speculativi (Cerberus Capital Managemente LP, Goldman Sachs Group Inc., Lone Star Funds, Oaktree Group LLC), Blackstone ha acquisito dalla Caixa per 3,6 miliardi di euro ipoteche che ne valevano 6,41. Un bello sconto, che era stato negato alle famiglie che abitano quegli immobili, gravate dal pagamento dei mutui. Con loro, in vista della vendita, erano state invece interrotte tutte le trattative riguardanti i pignoramenti in corso e l’affitto sociale.

PAH-Blackstone3In pratica, lo Stato spagnolo ha salvato dal crack le banche a rischio di fallimento con i soldi dei contribuenti, ma invece di farsi dare in cambio gli immobili in portafoglio, attuando politiche sociali per chi, colpito dalla crisi, non poteva più sostenere il mutuo o l’affitto,  ne ha permesso la svendita ai fondi speculativi.

Non è ua novità. In Spagna gli investimenti immobiliari dei fondi opportunistici negli ultimi anni sono saliti vertiginosamente, dai due miliardi di euro del 2013 ai 16 miliardi del 20142. Gli abitanti delle case ex CataluniaCaixa hanno già parecchi esempi di quello che potrà essere il loro futuro, molto simile al destino degli inquilini delle case popolari di Madrid.

Nel 2014 l’amministrazione di destra della capitale spagnola ha infatti venduto 5.000 appartamenti a canone calmierato alla Goldman Sachs e a Blackstone. Ora, nonostante le promesse del Comune sul mantenimento delle stesse condizioni contrattuali, gli affitti sono quasi raddoppiati, e chi non ce la fa viene buttato fuori senza nessun riguardo rispetto alla presenza in casa di neonati o di malati di cancro. Come Wilson Ruilova e Cecilia Paredes genitori di tre figli minori (di cui il più piccolo di un mese e mezzo di vita), a cui non è stata concessa la proroga3.

Nonostante l’evidenza degli effetti sociali delle “politiche abitative” di Blackstone, lo scorso dicembre Sareb (la “bad bank” creata per ripulire i bilanci del settore finanziario spagnolo) ha ceduto al fondo altri 237 milioni di mutui in sofferenza, che comprendono 29 edifici residenziali4.

Per Blackstone, prosperare sul disastro è una vocazione, una mission. Una decina di anni fa il suo fondo GSO Capital, dopo aver fatto incetta di bond argentini svenduti a prezzi irrisori dopo il default, rifiutò di aderire alla ristrutturazione del debito proposta agli obbligazionisti dal governo di Néstor Kirchner. GSO aderì alla cordata dei querelanti (altri edge funds), detentori del 7% del debito argentino, che si appellarono alla Corte di Giustizia di New York pretendendo il rimborso dei tango bonds a prezzo pieno. La sentenza a favore dei fondi speculativi emessa dal giudice Thomas Griesa ha rischiato di spingere l’Argentina verso la seconda bancarotta.

PAH-Blackstone4Dalla fine del 2006, la crisi dei subprime ha aperto a Blackstone nuove interessanti prospettive sul fronte immobiliare proprio nella sua terra d’origine. Lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti ha offerto un’occasione ghiotta per fare incetta di case a prezzi stracciati. Gli emissari di Blackstone cominciarono così a battere le aste di fallimento, che all’epoca proliferavano in tutto il paese, per accaparrarsi case vuote o sgomberate per l’occasione, fino a raggiungere la proprietà di 32.000 abitazioni. Anche altri fondi si sono buttati nell’affare, come l’American Homes (19.000 unità abitative) o il Colony American Homes (18.000), Siber Bay Realty Trust (5.370), Waypont Homes (4.620), American Residential Properties (2530).5

L’aumento della domanda speculativa ha avuto come corollario una nuova ascesa dei prezzi, che ha reso nuovamente inaccessibile alle famiglie il mercato della casa, ricominciando a soffiare dentro una nuova bolla immobiliare. Ma l’operazione non si è rivelata un affarone neanche per Blackstone, visto che al momento di affittare le case o rivenderle con i margini di profitto pretesi, molte gli sono rimaste sul groppone. Inoltre, nonostante la crescita del PIL statunitense ci venga ampiamente sbandierata, per i proletari made in USA la crisi non è propriamente finita, e il pagamento dell’affitto tutti i mesi non è decisamente una certezza.

Che fare dunque con tutte queste case? Blackstone ha scelto di cartolarizzarle … cioè trasformarle in carta, convertire i pagamenti mensili degli affitti di 1.700 abitazioni in un nuovo prodotto finanziario che la Deutsche Bank ha affibbiato ai suoi malcapitati clienti, trasferendo su di loro il rischio del mancato pagamento dei canoni. Insomma, Blackstone ha inaugurato il passaggio dai mutui subprime agli affitti subprime, nuovi potenziali titoli tossici che si andranno ad aggiungere a tutti quelli che sono ancora in giro6.

La crisi ha offerto a Blackstone e agli altri fondi speculativi l’opportunità di fare incetta di mattoni anche nel Bel Paese. In Italia lo shopping immobiliare a prezzo di saldo si è orientato principalmente verso centri commerciali, uffici, alberghi, siti industriali, oppure “trophy assets”, ovvero palazzi di grande pregio.

PAH-Blackstone5È di questo tipo l’ultima acquisizione milanese del fondo sovrano del Qatar, che l’altro ieri si è praticamente comprato l’intero quartiere di Porta Nuova, compreso di torre Unicredit, del cd bosco verticale (due parallelepipedi grigio scuro dotati di una novità rivoluzionaria: le piante sui balconi) e del campo di grano in mezzo ai grattacieli. Un agglomerato di vetro e cemento collaterale all’Expo, che all’insegna del motto “nutrire il pianeta” ha cominciato col nutrire le società che hanno venduto le loro quote alla Qatar Investment Authority, guadagnandoci un buon 30 % sull’investimento iniziale. Fra queste UnipolSai e Hine sgr, il cui AD Manfredi Catella è anche grande sponsor di Matteo Renzi. Una speculazione ad uso e consumo dei super ricchi, alla faccia di chi a Milano vive in emergenza abitativa.

Mentre i qatarioti puntano sulle nuove edificazioni di lusso, Blackstone a Milano si concentra sugli edifici storici, acquistando da Unicredit l’antico palazzo delle Poste di piazza Cordusio e l’ex sede del Banco di Sicilia. Poco più di un anno fa RCS gli ha venduto l’immobile di via Solferino, sede da 109 anni del Corriere della Sera, provocando la rivolta del Comitato di redazione7. Una reazione bislacca per un giornale che ha inneggiato per più di un secolo al libero mercato, finché subirne gli effetti nefasti toccava ad altri.

Al di là del gusto del nuovo o dell’antico, sia gli affari milanesi dell’emiro al -Thani che quelli della multinazionale americana indicano chiaramente un salto qualitativo della speculazione sulle zone centrali delle nostre città, un “passaggio del testimone” dai vecchi palazzinari autoctoni alla finanza internazionale. Un salto di qualità anche del processo di “gentrificazione”, che limiterà ulteriormente l’abitare nel centro a proprietari e inquilini sempre più di lusso.

Accanto ai “trophy assets” gli appetiti dei fondi immobiliari, e in particolare Cerberus, si rivolgono anche agli NPL (crediti in sofferenza con sottostante immobiliare). Ma la nuova frontiera è rappresentata dalla dismissione del patrimonio pubblico, in particolare quello detenuto dal Fondo Immobili Pubblici (FIP). Al FIP, creato nel 2004 grazie alla Legge n. 410/01 – disposizioni in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio pubblico, promulgata sotto il Governo Berlusconi II (Ministro dell’economia e delle finanze Giulio Tremonti), sono stati conferiti immobili pubblici ad uso diverso da quello residenziale, appartenenti allo Stato, ai Monopoli di Stato e agli enti pubblici non territoriali.

PAH-Blackstone1Fra l’altro, proprietà di INPS, INAIL e INPDAP per un valore complessivo di 2.987 milioni di euro: una vera e propria rapina rivolta alla previdenza pubblica e a tutti i lavoratori dipendenti8. Gli immobili degli enti previdenziali e assicurativi non erano infatti di proprietà dello Stato, perché comprati dagli Enti con i soldi dei contributi dei lavoratori. Assolvevano a due funzioni: far risparmiare agli Enti l’affitto delle sedi in un’ottica di economicità della gestione pubblica, e funzionare da patrimonio a garanzia delle prestazioni previdenziali e assicurative. Oggi, INPS, INAIL ed ex INPDAP, derubate dai propri immobili, per poterli occupare pagano l’affitto all’Agenzia del demanio. Domani lo pagheranno a un fondo speculativo, vista l’aria che tira.

Lo scorso ottobre il FIP ha messo in vendita un pacchetto di 21 immobili affittati all’Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane, Inail, Inps, Ministero dei Trasporti, Ministero del Lavoro. Ventuno immobili che pagheranno ogni anno ai compratori una rendita certa di 63 milioni di euro di canoni, e con contratti fino al 2022. Blackstone se ne è aggiudicati cinque (a Milano, Torino, Genova e Como), raggiungendo i 2,2 miliardi di asset in portafoglio nel nostro paese. Il fondo Cerberus, per ora sconfitto all’asta assieme al Quantum Fund di George Soros, resta in gara per un pacchetto di caserme della Guardia di Finanza per 250 milioni di euro9 . Diamoci appuntamento al 2022, per vedere le caserme della GF a rischio di sgombero (mentre l’INPS e l’INAIL, con l’attuale ritmo di smantellamento, potrebbero non esistere neanche più).

Erano questi gli investimenti stranieri agognati da Renzi ?

E a quando la cessione ai fondi delle case popolari, di cui il Decreto Lupi prevede la prossima alienazione ?


  1. Blackstone buys Catalunya Caixa mortages for eur 3,6 billion, Bloomberg.com, 17 luglio 2014  

  2. Que es un fondo buitre ?, Cadenaser.com, 29 gennaio2015 

  3. Famiglia ecuadoriana vittima di sfratto, laInfo.es, 24 gennaio 2015. 

  4. Spagna: Blackstone compra e compra 237 mln di mutui in sofferenza, Attico.it, 14 gennaio 2014. 

  5. Wall Street escogita un nuovo Frankenstein finanziario relativo agli immobili, Polemos, 4 agosto 2013. 

  6. Blackstone e Deutsche Bank creano un titolo garantito dagli affitti, Il Sole 24 Ore, 31 luglio 2013 

  7. Dopo 109 anni il palazzo di via Solferino 28 viene svenduto alla finanza speculativa, Corriere della Sera, 15 novembre 2013. 

  8. L’operazione all’epoca generò “dubbi sia sotto il profilo del metodo che su quello del merito” da parte della Commissione Parlamentare di controllo sulle attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale: “la Commissione ha tenuto ad evidenziare tutte le proprie perplessità sull’operazione che andrebbe a ledere l’autonomia degli Enti, ne produrrebbe grave instabilità, in alcuni casi compromettendone le stesse riserve tecniche contemplate dalla legge a tutela degli equilibri finanziari futuri, rischiando di pregiudicarne le prospettive sul più generale piano funzionale”. 

  9. Paolo Dezza, Blackstone stringe sugli asset del fondo FIP, il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2014. 

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