Daspo urbano – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 23 Nov 2024 23:38:11 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il nemico interno https://www.carmillaonline.com/2017/03/29/il-nemico-interno/ Wed, 29 Mar 2017 21:59:36 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37339 di Alexik

Minniti“Ritenuta la  straordinaria  necessità  ed  urgenza  di  introdurre strumenti  volti  a  rafforzare  la  sicurezza  delle  città  e   la vivibilità  dei  territori  e  di  promuovere  interventi  volti  al mantenimento del decoro urbano” …

È particolarmente istruttivo soffermarsi sul testo del Decreto Minniti in materia di ‘Sicurezza delle città mentre scorrono in sottofondo le immagini degli espianti degli uliveti di Melendugno, per l’avvio dei cantieri del “Trans Adriatic Pipeline”.

E’ illuminante come alcune centinaia di dipendenti del Ministero dell’Interno si siano fatti interpreti, con la semplicità e [...]]]> di Alexik

Minniti“Ritenuta la  straordinaria  necessità  ed  urgenza  di  introdurre strumenti  volti  a  rafforzare  la  sicurezza  delle  città  e   la vivibilità  dei  territori  e  di  promuovere  interventi  volti  al mantenimento del decoro urbano” …

È particolarmente istruttivo soffermarsi sul testo del Decreto Minniti in materia di ‘Sicurezza delle città mentre scorrono in sottofondo le immagini degli espianti degli uliveti di Melendugno, per l’avvio dei cantieri del “Trans Adriatic Pipeline”.

E’ illuminante come alcune centinaia di dipendenti del Ministero dell’Interno si siano fatti interpreti, con la semplicità e l’immediatezza propria della comunicazione non verbale dei manganelli, del contenuto profondo dei concetti enunciati dal Decreto, quali “sicurezza”, “vivibilità  dei  territori”, “decoro”, “benessere delle comunità territoriali”, e della loro articolazione pratica nell’ambito delle politiche di governo.

Melendugno3

Melendugno (LE), 28 marzo 2017.

Le cariche sui sindaci, inoltre, raffigurano plasticamente cosa si intenda per ‘collaborazione interistituzionale per la promozione della sicurezza’, qualora i primi cittadini non vogliano ridurre il proprio ruolo a meri persecutori di mendicanti e poveracci in genere, ma pretendano (temerari!) di rappresentare i bisogni e i desideri della gente che li  ha eletti.
Può sorgere il dubbio, invero, che il senso di tali concetti sia stato frainteso, ma io credo che invece i tutori dell’ordine ne abbiano dato una rappresentazione corretta, almeno nell’accezione più cara all’attuale ministro degli Interni (ed anche a tanti suoi predecessori), alla compagine politica che lo esprime ed agli interessi economici che essa rappresenta.

Comunque, il trattamento riservato ai manifestanti di Melendugno da parte della polizia in assetto antisommossa e la messa in stato d’assedio del paesino del leccese non è di per se una novità. Qualcuno ci è già passato prima che toccasse ai salentini.

La sperimentazione valsusina

A 1.200 km a nord ovest,  la Val di Susa ha rappresentato, negli anni, un campo di sperimentazione delle strategie di contenimento delle lotte popolari. Un test per l’uso di strumenti repressivi di eccezione, un tempo rivolti contro i militanti di organizzazioni politiche ribelli, e poi estesi nella loro applicazione ad un’intera popolazione civile all’interno di una determinata area.

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Chiomonte (TO), cantiere TAV, giugno 2015.

Strumenti che vanno dalla costante militarizzazione del territorio, all’uso di una particolare violenza contro i dimostranti, ad un eccezionale accanimento giudiziario.
Alla fine del 2015 si contavano circa 1000 imputati e 200 condanne nei procedimenti aperti contro il movimento valsusino, procedimenti che godono di una corsia preferenziale rispetto a quelli istruiti per reati ben più gravi.
Presso la Procura di Torino può infatti accadere che un processo per lo stupro di una bambina si concluda, dopo 20 anni, con la prescrizione, mentre per reati anche bagatellari commessi da militanti No Tav si proceda d’urgenza.
Sono di uso comune nei processi contro i No Tav “la dilatazione del concorso di persone nel reato, l’uso massiccio (e talora indiscriminato) delle misure cautelari, un insieme di forzature (grandi e piccole) in indagini e processi, il ricorso a fattispecie di reato (a dir poco) sovradimensionate con evocazione finanche della finalità di terrorismo, la particolare cura nella gestione dei processi sulla stampa (oltre che negli uffici giudiziari)”1.

violenze Val di Susa2

Manifestante ferita a Coldimosso (TO), durante una manifestazione contro il Tav, 17 febbraio 2010.

La sproporzione fra i criteri di giudizio utilizzati emerge nella sua plateale nudità quando la stessa Procura sostiene l’accusa di terrorismo per i manifestanti inquisiti per il danneggiamento di un compressore, mentre archivia sistematicamente le denunce per le gravi lesioni, anche permanenti e fortemente invalidanti, subite dai militanti No Tav nel corso di cariche e fermi2, stabilendo una singolare gerarchia di importanza fra ‘l’incolumità’ delle cose e quella delle persone.
Tutto questo, negli anni, è stato preceduto e accompagnato da un’intensa opera di denigrazione e criminalizzazione mediatica del movimento, finalizzata alla preparazione del terreno e della base di consenso necessaria all’esplicarsi dell’azione repressiva3.

In Val di Susa, in sintesi, si è andato sperimentando quanto il trattamento di una popolazione dissidente potesse avvicinarsi a quello riservato ad una popolazione ‘nemica’.

Non si tratta di un’esagerazione: nel 2011 l’ultimo colpo di coda del morente governo Berlusconi, fu quello di definire – sul modello delle disposizioni già in atto per le discariche napoletane – il cantiere della Lyon Turin Ferroviaire come ‘Area di interesse strategico nazionale’, cioè area ‘ove l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato’.
L’applicazione cioè,  di un diritto penale di eccezione a base territoriale, “un modello normativo eccezionale a cominciare dal requisito che legittima tutto il sistema in deroga: la proclamazione dello stato di emergenza, adottata con decreto del Consiglio dei Ministri, al di fuori di qualsiasi controllo parlamentare”.4
Una logica militare a tutti gli effetti scelta, non come si vuol in genere far credere, dai temibili black bloc ma dallo Stato, per contenere l’indisponibilità di intere popolazioni a subire politiche di devastazione ambientale.

Nel 2014, con l’art. 37 del Decreto ’Sblocca Italia’ , il modello viene esteso dal Governo Renzi anche ai cantieri di costruzione del “Trans Adriatic Pipeline”, a cui si attribuisce carattere di priorità nazionale e di interesse strategico … nel senso ovviamente dell’interesse strategico della Snam, della British Petroleum, della azera Socar, della belga Fluxys, della spagnola Enagas, della svizzera Axpo, soci del consorzio T.A.P. (!!!)

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Melendugno (LE), in difesa degli ulivi, 28 marzo 2017.

Dunque, l’apparato normativo atto a reprimere i difensori degli ulivi salentini è già stato ampiamente predisposto, e questo ben prima dell’arrivo al dicastero degli Interni di Domenico ‘Marco’ Minniti.
Ma se l’obiettivo è la costruzione e persecuzione del ‘nemico interno’ e la gestione del dissenso con logiche di guerra, il neoministro  presenta ottime referenze.

L’uomo giusto al posto giusto.

Figlio di un pilota dell’aeronautica militare e uomo di provata fede atlantica, Marco Minniti, dal governo D’Alema in poi,  ha collezionato una lunga serie di incarichi governativi con deleghe ai servizi segreti, alla cooperazione con la Nato, al coordinamento di operazioni durante la guerra dei Balcani, alla promozione dell’industria bellica. Tutte attività a stretto contatto e in perfetta sinergia con ministri della difesa, capi delle forze armate, centri di intelligence, manager delle holding belliche5.
Di lui WikiLeaks ricorda come sia riuscito a rassicurare l’ambasciata USA sulla riconferma dell’acquisto da parte dell’Italia dei caccia F-35 (un pacco e un salasso)
, dopo l’elezione di Prodi nel 2006.
Ammiragli, generali, ex capi di Stato Maggiore, funzionari dei servizi e della NATO, ex prefetti, ex magistrati, ex comandanti delle teste di cuoio, consiglieri militari, analisti della CIA, hanno fatto parte delle sue frequentazioni nell’ambito della Fondazione ICSA, il centro studi sui temi d’intelligence e dell’analisi militare da lui fondato nel 2009 assieme a Francesco Cossiga.

Rignano

Roma, sede della Regione Puglia, 9 marzo 2017.

E chissà se non sia stato proprio Cossiga il suo mentore in tema di ordine pubblico, a cui ispirare i suoi primi atti da neoministro. Atti come lo sgombero del Grande Ghetto di Rignano (FG), conclusosi con due lavoratori maliani  – Mamadu Konate e Nouhou Dumbia – bruciati vivi.
Questa la ricostruzione dei fatti da parte di Campagne in lotta, ‘sin dalle prime ore, gli abitanti del Ghetto hanno raccontato la responsabilità delle forze dell’ordine in quell’incendio, considerando le fiamme che hanno distrutto le baracche come una strategia di sgombero.
 Quella accidentale, è la versione su cui invece concordano la stampa e le istituzioni coinvolte’.

Davanti a tanto orrore, passa anche in secondo piano la gestione delirante dell’ordine pubblico di sabato scorso, in occasione del corteo Eurostop, preceduto da fogli di via, da una intensa campagna di terrore sul presunto arrivo del terribile blocco nero, e dall’enunciazione (molto cossighiana) dell’intenzione di infiltrare agenti in borghese fra i dimostranti.
La prima manifestazione nazionale di movimento dell’era Minniti ha dovuto rinunciare a 120 compagne/i (tre pullman) sequestrati per tutto il giorno in un centro di identificazione – alla faccia del diritto costituzionale di manifestare – e sopportare l’accerchiamento di una parte del corteo, prima spezzato dalla polizia in due tronconi, e poi assediato senza via d’uscita nel tentativo di provocarne la reazione.

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Chiomonte (TO), giugno 2015.

A tali ‘innovazioni’ nella gestione della piazza, se ne aggiungono altre, proprio oggi, in diretta dal presidio di Melendugno: “Praticamente stiamo cercando di fronteggiare un esercito. Sul posto c’è: polizia, carabinieri, finanza, addirittura i contractor, quelli che pagano per combattere in Iraq, e persino la marina militare“.
Come già succede da tempo nel cantiere TAV di Chiomonte, in tutti le ‘aree di interesse strategico nazionale, ove l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato’ 
 i militari vengono impiegati in funzione di ordine pubblico … ma i paramilitari fino ad ora non li avevamo ancora visti !

Torniamo al Ministro. Il contenuto dei suoi raccapriccianti decreti in materia di Immigrazione e di Sicurezza urbana è stato in parte già analizzato da Antigone sulle pagine di Carmilla, sottolineando l’impatto nefasto che tali provvedimenti avranno sulle esistenze di chi vive faticosamente già ai margini.
Ma i decreti Minniti non colpiscono il povero solamente nell’esercizio del suo diritto al movimento, alla fruizione degli spazi della città e, in definitiva, nella sua capacità di sopravvivenza individuale (esercizio dell’accattonaggio, di piccoli commerci), ma anche nella sua possibilità di reazione ed organizzazione collettiva.

Bologna, sfratto, 7 marzo 2017.

Bologna, picchetto antisfratto, 7 marzo 2017.

Per esempio un capitolo intero del Decreto sulla sicurezza delle città viene destinato all’ampliamento delle prerogative del prefetto di disporre il concorso della forza pubblica nello sgombero di occupazioni ‘arbitrarie’ di immobili.
Chi occupa una casa, chi si organizza per resistere ad uno sfratto dovrà subire d’ora in poi un maggior livello di violenza, e questo non riguarda solo i classici ceti ‘marginali’, ma ampie fasce di ex ceto medio proletarizzato dalla crisi che non riesce più a sostenere mutui o affitti.
Ovviamente, le disposizioni sugli sgomberi valgono anche per gli spazi occupati non abitativi.

Ulteriori disposizioni possono colpire direttamente chi lotta attuando, per esempio blocchi ferroviari o picchetti, in quanto  ‘chiunque  ponga  in  essere condotte che limitano la  libera  accessibilità  e  fruizione  delle infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto  pubblico  locale,  urbano  ed extraurbano, e delle relative pertinenze’ può essere soggetto a sanzione pecuniaria e ordine di allontanamento, fino al divieto di accesso per sei mesi dal luogo della lotta.
Ma più in generale, i patti sottoscritti da prefetto e sindaco possono rivolgersi contro fenomeni generici di ‘turbativa del libero utilizzo degli spazi pubblici‘, e in questa definizione può ricadere qualsiasi tipo di protesta.
Dulcis in fundo, un emendamento della Carfagna ha introdotto nel decreto la possibilità dell’arresto in flagranza in differita (entro 48 ore) per reati avvenuti in occasione di manifestazioni pubbliche ripresi da telecamere e in immagini fotografiche, estendendo ai presidi e cortei quanto già previsto per gli stadi.

Che si tratti dunque di gestione militare della piazza, o della creazione di una sorta di ‘diritto amministrativo del nemico’ (il potere di ordinanza dei sindaci contro determinati soggetti sociali) da affiancare a quello penale, l’obiettivo è sempre quello di colpire le figure conflittuali o potenzialmente tali in vista di un aggravamento della crisi.
Prevedono, evidentemente, che essa si evolverà in maniera particolarmente grave, se affinano strumenti così sproporzionati rispetto alla reale entità del conflitto e della capacità di organizzazione di chi si oppone.
Prevedono, evidentemente, che l’estendersi dell’esercito industriale di riserva non si incontrerà mai più con nessuna rivoluzione industriale in grado di assorbirlo, e si attrezzano per rispedirlo altrove.
Prevedono, evidentemente, che il capitale in crisi di valorizzazione, spingerà gradualmente l’espropriazione oltre i limiti posti dal minimo vitale di masse sempre più consistenti di persone (nel suo piccolo, l’esempio salentino significa questo: famiglie di olivicoltori rovinate, nuova carne da emigrazione), e si attrezzano per neutralizzarne la reazione.
Loro si attrezzano. E noi ?


  1. Livio Pepino, La Val Susa e il diritto penale del nemico, in ‘Quaderni del Controsservatorio Valsusa n. 1’, Intra Moenia Edizioni, 2014.  

  2. Sull’argomento si consiglia la visione del documentario ‘Archiviato. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa’. Qui il trailer. 

  3. Per i dettagli: Xenia Chiaramonte, Alessandro Senaldi, Criminalizzare i movimenti. I No Tav fra etichettamento e resistenza, in ‘Studi sulla questione criminale, X, n. 1, 2015, pp. 105-144.  

  4. Carlo Ruga Riva, Diritto penale, regioni e territorio. Tecniche funzioni e limiti, Giuffrè, 2012, p. 187. 

  5. Per il curriculum dettagliato: Antonio Mazzeo, Marco Minniti. Quest’uomo è una sicurezza, 20 gennaio 2017. 

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Insicurezza integrata e diritti compressi: la decretazione d’urgenza del ministro Minniti https://www.carmillaonline.com/2017/03/28/insicurezza-integrata-diritti-compressi-la-decretazione-durgenza-del-ministro-minniti/ Mon, 27 Mar 2017 23:10:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37309 di Associazione Antigone Emilia-Romagna

Pawel-Kuczynski1I decreti sulla Sicurezza delle città e sull’Immigrazione – recentemente emanati dal governo italiano con la firma del Ministro dell’interno Minniti – rispondono alla logica di contenere ed escludere una parte della popolazione. La soluzione proposta si configura come risposta repressiva e semplicistica a fenomeni sociali complessi correlati, da un lato, a una gestione miope dei flussi migratori e, dall’altro, alla prolungata e intensa crisi economica e sociale che continua a produrre i soggetti marginali che risultano poi i principali destinatari di queste misure.

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di Associazione Antigone Emilia-Romagna

Pawel-Kuczynski1I decreti sulla Sicurezza delle città e sull’Immigrazione – recentemente emanati dal governo italiano con la firma del Ministro dell’interno Minniti – rispondono alla logica di contenere ed escludere una parte della popolazione.
La soluzione proposta si configura come risposta repressiva e semplicistica a fenomeni sociali complessi correlati, da un lato, a una gestione miope dei flussi migratori e, dall’altro, alla prolungata e intensa crisi economica e sociale che continua a produrre i soggetti marginali che risultano poi i principali destinatari di queste misure.

Questi decreti si pongono in continuità rispetto al delinearsi di un paradigma della sicurezza pervasivo e dannoso, ma allo stesso tempo evidentemente funzionale alle forze politiche – di destra e di sinistra – che cercano un riscontro rapido in termini di consenso elettorale.
Ma non è più solo quella della paura la logica organizzatrice delle misure qui proposte: riemerge la difesa del decoro.
I decreti in questo senso forniscono una nuova occasione di dibattito su alcune questioni fondamentali relative alla regolamentazione verticale degli spazi urbani e delle interazioni sociali che vi prendono corpo:

Chi definisce che cos’è uno spazio pubblico, chi ha diritto ad attraversarlo e chi ne può venire escluso?
Chi ha il potere di definire decoro e sicurezza?
Chi in definitiva ha diritto di parola rispetto a questi temi?
E’ sufficiente essere parte della cittadinanza che deve essere “rassicurata”?

Dopo alcuni anni di allentamento, sembra tornare in auge l’idea che la sicurezza urbana possa derivare dal mero abbassamento dei rischi (percepiti) di vittimizzazione da criminalità di strada, ottenibile con misure repressive e in alcuni casi attraverso misure di prevenzione situazionale1.
Questa narrativa, ormai classica, comprime il ruolo dello Stato all’interno di uno schema di rassicurazione autoritaria che si avvale in primis degli strumenti del penale e, sempre più, anche di dispositivi di matrice amministrativa, dall’assai rilevante portato repressivo e afflittivo.

Questi ultimi mirano ai disordini urbani e alle manifestazioni pubbliche di malcontento che affiorano ai confini della legge penale e sono spesso definiti “inciviltà”.
In questo senso le nuove politiche di sicurezza, infischiandosene delle cause di tali dinamiche sociali, dichiarano di fare affidamento su una ritrovata o rinnovata capacità della forza pubblica di sottomettere alla norma in maniera duratura soggetti e porzioni di territorio urbano considerati problematici.
pawel-kuczynski4Il discorso sulla sicurezza rivaluta senza remore la repressione e, stigmatizzando i giovani dei quartieri popolari, i disoccupati, i mendicanti, i senzatetto, i migranti, diviene paradigma di un governo che si legittima per la sua capacità di punire i poveri, identificati come naturali portatori di una pandemia di comportamenti sgradevoli e delitti minori che appesta la vita quotidiana.
Per costoro non sembra valere nemmeno la presunzione di innocenza. Compongono infatti una compagine sociale a limitata fruizione di diritti e garanzie: ecco una realizzazione dell’Europa a due velocità che anziché includere, promuovere, proteggere e integrare pone in essere vere e proprie politiche di segregazione ed esclusione sociale.

Il decreto in materia di immigrazione alimenta il meccanismo istituzionale di produzione di migranti ‘illegali’ ed ‘indeportabili’.
Le impronte digitali elettroniche, che dal 2016 vengono sistematicamente prese  anche con l’ausilio della forza a tutti i migranti in arrivo, impediscono loro di presentare in altri paesi la domanda d’asilo.
Tale procedura si combina con i controlli più stringenti ai confini con Austria, Francia e Svizzera determinando una sorta di intrappolamento per i migranti giunti in Italia.
Nonostante l’ormai storica inefficacia delle pratiche di espulsione, il decreto ripropone la strategia già fallita: la nuova istituzione e costruzione di numerosi Centri di Permanenza per il Rimpatrio, l’ampliamento delle tipologie del trattenimento (non più solo destinatari di provvedimenti di espulsione bensì anche di respingimento) e delle tempistiche di permanenza (fino a 135 giorni per gli “ospiti” che passano dalla detenzione penale a quella amministrativa).
Questa misura, presentata come necessaria per il buon funzionamento del sistema dei rimpatri, sembra ignorare che meno del 50% del totale dei trattenuti nei vecchi C.I.E. veniva rimpatriato.
Il rischio più che concreto è che torni a crescere, in dimensioni e impatto, un circuito detentivo specifico per cittadini stranieri, deprivato perfino dalle garanzie minime del comparto penale.

In piena coerenza, è significativo che il decreto elimini il grado dell’appello nell’iter della richiesta d’asilo, rendendo il rigetto da parte delle Commissioni territoriali (che in prima istanza esaminano le domande) non reclamabile se non in Cassazione.
Il criterio della necessità ed urgenza è stato giustificato invocando la necessità di decongestionare le Commissioni a fronte dell’aumento delle domande (più di 80.000 nel 2016) e dell’incremento del numero delle impugnazioni giurisdizionali.
Tra il 2014 e il 2016 le Commissioni hanno rigettato il 56% delle domande di asilo, ma il 70% di queste sono state poi accolte in appello.
Eliminare l’appello significherebbe con ogni probabilità lasciare in futuro senza protezione internazionale decine di migliaia di persone che ne avrebbero diritto.

Infine, il decreto istituisce quattordici sezioni specializzate che accentreranno tutte le domande di esame avanzate nel territorio nazionale.
Tale disposizione lede il principio di prossimità della giurisdizione (ostacolando il diritto di difesa della parte) e non risolve il problema avanzato dalle medesime istituzioni circa il carico di lavoro degli ufficiali giudiziari coinvolti nelle procedure.
L’ipotesi che prende corpo è quella di un procedimento di primo grado fortemente intasato e, quindi, alternativamente, più lungo e farraginoso oppure più sbrigativo, con esiti verosimilmente meno favorevoli per i richiedenti.
In generale dunque, il decreto riproduce un modello ormai consolidato e fallimentare di gestione del fenomeno dell’immigrazione, pesantemente sbilanciato su meccanismi di filtro burocratici e poliziali.

Il decreto in materia di sicurezza, al di là delle frasi di rito, nega ai sindaci le risorse per implementare politiche sociali e servizi che diano risposta ai crescenti bisogni di larghi strati della società.
Attribuisce invece agli stessi, poteri di ordinanza in materia di ordine pubblico al fine di preservare il decoro urbano, inibendo la frequentazione di stazioni, porti, aeroporti e di ogni altro luogo di interesse turistico ad outsiders metropolitani, clochard, studenti, persone in stato di difficoltà.
onestàNel quadro complessivo della dismissione delle tutele solidaristiche, questi soggetti vengono individuati come categorie che sindaci e questori hanno l’onere di allontanare dalle zone urbane ritenute nevralgiche attraverso dispositivi più affilati.
Una operazione di chirurgia sociale intesa a tutelare, con necessaria urgenza, un bene giuridico che sarebbe costituito dalla tranquillità dei residenti, minacciata da quello che viene descritto come afflusso di persone di particolare rilevanza.
Nel luogo particolare della stazione ferroviaria o del trasporto pubblico, vige ad esempio un divieto di stazionamento soggetto alla sanzione amministrativa di una somma tra i 100 ed i 300 euro, ma questa è chiaramente la previsione più tenue.
Stazionamento ed occupazione sono condotte che, se reiterate a seguito di provvedimento di allontanamento e se considerate dal questore potenzialmente pericolose per la sicurezza, possono motivare il divieto di accesso ad uno o più luoghi fino a sei mesi.
Minorenne o adulto, se il soggetto ha subito una condanna nei cinque anni precedenti, potrà essere interdetto dalla frequentazione di quei luoghi per un tempo tra i sei mesi ed i cinque anni, con una compressione assai significativa e altamente discrezionale della libertà di movimento.
Previsioni specifiche sono dettate per le condotte di occupazione arbitraria di immobili, spaccio di sostanze, vendita abusiva di alcolici e di beni contraffatti, sfruttamento della prostituzione e accattonaggio.
In questi campi, forze di polizia e amministratori delle città vedono accresciuti i loro poteri operativi anche attraverso una notevole semplificazione procedurale.
I loro interventi potranno essere più agili e la sanzionabilità delle condotte più agevole e, ancora una volta, sottratta al controllo garantistico del sistema penale.
In sintesi, appare evidente il tentativo di orientare i principi di legittimazione di questi referenti istituzionali all’interno della cornice del potere di controllare, interdire e punire.

Rimangono tutte da dimostrare la necessità e l’urgenza di un decreto che mira a difendere decoro e sicurezza in ambito urbano, soprattutto considerando in che termini gli strumenti previgenti non fossero già più che sufficienti allo scopo.
Permangono inoltre perplessità circa l’esubero di discrezionalità verso una serie di condotte sanzionabili che non sembrano riferirsi alla lesione di beni e diritti, bensì alle specifiche caratteristiche socio-anagrafiche di soggetti precedentemente individuati, soprattutto in riferimento ai luoghi urbani che frequentano o attraversano.
Lo stazionamento e l’occupazione dei cosiddetti luoghi particolari sono infatti condotte la cui illiceità è di volta in volta stabilita dal questore sulla base del criterio della percezione di potenziale pericolosità: in assenza di criteri chiari, si immagina che tale individuazione sarà determinata dalle tradizionali logiche selettive delle agenzie istituzionali, che individuano in stranieri e marginali gli attori che portano le più serie minacce all’ordine cittadino.

Mancano i riscontri statistici di un aumento della delittuosità?
E’ forse più difficile agitare lo spauracchio della microcriminalità dilagante?
Non fa niente. La sicurezza integrata può prescindere da questi fastidiosi orpelli.
Le nuove possibilità di intervento discendono infatti dalla capacità (divinatorie?) dei settori dell’esecutivo e dei sindaci coinvolti di interpretare le insicurezze percepite dalla cittadinanza.
Le risposte previste evidenziano una vera e propria sovversione semantica della sicurezza integrata. Spariscono i riferimenti alla prevenzione sociale e la partecipazione dei cittadini è ammessa nella misura in cui sia coerente alle dinamiche di una gestione degli spazi urbani orientata all’esclusione.


  1. Le strategie preventive situazionali  spostano il baricentro dell’attenzione dalle cause dei comportamenti che si vogliono impedire ai contesti dove questi possono accadere. Introducono cambiamenti gestionali e/o ambientali per ridurre le opportunità e la convenienza nell’attuazione dei comportamenti indesiderati. Le strategie agiscono, per esempio, sull’apertura o chiusura degli spazi, sulla visibilità, sul controllo degli accessi agli edifici, sulle misure di allontanamento o dissuasione, sulla sorveglianza di individui o oggetti, sulla rimozione dei potenziali obiettivi, sull’eliminazione degli elementi di ‘gratificazione’ connessi al comportamento indesiderato (come la rimozione immediata di graffiti). 

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