Dario Bellezza – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 26 Dec 2024 21:00:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Santi subito, di Antonio Veneziani https://www.carmillaonline.com/2022/05/09/santi-subito-di-antonio-veneziani/ Mon, 09 May 2022 20:38:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=71587 Fve editori, Milano 2022 pp. 112, € 17

Esce oggi questo particolarissimo testo del poeta Antonio Veneziani, una raccolta di testi poetici, sotto forma di invocazioni ad alcuni personaggi dell’immaginario, gli ultimi, o forse gli unici, santi possibili. Ognuno di loro, infatti, potrebbe essere inserito nella nostra rubrica Santi subito, personaggi da ri(s)valutare. Di seguito ne pubblichiamo alcuni, Allen Ginsberg, Jim Morrison, Marco Ferreri, Amelia Rosselli, Nico. Gli altri sono: Marylin Monroe, Henry de Toulouse-Lautrec, Carlo Coccioli, Basquiat, Copi, Pedro Lemebel, Dario Bellezza, Divine, Jean Genet, Pier Paolo Pasolini. [...]]]> Fve editori, Milano 2022 pp. 112, € 17

Esce oggi questo particolarissimo testo del poeta Antonio Veneziani, una raccolta di testi poetici, sotto forma di invocazioni ad alcuni personaggi dell’immaginario, gli ultimi, o forse gli unici, santi possibili. Ognuno di loro, infatti, potrebbe essere inserito nella nostra rubrica Santi subito, personaggi da ri(s)valutare. Di seguito ne pubblichiamo alcuni, Allen Ginsberg, Jim Morrison, Marco Ferreri, Amelia Rosselli, Nico. Gli altri sono: Marylin Monroe, Henry de Toulouse-Lautrec, Carlo Coccioli, Basquiat, Copi, Pedro Lemebel, Dario Bellezza, Divine, Jean Genet, Pier Paolo Pasolini. I “santini” sono stati realizzati da Emanuela Del Vescovo, Simone Lucciola, Pietro Contento, Francesco La Penna (MB).

ALLEN GINSBERG

Mi congratulo, sempre che mi sia permessa questa confidenza indegna, con te Santo Allen, grande cantore della beltà, del sesso, dell’essere contro il sistema, della strada, delle piccole cose.
Tu che scrivi: “Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte da pazzia, morir di fame isteriche nude strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia”.
Tu che hai santo il cazzo, il culo, la bocca, la testa, le mani, gli occhi, il naso, i sogni, i sorrisi e la merda, aiuta, chi come me ti prega: a sopportare la ferocia dell’amore, spesso spinoso come il guscio di una castagna selvatica; la povertà d’animo di certe persone, ipocrita come la buccia di mela tirata a lucido; la mancanza perduta che sbiadisce i giorni come pioggia imprevista.
Tu che hai provato ad ampliare l’area della coscienza, tu che nel sudario leccavi le biglie di Jack, tu che guidavi sbronzo con Peter sui boulevard, tu che non hai mai amato le bandiere; aiuta noi, tuoi devoti a non spaurire di fronte alla magia della parola; a combattere con tutte le forze i pregiudizi razziali e sessuali, a sorprendere preghiere su cappelli a larghe falde e dentro a scarpe di gomma, magari un po’ puzzolenti; a salutare, con molta attenzione, i cani in branco all’alba, soprattutto se hanno le bocche larghe e polverose.
Tu, Santo Ginsberg che hai operato miracoli in tutto il globo terrestre e sei stella mattutina come Marlowe, Kabir5, Whitman, Wilde, Bellezza, Penna, l’amico Burroughs; aiuta i tuoi devoti, dal cuore infranto, dal culo rotto, dal cazzo stanco, a non tradire mai la gioia anche se minima, aiutali ad asciugare le lacrime dal cielo con
mani lievi, ma sicure; insegna loro a posare il corpo, senza fretta, su pance che avvicinano alle favole, a farsi imprigionare dalla libertà di un battito di ciglia.
O Santo Allen, tu che riuscivi a cogliere negli intonaci del Kansoso di Benares, la sanscrita preghiera dei leoni per recitarla poi a camerieri, spingendoli a sfogliare Platone e Buddha, aiutaci a sfilarci la pelle con grazia.
O Santo Allen, aiuta chi come me ha idee smagliate e lotta con la pagina bianca ed ha una vita stanca; aiuta chi spetala l’erranza e chi si attorciglia alle braccia cravatte sgualcite, che però contengono le mappe di isole dove la commare secca è morta stecchita.

JIM MORRISON

Mi congratulo, sempre che mi sia permessa questa confidenza indegna, con te Santo Re Lucertola, che hai oltrepassato infinite porte, sempre con la purezza e la limpidezza dei giusti.
Tu che hai provato l’entità fisica e mentale di tutti i personaggi che diventavi sul palcoscenico, aiuta i tuoi poveri fedeli scissi, sbreccati, che si tagliano le vene per capire fino in fondo la consistenza del sangue, ad abitare, senza ornamenti, le loro anime e i loro corpi.
Tu che ogni giorno compi il miracolo di ridare speranza e respiro a qualche sfigato, come me; tu protettore degli schizofrenici, degli alcolizzati, degli eroinomani, risucchiati dai buchi, dei bipolari gravi, tu che hai detto che: “Nessuno uscirà vivo da qui” ed è semplice verità, aiutaci a rimanere vigili e vitali fino all’ultimo respiro, aiutaci a non annegare il nostro sorriso nella pioggia, neppure in quella estiva.
Tu, elettrico sciamano, tu re acido, tu imbevuto di sensi di colpa, più del più pio chassidim, consiglia i tuoi devoti in modo che riescano a scansare il senso del peccato, e fa’ in modo che i desideri d’amore non si trasformino, sempre o quasi, in cenere.
Tu che racconti sorella morte come pallida donna, salvaci dalla signora in nero e dai muri che ci sovrastano e ci imprigionano, permettici di giocare e offrici improvvisi rapimenti.
Tu che “avevi un sorriso da tenersi stretto” parole di John Desmore, aiutaci ad essere sereni, ogni tanto, quel poco che basta; anche se siamo costretti ad addossarci il feretro del mondo in piena New York, o nella Beirut sventrata, o nella gelida Mosca, o nella impossibile Roma.
Tu che hai buttato giorni come lattine vuote di birra; tu che restavi muto per lunghissimo tempo, di fronte a una parete umida e scrostata; tu che volevi vivere cento anni in un’ora.
San Morrison aiuta chi ti venera a capire che le risate degli amanti sono sempre portate via da qualche macchina, nave o aereo, che la violenza altro non è che un mozzicone mal spento. Tu che guidavi la voce nell’arsura del ricordo, guidaci fra le braccia smisurate dei cipressi. Tu, che come perfetto interprete artaudiano del disagio
offrivi coppe di lacrime agli amici; tu che con malinconici blues svelavi la magia di certe attese, aiuta i tuoi devoti a scrollarsi dai capelli la rabbia; a sopravvivere ai tradimenti e alle defezioni, ad accarezzare e afferrare l’effimero.
Allontana il letale sorriso degli stupidi, dilaziona il dolore e infrangi
gli orologi, tutti, tu stella lucente, tu puoi.

MARCO FERRERI

San Marco Ferreri, nel 150, in Cappadocia, dirige il circo Nitrato d’Argento, con settanta giumente turche, settanta cavalle baie, settanta leonesse, settanta gatte d’angora, settante volpi rosse, settanta pantere nere, settanta tigri del Bengala; questione di batticuore? Bizzarrie di santo?
Il circo Nitrato d’Argento Marco Ferreri lo porta nella tasca interna del rosso mantello, sta infatti racchiuso in un guscio di noce. Ulteriore stravaganza, lo possono vedere solo i poeti, i puri di cuore, i liberi di mente.
I santi sono strani.
San Marco Ferreri ricompare a Parigi nel 1643, dove aiuta la pia e buona Maria Magdalene de Blémont ad avere una vita. Maria Magdalene possiede: un ditale, un ago, una piuma d’oca.
San Marco Ferreri, conoscendo il terso animo di Maria Magdalene, inscena uno spettacolo nel quale passa ben settecento volte nella cruna dell’ago.
Nel frattempo è sopraggiunto anche il cavaliere Sebastian Salazar de Quechua1, che, esausto, si è fermato per chiedere un po’ d’acqua; ne sorbisce un ditale.
Salazar, profondamente impressionato, chiede la mano di Maria Magdalene, recitandole la poesia: “Io allevo una mosca / dalle ali d’oro, / dagli occhi di fuoco. / Vaga nella notte / come una stella; / ferisce mortalmente / con il suo bagliore rosso, / con i suoi occhi di fuoco.”
Con la piuma d’oca, Maria Magdalene Salazar Bondy compone il capolavoro, ancora inedito, Lo scrigno delle parole, dal quale hanno attinto e attingeranno tutti gli scrittori che, con le loro magiche parole, hanno saputo e sapranno innalzare il canto del mondo.
San Marco Ferreri, protettore della gola e della spola, dei cavalli scossi e dei cavalieri senza cavallo, dei fallofori, degli eccessivi, dei sans papier e dei senza fissa dimora, trascorse l’ultima vita terrena nascosto dietro un obiettivo, ritmando la sua preghiera quotidiana con un Ciak.
Gli fu strappata la lingua, come succede ogni giorno a tutti i dissidenti.
Fu per questo, forse, che si rifugiò nel cinema, saggiando i desideri più segreti, aprendo anime e tastandole con mano sfrenata, eppur casta, inseguendo, senza vergogna, poemi dissoluti.
I miracoli, le vite, i sorrisi, i sogni, i sospiri, i silenzi, i cammini di San Marco Ferreri furon più di settantamila e chi lo venera non morirà: di miseria, di fame, di discordia, di rabbia, di guerra, di bugie, di crepacuore. Anzi, non morirà affatto.

AMELIA ROSSELLI

Rallegratevi fratelli e sorelle, rallegratevi della vicinanza di Sant’Amelia, protettrice dei malati di Parkinson e dei violinisti, dei coloristi e degli anarco-comunisti, di enigmatici memorialisti e di granitrici sessual scambisti, di Fate Morgane e di Farfalle, le più strane. Uno dei primi miracoli di Sant’Amelia fu proprio quello di
ridare vita a migliaia di farfalle imprigionate su sadici spilloni, con la lettura di una sua sola poesia, eccone un frammento: “una musica insonne ci farà / sentinella nell’ora vertiginosa / mentre un sole pallido sfilerà / reti.”
Sant’Amelia protettrice dei perseguitati dalla CIA e dal Mossad e da qualsiasi servizio segreto, aiutaci ad allontanare la guerra, il sangue, la smania di potere, tu sorella di Rachmaninoff, tu che facevi ritmare le parole tra Campo dei Fiori e Piazza dell’Orologio, aiutaci a conquistare chi amiamo, tienici stretti gli amici, allontana da noi gli importuni, i noiosi, gli spocchiosi e soprattutto chi vuole ferirci nell’animo e nel corpo, e rendi impotente chiunque voglia sezionarci la mente e magari con “lacrime e sangue su cristallo, la serenità sfasciata e a rammendar l’esistenza, laicamente” aiutaci, tu che puoi.
Rallegratevi fratelli e sorelle, perché Sant’Amelia saprà, impromptu, farci raggiungere, anche ai confini del mondo, la persona amata, lei rabdomante della parola ci guiderà dentro tutti i vocabolari e sceglierà con noi la parola giusta, sempre, e ci aiuterà a spolverare gli specchi dai nostri segreti.
Rallegratevi fratelli e sorelle, rallegratevi perché Sant’Amelia lei così vera, così nuda e cruda, ci insegnerà a non piangere per i tradimenti e ci dispenserà dallo scrocco di avverbi e aggettivi.
Rallegratevi fratelli e sorelle, visto che lei riusciva ad apprezzare le rigide zinie abbarbicate ai muriccioli di sasso e le dalie rosse come gocce di sangue, saprà indicarci la via per arginare lo sfaldamento della natura.
Sant’Amelia ci sorveglierà per aiutarci a non porre speranza in persone dal cuore troppo duro e dalla testa troppo tenera. Sant’Amelia ci permetterà di dare animo alla carne, ci aiuterà a non aggrapparci al danaro, ma ci concederà di averne tanto da non
doverci prostituire.
Rallegratevi, amici, perché Sant’Amelia ci indirizzerà mentre ficchiamo le mani tra aggettivi e avverbi per spiegare la nostra ansia d’amore, perché è a noi vivi che tocca tenere la porta aperta e la poeta, sorella, Amelia, ben lo sa; e allora insieme “dentro una casa sibillina, lasciamoci sfuggire la morte, ubiqua”.
Rallegriamoci tutti, Santa Amelia è tra noi, al bar del Fico, su un foglietto ho trovato scritto: “Traluce nello specchio, / predestinata, l’alba: di lente figure, / in un angolo la notte / ci farà tremare di dimenticate febbri d’amore”.
Rallegratevi fratelli e sorelle, rallegriamoci tutti, perché Santa Amelia ci svelerà il segreto dell’acqua che ci scivola fra le dita e del sangue che appanna la semplicità.

NICO

Santa Nico, protettrice di usignoli, allodole, cinciallegre, voci bianche, rockettari, cantori gregoriani, ugole liriche; di tatuati e tatuatori, delle donne dalla pelle di luna e di chi non ha fortuna.
Santa Nico santificò la sua vita con gli amici Andy Warhol, Candy Darling, Holly Woodlawn, Lou Reed; a New York tramontava, oltre la strada, il ventesimo secolo.
Si martirizzava con spilloni e mollette, nascondeva nelle fossette dei bagni ero e morfina, donna divina.
Già nel periodo Assirobabilonese, Nico: dettava “usignolo lunare”, si contornava di poeti, danzatori, di suonatori di ocarine del desiderio, di rollatori che svelavano segreti, di organisti che pizzicavano, con tocco celestiale, animo e carne.
Una sera coperta di veli d’oro, d’argento e rame, con piume fra i capelli si strappò la pelle di braccia e gambe, dopo averci scritto: “C’è un tempo per nascere e uno per morire, / un tempo per piantare e un tempo per sbarbare il piantato. / C’è un tempo per uccidere e uno per curare, / un tempo per demolire e un tempo per costruire. / C’è un tempo per piangere e uno per ridere, / un tempo per gemere e uno per ballare.”
La offrì ai presenti e fu subito miracolo: i ricchi calpestarono i loro vestiti, i poveri si strapparono gli stracci che indossavano e tutti si abbracciarono, si baciarono e si abbigliarono di rugiada e coralli.
Era il 1612: Nico, travestita da uomo, era in pellegrinaggio verso Roma, insegnava a un saltimbanco, mangiatore di fuoco, ad incendiarsi i capelli rasta, senza che prendessero fuoco. Suonarono insieme viole d’amore e sitar e tutto si fermò, ed il silenzio si mise ad ascoltare.
Le principesse: Carmilla, Millarca, Mircalla2, gelose fradice, la fecero cercare e poi condannare per stregoneria.
Mentre la stavano conducendo al rogo, Nico intonò: Femme fatale e tutti gli animali: uccelli, giraffe, cicale, pesci, persino i cani, risposero. Le piante e le foreste inneggiarono all’assoluto.
Passò una Balena Bianca e Santa Nico le saltò in groppa. Le tre sorelle Carmilla, Millarca, Mircalla si convertirono e diventarono le sue coriste.

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Sport e dintorni – Calcio e letteratura in Italia https://www.carmillaonline.com/2018/12/14/sport-e-dintorni-calcio-e-letteratura-in-italia/ Thu, 13 Dec 2018 23:01:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=48612 di Alberto Molinari

Sergio Giuntini, Calcio e letteratura in Italia (1892-2015), Biblion edizioni, Milano, 2017, pp. 365, € 25,00

Con questo saggio lo storico dello sport Sergio Giuntini offre per la prima volta un quadro d’insieme sulla storia dei rapporti tra calcio e letteratura in Italia. L’autore si misura con una materia molto ricca ed eterogenea, assumendo la nozione di letteratura in un’accezione ampia. Attraverso un approccio metodologico che mira a superare la dicotomia tra cultura “alta” e “bassa”, nel volume vengono analizzati regolamenti e manuali tecnici, interventi giornalistici su quotidiani e periodici, [...]]]> di Alberto Molinari

Sergio Giuntini, Calcio e letteratura in Italia (1892-2015), Biblion edizioni, Milano, 2017, pp. 365, € 25,00

Con questo saggio lo storico dello sport Sergio Giuntini offre per la prima volta un quadro d’insieme sulla storia dei rapporti tra calcio e letteratura in Italia. L’autore si misura con una materia molto ricca ed eterogenea, assumendo la nozione di letteratura in un’accezione ampia. Attraverso un approccio metodologico che mira a superare la dicotomia tra cultura “alta” e “bassa”, nel volume vengono analizzati regolamenti e manuali tecnici, interventi giornalistici su quotidiani e periodici, romanzi, racconti e poesie, biografie e autobiografie, saggi di varia natura dedicati al calcio.
Grazie ad una minuziosa e rigorosa ricerca – a partire dalla raccolta di una vastissima gamma di documenti, padroneggiati con notevole competenza – Giuntini riesce pienamente nell’intento di fornire una mappatura ragionata delle relazioni tra dimensione letteraria e fenomeno calcistico che si inserisce nella storia socio-culturale del calcio italiano ovvero della disciplina sportiva che più di ogni altra cattura quotidianamente l’attenzione di milioni di persone.
Oltre a fornire molteplici spunti interpretativi, il saggio si segnala per la qualità della scrittura e per il solido impianto storico di un percorso che si snoda da fine Ottocento ai giorni nostri.

Il volume si apre con un capitolo sui primi manuali e regolamenti, mutuati principalmente dall’Inghilterra, che contribuiscono ad uniformare una pratica calcistica ancora disomogenea e con regole confuse. Nel contempo il football debutta sulle pagine della pubblicistica sportiva nella quale si distinguono testate come “La Gazzetta dello Sport” e il “Guerin Sportivo”. Inizialmente marginale rispetto ad altre discipline, il calcio conquista progressivamente uno spazio nei periodici, mentre nascono le prime riviste specializzate e fogli espressione di alcuni club calcistici.
Il panorama giornalistico si arricchisce anche grazie a due voci critiche: il “Corriere dello Sport Libero” – organo della Unione Libera Italiana del Calcio, sorta nel 1917 in alternativa alla FIGC con l’intento di diffondere il calcio tra le classi popolari – e “Sport e proletariato”, settimanale legato all’area socialista massimalista uscito nel 1923 e subito soppresso dal fascismo.
Giuntini segnala inoltre un episodio poco noto accaduto nel clima del “biennio rosso”. Nell’ottobre del 1920 le maestranze del “Guerin sportivo” occupano per alcuni giorni la sede torinese della rivista e danno alle stampe un’edizione autogestita nella quale denunciano l’autoritarismo del direttore e si propongono di dare al periodico un orientamento di classe. L’evento – unico nella storia della stampa sportiva italiana – si inscrive nel superamento dell’originario “antisportismo” socialista, in un contesto che vede la nascita di un associazionismo sportivo di classe promosso a Milano dai “terzinternazionalisti” vicini a Giacinto Menotti Serrati e a Torino dal gruppo de “L’Ordine Nuovo”. In questo quadro Giuntini dedica alcune pagine alle riflessioni di Antonio Gramsci sullo sport, letto in modo originale attraverso le categorie del marxismo.

Una parte rilevante della ricerca riguarda il periodo fascista, sul versante giornalistico e letterario.
Giuntini si sofferma inizialmente sul ruolo di Lando Ferretti e Leandro Arpinati – due personalità di primo piano del fascismo nonché dirigenti dello sport nazionale – nel dare impulso alla carta stampata sportiva e inquadrarla secondo le direttive del regime per la costruzione dell’”uomo nuovo” fascista.
Durante il fascismo il giornalismo sportivo cresce dal punto di vista quantitativo con una moltiplicazione delle testate, sempre più “calcistizzate”, e la copertura degli eventi sportivi da parte dei nuovi mezzi di comunicazione di massa (radio e cinema). Tra i giornalisti che contribuiscono alla trasformazione della scrittura sportiva Giuntini indica in particolare due direttori de “La Gazzetta dello Sport”: Emilio Colombo, a cui si deve la nascita dello “sport epico”, e Bruno Roghi che fa scuola con il suo stile retorico ed enfatico e con il ricorso a metafore di matrice bellica funzionali all’esaltazione dei successi agonistici della nazione “guerriera e sportiva”.

La ricostruzione di Giuntini spazia poi da Massimo Bontempelli, lo scrittore che esalta il «vitalismo tipicamente fascista insito nella modernità dello sport», alle prove di scrittura sportiva di Alessandro Pavolini, uno dei principali «gerarchi-letterati del “calcio e moschetto”», da La prima antologia degli scrittori sportivi (1934) che comprende tra l’altro le Cinque poesie sul gioco del calcio di Umberto Saba, alla narrativa sul calcio nella quale si distingue Novantesimo minuto (1932) di Francesco Ciampitti, «il primo autentico romanzo calcistico italiano», capace di uscire dai canoni dominanti del romanzo sportivo fascista. Nel corso del Ventennio questo genere conosce una notevole fortuna – esemplificata ad esempio da La squadra di stoppa (1941) di Emilio De Martino, un best-seller della letteratura italiana per l’infanzia – anche grazie alle vittorie internazionali conseguite dagli “azzurri” di Vittorio Pozzo e all’attenzione del fascismo per il calcio.

Negli anni della dittatura non mancano posizioni critiche nei confronti dello sport di regime. Antonino Pino Ballotta in Tifo sportivo e i suoi effetti sottolinea «l’esasperata sportivizzazione promossa dal fascismo»; Cesare Zavattini smitizza «la tronfia retorica staraciana dello sport in “camicia nera”» attraverso alcune pagine del suo I poveri sono matti; su “Giustizia e Libertà” Carlo Rosselli denuncia il fanatismo sportivo alimentato dalla dittatura e Carlo Levi interviene con una serie di articoli che rappresentano «un autentico J’accuse nei confronti della politica sportiva fascista».

Venendo al dopoguerra, il saggio analizza il ritrovato interesse per il calcio da parte di scrittori e poeti che se ne erano allontanati, disgustati dalla strumentalizzazione fascista dello sport.
Mentre Italo Calvino scrive di sport su “l’Unità” e Alfonso Gatto e Vasco Pratolini celebrano con i loro scritti «il rito domenicale della partita», «la unica vera “religione laica” degli italiani del secondo dopoguerra», negli anni Cinquanta Gianni Brera – il “Gadda spiegato al popolo” secondo Umberto Eco – si afferma come protagonista di una lunga stagione del giornalismo e della letteratura sportiva. Giuntini analizza puntualmente i passaggi che portano Brera verso la costruzione di un linguaggio straordinariamente originale. La sua scrittura «affabulatoria, gigionesca e straripante» è frutto di «un esercizio di inventività “parolibera” infinito, in un codice linguistico “onomaturgico” impregnato di metafore e neologismi entrati nel parlato comune»: da “centrocampista” a “goleador”, da “incornare” a “libero”, da “melina” a “palla-gol”, da “pretattica” a “rifinitura”, da “Bonimba” (Roberto Bonisegna) al “Barone” (Franco Causio).

In pieno “miracolo economico” esce un importante romanzo di Salvatore Bruno (L’allenatore, 1963), mentre lo juventino Mario Soldati e l’interista Vittorio Sereni fanno filtrare in alcune opere la loro passione per il calcio. Un amore che traspare anche nella narrativa di Luciano Bianciardi chiamato nei primi anni Settanta, alle soglie della morte, da Gianni Brera a collaborare al “Guerin Sportivo” e di Oreste Del Buono, incarnazione dello “scrittore-tifoso” che trova nel tifo una fonte di ispirazione per un capitolo del suo romanzo I peggiori anni della nostra vita (1971).
Tra i grandi intellettuali italiani è poi Pier Paolo Pasolini – tifoso del Bologna, appassionato praticante e attento osservatore del calcio – a scrivere pagine preziose sullo sport e in particolare sul pallone spingendosi fino a tentare una lettura semiologica del fenomeno calcistico con i suoi “elzeviristi”» (Gianni Rivera e Sandro Mazzola) e i suoi poeti e prosatori “realisti” (Giacomo Bulgarelli e Gigi Riva).

Di sport scrive anche Giovanni Arpino cimentandosi in un’attività giornalistica che lo porta tra l’altro a seguire per “La Stampa” diverse edizioni delle Olimpiadi e dei Mondiali di calcio. Sarà l’ingloriosa eliminazione della nazionale italiana ai Mondiali tedeschi del 1974 ad ispirare il suo Azzurro tenebra (1977) – secondo Giuntini «il più importante romanzo, tra il reportage e il pamphlet, di questo scorcio di anni» – nel quale si esprime «una forte requisitoria contro la decadenza materiale e umana del football italiano».
Una denuncia che è al centro di Calci e sputi e colpi di testa (1978) di Paolo Sollier, militante dell’organizzazione della sinistra extraparlamentare Avanguardia operaia, uno dei calciatori più “politicamente scorretti” nella ridotta schiera degli “irregolari” del calcio, tra i quali si possono annoverare il calciatore-poeta Enzo Vendrame e Carlo Petrini con i suoi libri, pubblicati vent’anni dopo, su un football sempre più ossessionato da una ricerca esasperata del risultato e condizionato dal doping, dalle scommesse clandestine e dalle partite truccate.

Tra gli anni Ottanta e Novanta un profluvio di titoli e un impoverimento linguistico segnano «la mediatizzazione selvaggia vissuta dal calcio sempre più malato di “biscardismo” e di quel gigantismo sfrenato inaugurato con gli sprechi di “Italia ‘90” e proseguito con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e l’invasione delle pay-tv di Rupert Murdoch». L’antidoto al “biscardismo” è affidato alla penna di autori che tentano l’impresa «quasi folle e utopica di frenarne, con una buona letteratura, la grave decadenza umana e morale».
Ecco allora Dov’è la vittoria? Cronaca e cronache dei Mondiali di Spagna (1982) del dantista Vittorio Sermonti che avverte precocemente gli effetti nefasti della deriva biscardiana e qualche anno dopo, ai tempi del mondiale italiano degli affari e delle speculazioni e della craxiana “Milano da bere”, Il calciatore di Marco Weiss, un romanzo di formazione a sfondo calcistico, e Finale di partita, raccolta di scritti alla quale partecipano autori del calibro di Dario Bellezza, Gianni Celati, Franco Fortini, Cesare Garboli, Valerio Magrelli, Dacia Maraini, Antonio Tabucchi e molti altri.

Tra i tanti autori e titoli citati e commentati da Giuntini nel capitolo sulla scrittura come risposta culturale al “biscardismo” e sulle tendenze più recenti della letteratura a tema calcistico, spiccano per valore letterario e impegno civile La solitudine dell’ala destra di Fernando Acitelli, una storia del calcio in versi; alcune poesie di Loi, Giudici, Sanguineti e Roversi; Manlio Cancogni sulle tracce dell’”eretico” Zeman con il suo Il Mister, che Giuntini valuta come uno dei tre romanzi da ricordare nella storia della letteratura italiana sul calcio insieme a Novantesimo Minuto di Ciampitti e Azzurro tenebra di Arpino; Il portiere e lo straniero di Daniele Santi, un’opera tra storia e romanzo intorno alla figura dell’intellettuale-portiere Albert Camus; La farfalla granata, il libro di Nando Dalla Chiesa su Gigi Meroni. E ancora Edmondo Berselli che in Il più mancino dei tiri propone attraverso il calcio una rivisitazione politica, sociale e di costume dell’Italia e delle sue contraddizioni irrisolte, i romanzi sul calcio e i sentimenti di Roberto Perrone, Rembò di Davide Enia, Addio al calcio di Magrelli, Il mio nome è Nedo Ludi di Pippo Russo, la produzione sportivo-letteraria di Darwin Pastorin e le esperienze di scrittura sul calcio al femminile.

Oltre ad offrire una panoramica sulla ripresa degli studi storici sul calcio e sulle opere sociologiche e letterarie dedicate al tifo ultrà, in chiusura del volume Giuntini dedica due capitoli ad una sintetica rassegna sul calcio nel cinema e nel teatro, suggerendo altri spunti di riflessione e indicazioni per ulteriori approfondimenti.
Utile è anche la bibliografia posta in appendice al volume, mentre è discutibile la scelta editoriale di non avvalersi di un apparato di note, uno strumento che sarebbe stato prezioso per i lettori interessati a risalire puntualmente dalle numerose citazioni alle loro fonti. Un limite che comunque non inficia il notevole valore di una ricerca che rappresenta uno dei più importanti contributi recenti agli studi storici sullo sport.

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