Consigli – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 01 Apr 2025 20:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Portogallo 1974-75: la rivoluzione rimossa https://www.carmillaonline.com/2024/04/08/portogallo-1974-75-la-rivoluzione-rimossa/ Sun, 07 Apr 2024 22:01:38 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=82054 di Luca Cangianti

Sandro Moiso, Giulia Strippoli, Riti di passaggio. Cronache di una rivoluzione rimossa. Portogallo e immaginario politico 1974-1975, Mimesis, 2024, pp. 184, € 18,00.

La rivoluzione portoghese ha avuto i colori dei tramonti di Lisbona, la struggente bellezza delle nuvole che corrono instancabili sul Tago. Il suo congedo fu accompagnato dalle grida dei gabbiani che inseguono una nave e si spengono lentamente all’orizzonte. Quegli eventi fecero intravedere una possibile alternativa di vita nell’Europa meridionale dove la Grecia si era da poco liberata dalla dittatura dei colonnelli, l’Italia era ancora scossa dal sisma sociale iniziato alla fine degli anni sessanta e la [...]]]> di Luca Cangianti

Sandro Moiso, Giulia Strippoli, Riti di passaggio. Cronache di una rivoluzione rimossa. Portogallo e immaginario politico 1974-1975, Mimesis, 2024, pp. 184, € 18,00.

La rivoluzione portoghese ha avuto i colori dei tramonti di Lisbona, la struggente bellezza delle nuvole che corrono instancabili sul Tago. Il suo congedo fu accompagnato dalle grida dei gabbiani che inseguono una nave e si spengono lentamente all’orizzonte. Quegli eventi fecero intravedere una possibile alternativa di vita nell’Europa meridionale dove la Grecia si era da poco liberata dalla dittatura dei colonnelli, l’Italia era ancora scossa dal sisma sociale iniziato alla fine degli anni sessanta e la Spagna assisteva all’agonia del franchismo.
Nell’opinione pubblica portoghese il giorno della liberazione dal fascismo – il 25 aprile del 1974 di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario – è una ricorrenza più consensuale di quanto non sia il 25 aprile del 1945 in Italia: è il trionfo dello stato di diritto sopra l’oscurantismo dell’Estado Novo, la vittoria della democrazia parlamentare, dei diritti civili e dell’integrazione europea sopra il sottosviluppo, la tortura e il colonialismo. La rivoluzione portoghese è stata anche questo, ma una sua parte fondamentale viene sottaciuta o relegata a una parentesi di momentanea follia, quasi una febbre di crescita, alla fine debellata con il colpo di stato liberal-democratico del 25 novembre 1975.

Per far riemergere la complessità e la ricchezza di quell’evento, da pochi giorni è in libreria Riti di passaggio, un’introduzione agile e godibile non solo dei diciannove mesi rivoluzionari, ma anche dell’immaginario politico che li accompagnò. Gli autori sono Giulia Strippoli – ricercatrice di Storia contemporanea all’Universidade Nova di Lisbona – e Sandro Moiso – redattore di “Carmilla”, nonché studioso di questioni belliche e di cultura nordamericana. In un primo saggio Strippoli tratteggia le caratteristiche del fenomeno storico: si inizia dalla contestazione corporativa di un provvedimento che penalizzava la posizione dei quadri medi e intermedi dell’esercito e si continua con uno strano colpo di stato libertario volto a metter fine a una guerra coloniale di tredici anni, ormai destinata alla sconfitta. I governi provvisori che seguono devono far fronte sia a vari tentativi controrivoluzionari di destra che all’esplosione della conflittualità sociale: i lavoratori entrano in sciopero per migliorare le loro condizioni di vita, gli abitanti delle baraccopoli occupano le case sfitte, i braccianti s’impadroniscono dei latifondi, i soldati si ribellano alle gerarchie ed esprimono istanze di contropotere all’interno delle caserme. In questo modo le forze armate diventano inutilizzabili ai fini della repressione del conflitto sociale; nascono organismi consiliari di doppio potere che esercitano una democrazia di base diversa dal parlamentarismo: organizzano asili nido, costruiscono case, gestiscono fabbriche, refettori, hotel, teatri e quartieri interi. Tutti i principali partiti politici, perfino quelli di destra, si dichiarano “socialisti” per godere di una qualche accettabilità sociale, anche se la reazione – appoggiata dal capitalismo atlantico ed europeo – si riorganizza intorno al Partito socialista, alla chiesa cattolica e ad alcune organizzazioni clandestine che cominciano a piazzare ordigni esplosivi in varie parti del paese. La situazione si fa insostenibile, una manifestazione di operai edili arriva ad accerchiare l’assemblea costituente sequestrando i deputati. Ormai l’alternativa è tra il passaggio a un nuovo assetto di potere rivoluzionario o il ristabilimento della disciplina militare mediante un colpo di stato controrivoluzionario. La seconda opzione si concretizza il 25 novembre 1975, senza che sia minimamente contrastata dal Partito comunista portoghese – che ne avrebbe avuto i mezzi. L’ordine è ristabilito e nel corso degli anni ottanta le conquista più avanzate della rivoluzione portoghese – di cui alcune inserite in costituzione – vengono cancellate nell’ambito di una classica democrazia capitalistica.
In un secondo saggio la ricercatrice analizza l’impatto che la rivoluzione portoghese ebbe nella vita della maggiore tra le organizzazioni dell’estrema sinistra italiana: Lotta continua. Questa dette ampia e approfondita copertura giornalistica degli eventi portoghesi mediante il suo quotidiano, aprì perfino una sua sede a Lisbona in Rua do Prior 41 e a organizzò manifestazioni di decine di migliaia di persone sia in Portogallo che in Italia. E qui interviene Sandro Moiso che, oltre al saggio introduttivo, inserisce nel volume un suo memoir. Questo permette al lettore di rivivere le emozioni e i sogni di tutti quei giovani italiani che in treno, in automobile e in aereo andarono in Portogallo «per veder sorgere un mondo nuovo». Nella lettura di queste pagine – a tratti liriche, mai retoriche o nostalgiche – abbiamo tutti vent’anni, viaggiamo in una Dyane, inspiriamo gli odori primaverili mescolati a quelli del baccalà e delle sardine alla brace, ci innamoriamo, assaltiamo l’ambasciata spagnola colmi di rabbia per i compagni baschi garrotati, mangiamo insieme ai lavoratori della Lisnave intorno a tavolate infinite, percorriamo Lisbona sui blindati dei militari rivoluzionari con il pugno al cielo e baci per tutti.
Scrive Moiso: «la rivoluzione è qualcosa che va oltre la mera vittoria. Sostanzialmente è una promessa e, spesso, non importa che sia mantenuta. Una rivoluzione vive mentre si compie. Come una divinità è frutto delle speranze degli uomini. Come una divinità invisibile si manifesta attraverso le loro azioni. Come una religione sarà sistemata solo più tardi, a parole. Come una religione può morire e scomparire per poi rinascere sotto altre spoglie.»

Chi nel profondo del proprio cuore, nelle tenebre di un presente di guerra, sfruttamento e umiliazione, spera in questa resurrezione laica, legga Riti di passaggio. Capirà che val la pena tener duro.

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Il comunismo possibile della Comune di Parigi https://www.carmillaonline.com/2021/01/01/il-comunismo-possibile-della-comune-di-parigi/ Thu, 31 Dec 2020 23:01:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64120 di Fabio Ciabatti

Kristin Ross, Lusso comune. L’immaginario politico della Comune di Parigi, Rosenberg & Sellier, Torino 2020, pp. 260, 16,00 euro

La scarsità delle risorse disponibili e la sperequazione nella distribuzione della ricchezza a danno delle classi popolari: questi fenomeni sociali sembrano oramai accettati come dati naturali e ineluttabili da un senso comune che è stato rafforzato da una crisi oramai più che decennale e appena intaccato dalle politiche di contrasto alle conseguenze economiche della pandemia in atto. È proprio su questi presupposti, e non prioritariamente su pregiudizi etnico-culturali, che, [...]]]> di Fabio Ciabatti

Kristin Ross, Lusso comune. L’immaginario politico della Comune di Parigi, Rosenberg & Sellier, Torino 2020, pp. 260, 16,00 euro

La scarsità delle risorse disponibili e la sperequazione nella distribuzione della ricchezza a danno delle classi popolari: questi fenomeni sociali sembrano oramai accettati come dati naturali e ineluttabili da un senso comune che è stato rafforzato da una crisi oramai più che decennale e appena intaccato dalle politiche di contrasto alle conseguenze economiche della pandemia in atto. È proprio su questi presupposti, e non prioritariamente su pregiudizi etnico-culturali, che, per esempio, la destra ha costruito un discorso sull’immigrazione semplice e apparentemente razionale: gli stranieri sottraggono agli autoctoni bisognosi lavoro, case popolari, servizi pubblici. Oggi sembra impossibile intaccare le premesse di tale ragionamento e anche per questo non si riesce a incidere sul senso comune.
Eppure non è stato sempre così. C’è stato un tempo in cui è stato possibile rivendicare la ricchezza per tutti e tutte. Ce lo ci ricorda Lusso comune, il libro di Kristin Ross che indaga, come chiarisce il sottotitolo, L’immaginario politico della Comune di Parigi. Sul significato dell’espressione “lusso comune” torneremo più avanti. Per ora notiamo che il libro di Ross non è una storia della rivolta che ebbe luogo nella capitale francese nel 1871. Si tratta piuttosto di seguire il filo delle idee che anticipano la rivolta nei club popolari parigini, che animano la prassi dei comunardi nel fuoco della lotta e che prolungano la storia dell’insurrezione parigina ben oltre la sua sanguinosa repressione attraverso le elaborazioni degli esuli e dei loro sostenitori (come William Morris, Pëter Kropotkin e Karl Marx) che non avevano preso parte direttamente alla Comune. Idee che mantengono, anche negli anni successivi, i tratti di un pensiero in costruzione che concepisce sé stesso come partecipazione concreta all’evento rivoluzionario e per questo possono apparire poco raffinate e coerenti.

Da questo punto di vista, riprendendo quella che Henri Lefebvre definiva la dialettica del vissuto e del pensato, Ross afferma perentoriamente: “sono le azioni che generano i sogni e le idee, e non viceversa”. L’autrice, insomma, parla della Comune di Parigi come di un evento che dischiude orizzonti di possibilità prima impensabili. In quanto esperienza vissuta di un’uguaglianza in azione, la Comune fu innanzitutto un insieme di operazioni dirette allo smantellamento dell’apparato burocratico statale messe in atto da uomini e donne qualsiasi. Marx scrive che la cosa più importante della Comune di Parigi non sta tanto negli ideali che aveva cercato di realizzare quanto nella sua “esistenza operante”. La Comune fu cioè un laboratorio ricco di sperimentazioni politiche improvvisate sul momento o concepite rielaborando scenari e idee provenienti dal passato sulla base delle necessità della lotta in corso e dei desideri emersi nelle assemblee popolari negli anni della fine dell’Impero.
Ross, per esempio, sostiene che la fondazione dell’Unione delle Donne ha rappresentato la convergenza delle teorie di Marx e Černyševskij (autore del celebre romanzo Che fare?, fonte di ispirazione per i populisti russi e per Lenin). La sua principale animatrice fu infatti la russa Elisabeth Dmitrieff, che passò i tre mesi precedenti la Comune a Londra parlando quasi quotidianamente con Marx a proposito delle riflessioni dei populisti sulle organizzazioni rurali russe come l’obščina, la comune agricola. L’Unione divenne l’organizzazione più grande e attiva della Comune progettando una riorganizzazione totale del lavoro femminile e la soppressione delle disuguaglianze economiche fondate sulla disparità di genere nel mentre partecipava ai combattimenti, direttamente o assistendo chi si batteva sulle barricate. Proponendo di formare officine di cucito come comunità produttive libere, organismi che si sarebbero dovuti diffondere oltre i confini cittadini per creare una federazione internazionale di cooperative indipendenti, l’Unione delle Donne trasportò a Parigi lo spirito dell’obščina russa, liberato da ogni contaminazione con lo sciovinismo slavofilo. Partecipò così a quella pratica corale di importazione di modelli, di idee, formule e slogan da terre e tempi lontani, tutti sottoposti a febbrile rielaborazione. Il nuovo poteva essere modellato solo a partire dagli anacronismi sepolti nel presente, sostengono Kropotkin e Morris, esponenti di un filone di pensiero definibile come comunismo anarchico che, essendo elaborato proprio attraverso le riflessioni sulla Comune, presenta significativi punti di contatto con il contemporaneo sviluppo del pensiero di Marx, anch’esso profondamente influenzato dall’evento parigino del 1871. “Stare attenti alle energie del passato – commenta Ross – era una maniera per pensarsi rivolti verso il futuro”.

Questa peculiare dialettica tra passato e futuro si ritrova anche nell’ideale della Repubblica Universale che animò la Comune. Lo slogan era nato durante la rivoluzione francese del 1789, ma la sua ripresa nel 1871 costituisce, allo stesso tempo, una rottura con quella eredità nella direzione di un internazionalismo operaio. La Comune, come ricordò anni dopo la sua sconfitta uno dei suoi partecipanti, è stata prima di ogni cosa “un coraggioso atto di internazionalismo”, non solo per il gran numero di stranieri che vi partecipò, ma proprio perché fu un’insurrezione condotta sotto la bandiera della Repubblica Universale. La Comune non ambiva ad essere la capitale della Francia, a farsi Stato ma, nel momento in cui si apprestava a smantellare la burocrazia imperiale iniziando con esercito e polizia, volle rappresentare un collettivo autonomo all’interno di una federazione universale di popoli.
Affinché questa federazione avesse qualche possibilità di realizzazione i comunardi capirono presto che era fondamentale costruire un nuovo rapporto tra città e campagna, tra operai e contadini. “Come base della giustizia economica proponiamo due tesi fondamentali: la terra appartiene a coloro che la lavorano, cioè alle comuni agricole. Il capitale e tutti gli strumenti di lavoro appartengono ai lavoratori e alle loro associazioni”. Questa affermazione la troviamo nell’indirizzo programmatico di Le cause du peuple, rivista della sezione ginevrina dell’Internazionale, animata da esuli russi poco prima della Comune di Parigi. E queste stesse tesi le troviamo riecheggiate nello scritto di BenoÎt Malon e Adré Léo indirizzata alla classe contadina francese dall’interno di una Comune oramai sotto assedio. Ma c’è di più. Secondo le successive elaborazioni di Reclus e Kropotkin, la gestione cooperativa della “grande fabbrica della terra” conduce a una società caratterizzata dalla riproduzione semplice e dai ritmi ciclici della natura e, allo stesso tempo, ci porta verso un mondo contraddistinto dall’uguaglianza nell’abbondanza.

E con ciò torniamo al lusso comune, espressione inventata da Eugène Pottier per designare quella specifica forma di emancipazione immaginata dalla Federazione degli Artisti, sorta durante la Comune. Il manifesto della Federazione dell’aprile 1871 si chiude così: “Lavoreremo insieme per la nostra rigenerazione, il lusso comune, gli splendori futuri e la Repubblica Universale”. Questa espressione indica dunque la volontà di rompere con la follia rappresentata dalla produzione della ricchezza per pochi attraverso la povertà dei molti e lo spreco delle risorse; esprime l’intenzione di dare vita a nuovi legami sociali, a una nuova attività produttiva fondata su rinnovati rapporti di solidarietà e cooperazione e sul rispetto della natura. Per i comunardi il comunismo non è privazione, condivisione della povertà, ma un mondo radicalmente diverso caratterizzato da abbondanza, apertura e ricchezza. Un mondo in cui il tempo di lavoro smetterà di essere la misura della ricchezza e la ricchezza stessa non sarà più misurabile in termini di valore di scambio. Con il comunismo, che esige e riconosce il contributo di ciascuno per il bene comune, sarà possibile il vero sviluppo dell’individuo e il godimento dell’autentico lusso che può essere solo il lusso comune. “La varietà della vita è un obiettivo del vero Comunismo tanto quanto l’uguaglianza di condizioni”, sostiene Morris.
Tutto ciò significa anche trasformare le coordinate estetiche dell’intera comunità superando la divisione tra chi può permettersi il lusso di giocare con le parole e le immagini e chi non può farlo. In questo senso va la rivendicazione e l’attuazione in forme embrionali di un’educazione “politecnica” e “integrale” in grado di superare la divisione tra lavoro intellettuale e manuale. Lusso comune significa perciò rivendicare un’arte pubblica perché la bellezza non deve prosperare solo negli spazi privati o nella dimensione monumentale. L’arte si deve trasformare in qualcosa di vissuto, integrato nella vita di tutti i giorni, non superfluo ma essenziale per la vita della comunità.

In conclusione, per Kristin Ross rivendicare l’immaginario della Comune significa andare ben oltre la considerazione della rivolta parigina come un’anticipazione imperfetta, in quanto sconfitta, di quella che sarebbe stata la vittoriosa rivoluzione russa. Per non parlare dell’iscrizione dell’insurrezione della capitale transalpina nell’ambito della storia del patriottismo repubblicano francese. Tutto ciò è certamente condivisibile, ma è quanto mai opportuna la considerazione che a tale proposito fa Mario Pezzella nella postfazione al volume. La Comune libertaria dei consigli e dell’autogestione è stata solo una parte dell’evento, quella parte che ha prevalso nei provvedimenti e nei comportamenti che riguardavano l’organizzazione dello spazio e della vita quotidiana. Se prendiamo in considerazione la sua espressione più propriamente politica dobbiamo, però, prendere atto dell’importanza assunta da posizioni blanquiste e giacobine che hanno sbandato sempre di più verso la ripetizione delle forme di emergenza del 1792, Comitato di salute pubblica compreso. Se ci rivolgiamo alla Comune “sociale” cercando un’ispirazione per un comunismo ancora possibile dobbiamo comprenderne anche la sua debolezza di fronte alle tendenze autoritarie e giacobine. Anche perché, possiamo aggiungere, la potenziale scissione tra l’anima sociale e quella politica è una caratteristica forse ineliminabile di ogni evento rivoluzionario. Non ha senso perciò sostituire l’immagine mitica della rivoluzione del 1917 con quella, altrettanto mitica, della rivolta del 1871. “La nostra intenzione – conclude Pezzella – non deve essere la ripetizione di un fatto, ma la liberazione di un possibile”.

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LUDD ovvero dell’insurrezione permanente https://www.carmillaonline.com/2018/07/26/ludd-ovvero-dellinsurrezione-permanente/ Wed, 25 Jul 2018 22:01:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47303 di Sandro Moiso

La critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970, con una Introduzione e una memoria di Paolo Ranieri e una ricostruzione storico-politica a cura di Leonardo Lippolis, NAUTILUS, Torino 2018, pp. 570, € 25,00

In questi giorni bui, in cui di fronte al riproporsi di un governo reazionario e razzista l’antagonismo sociale non sembra saper far altro che riproporre modelli di azione politica e di organizzazione ripescati pari pari dai vecchi Fronti popolari e dalla peggiore tradizione catto-comunista e stalinista, questo primo volume del progetto destinato a ripercorrere le vicende della critica radicale italiana dalla fine degli anni Sessanta [...]]]> di Sandro Moiso

La critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970, con una Introduzione e una memoria di Paolo Ranieri e una ricostruzione storico-politica a cura di Leonardo Lippolis, NAUTILUS, Torino 2018, pp. 570, € 25,00

In questi giorni bui, in cui di fronte al riproporsi di un governo reazionario e razzista l’antagonismo sociale non sembra saper far altro che riproporre modelli di azione politica e di organizzazione ripescati pari pari dai vecchi Fronti popolari e dalla peggiore tradizione catto-comunista e stalinista, questo primo volume del progetto destinato a ripercorrere le vicende della critica radicale italiana dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta costituisce un’autentica boccata d’aria pura. Un po’ come aprire una finestra di un appartamento situato al centro di una grigia e inquinata metropoli per scoprire, inaspettatamente, che questa si affaccia su un magnifico paesaggio montano di nevi eterne, dirupi scoscesi e boschi verdissimi e selvaggi.

Le edizioni Nautilus che fin dai loro inizi pubblicano e ripubblicano testi di quel pensiero radicale che ha avuto nel Situazionismo una delle sue massime espressioni ma che, prima di tutto, affonda le sue radici nella insorgenza giovanile e proletaria che ha contraddistinto da sempre e, in particolare, fin dal secondo dopoguerra la “naturale” reazione di classe rivoluzionaria sia al capitalismo occidentale che al suo mostruoso alter ego rappresentato dal cosiddetto “socialismo reale”, con questo volume iniziano un’operazione che più che d’archivio pare essere più di riscoperta (per i lettori più giovani) e rivendicazione di un pensiero e di una pratica che dell’insorgenza continua contro ogni forma di potere costituito e ogni formulazione teorica tesa alla conservazione dell’esistente hanno fatto la propria ragione d’essere.

I due volumi che sono annunciati per il prosieguo dell’opera si occuperanno successivamente dei testi, giornali, bollettini e volantini prodotti all’interno del Comontismo, di Puzz, Insurrezione e Azione Rivoluzionaria e si intitoleranno Comontismo 1971-1974 e Insurrezione 1975-1981 e andranno ad affiancarsi ai due testi già precedentemente editi che raccoglievano tutti i numeri della rivista prodotta dall’Internazionale Situazionista1 e tutti i bollettini pubblicati dalla precedente Internazionale lettrista.2

Se, però, l’esperienza dell’Internazionale Situazionista è stata in qualche modo parzialmente digerita dal sistema mediatico e politico attuale, ben diversamente potrà avvenire per una produzione testuale e, lo ripeto ancora una volta, per una pratica militante che fin dagli esordi furono tacciate sia dal PCI che dai gruppuscoli nati alla sua sinistra (in primis l’orrido Movimento Studentesco di Mario Capanna) come provocatorie, irresponsabili e, in alcuni casi, “fasciste”.

Anche se l’opera non intende affatto costituire una celebrazione di pratiche e militanti come Giorgio Cesarano, Riccardo D’Este, Eddie Ginosa, Gianfranco Faina, Mario Perniola e molti altri ancora, senza dimenticare la vicinanza con Danilo Montaldi, poiché come afferma Paolo Ranieri nella sua introduzione:

“E’ ora, infatti, di dire basta alla moltiplicazione incessante e interessata di manifestazioni “in memoria”. Come il Primo Maggio […] ideato per essere l’appuntamento annuale con quel vagheggiato sciopero generale che spostava la presenza potenziale dell’insurrezione possibile insieme con l’assenza di rivoluzione attuale: da quando, con l’iterazione e la corrosione del tempo passato e il sequestro della produzione di memoria da parte delle istituzioni, ci si è scordati di questo, si è definitivamente degradato in una sorta di Pentecoste, rito lagnoso di una neo-religione per schiavi, aspiranti schiavi e liberti, meritevole di essere fuggito come la peste […] E lo stesso si può affermare senza esitazioni per il 25 aprile, il 12 dicembre, il 14 luglio […] ciascuno con le precise specificità che gli valgono un posto in questo martirologio della laica religione della disfatta, celebrata senza posa e senza vergogna dai voltagabbana incartapecoriti dalla nostalgia e dai militanti del conformismo”.3

Come si può ben comprendere fin da queste poche righe, che danno la cifra esatta del discorso anti-retorico e di rottura che la critica radicale italiana ha portato avanti fin dai suoi albori, non vi è possibilità di mediazione, di reciproco seppur parziale coinvolgimento e neppure di pace armata tra una miserabile concezione della politica di “sinistra” che ha fatto della sconfitta e della collaborazione di classe la sua terra d’adozione ed una visione che dell’iniziativa rivoluzionaria ed insurrezionale dal basso, proletaria e giovanile, ha fatto la sua ragione di esistere.

Continua, anzi anticipa, poi ancora Ranieri:

“Non possiamo nascondere a noi stessi che operazioni-memoria come la presente – intese a isolare una vicenda del passato raccogliendone i documenti in un’edizione che, elaborata dai superstiti stessi, aspira a mostrarsi critica, completa, definitiva, TOMBALE – rappresentano uno dei mille espedienti che l’universo delle merci adotta per frenare la propria inarrestabile entropia”.4

Sì, perché è proprio l’universo mercantile, con la rapida diffusione della sua capacità di affascinare e addomesticare l’immaginario proletario e sociale, l’altro obiettivo della critica radicale che, però, non intende semplicemente destrutturarne le basi e i principi ma, molto più semplicemente, distruggerlo insieme ai rapporti sociali e di produzione che lo alimentano. La necessità potrebbe rivelarsi essere proprio quella, già enunciata da De Sade, che l’insurrezione debba costituire la condizione permanente di ogni repubblica.

La sintetica ricostruzione storica della formazione, a Genova, prima del Circolo Rosa Luxemburg e poi di LUDD – Consigli proletari fatta da Leonardo Lippolis permette al lettore-militante di riscoprire le origini di tali formulazioni ed ipotesi non solo a partire dalle occupazioni studentesche delle Facoltà universitarie fin dal 1967, che impressero una spinta decisiva in quella direzione, ma fin dalle insurrezioni operaie e proletarie di Berlino Est nel 1953, dell’Ungheria nel 1956 e nelle rivolte italiane del luglio del 1960 e di Piazza Statuto nel 1962 a Torino.

Insieme alle interpretazioni che sorgevano dalle riletture dell’esperienza rivoluzionaria sulle pagine di “Socialisme ou Barbarie”, nei primi numeri dei “Quaderni Rossi” e successivamente dell’Internazionale Situazionista si evidenziava però sempre il fatto di come l’insorgenza proletaria fosse una costante, dalla Comune di Parigi in poi e allo stesso tempo come le trame “partitiche” finissero sempre con l’ingabbiare e limitare l’espressione del desiderio di rivoluzione e superamento dell’esistente compreso all’interno dell’esperienza dei Consigli.

Anche se proprio la scelta del nome del gruppo di cui sono raccolti principalmente i materiali in questo primo volume, LUDD, rinvia ad esperienze precedenti ed egualmente radicali. E’ proprio sulla tracci dell’interpretazione data dallo storico inglese Edward P. Thompson, nella sua opera più importante,5 del luddismo che si forma la convinzione che la rivolta spontanea del lavoratori delle campagne inglesi contro l’introduzione delle macchine fosse tutt’altro che una forma primitiva, arretrata e tutto sommato conservatrice di lotta di classe. Negando così un’interpretazione “progressista” del capitalismo che nelle sue conseguenze ha finito col trasformare i partiti “socialisti” o “comunisti” che la sostenevano in strumenti di conservazione politica, economica e sociale. Insomma i proletari inglesi dell’epoca delle guerre napoleoniche erano già più avanti di coloro, ad esempio i cartisti, che si sarebbero poi fatti loro portavoce e rappresentanti come tutta la deriva tradunionista, socialdemocratica e infine stalinista che ne sarebbe poi conseguita.

E’ proprio per questo motivo che i fondatori del movimento andarono progressivamente allontanandosi da quella componente operaistica di cui avevano inizialmente condiviso una parte del cammino. E che contribuì ad allontanare alcuni di loro anche da Raniero Panzieri che, proprio a proposito della rivolta di Piazza Statuto, in un primo momento aveva commentato la giovanile rivolta operaia come “quattro meridionali che tirano le pietre”. Questa memoria, contenuta nella ricostruzione di Lippolis, mi fa ha fatto tornare in mente che fu proprio in occasione di quella rivolta, e degli atteggiamenti assunti nei suoi confronti da Pajetta e dal PCI, che due proletari come Sante Notarnicola e Giuseppe Cavallero decisero di stracciare la tessera del Partito. Mentre esponenti dell’operaismo come Antonio Negri e Mario Tronti decidevano in quegli stessi anni di praticare una forma di entrismo nello stesso. Come dire che l’istinto proletario batte la riflessione filosofica 1 a 0.

“La Lega operai-studenti, che rivendicava l’eredità dei Consigli operai, insisteva invece sulla necessità di trovare nuovi canali di insubordinazione, non necessariamente legati alla fabbrica, rigettando l’impostazione gerarchica e centralizzatrice leninista. La Lega operai-studenti negava ogni valore alla lotta rivendicativa di natura economica a scapito di una critica radicale del lavoro salariato, bollato come inumano e assurdo […] «La critica rivoluzionaria – recita il significativo passaggio di un manifesto del gruppo – deve interessarsi di tutti gli aspetti della vita. Denunciare la disintegrazione delle comunità, la disumanizzazione dei rapporti umani, il contenuto e i metodi dell’educazione capitalistica, la mostruosità delle città moderne» (I 14 punti della Lega degli operai e degli studenti)”.6

I documenti riportati in più di trecento pagine sono innumerevoli ed interessanti: dai testi prodotti dalla Lega degli operai e degli studenti che si andò formando nella cerchia di militanti del Circolo Rosa Luxemburg a quelli prodotti dal Comitato d’azione di Lettere fino ai tre bollettini prodotti da LUDD e all’Appello al proletariato infantile contro l’infantilismo borghese passando per il testo di critica ai gruppuscoli scritto da Jean Barrot: Sull’ideologia ultrasinsitra.

Non costituiscono però tutto il materiale raccolto nel sito Nel Vento, nato a partire da un progetto contenuto nel preambolo a Psicopatologia del non vissuto quotidiano di Piero Coppo nel settembre del 2006. In cui si affermava:

“Dalla metà degli anni ’60 si è sviluppato in Italia un movimento che, sotto diversi nomi e sfumature differenti, ha condotto una battaglia teorico-pratica per l’affermazione di una rivoluzione che, nella propria concezione, non poteva che avere come base la critica della vita quotidiana. Precursori dei tempi, questi gruppi inquadrarono la questione della rivoluzione in termini anti-ideologici fuori e contro il militantismo caratteristico di quegli anni e del decennio successivo.
Le donne e gli uomini che si unirono in questi gruppi sono stati i primi e gli unici a porre come criterio, per cogliere il senso di un vissuto rivoluzionario diversi concetti che oggi sembrano evidenti […] Il Progetto Critica Radicale è di raccogliere e pubblicare i materiali prodotti dai gruppi e dagli individui che si sono riconosciuti in quelle idee”.

Idee, non dimentichiamolo mai, che non si espressero in spazi angusti o in eburnee ed intellettualistiche torri, ma sempre direttamente sul fronte del cambiamento esistenziale e politico, giorno per giorno nelle lotte e in una pratica che vedeva nel PRESENTE e non in un lontano passato oppure in un altro ancor più lontano futuro la possibilità di realizzare il cambiamento sociale necessario alla piena realizzazione dell’essere umano. Sia come singolo individuo, sia come specie.

Indispensabili, a parere di chi scrive, ancora oggi, nonostante alcune iperboli linguistiche ed alcune ammaccature dovute al trascorrere del tempo, per una discussione ed una pratica sociale e politica che non voglia rimanere chiusa all’interno della rappresentazione spettacolare dei valori borghesi travestiti da antagonismo e delle merci ideologiche che ne derivano.


  1. Internazionale Situazionista 1958-1969, Nautilus, Torino 1994  

  2. Potlatch. Bollettino dell’Internazionale lettrista 1954-57, Nautilus, Torino 1999  

  3. Paolo Ranieri, CRITICA RADICALE. GLI ANNI DI LUDD 1967-1970. Introduzione in La critica radicale in Italia, pag. 7  

  4. P. Ranieri, op.cit. pag. 5  

  5. Edward P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, il Saggiatore, Milano 1969  

  6. Leonardo Lippolis, L’occupazione definitiva del nostro tempo, in La critica radicale in Italia, pag. 35  

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