Cinquecento – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 In difesa di ciò che resta di un altro tempo e di un altro mondo https://www.carmillaonline.com/2023/11/28/in-difesa-di-cio-che-resta-di-un-altro-tempo-e-di-un-altro-mondo/ Tue, 28 Nov 2023 21:00:57 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80083 di Sandro Moiso

Carl Safina, Il viaggio della tartaruga, Adelphi Edizioni, Milano 2023, pp. 624, 32 euro

«Qui videro mandrie così mostruose di balene, che furono costretti a procedere con molta cautela, per evitare di investirle.» (Willem Cornelisz Schouten, The Relation of a Wonderfull Voiage made by Willem Cornelison Schouten of Horne. Shewing how South from the Straights of Magelan in Terra Delfuego: he found and discovered a newe passage through the great South Seaes, and that way sayled round about the world, London 1619, citato da Herman Melville in Moby Dick)

Inconsapevolmente sulle tracce di Moby Dick e del [...]]]> di Sandro Moiso

Carl Safina, Il viaggio della tartaruga, Adelphi Edizioni, Milano 2023, pp. 624, 32 euro

«Qui videro mandrie così mostruose di balene, che furono costretti a procedere con molta cautela, per evitare di investirle.» (Willem Cornelisz Schouten, The Relation of a Wonderfull Voiage made by Willem Cornelison Schouten of Horne. Shewing how South from the Straights of Magelan in Terra Delfuego: he found and discovered a newe passage through the great South Seaes, and that way sayled round about the world, London 1619, citato da Herman Melville in Moby Dick)

Inconsapevolmente sulle tracce di Moby Dick e del capitano Achab, ogni amante della Natura dedito ad inseguire il poco che è rimasto di un mondo selvaggio e quasi de tutto scomparso dovrebbe affrontare la lettura dell’ultima opera di Carl Safina edita da Adelphi nella collana «Animalia». Ma anche chi non coltivi vacanze e viaggi avventurosi ai confini del mondo, ma sia comunque preoccupato per la rapidità con cui il vigente modo di produzione sta procedendo alla distruzione dell’ambiente, del pianeta e delle specie che lo abitano dovrebbe leggere questo libro, a metà strada tra relazione scientifica e poema epico di stampo melvilliano.

Carl Safina (Brooklyn, 1955) è un biologo statunitense, autore di numerosi libri ed altri scritti sulla relazione tra gli esseri umani e il mondo naturale, tra i quali questo è il terzo ad essere pubblicato dalle edizioni Adelphi. Gli altri due sono: Al di là delle parole, pubblicato nel 2018 e con cui è stata inaugurata la medesima collana, e Animali non umani (2022). Tutte opere con cui ha vinto numerosi premi letterari e non, mentre il suo impegno scientifico è stato sempre accompagnato da un vivace impegno in difesa dell’ambiente e, soprattutto, dei mari e delle specie che li abitano; anche attraverso le ridefinizione delle leggi internazionali che regolamentano la pesca .

In generale, però, l’autore con i suoi studi ha cercato, a partire da Al di là delle parole, di sottolineare non soltanto i tratti evolutivi che ci legano agli altri animali (dai pesci ai primati) sul piano morfologico e genetico, come già hanno contribuito a ricostruire le scienze biologiche negli ultimi decenni, ma a verificare l’incidenza di quei tratti a livello cognitivo e affettivo-emotivo. Cercando di penetrare in un ventaglio di intelligenze, «coscienze» e «visioni del mondo» di altri animali – con cui condividiamo molti «correlati neurali», a partire dal cervello «antico» e dalla sua tastiera emotiva – insieme familiari e aliene, contigue e alternative. Al punto da mettere in dubbio, ancora una volta, la tesi secondo la quale l’uomo sarebbe la misura di tutte le cose.

Oltre tutto, mettendo in discussione il pregiudizio diffuso secondo cui la «cultura» sarebbe un tratto distintivo ed esclusivo di dell’Homo sapiens. Safina ha così contribuito a demitizzare l’«unicità» di tante nostre facoltà o comportamenti: il che vale per gli strumenti tecnologici, per le capacità linguistico-musicali o per le cure e gli insegnamenti parentali. In questa particolare e innovativa visione le varie specie prese in esame nei libri precedenti non sono più dunque semplici tessere del mosaico della vita, ma dimostrano la loro contiguità rispetto all’uomo.

Il testo appena pubblicato da Adelphi e pubblicato in origine nel 2007 con il titolo Voyage of the Turtle. In Pursuit of the Earth’s Last Dinosaur, come si comprende fin dal titolo, si occupa di una delle specie apparentemente più lontane dall’Uomo e, soprattutto, molto più antica dello stesso, oltre che di molte altre specie animali.

Esiste una presenza, nell’oceano, che raramente cogli nelle ore di veglia, e che visualizzi meglio nei sogni. Mentre scivoli nel sonno, le tartarughe cavalcano la curva degli abissi, cercando respiro in superficie e ispirazione dal cielo; dalle placide insenature tropicali, o dalla schiuma che sibila in vortici da incubo, affiorano non viste a condividere la nostra aria. Ogni brusca espirazione afferma: «La vita resiste, nonostante tutto ». Ogni inalazione profonda è un giuramento: «La vita continuerà». Ogni loro respiro è una dichiarazione alle stelle e al silenzio indomito. Di notte e con la luce, le tartarughe marine sempre si librano in quel loro universo parallelo stranamente alieno, eppure intrecciato con il nostro.
Cavalcando le maree mutevoli nell’oceano turbolento, e senza resistere ad alcun impulso, si spostano: non motivate dal desiderio, dall’amore o dalla ragione – ma regolate da una saggezza più antica del pensiero, e quindi forse più meritevole di fiducia. Attraverso torride lagune azzurre come gemme, in verdi acque impetuose e fredde, questi angeli dell’abisso avanzano remando – progenitori del nostro mondo, antichi e senza età.
Ultimo mostro rettiliano dal sangue caldo rimasto sulla Terra, tutta avvolta nella sua pelle, la Tartaruga Liuto, i cui antenati videro dominio e caduta dei dinosauri, è lei stessa quanto di più vicino ci sia a un dinosauro vivente. Immaginate una tartaruga di trecentosessanta chilogrammi e non avrete visualizzato che una Liuto femmina di media taglia: è un animale che può pesarne più di novecento1.

Con uno stile che mescola la poesia alla scienza, Safina ci introduce letteralmente in un altro mondo, più antico, primitivo, semplice e profondo. Quello di una specie abituata ad attraversare gli oceani, forse da milioni di anni. Esseri viventi che, più ancora di altri che l’avidità dell’attuale modo di produzione e riproduzione del mondo ha contribuito già in precedenza a distruggere e a far scomparire, appartengono a un passato in cui l’uomo non esisteva nemmeno nelle sue forme primordiali e precedenti il Sapiens. Ultimi testimoni di ere lontane, destinati ad essere sempre più spesso soffocati da una modernità fatta di materie plastiche che ingerite, in un mare sempre più invaso da rifiuti e PVC, costituiscono ormai il maggior pericolo per la loro sopravvivenza.

Le cosmogonie di molti angoli delle Americhe convergono sulla conclusione che a creare il mondo sia stata una tartaruga. […] Una delle cose che apprezzo di queste storie è che – invece di attribuire l’incantesimo della creazione a un dio remoto che opera a distanza e trattiene in cielo i suoi poteri, come fanno le religioni monoteiste occidentali (anche considerando il subdolo pantheon politeista del cristianesimo) – esse sembrano più saggiamente impregnare d’un senso del miracoloso il mondo a noi vicino e i suoi personaggi.
In alcune parti del Nord America si narra che prima della comparsa sulla Terra degli esseri umani un Signore del Cielo avesse sradicato un grande albero, creando una voragine. Sua moglie ci guardò dentro e vide le stelle brillare nell’oscurità. Curiosa, si sporse troppo – e cadde. Giù, giù, giù, cadde tra le stelle. Gli animali che nuotavano nelle grandi acque del mondo sottostante alzarono lo sguardo. Rapidamente tennero un consiglio e decisero che la Strolaga e l’Anatra dovessero interrompere la sua caduta con le loro soffici ali, e che la donna dovesse posarsi sull’ampio dorso della Tartaruga. Mentre la Signora del Cielo dormiva esausta, il Castoro, la Lontra e il Topo Muschiato s’immersero nel mare cosmico, riportandone del fango con cui coprire il dorso della Tartaruga. Il terreno posato sul guscio andò estendendosi sempre di più, e ben presto le dimensioni del mondo aumentarono: comparvero i corsi d’acqua – e germogliarono alberi, arbusti, erbe, grano e altre piante. Quando la donna si svegliò, si rallegrò e benedì ciò che aveva intorno. E dunque questo mondo, che viaggia a cavallo della Grande Tartaruga in un mare sconfinato, è l’Isola della Tartaruga2.

Non è un caso che in tante ricostruzioni della creazione del mondo diffuse tra le popolazioni del Nuovo Mondo, ben da prima della comparsa invasiva dell’”Uomo bianco” e della sua brama di conquista e appropriazione di ogni risorsa animata e inanimata, avessero al loro centro una delle creature più antiche ancora esistenti sulla faccia della Terra. Rivelando, in fin dei conti l’intimo legame esistente tra le culture e le società che producevano tali ricostruzioni delle origini e la natura in cui erano ancora per gran parte immerse.

L’autore, biologo e direttore di centri di ricerca scientifica, sceglie di usare un linguaggio e uno stile espositivo ben più ricco e vario di quello “freddamente” scientifico cercando, probabilmente, di superare quella separazione tra scienza e natura, nata con la scienza moderna per meglio osservare l’universo circostante con obiettività e distacco, ma che ha finito con l’allontanare sempre più la specie umana dal mondo circostante e dalla sua intrinseca poesia. Finendo così col portare la prima a sottovalutare il secondo, fino a giungere inesorabilmente al precipitare degli eventi climatici e ambientali di cui siamo attualmente testimoni.

Testimoni di un cambiamento e di una distruzione che non è semplicemente di carattere antropico, come qualcuno vorrebbe frettolosamente liquidare generalizzando responsabilità che sono specifiche di un modo di produzione e non della specie nel suo complesso, ma che si è accelerata nel corso degli ultimi secoli e, ancor più, degli ultimi decenni. Distruttività e devastazione accelerate che gli eventi riguardanti le tartarughe Liuto di cui si occupa in particolare il libro di Safina ci aiutano a comprendere ancora meglio nei loro effettivi tempi di avanzamento e diffusione.

Quando le navi europee, con le vele spiegate al vento, puntarono a ovest e a sud, i mari caldi e temperati del pianeta erano ancora pieni di tartarughe marine, ii cui numero era forse nell’ordine dei miliardi. Con ogni probabilità, per ogni tartaruga marina oggi vivente, in passato ve n’erano cento. Solo nell’ultimo secolo molte popolazioni sono declinate del 90 per cento.
Per noi è difficile concepire l’abbondanza di forme di vita presenti negli oceani all’inizio dei tempi moderni. Il secondo viaggio di Cristoforo Colombo, iniziato nel 1493, ci offre, per esempio, quest’istantanea: «In quelle venti leghe … il mare era denso di tartarughe …così numerose da sembrare che le navi dovessero arenarvisi, ed erano come immerse in esse ». […] Spettacoli simili trasmettevano chiaramente l’impressione – sempre sbagliata – di una fauna selvatica inesauribile. I nativi avevano già decimato alcune piccole popolazioni nidificanti: niente in confronto al massacro che di lì a poco sarebbe stato perpetrato dagli europei. Soprattutto nei Caraibi, in epoca coloniale, le tartarughe patirono un colpo durissimo. Subito dopo l’insediamento degli europei, le Tartarughe Verdi – specie preferita e alimento base tanto degli equipaggi delle navi quanto dei coloni in arrivo – divennero oggetto d’un commercio così intenso ed esteso da innescare un’ondata di estinzioni locali in siti importanti per la nidificazione.
Nel 1610, a Bermuda, un colono osservava che « lungo le coste … Tartarughe, Pesci e Uccelli selvatici abbondano come la polvere della terra ». Nel 1620, solo undici anni dopo la colonizzazione, Bermuda era stata già a tal punto sfruttata che per proteggere le tartarughe più giovani il parlamento locale promulgò una legge, forse la prima varata nel Nuovo Mondo all’insegna della conservazione3.

Ecco allora che ricordi di navigazione e testimonianze dei primi esploratori, e dei loro successivi seguaci, confermano quel chiodo d’oro, individuato dagli scienziati del clima, che segna la fase di inizio della devastazione ambientale legata alla azione umana successiva all’avvento delle prime forme del capitalismo commerciale e poi, in seguito, industriale: il Cinquecento, con le sue esplorazioni, conquiste (coloniali e scientifiche) e distruzioni di popoli ritenuti “non umani” in quanto non cristiani e specie animali (destinate a un consumo vorace oppure alle prime forme di trasformazione artigianal-industriali)4.

Ma fermare l’analisi del libro di Safina, una volta giunti a questo punto, sarebbe ancora troppo riduttivo, visto la quantità di dati scientifici, storici, antropologici e biologici su cui lo stesso si basa. Dalla descrizione delle popolazioni che in varie parti del mondo, spesso lontane tra loro, e su differenti oceani si misurano, spesso limitandola, con l’esistenza delle tartarughe marine ai lunghissimi viaggi di queste ultime oppure alla complessità delle forme di vita presenti negli oceani e nei loro abissi.

[…] i Pesci Spada sono predatori visivi. Hanno bisogno di un’ottima vista e della capacità di reagire velocemente, eppure spesso cacciano di notte o in profondità, dove tutto – anche durante il giorno – è in penombra come fosse illuminato solo dalle stelle. (Nel 1967 un Pesce Spada colpì il sommergibile di ricerca Alvin a una profondità di oltre seicento metri; il rostro gli s’incastrò in un giunto, così venne trascinato in superficie, dove poi ricercatori ed equipaggio lo mangiarono). A quelle profondità il freddo rallenta anche i tempi di reazione e compromette la vista. Oltre alla sua letale baionetta, però, il Pesce Spada possiede un’arma segreta nascosta nel cranio: un muscolo unico nel suo genere, che brucia energia senza generare alcun movimento, giacché la sua sola funzione è di produrre calore per riscaldare il cervello e gli occhi durante la caccia nei gelidi abissi, conferendo al suo possessore una vista superiore e dandogli un vantaggio rispetto alle sue prede dal cervello freddo. Nelle cellule di questo strano muscolo mancano le proteine che di solito si contraggono per produrre il movimento; tutta l’energia è invece convertita in calore […] Riscaldando il sangue che scorre nel cervello e dietro agli occhi, il Pesce Spada può mantenere quegli organi fondamentali a temperature di circa 15 °C superiori rispetto all’acqua circostante. Le cellule della retina di un occhio raccolgono la luce; i nervi inviano poi segnali al cervello, a intervalli periodici, come l’otturatore in una telecamera. Le basse temperature aumentano il « tempo di esposizione » nella retina, così che il cervello deve aspettare più a lungo per ogni segnale. A 22 °C gli occhi di un Pesce Spada possono discriminare più di quaranta flash luminosi al secondo, mentre a una temperatura di 10 °C ne distinguono soltanto cinque […] A una profondità di cento metri, gli occhi mantenuti caldi offrono a un Pesce Spada una vista dieci volte più acuta di quella che avrebbe se si trovassero alla stessa temperatura dell’acqua. Anche la penombra aumenta il tempo di esposizione nell’occhio. A circa 500 metri l’oscurità cancella il vantaggio offerto dal calore, e infatti i Pesci Spada ci si spingono solo di rado. […] Quello strano muscolo che riscalda la testa dà loro accesso a una maggiore estensione di oceano e a riserve di cibo che sono fuori dalla portata di altri cacciatori. In mare, le teste calde hanno la meglio.
Quando poi un Pesce Spada ha bisogno di riscaldare tutto il proprio corpo e di digerire, si sposta verso l’alto e viene a prendere il sole in superficie – a portata di arpione5.

Questa è soltanto una delle tante considerazioni e osservazioni scientifiche che, con uno stile sempre brillante, vengono offerte dalle pagine del libro alla riflessione del lettore. Così da ricordargli sempre che lo stupore, la meraviglia o la rabbia per la sua devastazione e/o scomparsa devono essere costituire motivi fondamentali per approcciare un mondo molto più complesso e interagente con la nostra specie in maniera molto più profonda di quanto si possa dedurre dalle esposizioni fiaccamente divulgative oppure marchiate tristemente dalle necessità di trarre profitto tipiche del capitale e dei suoi funzionari economici, politici, tecnico-scientifici o mediatici.

I quali non hanno mai saputo cogliere, per ignoranza o convenienza, la semplice verità espressa da Henry David Thoreau (1817-1862), posta in esergo al volume, che va ben al di là del significato più immediato e che, in fin dei conti, ci riguarda tutti. Tutti noi, esseri appartenenti ad una società tutt’altro che perfetta e, allo stesso tempo proprio per questo, incapace di riconoscere l’armonia, talvolta dai toni violenti, espressa dalla natura che ci circonda.

Sono colpito dal fatto che la terra si prenda cura delle uova delle tartarughe. Vengono piantate nel terreno, e la terra se ne occupa: è amorevole con loro, e non le uccide. Ciò suggerisce una certa vitalità ed intelligenza della terra, di cui non mi ero mai reso conto. Questa madre non è meramente inanimata e inorganica. Anche se mamma tartaruga abbandona la propria progenie, la terra e il sole sono gentili con le uova. Mentre la madre che le ha appena deposte se ne va arrancando, una più vecchia tartaruga, ormai scomparsa e sepolta sotto strati di terra, si prende cura di loro. La terra non è velenosa e mortale, ma ha delle virtù: quando in essa vengono posti dei semi, germogliano; quando si tratta di uova di tartaruga, si schiudono al momento giusto.


  1. C. Safina, Il viaggio della tartaruga, Adelphi Edizioni, Milano 2023, pp. 20-21.  

  2. C. Safina, op. cit., pp. 319-320. Per un’altra descrizione simile della creazione del mondo si veda Frank B. Linderman, Attorno al fuoco, Mattioli 1885, Fidenza 2023.  

  3. C. Safina, op. cit., pp. 320-321.  

  4. Si veda in proposito: S.L. Lewis, M.A. Maslin, Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene, Giulio Einaudi Editore, Torino 2019.  

  5. C. Safina, op.cit., pp. 249-250.  

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Arte e cultura materiale https://www.carmillaonline.com/2015/05/17/arte-e-cultura-materiale/ Sat, 16 May 2015 22:01:14 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22298 di Gioacchino Toni

Il rapporto omologico tra produzione artistica e fattori materiali in Renato Barilli

arte e cultura materiale barilliNell’ambito degli studi artistici, l’originalità della proposta di Renato Barilli consiste nell’incentrare l’analisi  attorno al rapporto che si determina tra tecnologia, modalità di produzione e di circolazione delle merci e degli individui, e capacità di immaginare e progettare il futuro, attività che pertiene alle arti ed alle scienze. Nell’analizzare il rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica, l’autore riprende la nozione di rapporto omologico tra struttura e sovrastruttura proposta da Lucien Goldman per poi [...]]]> di Gioacchino Toni

Il rapporto omologico tra produzione artistica e fattori materiali in Renato Barilli

arte e cultura materiale barilliNell’ambito degli studi artistici, l’originalità della proposta di Renato Barilli consiste nell’incentrare l’analisi  attorno al rapporto che si determina tra tecnologia, modalità di produzione e di circolazione delle merci e degli individui, e capacità di immaginare e progettare il futuro, attività che pertiene alle arti ed alle scienze. Nell’analizzare il rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica, l’autore riprende la nozione di rapporto omologico tra struttura e sovrastruttura proposta da Lucien Goldman per poi articolare il proprio approccio facendo interagire le riflessioni di McLuhan e le proposte avanzate da Erwin Panofsky nel noto saggio giovanile La prospettiva come forma simbolica.

Ricostruendo l’imponente produzione dello studioso, conviene abbandonare l’ordine di pubblicazione dei diversi saggi e partire dal recente e voluminoso Arte e cultura materiale in Occidente. Dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche, uscito sul finire del 2011, ove vengono presi in esame quasi tre millenni di arte occidentale letta ed interpretata attraverso un rigoroso impianto metodologico argomentato dall’autore in Scienza della cultura e fenomenologia degli stili (1982, nuova ed. 2007). Nonostante le seicento pagine, il testo del 2011, non pretende, né potrebbe, offrire un’analisi dettagliata di un periodo storico tanto ampio da spaziare dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche di inizio Novecento; l’intento dell’opera è piuttosto quello di affrontare la produzione artistica dei millenni esaminati individuando quelli che possono essere ritenuti gli snodi essenziali derivati dall’impostazione sviluppata dallo studioso nel corso di diversi decenni di ricerca ed insegnamento universitario.
Alcuni dei periodi storico-artistici trattati dal saggio sono stati approfonditi precedentemente dall’autore attraverso voluminosi testi specifici come Maniera Moderna e Manierismo (pubblicato nel 2004), L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Fussli a Delacroix (pubblicato nel 1995) e L’arte contemporanea (1984, nuova ed. 2014). Le parti riguardanti l’antichità ed il periodo medioevale fanno invece il loro esordio, almeno in maniera strutturata, in questo imponente e recente volume e, per certi versi, rappresentano la vera novità utile a completare la ricerca. Occorre sottolineare che, nel saggio, non mancano interessanti “inserti di collegamento” tra i periodi affrontati dettagliatamente in altri testi.

NC intro NoordaLa trattazione inizia con l’analisi della scultura greca dall’arcaismo all’Ellenismo. Vengono, pertanto, passati in rassegna celebri kouroi e korai del periodo arcaico, alcune note realizzazioni di età classica, di Policleto e Fidia, e tardoclassica, di Lisippo, Skopas e Prassitele, sino a giungere al dinamico intreccio tra i copri caro alla produzione ellenistica, come il Gruppo del Laocoonte e l’Altare di Pergamo. L’analisi barilliana segnala come le trasformazioni stilistiche che hanno portato dalle rigidità distaccate della statuaria arcaica ai movimentati grovigli ellenistici siano rapportabili alle trasformazioni che hanno visto saltare i confini tra le singole e separate Poleis di età arcaica e classica.
Sempre in ambito antico, l’analisi prosegue con l’epopea romana individuando nell’Ara Pacis Augustae il punto di partenza per esaminare quello che si rivela essere un percorso di lenta e graduale perdita di naturalismo e di individuazione delle singolarità umane in favore di un livello crescente di stilizzazione. Alle figure umane ripetute quasi meccanicamente si accompagnano però scenari ben dettagliati. Di pari passo l’analisi di Barilli evidenzia come dal centralismo di Roma Caput mundi dell’età augustea, la situazione si evolva verso un impero sempre meno centralizzato e centralizzabile. Già nella Colonna Traiana iniziano a palesarsi elementi di stilizzazione, di replica stereotipata delle figure. Per certi versi, stilisticamente parlando, può dirsi iniziato un processo di conquista del centro da parte della periferia. Si assiste ad un’inversione di marcia: non è più Roma a dettare, ad esportare, “la linea” ma è la provincia a premere sulla capitale trasformandone lo stile. La successiva Colonna Antonina sembra essersi liberata dei dettagliati sfondi presenti nel rilievo della precedente, le figure umane sembrano ora muoversi nel vuoto. Nei sarcofaghi realizzati tra il II ed il III secolo si assiste ad un bilanciamento tra naturalismo ed astrazione; alle ancora evidenti conoscenze anatomiche e proporzionali si affianca una composizione in cui i personaggi risultano allineati sul primo piano. L’instaurazione di un regime tetrarchico che politicamente coincide con una sorta di «moltiplicazione per quattro dei centri di potere e di comando dell’impero, attraverso una vera e propria clonazione» trova la sua «corrispondenza omologica a livello stilistico di questo principio di clonazione (…) nel gruppo dedicato ai quattro Tetrarchi, elaborato a Costantinopoli e quindi trasportato a Venezia, a San Marco». Tale monumento, nella marcata specularità delle figure e nel senso di contrazione e di annullamento delle anatomie che sembrano ormai avviate a collassare, evidenzia bene la situazione politico-istituzionale venutasi a creare.
L’avvento del cristianesimo, per opera di Costantino, rivoluziona l’arte a livello tematico ma non dal punto di vista stilistico; a trionfare è l’isolamento delle figure disposte in ordine una accanto all’altra senza alcun rapporto. È la proliferazione di altrettanti mondi chiusi tanto uguali quanto privi di contatto e, tale isolamento delle figure, rimanda inevitabilmente al processo di lenta ed inesorabile implosione della rete viaria romana. Non c’è da stupirsi se in ambito paleocristiano la produzione artistica resta legata all’astrazione e la scelta di realizzare i grandi cicli figurativi a mosaico è da interpretarsi come una precisa scelta stilistica. Considerando le maggiori decorazioni musive di Ravenna, appaiono evidenti i caratteri stilistici dominanti: figure prive di volume disposte frontalmente ed allineate in maniera stereotipata alla medesima altezza e distanza. La semplificazione e lo schematismo di derivazione bizantina tendono a rendere le figure simili ad ideogrammi, ed all’aumentare del livello di astrazione, diminuisce la distanza tra parole ed immagini, tanto che, in taluni casi, convivono agevolmente.
Tra il VI e l’inizio del XI secolo il panorama artistico resta pressoché bloccato così come bloccata appare la società dominata da un sistema feudale costituito da una miriade di centri di potere pressoché incomunicanti: «Languisce il reticolo delle vie di comunicazione, e assieme ad esso pure la prospettiva diviene assolutamente impervia, impraticabile, priva di qualsiasi utilità». È attorno alla seconda metà del XI secolo che le cose iniziano lentamente a cambiare, in concomitanza con la ripresa dello studio del diritto romano, forte della sua portata universalistica; «il particolarismo dei Comuni non è ostile alla restaurazione di reti viarie, ovvero i Comuni dialogano tra loro, le rispettive merci devono viaggiare lungo direttrici riattivate (…) e dunque, il particolarismo, la pluralità dei centri si concilia col tentativo di accedere ad una legislatura unitaria, esattamente come avveniva tra le poleis della grecità, fieramente autonomiste, pronte anche a darsi battaglia, ma unificati nei caratteri di una civiltà abbastanza omogenea». Di pari passo alla riesumazione del diritto romano come elemento unificante, dal punto di vista stilistico l’arco a tutto sesto tende ad imporsi come elemento unificante nell’architettura dell’intera Europa. Le lastre modenesi di Wiligelmo, nel XII secolo, mostrano come sia possibile iniziare a mettere in discussione i canoni di una rappresentazione eseguita per clonazione dei personaggi disposti con regolarità stereotipata. Il grande scultore manifesta, davvero in anticipo rispetto ai tempi, l’inizio di una fase espansiva ove il protagonista è sempre meno disposto ad accettare di dover sottostare a rigide partizioni modulari. Lo stesso Antelami, in quel di Parma, pur manifestando certamente una maggior padronanza anatomica rispetto a Wiligelmo, risulta meno propenso ad abbandonare la sottomissione delle scene ad un generale ritmo paratattico.

barilli_maniera_manierismoIl corposo volume continua la sua trattazione fino a passare in rassegna le avanguardie storiche ma, giunti a questo punto vale la pena proseguire il cammino affrontando il periodo storico-artistico che inaugura la modernità attraverso l’approfondimento proposto dal saggio Maniera Moderna e Manierismo (Recensito su Carmilla). Qui Barilli si addentra nell’epopea artistica moderna recuperando la proposta vasariana dell’evoluzione stilistica basata sulle famose “tre maniere” che indirizzano l’arte verso una resa mimetica della realtà. Si passa pertanto dall’introduzione di elementi di aderenza al reale, nella prima maniera, ad un loro sviluppo scientifico, grazie, soprattutto, al ricorso ad un preciso tipo di prospettiva, nella seconda, sino al raggiungimento di esiti naturalistici, con tanto di resa atmosferica e rappresentazioni sciolte e vitali, nell’ultima maniera, quella detta moderna, appunto, che vede tra gli assoluti protagonisti autori come Leonardo, Raffaello e Tiziano.
La nascita dell’epopea artistica moderna si lega, nella lettura barilliana, all’introduzione di una prospettiva di tipo scientifico, indicata da Panofsky quale forma simbolica della modernità, nel suo proporre/imporre una precisa visione del mondo in anticipo di un secolo e mezzo rispetto agli studi di Galilei, Cartesio e Newton. All’introduzione della prospettiva scientifica si aggiunge un’altra fondamentale invenzione volta a normalizzarne ed a diffonderne la logica retrostante: la tipografia a caratteri mobili introdotta da Johan Gutenberg. Tale innovazione sistematizza l’impatto visivo della pagina stampata, con le relative implicazioni concettuali, in maniera analoga a quanto fatto dalla prospettiva scientifica nell’impaginazione dei dipinti. Il carattere tipografico assume ora la chiara connotazione di elemento standard, discreto, divenendo, in definitiva, equiparabile al punto come unità di costruzione di una superficie omogenea, di un piano. Vengono pertanto riprese le argomentazioni addotte da McLuhann circa la portata culturale e le implicazioni sociali dell’omogeneizzazione razionale e seriale insinuata dal medium tipografico.
L’epopea moderna, che si inaugura artisticamente con il Rinascimento, tenta di legittimare un nuovo rapporto con la rappresentazione del mondo. L’universo, in quanto oramai vissuto come idealmente commensurabile, è sempre meno distante ed incomprensibile. Il timore reverenziale, che fino a questo momento viene risolto nella preservazione simbolica del mistero, cede il posto ad un’apertura consapevole, fiduciosa nei propri mezzi tecnici e scientifici. Il mondo visibile e la concretezza del presente storico diventano oggetto di uno sforzo pittorico improntato alla veridicità, alla resa realistica, all’indagine naturalistica.
Alla maturità rinascimentale, caratterizzata dall’ossessione per la mimesi, si contrappone il fenomeno manierista, contraddistinto dall’arbitrio dell’artista che ormai intende contraddire il sistema proporzionale e la verosimiglianza anatomica dei personaggi effigiati. La produzione di artisti come Pontormo, Rosso Fiorentino, Giulio Romano e Tintoretto non intende più farsi specchio del percepibile ma, piuttosto, apertura ad un mondo fantastico ed onirico. Lo spirito controriformista contribuisce alla rapida chiusura della parentesi manierista supportando il ritorno ad impostazioni votate al naturalismo che si incanalano lungo tre direttrici secentesche: una carraccesca di tipo classicista, una caravaggesca di intonazione realista ed una più strettamente sensualista sull’onda delle opere berniniane e rubensiane.

barilli_alba_contempL’antimodernismo manierista non resta comunque lettera morta, esso viene ripreso da artisti visionari come Füssli e Blake che, per certi versi, anticipano il superamento della modernità che si attuerà soltanto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo con il passaggio all’età contemporanea. Barilli affronta in maniera dettagliata tale compagine visionaria nel saggio L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Füssli a Delacroix, analizzando come tali precursori del contemporaneo, attraverso registri differenti, caratterizzati da evidenti semplificazioni formali che conducono, non di rado, a soluzioni bidimensionali di impaginazione ed a veri e propri fuori-scala, manifestano una chiara contrapposizione all’illusionismo naturalistico dell’epoca moderna.

Il passaggio epocale che segna l’avvento di un’arte che si distingue decisamente da quella moderna, inaugurata nel corso del XV secolo, viene individuato da Barilli nella figura di Paul Cézanne. Dopo il “movimento-cerniera” impressionista, è con tale autore che crolla definitivamente l’illusione di una rappresentazione obiettiva, mimetica. L’artista rifiuta di vedere nella prospettiva uno strumento ordinante i rapporti spaziali. Per Cézanne la visione è inevitabilmente approssimativa, relativa, complessa ed in movimento, fluttuante; essa non può certo essere coglibile attraverso uno strumento rigido quale la prospettiva scientifica. È pertanto con la trattazione di detto artista che Barilli apre il saggio dedicato al definitivo superamento della modernità: L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze.

barilli_contemporaneaL’analisi riparte dal rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica. Conseguenza diretta della Rivoluzione industriale, l’età contemporanea impone da subito una radicale revisione dei precedenti statuti culturali. La tecnologia, con l’inevitabile ricaduta sull’immaginario collettivo, riveste un ruolo fondamentale nelle trasformazioni che si danno a livello delle espressioni culturali, dei linguaggi rappresentativi, dei paradigmi identificativi. L’arte partecipa significativamente all’avvicendamento, descrivendo, proprio a partire dalle istanze tecnologiche, un percorso di ricerca di nuove forme simboliche in cui riconoscersi e consolidare l’appartenenza collettiva. Se la correlazione delle arti con il livello alto, ideale, della cultura di una determinata epoca è facilmente individuabile, trattandosi spesso di un rapporto di emanazione diretta, meno evidenti sono i rimandi e gli attraversamenti con il livello basso, materiale, della medesima cultura, rappresentato dalla tecnologia.
Tra gli anni ’60 e ’70 del XIX secolo, alcune fondamentali scoperte tecnico-scientifiche avviano un processo di cambiamento epocale a partire dalle fonti energetiche, in particolare dalle possibilità offerte dalle cariche elettriche. Nel corso di tali decenni si susseguono alcune tappe importanti nell’ambito di quella che può essere definita “rivoluzione energetica”: gli studi del fisico Antonio Pacinotti volti a ricavare lavoro meccanico dallo sfruttamento dell’azione combinata dell’elettricità e del magnetismo, la posa del primo cavo telegrafico tra Europa e Nord America, che amplifica le possibilità di trasmissione di informazioni attraverso onde elettromagnetiche, e gli studi del campo elettromagnetico di James Clerk Maxwell. Si assiste in tal modo ad uno spostamento concettuale da un universo meccanico, rigidamente vincolato dalle leggi galileiane e newtoniane, ad un universo fluttuante, legato al divenire di un continuum energetico. Si passa da una concezione atomistica, legata alla somma di entità spazialmente distinte, relazionantisi a distanza tramite le leggi gravitazionali, ad una concezione sistemica, sviluppata sulle idee di flusso e di campo come luoghi della continuità e dell’interazione simultanea.
La costruzione cézanniana dello spazio, nel suo contestare la struttura prospettica e l’idea che ne consegue di profondità come dislocazione tridimensionale di punti fissi ed ordinati, di particelle distinte e localizzabili, si richiama ad un nuovo tipo di visione dinamica e sferoidale. Da una spazialità certa, stabile, esattamente conoscibile e conosciuta, si passa ad una spazialità incerta, instabile, in continua e rapidissima trasformazione, percorsa da invisibili flussi energetici in grado di interagire con la struttura degli elementi, modificandola. Questo spazio fluttuante, legato all’imponderabilità dei campi intesi come sistemi di influenze, è lo stesso che ai primi del Novecento evidenzia il limite epistemologico della Meccanica classica, aprendo alla Relatività di Albert Einstein e al Principio di indeterminazione di Werner Heisenberg.

La fine dell’Ottocento vede anche altri percorsi di formalizzazione più o meno consapevole della fluttuanza, uno di questi è certamente quello proposto dall’Art Nouveau che, seppur espressione di una tendenza volta ad estetizzare l’industrializzazione, palesa, nel suo repertorio formale, d’ispirazione floreale, di volgersi, più o meno consapevolmente, alle novità tecnico-scientifiche legate all’energia elettromagnetica. Il ricorso a tipologie formali fitomorfe formalizza l’andamento curvilineo del campo elettromagnetico; la nuova tendenza decorativa svolge la propria funzione simbolica nei confronti di un sistema di riferimenti materiali e concettuali ormai decisamente oltre la modernità. A cavallo tra moderno e contemporaneo, tra Otto e Novecento, si pone anche la compagine simbolista che, nel suo contrapporre l’evocazione all’impressione, intende oltrepassare la cerniera impressionista; in essa il simbolo diventa l’unità di senso che rapporta l’apparenza all’essenza profonda, ciò che è fisico a ciò che è spirituale.

Anche l’esperienza cubista si propone il superamento della pittura intesa come pura registrazione del dato visivo. L’opera, nella nuova poetica, diviene creazione neoplastica in cui la natura non è più il punto di partenza, anzi, ad essa si sostituisce la volontà dell’uomo di plasmare in proprio. Se dal punto di vista stilistico il meccanomorfismo cubista palesa il debito nei confronti di una tecnologia tradizionale, più contraddittoria appare la proposta futurista nel suo legare l’esaltazione della civiltà delle macchine ai suoi aspetti più dinamici. In entrambi i casi, però, la realtà finisce per essere riformulata sul modello delle macchine. Toccherà ai movimenti dada-surrealisti contestare il meccanomorfismo cubo-futurista a partire dai suoi aspetti ideologici; il ricorso a componenti del mondo delle macchine viene qui ad avere finalità contestatarie e beffarde. Le macchine dada-surrealiste sono abbandonate ad un ritorno delle energie primarie, ad una contaminazione con la casualità ed il disordine della natura tale da azzerarne le logiche razionali di funzionamento; all’utilitarismo, si contrappone il ritorno al principio di piacere che regola i meccanismi inconsci.

Giunti a metà Novecento, dal punto di vista scientifico-tecnologico, si assiste allo sviluppo ed alla diffusione di molte delle invenzioni e delle scoperte dei primi decenni del secolo. In un’epoca ancora segnata dal dramma della guerra, prendono piede nuovi materiali, si avvia la corsa alla conquista spaziale e si inaugura l’era della televisione. Tutte queste novità tecnico-scientifiche non mancano di influenzare il panorama culturale ed artistico; spetta alle poetiche informali captare e dare forma ed immagine ad un periodo attraversato da un generale senso di angoscia che trova, parallelamente alle novità tecnico-scientifiche, nel rapporto tra essere umano, spazio e materia il centro attorno a cui gravitare facendo riemergere la questione dell’identità dell’uomo. Il dominio dell’Informale negli anni ’40 e ’50, lascia, sin dai primi anni ’60, spazio allo sviluppo di poetiche accomunate dall’attenzione per gli oggetti tratti dalla realtà quotidiana (New dada, Pop art, Nouveau Réalisme…). All’interesse dell’Informale per la sfera degli elementi primari, le “poetiche dell’oggetto” contrappongono gli elementi secondari: è il mondo degli oggetti costruiti a divenire centrale.

barilli_informale_oggetto1La produzione artistica successiva la metà del secolo, è analizzata da Renato Barilli attraverso tre saggi: Informale Oggetto Comportamento. Volume I. La ricerca artistica negli anni ’50 e ’60 (1988), Informale Oggetto Comportamento. Volume II. La ricerca artistica negli anni ’70 (1988) e Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005 (2006). barilli_informale_oggetto2I primi due testi, relativi agli anni ’50, ’60 e ’70, si presentano sotto forma frammentata di raccolta di scritti stesi in un lungo arco di tempo, in diretta con gli eventi, e lasciati, sostanzialmente, “tali e quali”. Nell’ultimo saggio, invece, pur derivato da interventi precedenti, l’autore opta per una loro rielaborazione a posteriori in modo da conferire alla trattazione una stesura continua. Successivamente è uscito anche uno studio dedicato all’arte italiana: Storia dell’arte contemporanea in Italia. Da Canova alle ultime tendenze 1789-2006 (2007).

Di tutto ciò, eventualmente, si parlerà più avanti.

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Immagine di apertura: Paul Cézanne, Le grandi bagnanti (1906), olio su tela, 208×251 cm, Museum of Art di Filadelfia

Bibliografia

Edizioni attualmente in commercio:

– R. Barilli, Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, Bononia University Press, Bologna 2007, 220 pagine, € 22,00

– R. Barilli, Arte e cultura materiale in Occidente. Dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche. Bollati Boringhieri, Torino 2011, 609 pagine, € 40,00

– R. Barilli, Maniera Moderna e Manierismo, Feltrinelli (Campi del sapere), Milano 2004, 308 pagine, € 30,00

– R. Barilli, L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Füssli a Delacroix, Feltrinelli (Campi del sapere), Milano 1996, 304 pagine, € 35,00

– R. Barilli, L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze, Feltrinelli, Milano 2014 (8 ed.), 368 pagine, € 45,00 (Campi del sapere) / € 17,00 (Universale economica)

– R. Barilli, Informale Oggetto Comportamento. Volume I. La ricerca artistica negli anni ’50 e ’60, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2006 (3 ed.), 293 pagine, € 14,00

– R. Barilli, Informale Oggetto Comportamento. Volume II. La ricerca artistica negli anni ’70, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2006 (3 ed.), 238 pagine, € 14,00

– R. Barilli, Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2014 (4 ed.), 234 pagine, € 12,00

– R. Barilli, Storia dell’arte contemporanea in Italia. Da Canova alle ultime tendenze 1789-2006, Bollati Boringhieri, Torino 2007, 565 pagine, € 35,00

 

 

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