Chiara Daino – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 17 Nov 2024 23:09:09 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La dea cannibale https://www.carmillaonline.com/2023/12/16/la-dea-cannibale/ Sat, 16 Dec 2023 21:00:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=80339 di Franco Pezzini

Chiara Daino e Ginevra Ballati, Dea Culpa. Breviario per l’Anima stanca, pp. 25, € 18,72 (versione Kindle € 8), UrsaMaior, Pistoia 2023.

Aviatica: degli avi, atavica. Il gioco per assonanza con aviaria mi garbò un monte sottendendo anche le ossa cave degli uccelli – ossa cave che battezzano anche il sito di Ginevra Ballati; la stessa Ginevra che, in sororale scherno, rise: «pensavo fosse alfa privativa e intendessi il senso di colpa senza viatico, senza soluzione». Meraviglia dell’essere ali diverse della stessa Arpia.

(da finali Marginalia e Noterelle)

Uno spettro si aggira per l’Europa, e sicuramente in Italia: lo [...]]]> di Franco Pezzini

Chiara Daino e Ginevra Ballati, Dea Culpa. Breviario per l’Anima stanca, pp. 25, € 18,72 (versione Kindle € 8), UrsaMaior, Pistoia 2023.

Aviatica: degli avi, atavica. Il gioco per assonanza con aviaria mi garbò un monte sottendendo anche le ossa cave degli uccelli – ossa cave che battezzano anche il sito di Ginevra Ballati; la stessa Ginevra che, in sororale scherno, rise: «pensavo fosse alfa privativa e intendessi il senso di colpa senza viatico, senza soluzione». Meraviglia dell’essere ali diverse della stessa Arpia.

(da finali Marginalia e Noterelle)

Uno spettro si aggira per l’Europa, e sicuramente in Italia: lo spettro del senso di colpa. Senso di colpa che non ha nulla a che vedere con il vittimismo lamentoso di moda tra gli arroganti, anche nei palazzi del potere; e neanche con l’esame di coscienza o il pentimento per il male fatto – abbia l’esame connotati confessionistici o invece del tutto laici, ma con il prosieguo non accidentale del tentare una riparazione. Il senso di colpa – la cannibalizzante “Dea Culpa” del titolo – ha invece ben poco in comune con le categorie morali: è un sedimento dell’animo, spesso eterodiretto, incistato da educazioni manipolatorie, ricatti affettivi o morali, violenze psicologiche. Un’entità cieca e idiota come certe divinità di Lovecraft, e che però alligna nel caos che abbiamo dentro, segnando intere esistenze. È appena il caso di ricordare come le vittime del senso di colpa siano i soggetti più sensibili, non gli infamoni che sgomitano e di colpe ne avrebbero tante da sentire – ma tant’è. E le psicoterapie fan quel che possono.

La prima trascrizione mitologica del tema, lo sappiamo, riguarda Oreste che per aver ucciso la madre – Clitemnestra, assassina del marito Agamennone – viene inseguito dalle Erinni, demoni punitrici della colpa. Ovvio, in tal caso non si parla di bagatelle, c’è di mezzo un parenticidio, ma la vicenda (appunto) mitica va anzitutto letta in chiave simbolica, e l’assoluzione di Oreste nel processo all’Areopago grazie agli dei luminosi Atena e Apollo finisce col sottolineare l’esistenza di un complesso gioco di equilibri psicologici e sociali, di colpe stratificate a danno dei più giovani, di pesi di ricatti affettivi. Perché le Erinni si muovono contro Oreste e non, prima, contro Clitemnestra? Il senso di colpa, lo denuncia già il mito, è spesso a senso unico.

In genere la Dea Culpa resta saldamente insediata come Custode della soglia di scelte (di vita, di lavoro, di relazioni…) dove non ci siamo allineati alle attese altrui. Quando Aleister Crowley inalbera il suo “Fa’ ciò che vuoi” non parla banalmente di capriccio o licenza, come spesso è stato interpretato (anche sul filo, va detto, di incoerenze della sua vita): evoca la ricerca di una nostra vera volontà – il nocciolo duro dell’essere creature desideranti, di ciò che sentiamo necessario per noi, di ciò cui sembra giusto tendere per realizzare i nostri carismi. E non per subire i progetti degli altri, calati magari con le migliori intenzioni sulle nostre teste da agenzie educative e sociali: a imporsi alla “vera volontà” (o presentarsi come sua caricatura, in un sembiante peloso di libertà) è ancor oggi spesso quella dei genitori, del gruppo di appartenenza, eccetera. Ora, non ci sarebbe bisogno del beffardo Sgt. Pepper Crowley per portare avanti tale istanza di libertà & responsabilità, e per mettere a fuoco che imparare a desiderare – e desiderare bene – sia fondamentale. E-ducere richiama l’idea di tirar fuori quel che sta dentro, e non calare da fuori, magari sfiduciando capacità esistenti e sogni forti in nome di un realismo di corto periodo, o invece facendo pesare sui piccoli lentezze e ritardi adulti: e il tutto all’insegna di quel sentimentalismo che – ci ricorda Jung – è una sovrastruttura che copre la brutalità. Tanto più in un’Italietta dove ancor oggi occorre spiegare che mammismo e patriarcato finiscono con l’essere facce della stessa medaglia, così come lo sono il feticcio del vero uomo e l’ometto manipolatore e vittimista (no, generale: abbiamo davanti non il mondo al contrario, semplicemente un mondo vecchio e marcio, che continua a funzionare così, ma si spera di tirarlo giù). Occorre ancora spiegare tutto questo, se no non ci si arriva, proprio per una diffusa mancanza d’abitudine a una libertà responsabile – e, a monte, a un’educazione a ragionare.

L’ordigno di fine di mondo (copyright dottor Stranamore) brandito dal mondo vecchio è il senso di colpa. Come non sarebbe stato necessario per generazioni precedenti convocare a fini educativi Pierino Porcospino, così non lo era per la nostra ammonire i piccoli con frasi come “Pensa ai bambini del Biafra”, puntando il dito sulle relative terribili immagini. Non c’era bisogno, semplicemente, e restava (considerando l’uso di quegli infelici) almeno di cattivo gusto: ma il senso di colpa è terribilmente efficace, scava rapidamente – come i tarli – e permette all’Ordine d’incassare risultati. Poco importa a che prezzo.

E a questo tema è dedicato il bel volumetto qui presentato, un breviario organizzato in due parti: anzitutto due serie di testi affilatissimi e controllati, Preghiere Principali con sette liriche (Provvedi, premia, castiga: Patto di Dolore, Sorte dei miracoli, Endocardio Blues, eccetera) e Prediche Perpetue con sette omelie (Ma che colpa abbiamo noi?: Distinzione severa, La fistola di Kafka, La Nonna e il Macellaio, Epidemia Aviatica, eccetera); e due filoni di elaborazioni artistiche del tema (tra l’altro varate prima dei testi, con parallela e pari dignità, non di mere “illustrazioni”), con sette acquerelli e sette pittogrammi.

Nella mappatura del “senso di colpa in tutte le sue declinazioni, sfumature e manifestazioni” si tenta così un esorcismo di “pietà invisibili” e demoni sensibili: il tutto con lo scudo di quell’ironia (magari amara, ma altrove surreale e bambina) che tanto fa paura ai manipolatori, improvvisamente privati della dignità vittimista dei tiranni. A fianco di chi ha subito la violenza insufflante del senso di colpa, scende in campo Till Eulenspiegel. Ah, la retorica pelosa sulla solitudine del potere…

In dialogo col lettore, “l’Anima stanca enuclea il nocciolo di ogni umano patire, d’ogni troppo umano provare”: non appunto per ostentato vittimismo ma per “la comunione dell’anima silente senza amnistia” e “la fortuna della psichiatria”. Così per esempio in Reati Retroattivi, che mette in campo le accuse a chi svolga un’attività inutilmente culturale (Chiara Daino ha fatto studi classici, appassionandosi di lingue non immediatamente spendibili negli affari d’oggi, ed è stata attrice e cantante):

 

Apologia per l’anima mia stanca

chiedo venia a destra e a manca:

il senso pratico – del cilicio

[deprecor significa sacrificio]?

Basta mi penta in ginocchio sui ceci

per tutte balorde scelte che feci

sciolte – dal corpo, Teriaca del desco:

l’inutile greco! Non parlo tedesco;

scusate se non studiai medicina

se non canto per la sana autostima

s’in fabbrica non mi spacco la schiena

se il mio lavoro è una messa – in scena.

[…]

In Autoimmune e Barzellette, dove gli antichi traumi da sensi di colpa si confrontano con ricadute molto materiali:

 

[…]

Trentacinque anni dopo: «malattia autoimmune non diagnosticata» e finii tra i malati invisibili.

«Belin, lo dicevo NON FOSSE colpa mia».

«Le malattie autoimmuni, come le allergie, insorgono per un senso di colpa inespresso», tiè!

«Tutto per quel chilo di fagiolini che non mangiai a tre anni?»

 

O nei ricordi della nonna (Distinzione severa), una figura intensa che emerge anche altrove – assieme a memorie ben altrimenti grevi:

 

[…]

«Ricorda, Bambìn, che l’umanità si divida – alla grezza – in due: chi ha sofferto e TUTTO esige come dovuto risarcimento e chi ha sofferto e si sentirà in colpa anche per una risata. Purtroppo rientri nella categoria sbagliata, quella dotata di fantasia; priva di egotismi e zuppa di poesia». Mai dimenticai l’insegnamento di mia Nonna Greca, benché avessi soltanto cinque calendari sulla schiena.

MAI mi fece sentire in colpa perché non vissi atrocità della Guerra; voleva semplicemente insegnarmi: ringraziare e ridere; affrontare e assolvere.

Me stessa.

[E anche il mio stupratore].

 

O nel ritratto di un prete illuminato (Liturgia e Psichiatria), che non sta a un uso ricattatorio della catechesi:

 

«Cosa ne pensa del SENSO DI COLPA»?

«Che non devi rugare le gonadi alle divinità. Fiorisci dove sei piantata, stronza».

 

[Quanto mi manca Don Emanuele: m’aiutò più d’ogni strapagato professionista della psiche]

 

O nei dialoghi col padre (Ammenda e Comanda):

 

Reale è non sentirsi all’altezza e l’Autore deve fare ammenda come l’Alcolista [raddoppio le scuse, essendo la stessa persona: la sobrietà mi altera].

«L’insuccesso mi ha dato alla testa» e Flaiano canzonava, pescino.

Il senso di colpa è un ricordo bambino: «se il tuo papà si distrae o è stanco – il paziente muore. Se è stanco o si distrae un cuoco: brucia il sugo». Così il neurochirurgo pediatrico mi rimproverò con asprezza salomonica; ingrata io, io infame creatura di tre anni – affamata d’attenzioni.

[…]

 

Emblematiche invece, tra le immagini, quella della casetta sotto un grande arco di rovi, cilicio incombente, “naturale”, che la stringe dai due lati; del cuore dai colori acquei/lacrimali o piuttosto sclerotico/minerali, che volto in orizzontale evoca un pesce del profondo; della stella nera che danza sorgendo in apparenza da una fenditura nel ghiaccio; dell’osso tra due rovi come stuzzicadenti spinosi, o della falena tuffata a testa in giù.

Le autrici. Chiara Daino in arte Dama, attrice, cantante Heavy Metal e scrittrice coltissima e intensa con un’ampia e poliedrica produzione dallo stile immansueto, dal 2019 al 2023 ha ristampato i suoi primi volumi (La Merca; Virus 71; Metalli Commedia). Tra le altre pubblicazioni: Gloria (Gattili, 2020); Siete Dei (Leggio, 2016); e il bellissimo Siamo soli – morirò a Parigi (alla Perec: Zona, 2013). Editor e prefatore, dal 2013 collabora continuativamente con le edizioni abrigliasciolta. Un suo precedente lavoro, 5 marzo. Il “rigore” di Pasolini (pubblicazione indipendente, 2022), abbinava già testi suoi a tavole di un artista eccellente – in quel caso Tiziano Riverso – con risultato splendido.

Ginevra Ballati, artista e illustratrice, lavora nell’ambito della didattica dell’arte e dell’educazione museale, seguendo progetti per conto di enti pubblici e privati tra Toscana e Emilia Romagna. Ha illustrato libri per bambini (fiction e non), libri di poesia, riviste, manifesti pubblicitari. Tra le ultime pubblicazioni: Gioco (Domitilla Pirro, effequ, 2022); Fiabe di ieri, oggi (Sibilla Santoni, Etrù, 2020); Libro di Hor (Francesca Matteoni, Vydia, 2019). La sua produzione vede tavole brulicanti di animali in ambientazioni surreali (come un Ghoul vagamente lovecraftiano, 2021, Isola verde, 2023, con un piccolo mammifero in riposo sopra un teschio fluttuante, la serie delle Mucche, il magnifico Nessie in the sky with diamonds, 2023, dove il mostro del lago scozzese lo solca sereno sotto un cielo radiante di stelle), di situazioni morbidamente oniriche, di oggetti e frutti in continui giochi di prestidigitazione.

Le collaborazioni tra autori sono sempre una buona notizia, permettono ai lavori una marcia in più e presentano il valore aggiunto di un dialogo tra arti diverse che fa bene a tutti. In questo caso il tema di un ingombrante senso di colpa per impatto patito (le allusioni restano vaghe anche se spesso comprensibili, ma i dettagli biografici non sono così importanti) ha avvicinato in un progetto comune due autrici dall’esigente interiorità e dalla scintillante, ironica fantasia. Fino alla presa d’atto (Reati Retroattivi) che

 

[…]

non ho amici non ho avversari

ho compagni di cella lapidari:

«il senso di colpa dona reflusso;

non siamo che dei – fossili di lusso».

 

E quanto al lascito manipolatorio (Esergo Rapace), “Il Biafra rima solo con se stesso”, come chiarisce una notula finale:

 

Biafra: «non sapevamo dove fosse Sondrio, ma conoscevamo la capitale del Biafra». Stefano Piffer riassunse le colazioni della nostra generazione: marmellata di sensi di colpa spalmati su pane tostato. Rifiutando mangiare le trippe assassinammo asili nidi africani; diventando anoressici – ci guadagnammo inferno.

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Dama Clarìda, Ancilla Metalli e la Commedia https://www.carmillaonline.com/2021/02/01/dama-clarida-ancilla-metalli-e-la-commedia/ Mon, 01 Feb 2021 21:52:00 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64764 di Franco Pezzini

Chiara Daino – Marcello Ferrau, Metalli Commedia (nuova edizione), pp. 207, Formato Kindle, Amazon 2019.

Immagino che quando iniziò a circolare Gargantua e Pantagruel non sia mancata qualche irritazione: tra maschere, Dive Bottiglie e salsicce volanti, davanti a una serie di categorie e singoli personaggi il sospetto (fondato o meno) di ritrovarsi satireggiati deve aver colto più di un lettore illustre. François Rabelais sia sempre benedetto: sulla scorta di una tradizione nobilissima (pensiamo ad Aristofane, a Petronio, al Seneca della Zucchificazione del Divo Claudio) questo nostro zio matto tranquillizza il [...]]]> di Franco Pezzini

Chiara Daino – Marcello Ferrau, Metalli Commedia (nuova edizione), pp. 207, Formato Kindle, Amazon 2019.

Immagino che quando iniziò a circolare Gargantua e Pantagruel non sia mancata qualche irritazione: tra maschere, Dive Bottiglie e salsicce volanti, davanti a una serie di categorie e singoli personaggi il sospetto (fondato o meno) di ritrovarsi satireggiati deve aver colto più di un lettore illustre. François Rabelais sia sempre benedetto: sulla scorta di una tradizione nobilissima (pensiamo ad Aristofane, a Petronio, al Seneca della Zucchificazione del Divo Claudio) questo nostro zio matto tranquillizza il mondo moderno sul fatto che un testo possa essere satirico, umoristico e magari con pagine – si passi il termine tecnico – di supercazzola, ma insieme autenticamente letterario.

Rabelais scrive in prosa. Ma questa beffarda licenza d’irridere può riguardare anche la poesia? Non si vede perché no. E un esempio a noi contemporaneo viene offerto da un testo di notevole interesse stilistico, pirotecnicamente satirico e tale anche da irritare (in modo fondato o meno, non importa, perché la gente sa essere suscettibile) grandi ego che se ne ritengano interpellati.

Articolata in varie parti – tre cantiche di cinque canti su Inferno, Purgatorio e Paradiso, più Olimpo e Multiverso, a suggerire una cosmologia un po’ diversa da quella del padre Dante oggetto quest’anno di celebrazioni rintuzzate dal covid – l’opera rappresenta un esilarante controcanto alla Commedia: il che non ne costituisce, in sé, il vero punto di forza. Calchi parodici alla Commedia non sono certo mancati nel tempo, compresi richiami felici, colti e letterariamente controllati (basti pensare al recentissimo Nel girone dei bestemmiatori di Alberto Prunetti, Laterza 2020). A colpire anzitutto in Metalli Commedia sono semmai due aspetti formali, cioè la qualità alta, letteraria dell’impasto dei versi – non puramente parodici, ma satirici in senso proprio – e la puntuale, coltissima annotazione, che sopravanza per mole il testo stesso a illuminare scelte linguistiche e ortografiche, ammiccamenti e calembour.

Ad incipit d’Inferno ci viene chiarito:

 

Incomincia la Comedìa di Dama Clarìda, Ancilla Metalli, ne la quale tratta de le pene e punimenti, de’ vizi e de’ valori – delli Umani che popolano li Tre Regni dell’Arte. Lo Canto Primo de la prima parte – la quale si chiama Inferno – è lo Tartaro nel qual l’Auttore si trovò gittato nello momento stesso in cui principiò sua carriera scrittoria. Questo canto tratta di come l’Auttore trovò Alice Cooper, il quale la fece sicura del cammino attraverso orrorosi Letterati e malefici Poetanti.

 

Il che già spiega qualcosa. E principia:

 

Nel mezzo del gran sol (1) di Satriani (2)

mi (3) ritrovai per caso tra poeti

che non vi so dir le lagne immani

 

né lo girar di gonadi per vieti

ch’imposer alla scura mia scrittura

di ferro – in quel mollo di profeti.

 

Con congrue note:

 

(1) Nel mezzo del gran sol: a metà dell’assolo [solo] di chitarra. Dicesi assolo di chitarra la parte solistica destinata ai virtuosismi; tale parte varia dai cinque minuti ai cinque mesi. Valga anche per: a metà del giro di sol. A livello temporale, con gran sol l’Autore intende il Sole di Mezzanotte. È presente anche un riferimento al romanzo di Karl Bruckner Il gran sole di Hiroshima che descrive la storia di Sadako, una bambina giapponese sopravvissuta all’esplosione nucleare di Hiroshima – riferimento che, tranne l’Autore e i lettori italiani di Bruckner, nessuno altro avrebbe colto. E ancora: Guido d’Arezzo utilizzò la prima strofa di un Inno liturgico per ricavare i nomi latini delle 6 note dell’esacordo e «SOLve polluti» [libera dal peccato] è, quindi, verso di spettanza che si lega all’incipit. Da ultimo: la notazione anglofona, come quella greca antica, utilizza le lettere dell’alfabeto – e il Sol è indicato con la G [mio Geniale Lettore, se lo preciso – credimi – esista un perché! Pazienta: lo capirai tra due note]

(2) Satriani: Joe Satriani, chitarrista statunitense di origini italiane, ideatore del G3 [acronimo di Guitar Three], progetto che si propone di unire «i tre più grandi chitarristi del mondo» per realizzare una serie di concerti-evento. Con il nome G3, Satriani organizza una serie di tour, accompagnandosi, di palco in palco, con una diversa coppia di virtuosi della chitarra [Guitar Hero]. Con Satriani si esibirono, nel G3 del 1996, Steve Vai e Eric Johnson, affiancati negli anni successivi da altri musicisti del calibro di Robert Fripp, Paul Gilbert, Yngwie Malmsteen, John Petrucci, …

(3) Mi: il verso in cui Guido d’Arezzo cifra la nota Mi è «MIra gestorum» [meraviglia delle imprese]. La notazione anglofona indica la nota Mi con la lettera E. Combinando, quindi, il Sol con il Mi, per la notazione anglofona si otterrà: GE, la targa che sigla la città di Genova. Quel Mi, infatti, è riferito all’Autore Genovese che narra il novello dantesco viaggio, in prima persona. Tale Autore Genovese, accusato di essere poco chiaro, cercherà di chiarire con le note – e poi di chiarire le note che avrebbero dovuto chiarire il testo. L’Autore Genovese, non volendo essere l’Anonimo Genovese bis, si firma alla nota numero 3: Chiara Daino, l’Autore, nasce a Genova il 5/3/1981.

 

Non si dica insomma che l’autrice non si prende le proprie responsabilità.

Chiara Daino, in arte Dama, alterna negli anni produzione autoriale e attività attoriale. La sua natura poliedrica è segnata dalla musica e dai suoi trascorsi di cantante Heavy Metal. Tra le pubblicazioni, il bellissimo e terribile, meraviglioso e straziato Siamo Soli [Morirò a Parigi] (Zona Editrice, 2013, romanzo alla Perec), di lucidità abbacinante e dai mille giochi linguistici a esplorare sentimenti esplosi o esausti, a dar colpi d’ala e svolte vertiginose ai discorsi via via inanellati – il ruolo dello scrittore, l’amore e il sesso, il rapporto con la speranza, stanchezze e battaglie – e il godibilissimo l’Eretista (Sigismundus Editrice, 2011, romanzo). E poi La Merca (Fara Editore, 2006; Amazon, 2019, romanzo) e Siete Dei (Il Leggio Editrice, 2016, racconti); appunto questo Metalli Commedia varato con il sodale Marcello Ferrau (apparso inizialmente per Thauma Edizioni, 2010, ne arriva ora un’edizione rinnovata); Virus 71 (Aìsara Edizioni, 2010; Amazon, 2020; poesia) e parecchio altro, di varia ampiezza. Tra le raccolte antologiche: Bastarde senza gloria (Sartoria Utopia Ed., 2013, poesia); Storie di cibo, racconti di vita (è  coautrice di milAnoressica con Lello Voce, Skira Editore, 2012, drammaturgia). Ha recitato suoi testi in diversi festival nazionali e internazionali e partecipato a diversi poetry slam nazionali, vincendo il Monza Poetry Slam 2010 (Apocalissi quotidiane). Dalla sua collaborazione con l’artista Antonio Minerba nacque il volume sinestetico Atti Intimi (Chiaredizioni, 2018, pittura e poesia, ita/esp). Dopo alcune esperienze come Direttore di collana (Il Leggio Editrice; Thauma Edizioni), attualmente lavora free lance nell’editoria. Forte di un senso rigoroso della metrica – rime comprese – e insieme di un gusto carrolliano per il gioco di parole, coltissima, non timida nel provocare e nel rispondere, Chiara Daino riesce a rendere di spessore letterario ciò che in altre mani rischierebbe di risultare un semplice gioco parodico.

Se poi, in una pirotecnia d’invenzioni surreali, a guidare la Nostra come Virgilio fa con Dante è appunto Alice Cooper, che la salva mentre viene cazziata da Manzoni (“Viva lo Renzo e la nota zimarra / Memento mori, voi bruti borchiati”), capiamo che gli esiti saranno un po’ diversi da quelli del poema-matrice. In effetti il testo può leggersi fin nelle sue pieghe più nascoste come una colta, articolata celebrazione del metal e della sua storia nel corso degli anni: le note permettono di mappare un itinerario attraverso il genere, chiariscono ai non edotti la presenza puntuale di richiami a quell’autore o a quel pezzo, giocano costruendo immagini visionarie. L’autopresentazione di Virgilio/Alice Cooper è da antologia:

 

«Vade retro! Bigotta co’prurìti,

vade retro: fermo, vetusta bocca!

I’son l’Alice ch’elogia la potta

e’l pitone sul bavero – arrocca.

Mai la mia vista dal pianto è rotta:

I’son l’Alice che scuole conclude;

son io – in testa – nella dura lotta».

 

Dove le citazioni di I never cry, School’s Out e di un verso di Unholy War si accompagna al ricordo del pitone vivo con cui il Nostro si accompagnava sul palco. Il ricorso a un lessico alto e a formule espressive nobili con improvvise irruzioni di popolarismi accompagna lo sberleffo dei versi che s’incalzano, di grande suggestione: dalla “morchia degli incompetenti” (“Quei che sempre, pur valendo ‘na sega / si son detti, senza veri talenti, / trecazziemezzo – sovr’ogne collega”), si passa ad altre, tra incontri beffardi, menzioni eccellenti (da Carducci e Montale a Tim Burton, al titano Carmelo Bene alla band Grindcore/Goregrind/Death Metal dei Carcass, Mustaine dei Megadeth e Dave Lombardo il Batterista per antonomasia, De Sanctis e il purista Basilio Puoti, Diamanda Galás, Lello Voce e Paolo Poli,  Ozzy Osbourne …) e sassolini tolti trucemente dalle scarpe in un “immane scontro tra li Metallari e li Arcadi”. Se il primo canto dell’Inferno chiude qui con “e caddi come corpo sbronzo cade”, i giochi di parole sono continui (“«Noi al pogo! Voi al rogo!»”, l’Ostilnovo come versione metallara del Dolce Stil Novo con manifesto la canzone Fuckin’ Hostile dei Pantera, l’iscrizione su un amplificatore

 

PER ME SI VA NELLO METALLO ARDENTE,

PER ME SI VA NELL’ETTERNO POGARE,

PER ME SI VA TRA LA BORCHIATA GENTE.

 

L’ALTO FATTOR MI RESE VALVOLARE,

FECEMI POI L’EFFETTO IN DISTORSIONE,

E’L SOMMO VOLUME PER TEMPESTARE.

 

FRONTE ME FUOCA MASSIMA FUNZIONE;

SÓNO LO MURO DEL SÒNO L’ALTARE

REGIO SON FREGIO DI STROMENTAZIONE,

 

l’incontro con la “mignatta frotta” cioè il gruppo dei parassiti eccetera). Assistendo alla punizione di coloro che praticano l’Arte per hobby scimmiottando spocchiosi chi vi ha consacrato la vita,

 

Credendo I’fosse musa e Alice un bardo,

quel gruppo di fellon ci dileggiava

ma tosto li gelammo con lo sguardo:

 

«ferisce più la borchia che la clava!»

gridai, puntando al più grosso di loro,

e il Duca le sue nocche preparava;

 

di pianti avria causato nuovo coro,

ma pria che ognun di quei mettesse strillo,

di schianto li travolse come toro

 

un’Alfa Romeo guidata da Pier Paolo Pasolini, e da cui scende anche Marilyn Manson –

 

figure entrambe lor provocatorie

che abuso avean subito l’un e l’altro

da chi ricamò su lor – troppe storie

per concentrar su quelli l’attenzione

per farne due realtà – espiatorie.

 

Il canto V gioca su suggestioni futuriste nel presentare il rombo nell’aria che annuncia il passaggio al “regno secondo”, il Purgatorio: a custodire il passaggio è Marinetti. Nello spazio che qui si apre “si purgano li commessi peccati contro natura Metallica e si fortificano li spirti. Qui sono quelli che sperano di venire – quando che sia – a la beata Metallitudo” e Alice Cooper affida l’autrice a un nuovo compagno di cammino, Bruce Dickinson, non solo voce degli Iron Maiden, ma – è bene ricordare – “sceneggiatore, conduttore radiofonico, scrittore, pilota civile di linea”, schermidore, oltretutto plurilaureato (in Letteratura e Storia), “praticamente – un supereroe!”.

Ovviamente avrebbe poco senso in questa sede sgranare analiticamente tutta la pirotecnia di trovate del testo, fino al Paradiso e oltre – Olimpo celebra una serie di figure eminenti, Multiverso,

 

un tale mondo ch′è piano e ch′è flesso

e′l cui Vero nome è incontroverso

e d′ora′n poi sarà Disco Compatto,

un mondo ch′in un e nell′altro verso

girotonda, e che posa a contatto

su di quattro Mamuthones di immensa

mole ritti sopr′un fluttuante Gatto

 

richiama la cosmogonia di Terry Pratchett, inventore del Mondo Disco (con un cicinin di sardo in omaggio al coautore Ferrau, sostituendo agli elefanti, in assonanza coi mammuth, le maschere Mamuthones dell’isola). Né è possibile soffermarsi qui sulle divertentissime scene di sesso che coinvolgono lo stesso padre Dante, “dedito a sua Nova Vita”: più interessante in questa sede è riflettere quale sia lo statuto di un tale sberleffo. Che palesemente non si esaurisce nella parodia da liceali ben preparati (con quanto di sovraccarico ormonale riguarda quell’età, e dunque via col sesso): anche a prescindere dalla rutilante fantasia di contenuti, la costruzione linguistica di Metalli Commedia denuncia un tenore formale estremamente controllato, persino nel ricorso a espressioni popolari e magari turpiloquenti. Per non parlare del tenore delle note, in numero di 727, con richiami sparigliati su tutti livelli della cultura, alta come bassa. Caratteristiche che rimandano, come detto, al resto della produzione di Chiara Daino, scintillante di cultura e intelligenza (e qui assecondata dal coautore). A colpire è la qualità dei giochi di parole, modulanti un intero linguaggio: ma, di nuovo, da qui siamo partiti. Mentre merita soffermarsi su due aspetti.

Anzitutto il testo è una grande dichiarazione d’amore per il Metal, di cui esplora la produzione con l’enciclopedismo di una storia del genere vista dall’Italia: un modo originalissimo, visionario e rigoroso per affrontare a tutto campo musicisti, band e loro produzione. Nulla insomma di “facile” o banale, ma un’operazione sottile sotto la maschera del gioco spudorato.

Però c’è un secondo e più rilevante aspetto. La suggestione del Metallo, di tutto un immaginario anche visivo – borchie, chiodi… e loro forgia – richiama efficacemente quell’eminente tipo di forgia che riguarda la lingua, le parole. Comprese le parole della poesia, a partire dall’etimologia di ποιέω come produrre, fare, creare. Il linguaggio a colpi di metrica e rime di questo testo – così come quello in prosa di altri testi di Daino – si presenta proprio come risultato felice, convincente, di una tensione che non ha nulla di certo sperimentalismo espressivo ormai logoro: una lingua ironica, colta ma aperta anche ai registri più popolari, pronta a intercettare idee e significati (saldature, assonanze, giochi di parole) con la forza visiva e ritmica di chi di musica si occupa non accidentalmente. In un’epoca di abbrutimento linguistico come la nostra, per mille motivi di cui i social echeggiano, la scoperta di quest’autrice per me è avvenuta tramite i suoi post su Facebook politi come assaggi di Zibaldone, irridenti, provocatori. Nel lavoro controllatissimo di lima con cui incalza una fantasia alla Alice (in Wonderland non meno che all’Alice Cooper), nel nesso con passioni serissime su cui ha costruito la vita, nello stesso sberleffo rabelaisiano del giocare coi pesi massimi della cultura, mi sento di dire – pronto ad affrontare l’ordalia, come il Brancaleone di Monicelli, con la colomba in mano – che Chiara Daino fa della poesia autentica.

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