Chiamate telefoniche – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 18 Jan 2025 21:03:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il libro bolañiano dei morti di Piero Cipriano https://www.carmillaonline.com/2020/11/13/il-libro-bolaniano-dei-morti-di-piero-cipriano/ Fri, 13 Nov 2020 22:00:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63321 di Gioacchino Toni

Piero Cipriano, Il libro bolañiano dei morti, Milieu, Milano, 2020, pp. 176, € 16,50

Eccoci. Quel provocatore di Piero Cipriano – uno che, con il mestiere che fa, ha imparato a individuare la follia sopratutto al di fuori dei luoghi in cui questa società ha preteso di confinarla – ha dato alle stampe un libro costruito sulle Chiamate telefoniche pubblicate su “Carmilla”. «Il libro bolañiano dei morti si pone come spartiacque tra la precedente trilogia basagliana della riluttanza e la prossima trilogia psichedelica della resistenza. Questo passaggio tematico, dalla liberazione [...]]]> di Gioacchino Toni

Piero Cipriano, Il libro bolañiano dei morti, Milieu, Milano, 2020, pp. 176, € 16,50

Eccoci. Quel provocatore di Piero Cipriano – uno che, con il mestiere che fa, ha imparato a individuare la follia sopratutto al di fuori dei luoghi in cui questa società ha preteso di confinarla – ha dato alle stampe un libro costruito sulle Chiamate telefoniche pubblicate su “Carmilla”. «Il libro bolañiano dei morti si pone come spartiacque tra la precedente trilogia basagliana della riluttanza e la prossima trilogia psichedelica della resistenza. Questo passaggio tematico, dalla liberazione dai manicomi alla liberazione della coscienza dalla gabbia della realtà ordinaria accade, per congiuntura o sincronicità, nell’anno del grande panico. L’anno in cui il mondo scopre di essere in uno stato di Bardo, che rende inevitabile l’esercizio di sconfinamento dai limiti del proprio io. “Questo nuovo sforzo letterario di Piero Cipriano, psichiatra basagliano e psico-farmacologo critico, è un lungo e fitto pensiero oscuro. È un presente che incombe sul futuro… Forse impazziremo tutti quanti.”»

Così si esprime Pierpaolo Capovilla, autore della prefazione al libro di Cipriano pubblicato da Milieu edizioni che, come detto, ingloba, rielaborandole, anche quelle Chiamate telefoniche pubblicate su “Carmilla” che tracciavano una storia iniziata «quando il virus ancora non era epidemico, ancora si poteva uscire di casa, fare la spesa, correre nei parchi, ancora non era iniziato il trattamento sanitario obbligatorio con obbligo di dimora a casa per chi una casa ce l’ha, e possibilità di uscire solo se i motivi sono con-provati».

Le Chiamate terminavano quando ormai il virus sembrava avesse concluso il suo mandato… avendo nel frattempo contagiato, eccome, seppure «in altro modo», tutti e tutto… Il libro bolañiano dei morti è andato oltre, continuando a fare i conti con il passato, con il presente e con il futuro ricordando che

«Le epidemie (scrive Paul B. Preciado) “sono grandi laboratori d’innovazione sociale”. Se l’epidemia della lebbra era stata gestita necropoliticamente escludendo i lebbrosi dalla città, l’epidemia di peste fu affrontata invece con forme di “inclusione esclusiva, cioè segmentando la città e confinando i corpi in casa” (scrive Foucault). Oggi il Covid ha riproposto questo doppio schema, da una parte il modello biopolitico di Italia Francia Spagna con un lockdown inflessibile che ricorda l’inclusione esclusiva da peste, dall’altra il modello psicopolitico di Corea del Sud Taiwan Hong Kong Giappone e Cina con il monitoraggio di smart phone e carte di credito. È la nemesi del delirio sovranista. Che pare già preistoria. L’Europa chiude le frontiere, l’America chiude le frontiere, muri chilometrici, centri di detenzione per migranti infetti, virali. Arriva il nuovo migrante invisibile (il virus) e sposta la frontiera sul ballatoio di casa tua. Calais o Lampedusa diventa il tuo condominio. Il confinamento del migrante non lo fai più nel centro di detenzione ma nel tuo appartamento, perché il migrante infetto potresti essere tu, l’ospite indesiderato è dentro di te. Il modello biopolitico, europeo-americano, perde. Il modello, psicopolitico, asiatico, vince. Controllare corpi, controllare menti, senza pelle senza mani senza scambio di contante usando sempre carte di credito senza parlare vis a vis lasciando audio vocali senza volto (che è coperto da maschera) senza nome basta l’indirizzo mail o il profilo Facebook il corpo è sostituito da un codice, e la casa è il luogo dove tutta la vita si svolge lavoro scuola consumo sesso. Lì sappiamo dove trovarti. Non puoi essere altrove. Come ti salvi dalla macchina algoritmica che estrae continuamente dati che vanno a costituire il tuo avatar? Come renderti irriconoscibile al deep learning digitale che si adopera, click dopo click, connessione dopo connessione, post dopo post, per classificarti, inquadrarti, diagnosticarti in una diagnosi che non è più psichiatrica ma è algoritmica? Come fai a renderti (stirnerianamente, anarchicamente) unico incatalogabile inclassificabile imprevedibile irraggiungibile?»

Il libro bolañiano dei morti di Cipriano esce ora, con i lockdown di nuovo in essere, ricordando che la storia «si ripete sempre due volte la prima è tragedia la seconda è commedia anzi no è un film dell’orrore anzi no è un film di zombie gli zombie sono metà dell’umanità che si è acconciata con una mascherina sul grugno e non vuole più toglierla, e non dà più la mano e non esce di casa salvo quando deve fare cose per sopravvivere, la vita è sopravvivenza, ora niente più divisione del mondo in due blocchi: destra/sinistra, occidente/blocco comunista, ricchi/poveri, nord/sud, la divisione adesso è tra zombie-con-maschera, d’ora in poi definiti i responsabili e zombiesenza-maschera di volta in volta definiti i complottisti, oppure i negazionisti, oppure sentite questa (sembra fatta apposta per me) i cretini libertari.»

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Chiamate telefoniche – 8 https://www.carmillaonline.com/2020/06/03/chiamate-telefoniche-8/ Wed, 03 Jun 2020 21:00:18 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=60612 di Piero Cipriano

In fin dei conti era chiaro che il virus aveva contagiato, ma in un altro modo. Le persone otto su dieci non volevano credere che non esistesse più. Non solo che fosse scomparso, ma neppure che si era indebolito erano disposti a credere. Non bastava che Tarro o Montagnier ormai squalificati dalla scienza avessero sin dal principio profetato la sua scomparsa estiva, ora anche i medici integrati alla scienza, come il medico a cui Berlusconi aveva consegnato la sua longevità lo diceva, che il virus aveva concluso il suo mandato, aveva rassegnato le dimissioni, ma ecco che il [...]]]> di Piero Cipriano

In fin dei conti era chiaro che il virus aveva contagiato, ma in un altro modo. Le persone otto su dieci non volevano credere che non esistesse più. Non solo che fosse scomparso, ma neppure che si era indebolito erano disposti a credere. Non bastava che Tarro o Montagnier ormai squalificati dalla scienza avessero sin dal principio profetato la sua scomparsa estiva, ora anche i medici integrati alla scienza, come il medico a cui Berlusconi aveva consegnato la sua longevità lo diceva, che il virus aveva concluso il suo mandato, aveva rassegnato le dimissioni, ma ecco che il ministro (senza) Speranza in persona, quel nano politico che il virus aveva trasformato in gigante e che giustamente temeva il rapido ritorno alla sua reale statura, repente lo smentisce dice è sbagliato affermare che il mio amato virus non esiste più, il popolo italiano si sa è un bambino quello poi si confonde e si leva la maschera di bocca sei un terrorista, Zangrillo, già eri sospetto perché volevi far vivere a tutti i costi oltremisura il nemico pubblico numero uno, ora invece lo vuoi far morire a tutti i costi il nemico pubblico numero uno ma chi ti capisce.

Insomma, ora vengono allo scoperto, a difesa della longevità del virus, tutti quei politici che sono stati dal virus trasformati da normali amministratori in piccoli despoti, potendo abusare di una inconcepibile sospensione della nostra amata Costituzione, la più bella del mondo, tanti capi di stato, feudatari, governatori, reucci, ducetti, viceré, ogni comune un sindaco che all’improvviso si è sentito plenipotenziario, la massima autorità sanitaria locale capace di minacciare TSO a chi non voleva farsi tamponare la gola, o di bloccare i confini in entrata e in uscita, eravamo ritornati all’epoca dei comuni. Gli esperti. Da Colao a scendere. Quelli, poi, hanno ognuno il suo interesse che l’emergenza duri il più a lungo possibile. I cittadini. I più. E non gli pare vero avere un alibi per non uscire non toccare non sorridere stare sottoterra come le talpe.

La situazione era questa, e io me ne stavo su una panchina nel parco dell’ospedale, avevo lavorato gli ultimi mesi marzo e aprile quelli in cui anche nel centro sud dell’Italia attendevamo la discesa del virus che chissà perché aveva deciso di rimanere solo in Lombardia, avevo lavorato ben diciotto ore in più, non solo, a volte, smontando dal turno, invece di mettermi in macchina a superare i posti di blocco spiegare al poliziotto che davvero ero un medico eroico e epico e abnegato nonostante i capelli sempre più lunghi da hippie perché non li taglio? sono forse aperti i barbieri? Aprano i barbieri invece delle librerie e io mi taglio i capelli, invece così con questi capelli lunghi da indiano al massimo vado a comprarmi un libro che libro?

Adottavo insomma questa tecnica, uscire dal nosocomio ma non uscire, stare un po’ sulle panchine dell’ospedale e poi andare nel vicino (qualche centinaio di metri) parco dell’ex manicomio di Roma Santa Maria della Pietà a telefonare ai morti, l’aria di Monte Mario d’altra parte è la migliore di Roma, è un po’ vicino all’ospedale mi si dirà, potrebbe essere ancora infestata dai vibrioni, ma da qualche anno mi era scomparsa inesorabilmente l’ipocondria, la compagna di una vita, che mi ero custodito per quarant’anni almeno nei miei complura viscera quae sunt in hypocondris ora, senza neppure un saluto un arrivederci o un addio, se n’era andata. Mi faceva comodo, mi avrebbe fatto comodo ora come ora un briciolo di ipocondria, non dico la maior almeno la minor invece niente non dico quella cum materia almeno quella sine materia invece niente, pare che di morire, da un anno a questa parte, non mi freghi quasi più niente, tutti si tappano ancora la bocca con maschere su maschere (c’è chi mette una sopra l’altra quella altruista con quella egoista credendo di fare la maschera intelligente invece fa solo fame d’aria) io niente, tergiversavo intorno al nosocomio, sembravo in servizio ma non ero a servizio, ero dentro ma ero fuori, ero stimbrato ma ragionavo come fossi timbrato.

Avevo una serie di morti che da un po’ volevo chiamare. Quale migliore occasione, se non ora che tutti avevano paura di diventare morti. I vivi d’altra parte dice quel morto di Kafka sono dei morti non ancora entrati in funzione. Infatti i morti che volevo chiamare erano gli scrittori, gli scrittori che avevo sempre considerato esseri superiori, una specie di telepati, provvisti di un cervello capace di scrutare il futuro, in questi mesi gli scrittori vivi li avevo indovinati quasi tutti (non posso dire tutti, ma i più) spaventati, avvolti nelle loro mascherine da scrittore, la mano da scrittore picchiettava stancamente, atterrita, sui tasti del computer, attraverso un guanto blu, lo scrittore in guanto blu era diventato un fumetto, un puffo, dove si erano nascosti gli scrittori vivi che temevano di morire e mettere fine alla propria carriera di scrittore?

Sandro Veronesi forse? Che nonostante tutto continuava a fare la psicanalisi dalla psicanalista lacaniana (se cade il mondo l’ora psicanalitica mica si ferma) e il giorno prima siccome sa che il giorno dopo è giorno di ora psicanalitica sogna e chi sogna? Un cenacolo, in cui non possono essere più di sei se no il settimo muore e la psicanalista esperta polisemica (mica per niente è lacaniana) gli fa notare che sei non è solo numero ma è verbo essere, essere morto, lo scrittore vivo che teme di essere morto, oppure Francesco Piccolo che raccoglie il testimone di Veronesi per questo scritto su Lettura e, fobico intabarrato, fa il giro dell’isolato non un metro di più dei duecento previsti dal decreto. O Emanuele Trevi che pure lui scrive cose davvero notevoli però ora non me ne ricordo nemmeno una forse non me le ricordo perché mi ricordo che pure lui è un adoratore del dio Prozac e una volta disse, correggendo Jung, non è vero che gli dei sono diventati malattie, gli dei sono diventati psicofarmaci, ma questo purtroppo è un vizio degli scrittori dal più grande (DFW) al più minuscolo, quello di affidarsi non più al mistero eleusino ma al doping di Big Pharma, ma da molto tempo ormai eh?

Mi ricordo di Patrizia Cavalli, che ora si becca il Campiello (ancora fanno il Campiello gli industriali del Veneto?) ma che tempo fa campeggiava una sua foto degli anni Ottanta, dove convengo che era proprio figa, dice ha avuto il cancro, è guarita ma si è depressa. Però coi farmaci ha sempre avuto un bon rapporto. Una sua poesia pare fosse Deniban, calmante maggiore. Dice che le medicine che le piacevano erano le anfetamine. Quelle, quando si trovavano, erano una meraviglia. “Quali altre medicine ci sono, se no, per scrivere poesie?” Elsa Morante, che nel 1968 l’accolse, e la fece poeta, evidentemente le passò pure il trucco di poetare meglio con le anfetamine. Ah cazzo, come faccio a togliere le pasticche al mondo se gli scrittori sono la migliore pubblicità per il manicomio chimico? Poi ci sono quelli come la Murgia che sono sempre su di giri di natura e lo capisci da lontano che gli antidepressivi non se li prendono e ciononostante pure straparlano lo stesso come quando, in una crisi di presenza, insulta Battiato lo insulta solo perché Battiato ha previsto anzitempo la fine e si è ritirato dal mondo a viaggiare in spazi cosmici con navi interstellari. Gli scrittori vivi erano diventati tutti, in queste settimane dove la morte era nell’aria, pressoché inutili, inservibili, perché tutti (anche quelli mezzi morti già da prima, come Houellebecq) erano stati ammutoliti dal virus. Balbettavano. Incespicavano. Il virus come gli avesse detto: scrittori vivi, non l’avete capito che voi siete scrittori morti non ancora entrati in funzione?

La prima chiamata, proprio come uno sciamano che sa stare sia nel mondo dei vivi sia nel mondo dei morti ma soprattutto sulla linea di confine, la faccio al cileno. D’altra parte, queste chiamate telepatiche sono una sua invenzione. Me le ha suggerite lui. L’ultima sua cosa che ho ri-letto proprio ieri, la parte finale di 2666, dove l’editore Bubis arruola Benno von Arcimboldi e lo interroga sul suo nome de plume, che è ovvio sia inventato, e gli chiede Benno sta per Benito Mussolini? E lui no, sta per Benito Juarez, e Arcimboldi sta per Giuseppe Arcimboldo ma perché von? Per dimostrare la tua germanicità? Al che Arcimboldi si alza e dice ridammi il manoscritto che me ne vado ma lui fa vai nell’altra stanza da mia moglie, a firmare il contratto. Guardo una foto a caso di Bolaño, prendo il telefono lo chiamo gli domando perché è morto. Morto presto, voglio dire. Avevi il Nobel da riscuotere. Trenta libri ancora, da scrivere dai cinquanta agli ottanta, e arrotondo per difetto, farmi compagnia, ogni tanto guardo la tua foto e penso che non sei morto, sarai di sicuro tornato in Cile a vivere senza fegato, senza fegato non si può più scrivere, non sei morto, magari ti sei semplicemente scordato come si scrive. Ma sento che con lui la chiamata sarebbe molto lunga e potrebbe non finire mai, ci sarebbe bisogno di un libro intero di 2666 pagine solo per una chiamata telefonica con Bolaño allora attacco, tanto lui non se la prende, lo sa come vanno queste cose.

Passo senza indugio a David Foster Wallace, DFW era un depresso. Io sono uno psichiatra. Che coppia saremmo stati, David. Voglio dire. Avrei saputo rimpinzarti ben bene di farmaci sì da non indurti al suicidio. Almeno credo. Tu in cambio mi avresti dato dei consigli di scrittura, consigli che io avrei fatto finta di ascoltare ma poi avrei dimenticato. Sicuramente non messo in pratica. Ci mancherebbe. Che io mi facessi contaminare da uno che si dopava con gli antidepressivi. Non dici niente eh? Ci credo, voglio proprio vedere come mi contraddici.

Ciao Philip (Philip Roth). Dicono che ti scopavi le fan. Magari è per questo che non ti hanno dato il Nobel per la letteratura. Invidia. E’ tutta invidia, senti a me. Sai, pure io ho qualche chance. Di non averlo, voglio dire, il Nobel. Io potrei non averlo per la medicina, intendo. Se pensi, d’altra parte, che l’unico Nobel dato a uno psichiatra l’ha preso Moniz, il lobotomizzatore, ne avrò più merito io, o no?

Giuseppe Berto. Peppino! Era da un po’ che te lo volevo dire. Mi sa che eri il più ganzo dei romanzieri italiani. Volevo solo salutarti. E scusarmi con te che per colpa del pregiudizio che avessi fatto un romanzo psicanalitico (sai io ce l’ho un po’ su con gli psicanalisti, dei montati di testa) non ho letto Il male oscuro, assoluto capolavoro, fino a due anni fa. Assurdo. Devo ringraziare Nicoletta Bidoia, la poetessa trevigiana della scena muta, se ti ho letto.

Devo trattenermi a questo punto dal chiamare Mario Tobino per dirgli in faccia che era senz’altro uno psichiatra che sapeva scrivere ma non sapeva fare lo psichiatra, non come lo intendo io, almeno, stava lì, un parassita del manicomio di Maggiano, a scrivere le povere donne, le povere donne, gne gne, invece di liberarle. Un pessimo esempio di uno psichiatra scrittore. Tutto ciò che uno psichiatra scrittore non deve essere. Infatti, non lo chiamo, non voglio trattarlo male. E’ pure morto, povero Tobino.

Invece, Franco Basaglia non era uno scrittore, ma era uno psichiatra che scriveva, stilisticamente male, perché se ne fregava del Nobel per la letteratura (poi gli piaceva Sartre, figurarsi il modello di scrittura) voleva distruggere il suo incubo, il suo incubo era il manicomio, il manicomio in cui mica lo sapeva dove si andava a cacciare, l’inferno in terra era e lui aveva fatto tredici: aveva vinto il posto di direttore dell’inferno. Non chiamo nemmeno Basaglia. Sarà lui a chiamare me, un giorno di questi. Vuoi vedere, che mi ha chiamato perfino Semmelweis e lui, proprio lui, non si fa vivo. Per così dire.

Chi c’è alla B dopo Berto e Basaglia che varrebbe proprio la pena di chiamare adesso come adesso? Un anarchico, chi c’è di scrittore anarchico? Non se ne trovano di scrittori anarchici manco a pagarli. Ah ma c’è Luciano Bianciardi, come ho fatto a non pensarci prima, la sua vita agra, lascia la provincia grossetana, si ficca in una stanza d’appartamento di Milano con Maria Jatosti che non era la moglie bensì l’amante, lui dettava lei batteva (a macchina, si capisce), poi arriva un giorno la moglie, e si divorziano, poi finisce a Rapallo, al sole, ma il freddo di Milano gli si è accumulato nelle ossa, ormai, e quello il freddo quando si ficca nelle ossa è difficile poi smuoverlo, come un inquilino rognoso che non vuol più lasciare la tua casa, e il vino nel fegato, e le sigarette, a milioni nei polmoni. E muore. Come tutti, d’altra parte. Non ti è riuscito, eh Luciano? di non morire. Eppure, Luciano, scommetto che a vent’anni mica ci pensavi, che saresti morto. Pensavi di mettere una bomba al torracchione, pensavi. Altro che morire. Ah si potesse tornare indietro, nella vita. Ma non è detto, sai Luciano? Secondo i teologi di Borges il tempo è circolare, magari a un certo punto si ricomincia tutti a girare. E tu ti ritroverai lì, col torracchione davanti e prima o poi ce la fai a fare il gran botto.

Borges lo chiamo un’altra volta, ora pure a lui non saprei che dire, troppo impegnativo, con lui come parli sbagli. Dopo la B viene la C, Canetti è troppo impegnativo quasi come Borges, e Calvino non mi pare il caso, passo alla D. Dice che Dante, il nostro poeta nazionale, è il punto più alto della poesia europea, delle due americhe, e di tutto il mondo. Che non c’è n’è per nessun altro, che sarebbe impossibile per chiunque aggiungerci qualcosa, ma non perché non lo sappiamo fare ma perché non c’è né movente né scopo. E fa l’esempio del fabbricatore di sedie, in un mondo pieno di sedie eterne, che fa? Le fabbrica comunque, giacché questo sa fare e gli piace farlo e non sa far altro, però siccome quelle sono indistruttibili e per di più inarrivabili comincia a farle a tre piedi poi senza piedi poi sgabelli senza schienale infine prende un pezzo di legna e lo chiama sedia. E dunque a maggior ragione le genti si servirebbero delle sedie vere, indistruttibili, eterne. Rodolfo Wilcock ha questa capacità di farti passare la voglia di fare sedie. Il problema è che Piccolo o gli scrittori afoni che il virus ha sgamato non leggono Wilcock e si ostinano a continuare a scrivere. Questo è il problema. Che siamo pieni di sedie senza piedi senza schienale senza seduta e senza paglia e senza legno e li chiamiamo i libri degli scrittori italiani che sono (ancora) vivi. Ecco cosa. A chi chiamo adesso a Dante o Wilcock?

Chiamo a Cechov. Si torna alla C. La C è una signora lettera. Cechov Céline e Cipriano, tre medici scrittori. Che differenza c’è tra loro tre? Vediamo chi indovina. Ma che io sono vivo e loro morti, questa l’unica differenza. Cechov disse che magari il nostro universo è la carie di un dente di un gigante. Un gigante che vive su un pianeta gigantesco e sovrappopolato di giganti. Giganti per di più abbastanza evoluti da aver inventato i dentisti. Un dentista gigante tra poco gli caverà il dente marcio, e la carie che c’è dentro, che corrisponde al nostro universo, collasserà. Questo sarà il contrario del big bang. E di Cechov, e pure di Wilcock (secondo cui un narratore non è un narratore vero se non conosce pure la teoria della relatività, oltre alla psicologia delle api, naturalmente, e alla psicopatologia dei virus, aggiungo io, che in questo campo sono un maestro, con modestia), per non dire di me stesso, non resterà nemmeno il ricordo.

Voglio restare un po’ su Wilcock, perché penso che Wilcock sia uno scrittore morto ma che essendo ancora vivo (come Bolaño, naturalmente) anzi più vivo di scrittori vivi biologicamente (ammesso di saperlo cosa significa, di sicuro gli scrittori vivi non lo sanno) ma morti in tutti gli altri sensi, sì, insomma, ne vedremo delle belle, ancora, con Wilcock, basta solo ricordarsi che Wilcock esiste. E stare lì ad ascoltarlo.
Lo stesso non riuscirò mai a dirlo per Gombrowicz. Lo so Bolaño che ci resti male, ma Witold è assurdo, e io non li resuscito mica gli assurdi. Ancora ti maledico, poeta cileno, per avermi istigato a comprare Ferdydurke e, non bastasse, vedi a che punto mi fidavo di te, pure le sette lezioni e mezza di filosofia ho comprato. Anzi no, Corso di filosofia in sei ore e un quarto. Ovviamente mi sono guardato bene dal leggerle. Maledetto Bolaño. Assurdo Gombrowicz.

Ovviamente il quarto d’ora finale (stavo scrivendo d’ira) del suo corso di filosofia fatto apposta alla moglie e a un amico per sopportare l’agonia degli ultimi mesi visto che i due si ostinavano a non volergli procurare né pistola né veleno, era dedicato a Marx. Che ridere. C’è ancora gente al mondo che cita Marx. Non sto dicendo Kropotkin. Ma Marx. Va be’. Probabilmente non ci ho capito niente di Ferdydurke, e del Gingio, questo Peter Pan che saremmo noialtri l’uomo moderno incapace di crescere e di prendersi le sue responsabilità, la responsabilità di stare nel mondo come dei morti non ancora entrati in funzione, e devo rileggere assolutamente Gombrowicz il paladino dell’anti-forma per capire entro che forma intesa come maschera comportamento stile sono come tutti gli altri del mio tempo condannato a recitare. Witold: a noi due!

Primo Levi vince il concorso letterario più idiota dell’anno. Lo indice un giornale la Repubblica che continuavo a comprare quasi tutti i giorni ma a tutto c’è un limite. Il limite è il concorso più idiota dell’anno. Un concorso dove possono accedere (senza avergli chiesto il consenso) solo i morti. Perché Primo Levi è morto. L’11 aprile 1987 Primo Levi si getta dalla tromba delle scale non perché non tollerava la vergogna d’essere sopravvissuto al campo di sterminio, figuriamoci, mi dice qui in questo manicomio al telefono uno dei pochi (gentilissimo) che mi ha risposto, per mia fortuna fui deportato ad Auschwitz solo nel 1944, sottolineo solo, sottolineo fortuna, perché Auschwitz è stato il dono, il lager è stato la cosa da scrivere. La fortuna, si dirà, è cieca. L’11 aprile 1987, dico a Primo Levi che (gentilissimo) mi ascolta dal suo mondo dei suicidi, correvo per la tromba delle scale di casa mia per andare al liceo, ultimo anno, l’anno dopo mi iscriverò a medicina, e dopo a psichiatria, e dopo, cioè ora, lo so che nel 1987 gli antidepressivi in commercio (siccome gli SSRI non sono ancora usciti) sono i triciclici che danno stipsi e disuria e se uno come Levi ha fatto l’intervento alla prostata li deve interrompere se no troppi i fastidi e se interrompi ex abrupto gli antidepressivi poi ti getti dalla tromba delle scale. Stesso motivo di David Foster Wallace. La sospensione dell’antidepressivo. La fortuna si dirà, è cieca.

Pensavo che la telefonata fosse finita ma lui aggiunge: il successo di uno scrittore è stocastico. Se non avessi avuto la fortuna di essere deportato ad Auschwitz solo nel 1944. Se nel 1954 non fosse stato pubblicato il Diario di Anna Franck. La fortuna, si dirà, è cieca.

Invece Basaglia andò non da prigioniero, in quel lager al confine tra est e ovest, attraversato dalla cortina di ferro, ma da direttore dello sterminio. La sua fu giocoforza una scrittura pragmatica, narrazione al servizio della rivoluzione. Niente riletture e riscrittura. Buona la prima, al massimo la seconda. Franca Ongaro ripassava, aggiustava la forma, le idee disordinate, e via. Il successo di uno psichiatra è stocastico. Se non avesse avuto la fortuna di essere deportato a Gorizia solo nel 1961. Ora avremmo un lager per ogni provincia d’Italia, ancora. E io non starei in questo ex manicomio a telefonare ai morti ma a internare i vivi. La fortuna, si dirà, è cieca.

A questo punto non so perché ma ho avuto la tentazione di telefonare a Carrère e chiedergli di Io sono vivo e voi siete morti, poi mi sono ricordato che non è ancora morto, Limonov sì ma lui no e non volevo certo portargli sfiga, lo chiamerò quando sarà trapassato, magari. Potrei chiamare a Philip K. Dick, ma non ora.

Quando aveva sedici anni Bolaño non andava a scuola, puntava delle librerie e rubava libri, questa è stata la sua scuola, maledizione, poter avere ancora sedici anni e non andare in quell’inutile liceo altirpino, e andare in libreria, e rubare libri, e diventare non medico non psichiatra ma subito poeta, ah. Purtroppo, sarebbe stato impossibile. Non c’erano librerie in quel paese. Ancora adesso non c’è una libreria. Ma vedi il vantaggio, che non essendoci una libreria, in queste settimane che le librerie sono state chiuse per lokdown la libreria del mio paese non ha potuto chiudere, perché non può chiudere una libreria che non c’è mai stata. Comunque, il miglior libro, o meglio il libro che lo tirò fuori dall’inferno e poi ce lo gettò di nuovo (a Bolaño intendo) fu La caduta, di Camus. Dopo aver saputo questa cosa ho letto anch’io La caduta, di Camus, però a me non mi ha gettato nell’inferno. Sarà che io dall’inferno non mi sono mai mosso.

Mentre pensavo a Camus credo di essermi appisolato su questa panchina di manicomio. Credo di aver sognato (ma non sono sicuro). Mi sono svegliato dal breve pisolino e ecco che mi sovviene il più grande romanziere di questa città, di questo grandissimo bordello che in queste settimane s’è fatta mettere nel sacco dal virus, Aurelio Picca, una specie di Pasolini e Busi ma non omosessuale, che non scrive male, ma nemmeno bene, è un non scrivere bene, il suo, che diventa molto bene, è autobiografico senza rompere le palle, se leggi Arsenale di Roma distrutta per prima cosa ti viene voglia di andare come Maria per Roma, per seconda cosa ti viene voglia di scrivere di quello che combinavi a vent’anni a Roma, con chi scopavi o meglio con tutte quelle che non scopavi per timore di quel maledettissimo virus Hiv che poi tutti se ne sono dimenticati si sono dimenticati che ha fatto trentacinque milioni di morti e hanno ripreso a scopare senza timori finché è arrivato un virus molto più fesso ma che invece che dal sangue o dallo sperma invece che dai liquidi penetra per mezzo dell’aria, e tutti barricati in casa oddio oddio, nun t’avvicinare mettite la mascherina stamme a tre metri mò chiamo a Aurelio Picca e se pure lui mi dice che va in giro colla mascherina come Piccolo… ma diamine, non lo posso chiamare… perché manco lui è ancora morto.

Allora chiamo a Houellebecq. A lui sì. Houellebecq pare vivo ma è morto quindi si può fare. Adesso l’ha letto pure mia moglie, penso che dopo L’estensione del dominio della lotta non ne voglia più sapere del morto francese che cammina, e che scrive, e che fuma, e che perde i denti, e che perde i capelli, insomma una morte pezzo per pezzo, la sua, come cantava Gaber, è lo scrittore che muore a pezzi. Le ho detto (a mia moglie) leggiti L’avversario, di Carrére, almeno resti in tema di morti. L’ha letto, ha detto ora per un po’ basta co’ ‘sti due.

Kurt Vonnegut. E se fosse lui il prossimo autore morto da leggere? Dio la benedica, Dottor Kevorkian è un libretto dove s’è inventato una specie di interviste a uomini morti che incontra in un corridoio terreno franco prima dell’al di là, intervista Hitler, per dire. Ma non Napoleone. Napoleone è un altro che non ti viene voglia di intervistare. Ero andato alla Feltrinelli proprio il giorno prima che iniziasse il lokdown e è capitato un fatto strano davvero, su una colonna di libri basagliani c’erano ben tre diversi libri miei, e in tutta la libreria nemmeno un Vonnegut, qualcosa non quadrava, perché io sono vivo e lui è morto, dovrebbe essere il contrario, a quel punto, constatato ciò, sono rimasto un dieci minuti lì dentro come fossi un fantasma, avrei voluto dire a qualcuno che io ero l’autore morto di quei tre libri, che mi acquistassero, prima che andassero a ruba, e io poi non ne scrivo mica più.

Dopo però ho comprato Perle ai porci. In libreria vado alla V dello scaffale della Narrativa e al posto dove doveva esserci l’opera omnia di Vonnegut c’erano inopinatamente Volo e Veltroni. Chiedo al libraio come mai tra i Narratori trovo Volo e Veltroni ma non Vonnegut, lui fa una ricerca sul pc e dice perché lo abbiamo messo nello scaffale Fantasy. Ma è fantastico! Vonnegut scrittore di fantascienza e Volo e Veltroni narratori tout court, ma fantastico dico al libraio. E lui: perché i lettori comprano Volo e Veltroni, ecco perché li mettiamo lì. E aggiunge: perciò questo paese va come sta andando. Di lì a poco il virus millantatore, quello che si spacciava per angelo sterminatore, ha chiuso le librerie i premi letterari i festival le presentazioni le uscite di miliardi di libri destinati al macero o a non essere aperti dalle persone a cui vengono regalati o spediti in omaggio.

Ma basta parlare di libri parliamo adesso di morti, anzi di letteratura argentina dove sono tutti morti. Sono ancora nell’ex manicomio d’altronde. Bolaño divide la letteratura argentina, o meglio i morti della letteratura argentina, in tre correnti. La prima capeggiata dal romanziere minore Osvaldo Soriano. Che però vendeva. La seconda ha come frontman Roberto Artl, una specie di autodidatta che si ciba di robaccia mal tradotta scrive conseguente e muore presto intorno ai quaranta. Di lui non avremmo saputo niente se il suo San Paolo (così lo chiama Bolaño), ovvero Ricardo Piglia, non lo avesse resuscitato, in qualche modo. Segnalo che non ho letto mai né Soriano né Arlt e neppure Piglia, anche se ho in libreria un paio di libri di Arlt. Ma Bolaño accidenti mi ha fatto passare la voglia di leggerlo. Il terzo è, udite udite: Lamborghini, che doveva fare il killer o il becchino ma giammai il romanziere. Eppure, i suoi epigoni sono tutti suoi plagiatori, tutti, fuor che Cesar Aira. Di lui ho sul tavolino dello studio (mai aperto) Il pittore fulminato. Anche se bisognerebbe, esorta Bolaño, lasciarli perdere tutti e passare il tempo a rileggere (o a leggere) Borges. Quel reazionario anarchico. Fosse per Bolaño dovremmo leggere solo Borges. E Cortàzar, ovviamente.

Era dai tempi che lessi Jung che non mi scrivevo i sogni. Era il 1999, più o meno. Per scriverli te li devi ricordare. Per ricordarli li devi scrivere subito, appena sveglio. Se possibile mentre ancora dormi. Se riuscissi a mantenerti dormiente, sognante, prendere penna e scrivere, sarebbe l’ideale. Così ho fatto poco fa, dopo il secondo risveglio dal sonnellino sulla panchina del manicomio, ex manicomio di Roma. Ero a La Cruces, Cile, e don Nicanor Parra, ultracentenario, non era ancora morto. Siccome lo sapevo che non rilascia più interviste e a chi va a fargli la posta manda la sua serva (quella che peraltro lo tratta pure male) o esce lui stesso e dice di essere il maggiordomo di don Nicanor (che è occupato o non ha voglia) allora mi invento uno stratagemma. Non serve vino non serve pan de pascua, poi è vecchio, mi figuro che manco se lo può bere o mangiare. Allora mi metto a recitare a voce stentorea una poesia di Neruda, ma non lo chiamo Neruda, che lo sanno tutti essere uno pseudonimo, lo chiamo col suo nome anagrafico, lo chiamo Neftalì Reyes. Insomma sono lì davanti al cancello del più grande poeta di sempre del manicomio latino-americano (Nicanor Parra intendo, non Neruda) e dico: signori, ecco a voi la poesia del grande Reyes, il più grande, il tacchino, il più grande tacchino che mai abbia scritto poesie su questo continente perduto. Perché nel sogno so delle cose la prima è che Neruda lascia una figlia idrocefala morire, muore questa sua figlia di cui non ha voluto più interessarsi mi pare a nove anni basterebbe questo per squalificarlo ma nel sogno non voglio intristirmi e mi interesso di un’altra querelle più futile, perché so che quel furbone di don Nicanor aveva rotto i coglioni in tutti i modi a don Pablo, perfino prendendosi il suo nome anagrafico con cui ci voleva fare il suo pseudonimo, che sagoma, non s’è mai vista una cosa del genere. Come se Peppino Di Capri o Nicola Di Bari che si sono disfatti dei loro nomi si trovassero di fronte casa un matto che sguaiato canta Champagne o Stringi questa mano zingara dicendo di chiamarsi Giuseppe Faiella o Michele Scommegna, che detto tra noi sono molto meglio degli pseudonimi, così come sempre succede, così come Neftalì Reyes era molto ma molto ma molto meglio di Pablo Neruda. E giustamente quando Neruda a Parra gli ruppe i coglioni, perché Parra in America si era andato a prendere un tè con la moglie di Nixon (e bene fece, l’avrei fatto pure io, e quando ti ricapita un’occasione del genere) perché don Pablo era il poeta col mitra in mano e non poteva andare a merenda con il capitale, coi sovietici e i loro gulag sì, coi yenkee no, sia mai, don Nicanor gli disse, al petto di tacchino, sai che fa adesso questa zampa di gallo? Fa che siccome sono l’unico poeta del Cile senza pseudonimo, e siccome sono un antipoeta e non mi posso abbassare come voialtri che siete poeti a trovarmi uno pseudonimo, e siccome c’è un nome che prima era occupato poi è stato lasciato libero, ebbene lo occupo io: da adesso non sono più Nicanor Parra ma chiamatemi Neftalì Reyes. Neftalì Reyes, grido io (nel sogno), ascoltate (gli do del voi, alla maniera meridionale, non lo so perché, cose che succedono nei sogni) la poesia superba, magnifica, comunistissima, del più grande poeta di Las Cruces, e inizio a declamare una poesia di Neruda. Per tanto amore la mia vita si tinse di viola… Ha. Così impara. Infatti, eccolo che esce, testa leonina, quanti caspita di capelli, blancos, che tiene ancora addosso a quel cranio, d’altra parte ha scritto o non ha scritto Poesie contro la calvizie, il furbastro? Esce e dice niente pan de pascua tu? Niente vinello? No, don Nicanor, gli dico, lei non può bere (passo dal voi al lei, nel sogno, non so perché, forse perché prendo confidenza), se no il vino le tinge i capelli. Ascolti queste poesie comuniste fino al basso ventre. Due amanti felici fanno un solo pane, una sola goccia di luna nell’erba… Che mi dice? E’ o non è, il signor Neftalì Reyes il più grande poeta del Cile? E lui: il più grande non lo so. Sicuramente uno dei più grandi. Chi erano i quattro più grandi, don Nicanor, gli faccio io nel sogno, ben sapendo di tirargli un assist di cui mi sarà grato, e lui: erano tre. Fa una pausa: uno è Alonso de Ercilla e l’altro Rubén Darìo. Poi mi guarda, ride, e aggiunge: ora però sono rimasto solo io. E mi recita, mentre entriamo in casa, una poesia del più grande poeta col mitra in mano del sud America: Toglimi il pane se vuoi, toglimi l’aria, ma non togliermi il tuo sorriso. Un tacchino, un tacchino grasso. E giù a ridere. A quel punto sono di casa e passo al tu.

Devo assolutamente trovare il quaderno dove mi appuntai il sogno che feci quando leggevo Jung. Era il 1999, circa, l’anno prima avevo fatto il servizio civile in ricusazione del militare. Un centro diurno psichiatrico di Montevarchi. Jung mi aveva quasi convinto. Era meglio di Freud. Non c’era partita. Dei quattro grandi indagatori dell’inconscio tra Ottocento e Novecento, tutti erano meglio di Freud. Pure Adler, poi saccheggiato da Nietzsche (o era lui ad aver saccheggiato Nietzsche? Devo controllare). Pure Janet, saccheggiato da altri. Ma il più pazzo era Jung. I quattro grandi esploratori dell’inconscio erano tre: Adler e Janet. Jung era il più pazzo, però.
La scrittura, ho detto poco fa a mia moglie, dopo essere tornato dal manicomio (non le ho detto che ho fatto telefonate, alcune anonime, a un sacco di morti) è una forma di esilio. Non c’è bisogno, a noialtri, che ci facciano il lockdown. Io protesto, faccio finta di protestare, rivendico il diritto di correre, passeggiare, bicicletta, ma lo faccio per gli altri, a me in realtà non mi frega niente. Mi fanno solo un favore, a me, se non mi fanno uscire per il resto della vita. E mi sono ficcato nello studio, al buio, senza aria condizionata, mentre lei è in salone ha le luci tutte accese e pure l’aria condizionata (abbiamo appena pulito i filtri). Pure la follia è un esilio. Dovrei smettere di lavorare. Di fare lo psichiatra. E andarmene per sempre in esilio.


P.S.
Con questa si concludono le chiamate telefoniche, ringrazio Valerio Evangelisti e Gioacchino Toni per avermi generosamente ospitato per otto volte su Carmilla.
Aggiungo che tutto quanto è stato scritto in queste otto chiamate, salvo due o tre cose, è fiction, tutto inventato signori, come la pandemia di cui narra, d’altra parte, pure lei è stata fiction, salvo due o tre cose.

Tutte le chiamate telefoniche

 

 

 

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Chiamate telefoniche – 7 https://www.carmillaonline.com/2020/05/25/chiamate-telefoniche-7/ Mon, 25 May 2020 21:00:28 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=60446 di Piero Cipriano

Dopo aver fatto la notte in ospedale là dove i virus ci ridono in faccia, si aggrappano alle nostre mascherine e tutti insieme ridono, ridono della nostra tragedia, ridono a crepapelle delle nostre maschere, muoiono dal ridere (perciò la potenza del covid sta scemando, perché ride a crepapelle) che tutti andiamo in giro con la maschera che si porta appiccicata addosso un’intera galassia di virus, a volte i virus attaccati alla maschera si spostano sul guanto blu che sistema meglio la mascherina cosicché traslocano su un’altra galassia virale, e restano per qualche ora sul guanto blu, dopo un [...]]]> di Piero Cipriano

Dopo aver fatto la notte in ospedale là dove i virus ci ridono in faccia, si aggrappano alle nostre mascherine e tutti insieme ridono, ridono della nostra tragedia, ridono a crepapelle delle nostre maschere, muoiono dal ridere (perciò la potenza del covid sta scemando, perché ride a crepapelle) che tutti andiamo in giro con la maschera che si porta appiccicata addosso un’intera galassia di virus, a volte i virus attaccati alla maschera si spostano sul guanto blu che sistema meglio la mascherina cosicché traslocano su un’altra galassia virale, e restano per qualche ora sul guanto blu, dopo un po’ però hanno nostalgia di nuovo della maschera allora quando il guanto blu abbassa la maschera per poter inalare una sacrosanta boccata di nicotina (dopo apro una parentesi sulla nicotina) o ingoiare un goccio di tè o un boccone di qualcosa commestibile i virus fanno un nuovo salto quantico e ripassano sulla mascherina ma siccome quella è abbassata e siccome ho la bocca aperta per far scendere il tè nel gargarozzo insieme al tè un paio di esserini (un paio per dire otto milioni) si vanno a fare un giro, alcuni sbagliano traiettoria e come in quei luna park acquatici scivolano lungo l’esofago e però nello stomaco l’acidità è tale che si compie l’olocausto di virus altri invece volteggiano senza lasciarsi trasportare dal fluido ricco di teina e imboccano come degli spiritelli la trachea e lì scendono a vedere che aria tira lungo il mio albero respiratorio e siccome sono dei grandissimi esperti valutano il muco essere come deve le ciglia vibratili fanno il loro mestiere si fanno la loro idea, la loro diagnosi, perfino la prognosi formulano, gli spiritelli che noialtri chiamiamo virus, dovranno passare eoni affinché possiamo liberarci da questa superstizione (dopo urge una digressione sulla superstizione) che è la scienza, insomma loro lo vedono chiaramente che il mio albero respiratorio a immagine dell’axis mundi albero della vita è un albero che non ha pressoché mai fumato in vita sua se non qualche sigaro delle volte dopo un goccio di rum per scimmiottare Che Guevara (che era asmatico come me) mai fumato canne mai inalato cocaina mai vissuto nella terra dei fuochi immerso nella diossina l’unico neo è che vivo da trent’anni a Roma, nell’aria certo non malefica come quella della pianura padana ma comunque non buonissima come quella irpina che mi ha nutrito nei primi vent’anni (quelli che mi hanno salvato, per ora, da cancri e broncopneumopatie, ma non dall’asma, ma ciò è chiaro, no?, l’asma è un rigetto, è una tosse che difende dal nemico aereo) insomma valutano il mio albero respiratorio uno stupendo albero ancora in fiore per il mio mezzo secolo, e si arrendono e se ne vanno perché non è il virus che ammazza, no, davvero vi siete bevuti che il virus ammazzava? È il terreno che ammazza, il terreno di coltura ovvero l’albero respiratorio ovvero il fisico indebolito ovvero è il vostro stesso corpo che vi ammazza non il virus ma lo ricordate cosa disse quell’imbroglione di Pasteur (dopo suo malgrado aver riabilitato il genio martire di Semmelweis) sul letto di morte? Disse il batterio è niente il terreno è tutto. A-ha! Ci siete arrivati allora? Ci siete arrivati o non ci siete arrivati?

La piccola digressione che avevo promesso sul tabacco, adesso. La scrivo ora se no mi scordo definitivamente. Ora lo so che molti fumatori si inquietano, pure gli anarchici triestini di Germinal ebbero da dire su un pezzo perché dice che nel mio contestare il lockdown mi scagliavo contro i tabacchi aperti e i poveri fumatori, che colpa ne hanno loro. E io volevo dire all’anarchico del Germinal che in Amazzonia per vedere gli spiriti, i tabaqueros devono ingerire notevoli dosi di tabacco che gli anarchici se le sognano. Però il tabacco assunto dagli sciamani non è quello fumato aspirando le sigarette. La quantità nicotinica del tabacco del Rio delle Amazzoni è diciotto volte di più delle sigarette industriali. Ma non solo è più potente, è senza fertilizzanti o pesticidi. Senza un centinaio di additivi umidificanti conservanti aromatizzanti che sono ben un decimo di ciò che si inala dalle sigarette. Sigarette che nella combustione esalano quattromila sostanze, quattromila!, molte delle quali tossiche e alcune perfino radioattive. Un fumatore medio, non ricordo dove l’ho letto, si somministra per mezzo delle sigarette radiazioni equivalenti a duecentocinquanta lastre toraciche ogni anno. Per uno sciamano amazzonico il tabacco non è vizio o dipendenza ma farmaco, che gli serve per avere visioni, e non ci risultano sciamani morti di tumore.

Con questi pensieri che parassitano in testa nel frattempo sono tornato a casa, sono salito su in terrazzo il terrazzo disabitato del condominio dove da vent’anni vivo, ho aperto il lettino da spiaggia mi sono svestito rimasto in mutande mi sono sdraiato messo clinico a corpo morto sotto il sole per farmi rianimare dal sole e mi sono addormentato poco prima di addormentarmi ho ripensato a Basaglia che aveva capito tutto del corpo morto lui grandissimo esperto di corpo lo diceva sempre era un suo pallino che quando entri in un ospedale vieni inevitabilmente messo a corpo morto ve lo siete chiesti voialtri che temete di andare (giustamente) in ospedale perché in ospedale vieni sempre messo a corpo morto? Si metta a letto!, ti esorta il primario col suo paternalismo da dottore. Ti mette a corpo morto perché la medicina è debitrice del cadavere i medici hanno imparato l’uomo vivo (malato, mai il sano, che resta ignoto) dalla dissezione dallo squartamento dell’uomo morto cadavere che dopo esser morto si offre allo sguardo dell’anatomopatologo per farsi ridurre in brani e vetrini di modo che si capisca di come è morto (così gli anatomopatologi padani hanno capito che la causa del covid non era la polmonite ma la coagulazione intravascolare disseminata: squartando i primi morti per covid), e è così che l’ospedale trasforma l’uomo vivo in uomo allettato quasi morto e tutto l’ospedale fateci caso è un cadavere diviso nei suoi vari organi squartati reparto del cuore il reparto delle ossa il reparto del digerente il reparto della riproduzione il reparto della testa sia quella che si vede in quanto cervello (neurologia) sia quella che non si vede in quanto follia (psichiatria) il reparto del rene quello degli occhi, l’ospedale è un corpo morto in ospedale se ti salvi è dopo essere morto è un processo (il ricovero ospedaliero) di morte e rinascita è un rito iniziatico il ricovero, purtroppo i poveri vecchi che sono arrivati a febbraio a marzo e pure ad aprile (da maggio la situazione è cambiata perché il virus si era addomesticato, impegnato com’era a ridere a crepapelle) sono stati spaventati, sono stati allettati, messi a corpo morto e presto intubati, il nocebo è diventato per loro insopportabile e i più sono morti di cosa sono morti i poveri vecchi lombardi di febbraio e marzo? Sono morti di paura.

Mi ero dunque steso io pure a corpo morto ma nella morte apparente di chi dorme sotto il sole e solo a quel punto mi ha telefonato (di nuovo) il virus ma non era quel virus il virus sterminatore di cui ho già scritto e di cui Pierpaolo Capovilla la sua splendida voce di Antonin Artaud ha dato voce al virus (qua), era un altro virus, credevo forse che esiste un solo virus? Lo so che ci siamo abituati a mascherarci solo per quel virus a strofinarci le mani solo per quel virus a non stringere più le mani solo per paura che quel virus ci si attacchi sopra e da lì ci sprofondi dentro per toglierci l’aria.

Questo era un virus diverso dagli altri. Mi dice proprio così io non sono come gli altri lo sai perché? Perché io non sono stato programmato dalla natura io sono stato fatto dagli uomini al che siccome non mi va di restare passivo in ascolto come con l’altro virus va bene che quello si qualificò come angelo sterminatore e come minimo con un virus sterminatore ti stati zitto ma con questo mi viene subito da ribattere anche perché telepaticamente lo sento lo avverto che è più mite di quell’altro, è un virus che seppure non vuol darlo a vedere ride, a crepapelle ma ride, al che gli dico tu dunque non sei stato fatto dalla natura ma dall’uomo e credi di stupirmi con quest’affermazione ingenua? Vorresti farmi credere che sei un virus fatto in laboratorio e dunque per questo motivo sei diverso? E l’uomo, dico, l’uomo in forma di scienziato temerario che ti ha progettato, che avrebbe attaccato qualche sequenza in più di RNA per renderti chimerico, chi l’ha fatto l’uomo? Non l’ha fatto sempre la natura? No, fa lui, con una smorfia sardonica tipica del virus sarcastico (che quando non parla ride a crepapelle), se proprio vuoi fare questo gioco l’uomo non l’ha fatto la natura, l’uomo l’ha fatto dio, ah, ecco, e rido io pure a mia volta ma non a crepapelle, un virus che crede in dio adesso mi mancava, stiamo a posto. Ma fammi continuare, fa lui, non ho nemmeno cominciato che già mi impedisci di parlare, io sono un virus creato dalle forze del male, perché anche se sei del tutto digiuno di manicheismo spero ti sia chiaro che qui il mondo degli umani si è spaccato in due, il male e il bene, i buoni e i cattivi, o meglio, tra i sette miliardi che siete diventati sono pochi quelli che si sono, senza anancasmi, senza tentennamenti, senza pusillanimeria, senza ignavia, schierati coi buoni o coi cattivi, sarete un qualche migliaio di risvegliati e quelli sono i buoni e altrettanti sono i transumani, che non credono in altra vita che questa e vogliono provare a vivere in eterno, in mezzo ci sono tutti gli altri umani questi poveri sciocchi che trascorrono il tempo nella quotidianità, il tempo passa, aspettano solo di morire, poi la sorpresa, capiranno che non ci avevano capito un cazzo. Tra questi mi riferisco a quei cazzoni dei tuoi amici intellettuali che sbraitano per dare la cicuta a Socrate Agamben, c’è gente, tra i tuoi contatti, che si occupa di storia e crede che quella stronzata che chiamate la storia sia una cosa seria, oppure gli psicologi, che contano ogni giorno il numero di infetti morti e guariti, pure loro, poveri illusi, si accorgeranno, ma solo negli ultimi istanti, che hanno sprecato una vita a occuparsi di cazzate, oppure gli scrittori, uh che ridere questi che tutta la vita si impegnano a comporre l’opera, la propria opera, il proprio canone, ma se nemmeno Shakespeare ha una mezza chance di superare il migliaio di anni, figurati ‘sti poverini che fanno la classifica italiana dello scrittore, ma non vale la pena di continuare, penso proprio che ci siamo capiti. Le forze del male impediscono che il numero dei risvegliati aumenti. Hanno creato un esserino come me, che porti la paura, e la paura, si sa, fa morire.

Mi rendo conto che sto dormendo. Ora sono passato in una fase di sonno profondo, il sole addosso mi riscalda. Lui ora si rilassa, modera la logorrea di virus logorroico e mi snocciola la verità come grani di un rosario che si sgrana grano dopo grano.

Ecco il primo grano, fa: l’universo è una rete. Di cui voi umani conoscete nemmeno l’un per cento. Ciò che vi appassionate a studiare è solo l’epifenomeno di un epifenomeno. Il gran burattinaio è colui che soffia il vento un vento fatto di bosoni e biofotoni, un’energia che viene dal cosmo una radiazione cosmica di fondo a cui si aggiunge la radiazione solare che è più vicina e quella della luna ancora più vicina per non dire degli altri pianeti del vostro sistema solare per milioni di anni gli animali terrestri tra cui voi umani avete vissuto nel nutrimento di questo campo elettromagnetico stabile, questo piccolo campo che è la risonanza di Schumann ora però, da qualche decina di anni, avete deciso di suicidarvi, rivestire il vostro pianetino di campi magnetici che stanno indebolendo progressivamente il vostro sistema immunitario. Ricordi Pasteur? Il terreno è tutto, il batterio è niente. Ecco. Il vostro terreno è diventato sempre più il nostro terreno di conquista grazie alla vostra stupidità. Avete riempito la vostra preziosa ionosfera di satelliti inutili. Un agglomerato di ferraglia vi orbita sulla testa ogni tanto cade e vi fa un bernoccolo ma il problema non è il bernoccolo. Adesso vi è presa la smania di sostituire le antenne del pianeta, gli alberi, non li guardate più nemmeno in faccia gli alberi né avete osato mai abbracciarli, ma quanto sono stupendi gli alberi ci avete mai pensato?, quanto amore possono avere per nutrirsi dell’anidride carbonica che espirate, dandovi in cambio l’ossigeno che a voi serve inspirare per vivere, sono i vostri respiratori, la vostra affettuosa ventilazione assistita ma voi non ci avete mai pensato a ricambiare questo sentimento, e adesso li sostituirete uno via l’altro con le antennine 5G che al posto dell’ombra e dell’aria vi friggeranno la testa e i polmoni.

Siamo sempre stati simbiotici, noi e voi. Anzi, non c’è mai stato, fino a oggi, un noi e voi. Noi siamo voi. Seicentomila miliardi di cellule compongono ogni vostro corpo umano. Eppure, morireste senza il microbiota. Sei milioni di microrganismi di microbiota nella vostra pancia e voi ve la prendete con uno solo?

Noi siamo voi. Il vostro corpo non lo chiuderete con una mascherina perché è un sistema aperto, siamo già dentro, siamo già conficcati nel vostro DNA ecco perché noi siamo voi. Centomila frammenti di DNA di retrovirus sono nel vostro DNA. Ma noi virus (chiamateci anche virioma, se vi fa piacere) siamo ancora più spaventosamente grandi del microbiota, siamo mille volte di più delle cellule del vostro corpo e però non siamo i nemici perché noi siamo voi, ricorda, l’universo è una rete, l’universo è un campo, l’universo è cosciente, ecco perché la scienza non lo comprende perché la scienza non è co-scienza. Non è scienza della connessione ma è scienza della solitudine, dell’isolamento, della parte senza tutto.
La natura, o se preferisci l’universo, è frattalico, e come in alto così è in basso, come un virus così l’uomo, siamo immersi in un rito cosmico o se vuoi un gioco, tutto si ripete, nel piccolo di una catena di cento aminoacidi che assume proprio quella forma e non un’altra tra miliardi di forme possibili, minerali microbi vegetali animali infine voi, gli umani. Che, incapaci di vedere noi e voi sulla stessa barca, vi siete ingaggiati nella guerra voi contro noi dimenticando che il terreno è tutto, guerra ai microbi vi siete detti, e pensavate di averla fatta franca, gli antibiotici vi hanno illuso per qualche decennio poi hanno iniziato a vacillare di fronte alla resistenza dei batteri resistenti, i batteri partigiani li chiamiamo noi, non sono cattivi, ammazzano come al solito solo chi già è destinato a morire. Lo stesso ora coi retrovirus, cattivissimi dite voi, guerra ai retrovirus, e continuate a fare la guerra a voi stessi, perché noi siamo voi.

Abbiamo contagiato e portato morte, è vero. Ma perché? Abbiamo ucciso per una credenza. Sono morti coloro che erano già morti di paura. La paura vi ha ucciso. Io, il virus, che quando ride è innocuo ma se solo smette di ridere fiuta la paura e allora diventa un gremlin che si attacca ai bronchi di chi ha paura, e lo uccide.

Prima ti ho seguito, sai? Guidavi. Senza maschera e col finestrino aperto. Accanto a te, per un po’, siete stati separati da un metro al semaforo, una donna in auto con mascherina e guanti e finestrino chiuso. Lei aveva paura. Sarà la prima a morire. Se mi incontra. Ma non sarò io ad averla uccisa. Sarà morta di paura. Le credenze uccidono. Le credenze guariscono. Superstizione? E cos’è mai, la superstizione. Per i cristiani erano superstiziosi i pagani. Per i protestanti erano superstiziosi i cattolici. Per la scienza ora sono superstizione tutte le religioni, o le credenze non scientifiche. Ma la scienza è pure lei una superstizione che presto soccomberà. Presto, vedrai, la ragione lascerà di nuovo il posto all’intuizione. Le persone che sono morte in questi mesi sono morte di voodoo. Un voodoo medicalmente e massmediaticamente e politicamente indotto ma voodoo. Vuoi mettere la responsabilità dei detentori dell’informazione? Ti pare poco martellare ogni giorno col numero di morti di contagiati e di guariti? Perché questa strategia di paura panico e paranoia? Perché un’informazione che non risponde al diritto di informare ma al mercato, utilizza la paura per agganciare quell’essere umano che è il lettore o lo spettatore o il navigante digitale. La paura lo fa restare sulla fonte di informazione. E però, lo fa morire.

La politica ha fatto morire. Divieto di vivere non è istigazione a morire? No strada no parco no bosco no spiaggia era dai tempi delle caverne che non c’era una tale paura di uscire fuori. Avete abolito i riti di passaggio, in soli due mesi. Battesimi lauree matrimoni funerali. Niente più. Vi siete dati, da soli, la vostra apocalisse.

Non sono stato io a portare la morte, è stato il vostro pessimismo.

*

Ma come potevo, d’altra parte, portarvi la morte, se vi ho portato la vita.

Eoni fa, viaggiai a bordo di stelle comete e polveri cosmiche, come credete che uno sputo di DNA sia arrivato fino a voi, come credete che quella brodaglia magmatica di pianeta, all’improvviso abbia preso vita?

Lo vuoi proprio sapere?

Francis Crick, uno dei due biologi che comprese come funzionava l’elica del DNA, lo fece utilizzando il metodo sciamanico, mica quello scientifico. Cioè: era sotto trip di Lsd. Ma, non solo Crick ebbe quest’intuizione che gli valse il riconoscimento della scienza ovvero il premio Nobel, ne ebbe un’altra: quella della panspermia diretta.

Vuoi sapere cos’è? Vuoi saperlo proprio?

Quando ormai è un biologo vincitore di premio Nobel, e non ha nulla più da temere, immune dai pregiudizi che possono precludere la carriera a un biologo agli esordi, un po’ come adesso Montagnier, che sembra fare pipì fuori dal vasino stretto e ben igienizzato della scienza, Crick contesta la teoria più accreditata sull’origine della vita, quella della creazione casuale, secondo cui nel brodo primordiale, dal nulla, compare una prima cellula, in seguito a collisioni casuali di molecole. Non può essere, dice, a ragion veduta. Aveva senso, una teoria così stupida, così imbecille, nell’Ottocento, quando non si era a conoscenza dell’estrema complessità di una cellula. In realtà (osserva Crick) il livello di complessità di una cellula, e la complessità del DNA contenuto nel suo nucleo, sono talmente straordinari, che non possono essersi creati per caso. La creazione casuale non regge proprio. La probabilità che la vita si crei per caso, che una tecnologia così complicata come il DNA si sia creata dal nulla, è un numero che non riesco a dirti, la stessa probabilità che un uragano, smuovendo un deposito di ferrivecchi, riesca ad assemblarvi un Boeing 707 (questa non è mia, è sempre di Crick).

Il virus prosegue, io sono disteso sotto il sole del cielo del Quadraro, che è un cielo da sopra questa torre circondata di antenne per captare il segnale delle reti televisive che a tratti somiglia a un portale per un altro mondo, tanto che mi sembra, a un certo punto del mio sonno sognante, di essere in una sala operatoria a cielo aperto dove ricevo un intervento chirurgico a cranio aperto, esseri intelligenti che brigano, di sicuro per aggiustarmi la mente, e rendermi capace di capire. Riparano la mia ottusità. Mi restituiscono la capacità di ricordare. Mi risvegliano da un’ecclissi gnostica. Il filamento del DNA contenuto nel nucleo di una mia cellula nervosa, se lo allunghi, se lo srotoli completamente, diventa un filo di due metri largo solo dieci atomi. Un filo così sottile che non lo vedi neppure al microscopio. Il filamento del DNA è inscatolato nel nucleo della cellula la cui dimensione è, più o meno, due milionesimi di una testa di spillo. Un filo sottilissimo di due metri si avvolge all’infinito in uno spazio così piccolo. Il mio corpo di umano medio per età per peso per altezza per intelligenza per megalomania dovrebbe essere dotato di (circa) seicentomila miliardi di cellule, provviste di nuclei che inscatolano filamenti di DNA avvoltolati su se stessi. Il mio corpo umano medio possiede 125 miliardi di chilometri (per difetto) di filamento genico detto DNA con cui potrei collegare settanta volte Saturno al Sole, o avvolgere come un gomitolo il pianeta Terra per cinque milioni di volte. Questi fili li vedo uscire dalla mia scatola cranica e risalire verso il sole. E’ questa la mia scala a pioli che mi porta verso la conoscenza? Conoscenza già contenuta nella scala stessa. La scala porta verso la conoscenza, ma è essa stessa la conoscenza.

Mentre il virus continua logorroico io non gli presto più ascolto perché penso a me stesso fatto di un testo scritto che si chiama DNA, stipato nel nucleo di ogni mia cellula, aggomitolato come un serpente, a bagnomaria nell’acqua salina della cellula. Un serpente che nuota nell’acqua cellulare. Ora: visualizzate per un attimo una scala a pioli. L’avete presente? E guardate la doppia elica del DNA. Il DNA è una lunghissima scala (a pioli) composta da due nastri avvolti, collegati da quattro basi. O meglio, due coppie possibili: Adenina con Timina, Guanina con Citosina. AT, GC. Non si sfugge. La molecola DNA, che contiene l’informazione della vita, è un serpente rimasto immutato da quando la vita è comparsa sulla terra. Immutato ma, maestro nell’arte di trasformarsi, maestro di metamorfosi direbbe quello sciamano di Kafka, che crea, trasformando se stesso, eppure rimanendo immutato.

Un pianeta al suo inizio, quattro miliardi e mezzo di anni fa, incompatibile con la vita. Radioattività, altissime temperature, zero ossigeno. Poco meno di quattro miliardi di anni fa questo ammasso si raffredda un po’ e, puf, appare questa cosa sofisticatissima che è il DNA, questo testo geniale. E’ chiaro che questo miracolo non può essere, a meno che… Per un paio di miliardi di anni solo batteri anaerobi, che sanno fare senza ossigeno, poi inizia la cellula provvista di nucleo. Altro miracolo. L’ossigeno aumenta. Mezzo miliardo di anni fa la vita esplode! Un profluvio di esseri, vegetali, animali. E però, di tutte le specie presenti sul pianeta mezzo miliardo di anni fa, non ne è sopravvissuta una. Una, una sola di quelle, non esiste più. La maggior parte delle specie vissute sulla Terra si sono già tutte estinte. Ora ce ne sono, probabilmente, cinquanta milioni di varietà viventi, ma pure di queste non ne sopravviverà una. Compreso la nostra. Il DNA invece, il codice della vita, di tutte le forme di vita, maestro di metamorfosi, è rimasto uguale, sempre lui, mai cambiato. Esso sì, vivrà. La divinità primordiale della creazione, secondo i popoli primitivi, il serpente cosmico, è rimasto, pur trasformandosi di continuo, passando da una specie estinta a una nuova, sempre uguale. Sempre DNA. Non un altro codice. Eppure, i testi avrebbero potuto essere molti. Tanti codici. Invece no. Il testo, l’alfabeto, la scrittura del DNA è una.

Il virus, questo virus provvisto di logos con cui sono in contatto telefonico o meglio potremmo dire telepatico oppure ma sì diciamolo, a questo punto, giochiamo a carte scoperta: il contatto è sciamanico, perché essere timidi?, perché continuare a nascondersi?, il virus parla e mi dice di chiamarsi Jeremy, ma come Jeremy Narby?, penso tra me e me ma senza dirglielo ma lui capisce e vibra i tentacoli in senso affermativo e allora mi è più chiaro perché mi sta rimbalzando in mente il serpente cosmico delle visioni sciamaniche, quel serpente che corrisponde alla scala sciamanica, quella scala che corrisponde all’albero asse del mondo, l’axis mundi il mezzo con cui gli sciamani riescono a arrivare altrove, nel luogo dei morti perché questo è il DNA, la sua ereditarietà è il luogo dei morti, degli antenati, degli avi, dei progenitori, e però gli sciamani sono i soli a saperci arrivare non da morti ma da vivi. Gli sciamani hanno (sempre avuto) accesso alle tecniche che consentono di arrivare nell’al di là dei morti, dove poter acquisire conoscenze da riportare indietro, nel mondo dei vivi, a patto di utilizzarle per aiutare a guarire i vivi, far vivere meglio i vivi, non per aumentare il proprio potere, prestigio, o ricchezza. E’ chiara adesso la differenza tra uno sciamano e un medico?

Chiedo al virus dove è scritta, nel serpente che chiamiamo DNA, questa conoscenza che gli sciamani sono in grado di vedere e lui: i geni, ovvero le parti di DNA codificante per costruire le proteine sono circa il tre per cento del serpente DNA. Il resto del DNA, che i genetisti non hanno capito cosa sia, lo chiamano materia genomica oscura, o DNA di scarto. Ciò che la scienza non riesce a spiegare getta via. Dunque, in mezzo a sequenze infinite di triplette insignificanti, all’improvviso compare CAG che codifica per l’aminoacido glutamina, mattoncino per una proteina. Questo serpente è un libro ben scritto con ampi frammenti indecifrabili (materiale oscuro) dove però forse è scritto il meglio, gli chiedo: ma non è che lì dove è oscuro che c’è scritto tutto quanto è accaduto, dall’inizio del tempo?, ciò che Jung notoriamente molto più sveglio di Freud o viceversa molto più capace di Freud di andare in trance (lo sanno tutti che Freud non era capace di ipnotizzare, perciò si dedicò a portare alla coscienza tutto ciò che è inconscio, perché l’inconscio non era alla sua portata) aveva definito inconscio collettivo?, e lui risponde (il virus ora fa il modesto) (come se non avessi capito chi è, questo spirito che si spaccia per virus): non devi chiedere a me ma agli sciamani, solo loro, tra voi umani, posseggono la tecnica per andare a leggere l’infinito contenuto nel libro serpente scala albero asse del mondo detto da voialtri umani moderni acidodessossiribonucleico. Un libro il cui linguaggio (quello codificante, il poco cioè finora che avete compreso) è composto da un alfabeto di quattro lettere (Adenina Guanina Citosina e Timina) che si distribuisce in triplette che rendono conto di 4x4x4 ovvero 64 parole che danno luogo a 20 possibili aminoacidi. Accanto al tre per cento codificante (gli esoni) ci sono le parti oscure (gli introni), ovvero il più, ed è lì che si nasconde l’informazione che gli sciamani sanno scrutare.

Ed è lì, aggiunge, dopo una pausa a effetto (che attore, che guitto) che si nasconde (anche) la mia coscienza di virus. Ma davvero siete così stupidi da credere che un virus non abbia coscienza solo perché non ha un cervello? Ma davvero siete così limitati da credere che la coscienza è scritta nel cervello?

Ma torniamo alla tua domanda iniziale, incalza il virus. Come hanno fatto, gli sciamani, ad arrivare migliaia di anni prima della scienza? Com’è che erano già lì, attorno alla scala a chiocciola del DNA, e sapevano scalarla fino alla fine, quell’elica che Crick solo sotto Lsd (ovvero con la versione sintetica e moderna della claviceps purpurea ovvero il fungo del kikeon eleusino ovvero con iniziazione misterica) riuscì, nel 1953 (l’altro ieri, in pratica) a visualizzare?

Gli sciamani erano già lì perché avevano (e hanno) una tecnica per leggere il DNA. E non parlo solo di sostanze psichedeliche, capiamoci. Gli psichedelici sono degli acceleratori. Gli sciamani dispongono di una complessa tecnologia per procurarsi lo stato di coscienza non ordinario, anche quando non hanno sottomano le piante psichedeliche: il digiuno prolungato, l’isolamento, il ritmo del tamburo, la danza, la deprivazione di sonno. Con queste tecniche lo stato di coscienza cambia, e si allontana dai due stati di coscienza ordinari che la maggior parte di voi umani conosce: il sonno e la veglia, in modo da saper andare a prendere le informazioni direttamente nel serpente, o nel DNA, come preferisci.

Dicevamo di alberi, prima. Prendiamo l’Amazzonia. La società più scientifica di sempre, con tutta la sua razionalità, ha deciso di distruggerla. Non è mai capitato, con i popoli selvaggi, quelli che sembrano rimasti all’età della pietra, una tale mancanza di rispetto per la foresta. Ti sei mai chiesto perché, se sono capaci di accedere al serpente della conoscenza, sono rimasti dei selvaggi? Perché non hanno, come voi moderni, i libri i giornali la televisione il cinema internet? Perché non hanno automobili aerei camere operatorie per trapianti di cuore la medicina che tutto guarisce (salvo ciò che non guarisce)? Le vostre rianimazioni dove non riuscite a salvare gli intubati? Perché la loro televisione o cinema o letteratura o poesia o musica o la loro medicina la loro religione o tutto questo insieme senza separazione è lo stato di coscienza espanso che sanno procurarsi, in un modo o nell’altro. Non hanno bisogno, per vivere meglio o più a lungo, della vostra inutile medicina, della vostra chirurgia, il curaro lo conoscevano prima di voi, la visione indotta dalle piante gli insegna il valore terapeutico di migliaia di piante di quella foresta immensa che l’ottusità dei vostri capi di stato (ma i capi di stato siete voi, in fin dei conti) sta mandando in fumo. La loro medicina, selvaggia e non scientifica, è più efficace della vostra.

Non hanno bisogno né della scienza per essere più colti, più saggi, né delle religioni per essere più buoni, più etici. Loro sanno, se ne rendono conto, lo vedono nelle visioni, che il pianeta è circondato da una crosta di vita, che è egli stesso vivo, quando entrate in un mare, in un fiume, perfino in una pozzanghera fangosa perfino nella merda appena escreta da un qualunque cane portato a passeggio in una qualunque città occidentale, quella merda brulica di vita ovvero di DNA, questo serpente della vita che si nasconde in tutte le forme, non solo in quella sopravalutata vostra umana.

Ecco, mi pare, per sommi capi, di averti detto chi sono. Sono un piccolo essere, un involucro portatore (come te) del serpente cosmico.

Ti dico solo anche un’altra cosa, che forse hai già intuito ma te ne voglio dare la conferma. Solo gli sciamani, i mistici, o i pazzi, sono capaci di andare a guardare direttamente nel DNA serpente cosmico come hai fatto tu adesso.

(Cosa sei tu, allora? Uno sciamano, un mistico o un pazzo?)

Non ci avevi pensato? Eppure, sei del mestiere. E se quelli che voi chiamate psicotici, con le loro allucinazioni, fossero semplicemente capaci, come fanno gli sciamani, di gettare uno sguardo nell’informazione contenuta nel DNA? Vedere cose. Soprattutto, sentire cose. E se lo stato di coscienza che precede il delirio, la wahnstimmung come la chiamate voialtri strizzacervelli, non fosse altro che uno stato di coscienza espanso che rende capaci di andare a pescare informazioni, visioni, rivelazioni, intuizioni, reminiscenze, interpretazioni, nel materiale genetico che prende la forma del serpente cosmico che se ne sta lì, avvoltolato nel nucleo delle nostre cellule?

E se i folli, i visionari gli allucinati i deliranti gli psicotici del mondo occidentale, quelli che voi psichiatri vi ostinate a voler curare coi vostri inutili farmaci, fossero dotati invece delle stesse capacità degli sciamani ma che, poveri loro, non sanno governare, da cui si lasciano spaventare, e che consegnano ai meno competenti di tutti nel saper gestire questi fenomeni, ovvero gli psichiatri?

Ragioniamo per ipotesi. Mettiamo che il DNA sia animato, cosciente, e che non solo, là dentro, si nasconda l’io, ma perfino ci sia proprio quell’intelligenza o coscienza superiore che molti di voi amano definire D-io. Perché mai gli scienziati continuano a pensare che la natura, cioè tutto il resto che non è umano, non sia pensante, non abbia coscienza, non possa comunicare? Perché non si stupiscono della lunghezza astronomica del DNA ma si limitano a considerarla una bizzarria? Perché considerano il genoma non codificante (il novantasette per cento), solo perché di significato oscuro, un materiale di scarto? Come è possibile che non si rendano conto che il DNA non è solo una molecola con informazioni per fare proteine ma un immenso libro dove c’è scritto tutto?

Se no, come te lo spieghi che io, un semplice virus, possa essere in grado di dirti tutto questo?


[Chiamate telefoniche precedenti]

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Chiamate telefoniche – 6 https://www.carmillaonline.com/2020/05/18/chiamate-telefoniche-6/ Mon, 18 May 2020 21:00:35 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=60142 di Piero Cipriano

Lo dico subito, così chi non ama i complottisti può interrompere subito la lettura: questa sesta chiamata telefonica è una chiamata complottista, super complottista, terribilmente complottista. Perché? Perché io ammiro i complottisti, ammiro i complottisti quasi come ammiro i paranoici. Voi direte che tutti i complottisti sono paranoici. Che complottismo = paranoia. E io non sono d’accordo. I complottisti, alcuni, non tutti, sono dei formidabili inventori di storie con una capacità di avvicinarsi quasi con precisione millimetrica al futuro, ma che per un motivo o per l’altra non ce la fanno a essere Philip K. Dick. Gli manca [...]]]> di Piero Cipriano

Lo dico subito, così chi non ama i complottisti può interrompere subito la lettura: questa sesta chiamata telefonica è una chiamata complottista, super complottista, terribilmente complottista. Perché? Perché io ammiro i complottisti, ammiro i complottisti quasi come ammiro i paranoici. Voi direte che tutti i complottisti sono paranoici. Che complottismo = paranoia. E io non sono d’accordo. I complottisti, alcuni, non tutti, sono dei formidabili inventori di storie con una capacità di avvicinarsi quasi con precisione millimetrica al futuro, ma che per un motivo o per l’altra non ce la fanno a essere Philip K. Dick. Gli manca quel quid di prosa o anfetamine o vattelappesca. Dico pure che se non leggerete questa sesta chiamata perché siete prevenuti sui complottisti poi ve ne restano solo due (non complottiste, in compenso, ma non è detto, perché una volta che uno dichiara la stima per il mondo complottista ne viene irreparabilmente assimilato), perché l’epidemia sta per finire (con sommo sconforto dei virologi-con-l’agente quelli che si prendono da duemila euro in su a intervista un po’ come le puttane solo che le puttane siccome sono delle gran signore non vendono la scienza ma il proprio corpo) e pure le chiamate finiranno, non mi resta che una settima chiamata dove il protagonista indiscusso è il virus e l’ottava, e ultima, dove i protagonisti sono i morti, ma ciò è pleonastico perché i morti sono sempre i protagonisti, solo chi non ha fatto i conti con la morte non l’ha ancora capito, ed è per questo che si barrica in casa e si barrica la bocca, perché pensa che dalla bocca entri la morte. Invece no: dalla bocca esce la vita. E non è proprio la stessa cosa.

Ma dicevo dei complottisti, ormai, appena leggo o sento qualcuno che ne parla male mi viene da mettere mano alla pistola poi mi ricordo che non ho una pistola e soprattutto che questa (mettere mano alla pistola) è una brutta espressione che mutuiamo da una brutta persona, per cui mi limito a proporre di abolire la parola complottista, come in passato ho proposto di abolire la parola empatia, non significa più niente ormai ripetere a pappagallo complottista, complottista, complottista, oppure, visto che non è il massimo abolire parole, sa troppo da neolingua orwelliana, propongo di mettere un limite al numero di volte che in uno scritto si può usare la parola complottista, non più di due, massimo tre, alla terza scatta la multa (quattrocento euro, la multa per chi andava in giro senza mascherina), anche perché chi usa troppo spesso la parola complottista tradisce di essere egli stesso un complottista, esatto, uno affascinato dal complotto, il complotto di mettere a tacere le capacità narrative del complottista, e poter sostituire la narrazione (mille volte più interessante) del complottista con la sua sterile e prevedibile e conforme narrazione di anti-complottista che legge Repubblica o Corriere. Dimenticando che l’anti-complottismo dell’anti-complottista è esso stesso complottismo, inconscio complottismo ai danni del vessato complottista.

Non so se si è capito ma io i complottisti vorrei difenderli dalle ingiurie di complottismo con la stessa passione con cui mi viene sempre da difendere le persone che subiscono l’accusa di essere schizofrenici. Le persone più insospettabili ci sono cadute, nell’offesa agli schizofrenici. Umberto Eco, una volta, per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi, disse che doveva dimettersi non per il suo eccesso di satiriasi, ma per il suo eccesso di schizofrenia. E’ schizofrenia, puntualizzò, se uno non si ricorda il giovedì ciò che ha detto il mercoledì. Come si può essere governati da uno schizofrenico? Eco non sapeva cos’è (io nemmeno, ma lui molto meno di me, eppure era Eco) la schizofrenia, e sempre Eco è il colpevole di aver dato la stura all’offesa del complottista. In quel libro palloso che è Il pendolo di Foucault, mi pare, è lui che inizia la presa per il culo dei complottisti. Piergiorgio Odifreddi è un altro, era a una trasmissione di Piero Chiambretti, irritato dal mago Otelma (quanto mi sta simpatico il mago Otelma, secondo me è abbastanza complottista pure lui), lo metteva a tacere zitto tu, anzi, zitto lei, che è uno schizofrenico. Proprio così diceva. Il tono voleva essere quello di chi dice lei è un cialtrone, o lei è un buffone, o lei è un mitomane, o lei è un millantatore, o lei è un venditore di fumo, o lei è un guitto; invece disse lei è uno schizofrenico. Gli intellettuali del cazzo che adoperano le categorie psichiatriche, o mediche, per offendere. Un tempo si diceva zitto che sei un mongoloide, o zitto che sei un deficiente, oggi dicono zitto che sei uno schizofrenico oppure dicono zitto che sei un complottista.

Tutto ‘sto preambolo per dire: w i complottisti (fossero anco terrapiattisti, quando vuoi dire che uno è complottista ma di quelli terra terra allora dici che è terrrapiattista, i terrapiattisti sono i più sfigati dei complottisti, e infatti sono quelli che mi sono i più simpatici di tutti) abbasso i burionisti.

*

Complottista secondo me era pure Dario Musso ragazzo drammatico e teatrale di Ravanusa che il lockdown (‘sto cazzo di lockdown non vedo l’ora di dimenticare questa parola) come a tutti gli aveva spezzato la pazienza e inizia a fare video inquietanti in cui si punta un cacciavite alla tempia e incita alla rivolta e pochi giorni prima viene fermato da un carabiniere che assiste allibito a lui che contrattacca gli dice che fare il carabiniere di questi tempi a fermare persone innocenti è una merda e brucia la sua carta d’identità e il giorno del fermo sanitario è in giro nella sua auto con un megafono che incita alla disobbedienza a non abboccare alle favole governative non c’è nessun virus dice, togliete le mascherine riaprite i negozi, uscite… (ora confessate di non averlo pensato almeno una volta pure voi tutto ciò) lo circondano carabinieri e agenti municipali, lui fa un video in diretta in cui prova a mantenere la calma, scende, resta calmo, bravo Dario così si fa, ma non basta perché arrivano tre sanitari uno dei quali ha una siringa, il sanitario non gli va incontro davanti per parlargli no, lo aggira gli punta la siringa, vuol siringarlo da dietro con tutti i pantaloni, stato di necessità diranno poi nel processo che si farà perché si farà ma io dico, dalle immagini, non c’era nessuno stato di necessità, legittima difesa dite? nemmeno, eppure un carabiniere lo prende per le gambe e lo atterra, il sanitario col camice e la siringa lo infila, la donna che fa il video grida atterrita in siciliano lo stanno sedando lo stanno sedando. Finisce il video inizia l’audio, il fratello di Dario, avvocato, prova per giorni a chiamare all’ospedale di Canicattì, al reparto psichiatrico dove Dario è ricoverato in TSO sedato legato cateterizzato ma la dottoressa balbetta, dice non possiamo dare notizie lui richiama e lei dice suo fratello dorme lui richiama lei dice non abbiamo il cordless lui richiama lei dice ho un’urgenza ho un ricovero ora non posso parlare, sono imbarazzato per lei, per questa poverina che senza dignità né etica si schermisce. Dopo cinque sei giorni tali le pressioni, le lettere, le telefonate, ai medici e al sindaco, tra queste quella di Gisella Trincas dell’UNASAM (associazione dii famigliari dei pazienti) o del garante nazionale dei detenuti o di me stesso che provo a parlare invano con la dottoressa che ha sempre un’urgenza e non può rispondere, insomma Dario viene (altrettanto selvaggiamente) dimesso e per fortuna non fa la fine di Franco Mastrogiovanni o Giuseppe Casu o Elena Casetto. Dimesso però con una non diagnosi: Disturbo della personalità non altrimenti specificata. La più inutile e fessa e vaga e debole delle diagnosi psichiatrica. La stessa diagnosi che potrei avere io, o voi, o tutti i complottisti del mondo.

Mi chiama Nicola, il mio amico delle Iene, una iena gentile, Pieruzzo, esordisce col suo accento siciliano, che ne pensi del TSO di quel ragazzo di Ravanusa?

*

Ma io in questo pezzo dovevo occuparmi di complottisti e anti-complottisti, non di TSO illeciti e selvaggi. Per cui cominciamo col primo campione del complottismo mondiale che gira intorno al virus. Lui è quello che aveva in tasca l’Hiv e Gallo (poi stato sostituito da Fauci, il virologo che ora Trump vede come il fumo negli occhi) glielo rubò. Lui è quello che nel 2008 prende il Nobel. Lui è quello che ora è perculato dai medici duri e puri perché ha detto che l’acqua c’ha la memoria (figuriamoci, ridono, gli scienziati, la memoria, l’acqua, e mica c’ha il cervello l’acqua per averci la memoria!) e porta al papa la papaya (la papaya, al papa, e che è, un calembour dello scienziato senex?). Perculato più di Tarro, si capisce, perché almeno Tarro non l’ha vinto il Nobel lui sì e una ventina, o erano trenta?, super scienziati fecero pure una petizione, per fargli revocare il Nobel, ma gli svedesi so’ di parola, se lo danno il super premio è per sempre, poi non lo levano. Eh sì, gli svedesi so’ di parola, se dicono che l’epidemia si affronta senza lockdown, vanno fino in fondo. Oggi mi chiama una fattucchiera dal Molise una che mi ha conosciuto vedendomi nell’olio che galleggia nel fondo di un piatto, dice siccome pure io stavo con l’orecchio pizzato al suolo per sentire da dove arriva la fine del mondo ho incrociato i tuoi pensieri che provenivano dal tuo orecchio adagiato sul pavimento del tuo reparto allora ho pensato che devi assolutamente sentire cosa dice quest’uomo. Attacca il suo telefono a manovella al pc per farmi sentire la voce tradotta di Montagnier.

Non posso vederlo in faccia, quindi non vedo i sui capelli colorati di marrone biondo che un po’ gli fanno perdere la credibilità di scienziato premio Nobel, ma tant’è, l’ha già persa ormai, è bastata la papaya e l’acqua con la memoria, e poi c’avrà uno scienziato il diritto di farsi la tinta oppure no?, o valutiamo uno scienziato sulla base della tinta?, ma a questo punto pure Giuseppe Conte va be’ che non è uno scienziato perde credibilità, se ci basiamo sulla tinta, vero è che la tinta di Conte è più credibile della tinta di Montagnier che dice c’è stata una manipolazione su questo virus, così esordisce l’ottantottenne tinto ormai con un piede fuori dalla scienza, il piede fuori dalla scienza è il piede che ha calato nella fossa, cioè nel mondo dei morti, è per questo che Montagnier, come Tarro, non ha bisogno più di queste sciocchezze tipo le pubblicazioni o i numeri o l’h-index, perché chi è con un piede nel mondo dei morti non crede più né nelle pubblicazioni né nei numeri e l’unico libro che legge ormai è il Bardo Thödröl ovvero il Libro tibetano dei morti perché i morti sono superiori alle pubblicazioni scientifiche e ai numeri che le accompagnano, chi glielo ha detto a Montagnier?, glielo ha detto Cartesio, che dal mondo dei morti gli ha confessato: scherzai quattro secoli or sono, con questa cosa dei numeri, era tutto uno scherzo, e voi ancora ci state credendo. E’ vero, continua il francese, che questo virus deriva dal salto di specie, dal pipistrello, ok ok, ma ci hanno aggiunto un pezzo di sequenza genomica del virus dell’Hiv, il virus dell’AIDS per cui mi hanno dato il Nobel, il Nobel che non m’importa di averlo però è ancora mio, chi ce l’ha aggiunto questo pezzo di genoma? E che ne so. Biologi molecolari. Che minuziosamente, come fossero degli orologiai puntigliosi, hanno fatto questa chimera, perché questo è il coronavirus una chimera, avete presente uno scoiattolo con le zampe di leone? Ecco, una cosa del genere, un virus del raffreddore con l’artiglio dell’Hiv, perché? Chissà, magari volevano fare un vaccino contro l’AIDS, per cui hanno preso piccole sequenze di virus Hiv e le hanno installate nella sequenza genica più grande del coronavirus, dove una catena di RNA ha piccole sequenze di Hiv.

Ma le prove? Gli domandano, le prove? E lui (che con un piede nel mondo dei morti sa che non ha più bisogno di prove) mena il can per l’aia, un gruppo di ricercatori indiani aveva pubblicato le prove, ma gli hanno annullato la pubblicazione. Su 30.000 basi del coronavirus, 1.000 sono di Hiv. Un modo per modificare la sequenza del coronavirus, per farlo riconoscere come Hiv e dunque trovare il vaccino. Molti gruppi hanno fatto la stessa cosa, dice il Nobel quasi morto scomunicato dai colleghi vivi della scienza. Ma come ha fatto a uscire da un laboratorio? I virus a RNA hanno mutazioni continue. Cambiano continuamente. Sanno attraversare le porte, come i fantasmi. Non c’è mascherina o muro che tenga. Ma queste sequenze, alcuni dicono che sono troppo corte, e la sovrapposizione con il RNA dell’Hiv potrebbe essere casuale. Ma sono segmenti importanti, obietta il Nobel tinto come la morte, di quelli che portano informazioni genetiche. La versione della Cina è che viene dal mercato del pesce di Wuhan. E io dico che non è vero, ribatte il vecchio scienziato idolatrato dai complottisti e stimato da quelli che sono i morti. E la versione dell’OMS? Hanno tutti interesse a nascondere la verità, ma vogliamo raccontare chi è l’attuale capo dell’OMS? L’OMS, ora come ora, non mi pare più un organismo super partes, mi sa che non serve più a niente dire ogni volta l’ha detto l’OMS l’ha detto l’OMS, basta vedere come il capo dell’OMS, l’etiope Ghebreyesus si arruffiana col leader cinese Xi Jinping. A gennaio si è addirittura complimentato con la trasparenza del governo cinese, trasparenza! Ma ti rendi conto? Una beffa, per il povero Li Wenliang il medico morto di covid-19, minacciato di non parlare dell’epidemia, o per l’altro medica Ai Fen, che aveva accusato il regime cinese di censurare l’epidemia ritardando le misure, pure lei fatta sparire per settimane. Perché l’OMS non è super partes? Perché nel 2017 si giocò una guerra tra il candidato cinese (l’etiope Ghebreyesus, già legato a Pechino sin da quando era ministro della sanità per il governo etiope) contro il candidato americano. Vince l’etiope, e da allora è al servizio della Cina. Ciò per dire che ormai quel che consiglia l’OMS, a parte le cose ovvie ovvero che camminare è più sano che poltrire e abboffarsi, non è più oro colato. Potremmo pure aggiungere che l’OMS è pagato dal Bill Gates, anzi: è Bill Gates ma… non possiamo, perché se no gli anti-complottisti ridono di noi, e noi non vogliamo che gli anti-complottisti ridano perché ridere fa bene alla salute e gli faremmo solo un favore, un favore alla loro perfidia.

E l’omertà degli stati? In biologia molecolare si possono fare (è sempre Montagnier che parla), attualmente, tutte le costruzioni di virus che si vogliono. Gli USA sono al corrente, ma sono loro che hanno finanziato parte delle ricerche fatte nei laboratori di Wuhan, per cui non è più un affare solo cinese. La natura (è ancora il francese ottantottenne) non accetta qualsiasi cosa. Una costruzione artificiale, chimerica, ha poche possibilità di sopravvivere. La natura ama le cose armoniose. Questo è un virus Frankenstein, che non durerà a lungo. Negli USA ci sono altre mutazioni del coronavirus, sta cambiando il suo codice genetico, ci sono delle delezioni, il tratto che porta la sequenza di Hiv è quello che muta più velocemente degli altri, inevitabilmente andrà incontro a delezioni, un’apoptosi, una auto amputazione genica. Non trovate che sia meraviglioso ciò? Se il potere patogeno di questo virus è legato all’introduzione di queste sequenze Hiv nel coronavirus, e esse stanno staccandosi, non trovate che sia una bella speranza? Bisogna seguire il sequenziamento genetico, ci saranno sempre più virus mutanti inattivi, la gravità dell’infezione si attenuerà, si annullerà.

Ecco perché l’isolamento domestico non è un rimedio. Bravi gli svedesi. E non solo perché non si riprendono il mio Nobel. Che detto tra di noi, non mi potrebbe fregare una ceppa, del Nobel. Sa quando tra poco andrò di là, nel mondo dei morti, del Nobel quanto gliene potrà importare? Di una sola cosa gli potrà importare, ai morti: sei stato un bravo medico oppure no? Sa quanti sono i bravi medici da diecimila anni a questa parte? Una decina, Cristo, Semmelweis, Basaglia, mica sono tanti… i medici, quasi tutti, non sono mai eroi, sono sempre colpevoli… se vuoi essere innocente non devi fare il medico… va be’, per concludere, io credo che il virus si distruggerà da solo. Ma ripeto: è stato un errore etico associare il Covid all’Hiv. Non lo ammetteranno mai, ma è avvenuto questo.

*

La fattucchiera molisana mi dice ti sento scettico dottore, non t’ha convinto forse Montagnier? Mi meraviglia che nemmeno tu abbia capito che quello che ci ammazza non è il virus ma il terrorismo mediatico a cui siamo sottoposti. La paura di morire viene somatizzata dai polmoni. L’informazione, reiterata ossessivamente, si incista nell’inconscio e (un po’ come negli anni 90 avere il test Hiv positivo equivaleva a una sentenza di morte) oggi un tampone positivo al covid-19 (che non significa niente) su una persona asintomatica o con una piccola sintomatologia influenzale, mettiamo che è uno molto impressionabile, attiva il contrario dell’effetto placebo, l’effetto nocebo, tu mi insegni che esso atterrisce tutto l’organismo, che si predispone a morire. E’ su questo principio d’altronde che noi fattucchiere molisane tiriamo il malocchio ai malandanti, e funziona, quanto più il malandante è un tipo impressionabile, tanto più facilmente si ammala. Le difese immunitarie crollano, i polmoni collassano e trattengono liquidi (ecco la polmonite interstiziale). Ecco perché bisogna spegnere televisione e smart phone e non leggere nemmeno i giornali. Per fare il vuoto nella testa, eliminare questa reiterata informazione tossica, essa sì immunodepressiva. E trasgredire assolutamente (fai bene tu dottore a correre, mica sei fesso) il lockdown, in tutti i modi, uscire, prendere il sole, respirare aria pulita, fare esercizio fisico. Ciononostante, dottore, non basterà, perché prima o poi, tutti, compreso Bill Gates, dovremo pur morire.

*

Mi chiama Jack, il virologo dissenziente, il triste figuro, lo vogliono ricoverare. Per tutto il lockdown il servizio psichiatrico si era scordato di lui. E lui si era scordato di loro. Si erano reciprocamente scordati. E vivevano bene così. Finito il lockdown, superato il 4 maggio, i servizi si sono ricordati di fare l’appello dei pazienti in carico, dei collaborativi e dei riluttanti. Ce l’ho mi manca ce l’ho mi manca. Jack mancava all’appello. Pronto siamo la psichiatria, deve fare il depot. Non voglio fare il depot. Allora c’è il ricovero.

Dice mi stanno venendo a prendere. Prima che mi prendano per ricoverarmi mi ascolti. Un amico che non vuol rivelarsi ma che lei conosce molto bene (Cafiero jr) mi dice di raccontarle questa storia qua, lui non la chiama di persona perché si scoccia che lei poi nella chiamata telefonica che senz’altro scriverà lo faccia apparire come il paranoico complottista della situazione, mi dice pure di dirle che lo sa pure lui che il complottismo è un genere letterario che ora va per la maggiore, ma mi dice pure di dirle che questo genere letterario da due secoli almeno poi inevitabilmente ci prende, insomma la storia è questa poi veda un po’ lei, ne faccia l’uso che vuole, tuttavia mi domando perché lei senta il bisogno di questa penosa mise en abyme (per evocare Gide che lei immagino non abbia mai avuto il buon senso di leggere, vero?) per raccontare tutto quanto, seppur in pochi purtroppo, cominciano a pensare o pensano già da tempo. Non mi pare che qui siamo tutti paranoici o, almeno finora, non tutti (io sì ma molti altri no) abbiamo una cartella psichiatrica nel cassetto che comprovi ciò. È che qui ci facciamo delle domande, ci interroghiamo, cerchiamo di capire che dove ci sono in gioco montagne di soldi e interessi economici non può esserci imparzialità nel fare informazione, né tantomeno numeri statistici… Il grande sonno non è solo il titolo di un romanzo di Chandler ma è quello che quasi tutti gli italiani stanno vivendo adesso, obnubilati dalle onde elettromagnetiche delle paraboliche delle emittenti televisive.

Mi dispiace che quelli che non si adeguano o obbediscono vengano etichettati come paranoici, psichiatrici o compagni di merende dei terrapiattisti.
Fatto questo preambolo vengo al dunque.

Il mio amico dice che Trump sta facendo cose grosse, mai fatte da nessun presidente prima (forse iniziate da JFK). Da noi non ne parla nessuno. La situazione mondiale è questa. La divisione oggi non è più tra razze, non è più tra nazioni o stati, ma solo tra i due Cappelli, o se vogliamo tra due fronti massonici che si stanno facendo la guerra con la scusa di questo coronavirus a cui credono ormai solo gli allocchi. Tutte le notizie del mio amico sono direttamente consultabili, quindi prima di classificarle e bollarle nella categoria delle cospirazioni fantasiose, si tolga lo sfizio di leggere il New York Times, il Washington Post, il Wall Street Journal; oppure ascolti i tg americani più recenti, cosa verrà a sapere, anche lei per la prima volta visto che la stampa italiana è zitta e muta su questo fronte, verrà a sapere di arresti di medici dell’università di Harvard, perché? Per aver fatto sfuggire a settembre il virus da un laboratorio americano, virus che solo in un secondo momento per una serie intricatissima di fughe che non sto a dire anche perché non lo sa nessuno nemmeno il virus c’è da scommetterci che se lo ricorda, anche perché nel frattempo è mutato mille volte e come lei sa i virus non hanno memoria se no che virus sono? Insomma, il virus in un modo o nell’altro sarebbe arrivato a Wuhan. Charles Lieber, chimico di Harvard esperto di nanomateriali e sviluppo di applicazioni in medicina e biologia, è stato arrestato il 28 gennaio. L’accusa a Lieber è di aver ricevuto centinaia di migliaia di dollari dalla Wuhan University of Technology e accettato di gestire un laboratorio per essa.

Quindi ricapitoliamo: qui dottore ci sono due fronti massonici che si stanno contrapponendo e presto o tardi ci toccherà decidere con chi stare a meno che lei non voglia dimettersi dal suo inutile lavoro che è tutta una copertura lo sappiamo non abbocca più nessuno ormai di noialtri scrutatori di complotti, he he, a meno che dico lei non voglia dimettersi passare in clandestinità e organizzare la resistenza anarchica planetaria, voglio dire un terzo minuscolo ma significativo fronte, altrimenti dovrà scegliere se stare coi Cappelli Bianchi che rispondono al movimento conosciuto come Q, tra le cui fila troviamo Putin, Xi, Trump, il defunto Kennedy, suo nipote Robert Kennedy jr ma pure Bob Dylan e udisca udisca Giuseppe Conte l’avvocato de noartri, insieme a tanta altra bella gente. E questi pensi un po’ sarebbero i buoni, perché i cattivi sono la fronda nota come Cabala o Deep State di cui Shiva è stato uno dei pochi a parlare (ecco, si potrebbe mettere con Shiva a organizzare la resistenza, lui sarebbe la mente e lei il braccio, insieme sareste perfetti). Insomma, questa fazione, i cattivoni, sono inclini a fare cose molto molto brutte bruttissime che per telefono è meglio non dire dato che senz’altro il suo telefono da qualche tempo è sotto controllo io infatti non la chiamerò più qui al telefono dell’ospedale se lo tenga bene a mente.

Comunque i mammasantissima del deep state sono ovviamente i Rothschild, i Williamsburg, i Rockfeller, ma pure i Clinton, e i Bush ma perché no Obama, e ecco che arriviamo a Bill Gates e consorte che tanto hanno a cuore la vaccinazione planetaria e il loro minuscolo tatuaggio quantico, e gente celebre come Tom Hanks e cantanti per niente mistiche nonostante il nome come Madonna e mi fermo qui perché sento la sirena dell’ambulanza che sta per arrivare a prendermi e devo scappare dalla porta di servizio che dà sul parco dell’Insugherata. Questa è gente che controlla Hollywood e tutta la produzione filmica mondiale e tutte le televisioni del pianeta e tutta l’informazione, ecco perché pure in Italia non c’è Fazio non c’è Mentana non c’è fino all’ultimo giornalista del giornalino parrocchiale che si possa permettere anche solo di accennare a queste cose perché sarebbe sommerso dal coro: complottista! Ma oltre alla società dello spettacolo e dell’informazione fanno parte dei cattivoni pure le banche centrali che ricattano bellamente gli stati vedi FED e BCE, ma ecco che il nostro eroe Trump che ti fa? Nazionalizza la FED alcune settimane fa liberando gli americani dal cappio al collo di questi strozzini! Ma lo vede allora che ha ragione quel lacaniano con la tosse di Slavoj Žižek quando dice che il virus per eterogenesi dei fini ci regala un nuovo comunismo? E chi se lo poteva immaginare che Trump facesse scelte comuniste? E come mai secondo lei i nostri tg non riportano queste notizie? E come mai secondo lei i nostri tg non hanno parlato degli arresti che stanno avvenendo in America in merito all’affare coronavirus? Perché i tg appartengono al deep state! Ecco perché. E perciò ai tg non fanno piacere certi arresti. Perché secondo lei adesso fanno la nuova normativa anti fake news? Secondo lei le sue chiamate telefoniche su Carmilla contro informative e in odor di complottismo dureranno ancora a lungo? No. Appena sarà in vigore la normativa anti-fake lei sarà oscurato al pari dell’ultimo terrapiattista con un blog di quattro lettori.

La narrativa è questa: il deep state ha sguinzagliato il virus, scatenando una campagna terroristica sulle televisioni e sugli smart phone per mettere in ginocchio i servizi sanitari, chiudere le persone due mesi agli arresti, scioccarle insomma, se la ricorda la teoria di Noemi Klein sul dottor choc? Lo psichiatra che elettroscioccava i pazienti per un mese per poi ricostruirne la personalità? Ebbene è proprio ciò che è stato fatto su base planetaria, ci hanno fatto l’elettrochoc per due mesi, spaventati, tolto memoria delle libertà, di modo che dopo saremo cittadini mansueti e proni a ogni loro decisione, e quali saranno i prossimi atti? Ma la vaccinazione di massa, obbligare il pianeta a vaccinarsi per ridurre la demografia planetaria. Si ricorda il pallino di Malthus: e mica possiamo far accomodare tutta l’umanità alla mensa dei ricchi? No. Chi è ricco mangia chi è povero è giusto che crepi per fare spazio a una umanità ridotta all’essenziale, un’umanità dei migliori. Ma pensi, non piacerebbe anche a lei abitare un pianeta senza avere tra le palle un miliardo di indiani un miliardo di cinesi e africani e altri miserabili che credono in dei assurdi e nell’oltre vita? Bene, pensi allora uno ricco sfondato come Bill Gates quanto gli scoccia dividere il pianeta con lei con me con l’africano che si imbarca per affogare con il cinese che si mangia i cani con l’indiano che si inchina alle vacche col mussulmano che vela o infibula sua moglie eccetera, potrebbe abitare questo pianetino meraviglioso come duemila anni fa insieme solo agli eletti, a qualche milione di persone ben distribuite tra i continenti senza fare assembramento, senza folla, ah che spazio finalmente, la solitudine, la solitudine di dio, a questo aspirano. Ecco perché la demolizione demografica tramite vaccino è sempre stato un loro pallino. Per cui da una parte cattivoni con delirio di immortalità del deep state dall’altra i meno cattivoni ma comunque non proprio degli stinchi di santo dei cappelli bianchi, che da sessant’anni lottano per riprendere il potere che con la morte di JFK hanno perduto.

Questo per darle un assaggio ora infilo l’ultimo gettone per dirle addio, non so se sarò ancora in grado di telefonarle. Ci pensi. Si informi. Decida se appoggiare i cappelli bianchi oppure iniziare la resistenza anarchica planetaria. Cazzo stanno sfondando la porta. Scappo. Addio.


[Chiamate telefoniche precedenti]

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Chiamate telefoniche – 5 https://www.carmillaonline.com/2020/05/05/chiamate-telefoniche-5/ Tue, 05 May 2020 21:30:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=59854 di Piero Cipriano

Dopo il primo mese di bonaccia, in cui il reparto era quasi senza ricoverati, tutti in casa a rispettare il lockdown e a temere il virus, ora gli argini si sono rotti. Ieri quattro ricoveri, tutti insieme. Due perché volevano uccidersi saltando dal terrazzo (gli splendidi terrazzi condominiali della cui esistenza tutti si erano scordati, per due mesi sono stati lo spazio dove prendere aria sole vento) due per sottrarsi ai litigi in casa, ma ci sono le polmoniti in reparto, dicevo per dissuaderli, non mi importa, meglio la polmonite che tornare a casa. Insomma sto qui a [...]]]> di Piero Cipriano

Dopo il primo mese di bonaccia, in cui il reparto era quasi senza ricoverati, tutti in casa a rispettare il lockdown e a temere il virus, ora gli argini si sono rotti. Ieri quattro ricoveri, tutti insieme. Due perché volevano uccidersi saltando dal terrazzo (gli splendidi terrazzi condominiali della cui esistenza tutti si erano scordati, per due mesi sono stati lo spazio dove prendere aria sole vento) due per sottrarsi ai litigi in casa, ma ci sono le polmoniti in reparto, dicevo per dissuaderli, non mi importa, meglio la polmonite che tornare a casa. Insomma sto qui a ricoverare persone e a prendere chiamate telefoniche invece di sgominare il virus, e ora posso dirlo pubblicamente che è tutta colpa di Tarro se non ho fatto il virologo e non posso dire con cognizione di causa a Burioni e alla sua cricca del patto ottocentesco per la scienza che sono talebani, lo posso pensare direte voi infatti lo penso ma non posso dirglielo, certo sono pur sempre un medico, ma un medico psichiatra, vuoi mettere, da quando ci hanno tolto la speranza dello schizococco, da quando ci hanno levato di mezzo la prodigiosa malarioterapia, noi psichiatri con le infezioni abbiamo chiuso, e che vado a dirgli a Burioni, Burio’, hai solo un h-index 26, un po’ pochino, fossi stato Alberto Mantovani (167) o Giuseppe Remuzzi (158), ma tu che ti affidi così tanto ai numeri, dovresti averli un pochino più consistenti, sarà per questo che sei così inflessibile coi no-vax, e gli rinfacci che tu hai studiato e loro no, ma non capisci che il vaccino l’aborrono mica perché temono il vaccino, ma per non dartela vinta, saputello che non sei altro. Che poi non sarei l’unico a non aver fatto il virologo per colpa di Tarro, pure Guarducci il mio professore di scienze al Liceo, col ciuffo che gli cascava su un occhio con quella faccia da Tomas Milian ma non il Tomas Milian che faceva er Monnezza, ma il Tomas Milian con tutti i capelli di quando non aveva ancora perso i capelli e si metteva lo zucchetto con sotto il parrucchino per coprirsi la pelata, pure Guarducci non aveva fatto il virologo perché inibito dalla potenza, dalla maestosità di sua maestà Giulio Tarro. Del 38, soli due anni meno di mio padre e quando io, a metà anni Ottanta facevo il liceo giù (in senso geografico) o su (in senso altitudine, era mille metri) in Alta Irpinia, Tarro non aveva nemmeno cinquant’anni, era, voglio dire, più giovane dell’età che ho io ora, ma a differenza mia che non ho isolato manco mezzo schizococco lui aveva già isolato il vibrione del colera a Napoli, e dopo s’era lanciato a mani nude contro l’epidemia dell’Aids, dopodiché io mi iscrivevo a medicina intanto che lui sgominava il male oscuro di Napoli, come gli piace chiamarlo, anche detto virus respiratorio sincinziale quello sì che ammazzava quasi tutti i bambini sotto i due anni affetti da bronchiolite. Solo che gli scientisti del CICAP dicono che mente, non è lui ad aver scoperto il virus perché alcuni ricercatori di Napoli l’avevano bruciato sul tempo di pochi mesi. A quel tempo i medici mi sa che ancora non si valutavano sulla base di un numero che ti dice quante pubblicazioni prestigiose hai fatto e quante volte vengono citate (se sei tu stesso a citarti non gli importa all’h-index), e lui ancora non lo sapeva che trascurando le pubblicazioni si sarebbe ritrovato nel 2020 con h-index 10 (più basso perfino del 26 di Burioni). Perché lui negli anni 80 si è già scassato il cazzo del giochino a cui giocano Burioni e quelli del patto per la scienza, il giochino che più pubblicazioni hai più ce l’hai sulle riviste che contano più te le citano più sei scienziato affidabile, e perché si scassa il cazzo? Devo fare un salto indietro di soli mille anni per spiegarlo per bene, ecco che siamo nell’anno mille, quando tutto è condizionato dai potenti ecclesiastici della Chiesa cattolica. L’uomo è al centro dell’universo, in bilico tra due forze: dio e il diavolo. Ma siamo al Quattordicesimo secolo e tale visione va in frantumi. Lutero e nuove chiese. Sedicesimo secolo e anche l’astronomia tolemaica va in frantumi, l’uomo sopra il suo pianetino non è più il centro dell’universo. Ecco che emerge una nuova religione: la scienza. La scienza invia nel mondo i suoi esploratori, gli scienziati, armati non più della fede ma del metodo scientifico, questi esploratori devono portarci la spiegazione della nostra esistenza: perché siamo al mondo? Perché siamo vivi? Ma questi esploratori, armati del debole metodo scientifico, non ci hanno mai dato una risposta. Ci hanno dato altro: il lavoro, per raggiungere una alta qualità della vita, è diventata la nostra unica ragione di vita, di più, è la nostra religione. La bella vita. E ci siamo dimenticati della domanda originaria: perché siamo vivi? Ecco, gli esploratori su cui avevamo riposto la fiducia non sanno rispondere, gli scienziati non lo sanno perché diavolo siamo vivi, quel che sanno dirci è come vivere meglio, in buona salute, un po’ più a lungo, il colesterolo, la pressione alta, il buco nell’ozono, chiudersi in casa perché in casa il virus non penetra, queste cazzate qui. Gli esploratori, gli scienziati, che avevamo inviato nel mondo, non sanno darci risposte. Sono muti. Sono afoni. Balbettano. Fanno ipotesi. Le camuffano da certezze. Dicono cose astruse. Big bang. DNA. Non sanno di che cosa parlano. Pure loro, sono terrorizzati, non lo dicono, non ce lo diranno mai, ma pure loro la notte si inginocchiano e pregano, a chi? A cosa? Non ce lo diranno mai. Quel che riuscirono a fare, per qualche centinaio di anni, fu farci credere che grazie a loro, grazie alla scienza, il mondo fosse diventato un luogo sicuro, sicuro perché prevedibile, c’erano finalmente delle leggi cosmiche che Newton aveva capito: l’universo si muove come un immenso ingranaggio macchinico. Einstein però lo smentì. Quel che sembra solido e sembra rispondere a leggi meccaniche non è solido, ma è un vuoto che sembra pieno, un vuoto attraversato da energia, noi stessi siamo energia. Se noi siamo energia la nostra energia può condizionare le leggi, o meglio, quelle che sembrano le leggi fisse del cosmo. Ha ragione Rupert Sheldrake: come abbiamo fatto a credere a una cosa tanto stupida: che il cosmo ha le leggi? Gli umani si danno le leggi! E pure le leggi degli umani cambiano. Il codice napoleonico non è durato per sempre. Lo stesso la legge gravitazionale. Il tempo atomico. La velocità della luce. L’RNA di un virus. Tutto cambia. Il cosmo non obbedisce a leggi. Se mai ha delle abitudini. Abitudini che cambiano. Il cosmo è anarchico. Ecco perché abbiamo bisogno di altri esploratori, e questi altri esploratori, più coraggiosi, fuorilegge, anarchici, non ce la fanno a raccogliere come i punti della Miralanza le pubblicazioni sulle riviste di impact factor che legittimino l’essere scienziato. Ci sono alcuni (io sono tra questi, io smisi di fare pubblicazioni scientifiche scientemente appena entrato alla specializzazione) che non ce la fanno: gli pare una cosa troppo stupida. Ce lo vedete Socrate, che nemmeno voleva scrivere, per cui già la scrittura era una sciocchezza, o Eraclito l’oscuro o Platone, a collezionare pubblicazioni scientifiche? Ma soprattutto, per mia esperienza (parlo degli psichiatri) quelli che pubblicano molto di solito hanno poco tempo per dedicarsi ai pazienti. Faccio un esempio che riguarda lo scrivere: perfino quelli che scrivono molto nelle cartelle cliniche hanno meno tempo per i pazienti. Mettiamo i fenomenologi. Parlano mezzora con un paziente. Ne impiegano dieci per scrivere di lui, di quel colloquio. Che verrà pubblicato. Ci sono viceversa psichiatri che non scrivono. Non solo perché non sanno scrivere. Ma perché percepiscono meglio di chi scrive che le parole sono sempre una mappa imperfetta della realtà, o della persona di cui stanno scrivendo, o del suo disturbo. I fisici moderni (gli scienziati più avanti di tutti) al pari dei mistici orientali, l’hanno capito, che la mappa non è il territorio, che scrivere o dare numeri di un fenomeno non equivale alla puntuale descrizione del fenomeno. Insomma, io penso che gli scienziati dovrebbero essere un po’ più Zen e avere sempre in mente che nel momento in cui parli, o descrivi, o dai un numero di un fenomeno, ecco che ti è sfuggito. Ma torniamo a Tarro, sua maestà Tarro, il più feyerabendiano il più raoultiano dei virologi italiani (fateci caso, hanno la stessa idea di come affrontare questo virus, nonostante il druido Didier Raoult che adesso mi chiama ogni sera per darmi la buona notte abbia un h-index di 174 secondo al mondo solo a Anthony Fauci l’americano che ha 175) talmente epistemologicamente anarchico che negli anni 80 si mette a studiare, manco fosse uno sciamano, le urine di capra del veterinario Bonifacio Liborio, per vedere se davvero sono anti-cancro come il veterinario di Agropoli sosteneva, e perché no? Il suo problema (scientifico) è che si dimentica di fare le pubblicazioni, quel castello di carta e di numeri su cui si regge purtroppo la credibilità scientifica (quante pubblicazioni ha uno sciamano?). Passa il tempo, lo candidano due volte al Nobel (alcuni dicono il Nobel mancato, altri obiettano che come si poteva candidare al Nobel uno che aveva smesso di costruire il castello di carte e numeri, che si era fermato a un misero 10 di h-index, poteva candidarlo giusto Paul K. Feyerabend) ma sai come vanno queste cose, ciò che sappiamo è che (a differenza di Montagnier, di cui parlo nella prossima puntata) non lo riceve il Nobel, ma io dico che avrebbe potuto riceverlo, perché un medico non deve essere per forza un ricercatore, ci sono medici che lavorano coi numeri e medici che lavorano con le persone, vogliamo premiare dei matematici o degli umanisti?

Non lo so, fatto sta che né io né Guarducci abbiamo fatto i virologi e questo di sicuro per colpa di Tarro. Non c’era lezione in cui Tomas Milian Guarducci non nominasse Tarro, ogni volta spiegava un argomento e infilava la frase: vi dico pure di più, e quel di più glielo aveva detto Tarro, sono cresciuto col mito di Tarro, per me era il virologo, non mi sarei stupito che avesse preso il Nobel, poi non lo ha preso e adesso tutti a dire che s’era messo a collezionare titoli e lauree honoris causae pezzotte e pubblicazioni su riviste zero impact factor, l’avessi saputo prima che non era sua maestà ma un mezzo intrallazzino mi sarei incamminato senza il timore di Tarro sulla via della microbiologia, dico microbiologia perché in Italia da un pezzo non c’è più la virologia ma si studiano tutti i microbi, sia quelli piccoli i virus sia quelli più grossi i batteri, un po’ com’era prima per la via che invece ho scelto, che fino a metà anni 70 era legata insieme con la neurologia poi si sono biforcate, se no sarei stato pure io come Basaglia un neuropsichiatra, ecco, il microbiologo è il neuropsichiatra della microbiologia. Insomma, sarebbe stata colpa di Tarro se avessi deciso, pure io, di fare il microbiologo, ed è stata colpa di Tarro se non l’ho fatto e mi dissi, quando ero lì che dovevo decidere, ma che mi frega dei virus, qual è, a parte i virus, la cosa più figa da studiare? (chi sceglie medicina si può stimare la sua megalomania a seconda della specializzazione che si sceglie, se scegli ortopedia sei un tipo molto pratico, non scegli di occuparti di massimi sistemi, se scegli di fare lo psichiatra, Freud e Jung insegnano, sei il più megalomane sulla piazza. Che poi la maggior parte degli psichiatri si scordi la megalomania e conduca una vita professionale micromanica e micragnosa, dove o conversa annoiato con fobici da lettino o mette a letto legati i più pazzi da legare, questo è un altro discorso che non credo convenga approfondire qui, in questa rubrica, dove il focus sono i piccoli germi e i piccoli uomini) Insomma: tra Tarro e Basaglia scelsi Basaglia.
Per cui potete immaginarvi la meraviglia, lo sgomento, l’imbarazzo, quando Tarro in persona mi chiama in ospedale? L’assistente sociale, ormai arresa a farmi da segretaria alle continue chiamate da tutto il mondo, in tutte le lingue, in tutti gli stati di coscienza possibili mi fa: ti cerca uno, dice di essere il professor Giulio Tarro. Ma è un tuo paziente?

Ue’ Cipriano, che piacere! Ho sentito molto parlare di te. Ho letto un po’ di cose che vai scrivendo qua e là. Interviste, cosucce. Vedo che mò ti occupi pure di virus. Dovevi fare il virologo tu, non lo psichiatra. Comunque ti dico una cosa: non sarai virologo ma ti sei avvicinato. Tutti ‘sti virologi allarmisti, un anno due a convivere col virus. Ma quando mai? E con quali dati lo possono affermare? In realtà possono succedere tre cose. Segnatele. Hai preso carta e penna? O succede come per la prima SARS, quella del 2002/2003, ti ricordi? Durò circa sei mesi con più di ottomila contagi e quasi il 10% di mortalità, e quella sì che erano cazzi, per fortuna scomparve da sola. Oppure succede come successe con la MERS, nel 2012, una cosa a macchia di leopardo, lì ce la cavammo con gli anticorpi monoclonali e quelli ricavati dai guariti. La terza possibilità è che succeda come con l’influenza aviaria: continuerà a circolare, ma la maggior parte delle persone avrà gli anticorpi, per cui diventerà come un’influenza stagionale.

Io propendo per quest’ultima. Penso che tutto si concluderà come un’influenza stagionale. Questa è l’evoluzione che prevedo. Tieni presente che il Covid-19 potrebbe aver iniziato a circolare da noi già dalla fine dell’anno scorso. Tanto è vero che a fine 2019 ci sono state molte complicazioni polmonari simili all’influenza. Se andiamo a confrontare i numeri dei contagiati da coronavirus con quelli relativi all’influenza del 2019, vediamo che questi ultimi sono di gran lunga maggiori.

Ma allora perché, tu mi stai per chiedere, con questo coronavirus si sta facendo tutto ‘st’ammuina? E’ questo che vuoi sapere? E lo vorrei sapere pure io. Non so che dirti. Tutti i santi giorni alle 18 ci hanno fracassato la uallera coi bollettini di guerra: numero dei contagiati, dei morti e dei guariti, ma è una finzione numerica. Non sono numeri affidabili. Perché si basano sul numero di tamponi, e ‘sti tamponi so’ una cazzimma. Inaffidabili per un terzo. Per capire, ma overamente, quante sono le persone che hanno incontrato il virus dovremmo fare i test sierologici, cercare gli anticorpi: hai le IgM? Bene, hai la malattia in corso, anche se non hai sintomi devi stare a casa. Hai le IgG? Bene l’hai superata, sei guarito e non sei contagioso, te ne puoi uscire. Invece il governo vieta l’esame del sangue e ci scassa la uallera coi tamponi.

L’università di Oxford ha calcolato una percentuale di persone contagiate, in Italia, intorno al 60%. Luca Foresti e Claudio Cancelli, affermano che vi sono, in Italia, circa undici milioni di contagiati. Bastano questi dati, incrociati con quelli pubblicati dall’Iss che dice che, delle prime 909 vittime, solo 19 sono legate al coronavirus. La mortalità del Covid-19, avendo presente queste cifre, è intorno all’1%. Forse anche 0,05%. Questi so’ i dati scientifici su cui bisogna parlare, e non quelli che utilizzano virologi tipo Burioni e Capua. Embè ma quelli hanno fatto le pubblicazioni, quindi mò possono dire il cazzo che gli pare. Fatti il nome e vai a rubare, si dice a Napoli.

Tu mò vuoi sapere da me se è tutto un complotto scientifico, per produrre un vaccino a tutti i costi? Eh quelli già dicono che io so’ contro i vaccini. Perché così funziona, se ne critichi uno vuol dire che sei contro tutti. Devi dire obbedisco ai signori dei vaccini, per non essere no-vax. Io parto sempre dalle esperienze precedenti. Nel caso della prima SARS il vaccino non ci fu perché il virus scomparve da sé; ma vennero usati gli anticorpi monoclonali su dei furetti in via sperimentale e se ne osservarono gli effetti positivi. Non fu fatto un vaccino nemmeno nel caso della MERS, perché vennero utilizzati sia gli anticorpi monoclonali che le gammaglobuline dei soggetti guariti. Le IgG che dicevo prima. Adesso si parla del vaccino per il Covid-19. Perché diosanto? Nel caso della prima SARS, il coronavirus che la causò ebbe una differenza, a livello genetico, rispetto all’originale. Lo stesso la MERS, la cui differenza riscontrata rispetto all’originale fu addirittura maggiore. Nel caso del Covid-19, degli studi scientifici hanno osservato una modifica genetica del 12% dall’originario nel pipistrello; e, molto probabilmente, vi è una ulteriore differenza per ciò che riguarda il ceppo padano. E quindi: come si può creare un solo vaccino che vada bene sia per la versione cinese che per quella padana e per quella americana che è ancora diversa? Il vaccino deve essere buono per tutti e non solo per alcuni. Anzi, ti dirò di più…

Sì?

Sei sempre il solito boccalone Cipria’! So’ Guarducci, o prufessore ‘e scienze! meno male ca nun è fatt’ o virologo Cipria’, si no stemme frische.

*

Non mi faccio certo abbattere da Guarducci che si spaccia per Tarro. Ci vuole altro. Sistemo i quattro ricoverati. Appena ho un attimo di respiro abbasso la mascherina levo la cuffia dalla testa (non mi taglio i capelli per principio, da quando hanno chiuso i barbieri) e chiamo subito Maria Pia per dirle che mi ha chiamato Guarducci. Era più brava di me di un punto lei 60 io 59 all’esame di stato, come me decise di fare medicina ma lei è finita a fare la rianimatrice io invece addormento gli agitati. In due saremmo stati una coppia perfetta. Non si è mai sposata. Come una suora, s’è spostata con Esculapio. Lavora a Napoli. Appena c’è stata l’ecatombe a Bergamo è partita come volontaria. E’ sempre stata una crocerossina, non poteva fare altrimenti, una che l’hanno chiamata Maria Pia. Tra mezz’ora attacca il turno, in una delle rianimazioni della città lombarda più colpita.

Piero ascolta. Sono qui da un mese e mi sono fatta delle idee. Appena sono arrivata, pian piano, sentendo i colleghi, era chiaro ciò che non aveva funzionato. Qui, in Lombardia voglio dire, era tutto ospedale e tutto privato. I medici di medicina generale, il territorio, non esistevano più. E’ successo che i medici, all’inizio sono stati mandati allo sbaraglio, si sono infettati, ammalati, molti sono morti, per cui i malati, senza medici di base pronti, sono rimasti a casa a peggiorare, quando arrivavano in ospedale era troppo tardi, lì finivano in rianimazione a morire. All’inizio non si capiva in che modo il virus ammalava. Tutti a dire che era una polmonite interstiziale, ma non era solo una polmonite interstiziale, erano coinvolti tutti gli organi, il virus colpisce l’endotelio dei vasi sanguigni di tutti gli organi. Perché succede che, nel tentativo di fermare il virus, le cellule infette e il sistema immunitario producono una tempesta di citochine che genera una fortissima infiammazione, che può causare danni all’organo e difficoltà respiratorie.

Vedi Piero: ora la patogenesi è molto più chiara, nelle sue fasi. C’è una prima fase, diciamo virale, la cui sintomatologia è simil influenzale, bene, questa può anzi deve essere affrontata a casa, ma non come si è fatto finora dando il paracetamolo per controllare la febbre, no, la febbre anzi fa bene, è antivirale la febbre, è un vero e proprio farmaco, qui bisogna subito giocare d’anticipo con farmaci antivirali, con idrossiclorochina e con eparina, tra poco ti spiego perché. Siccome ciò nelle prime settimane non veniva fatto, moltissimi pazienti infettati (quelli con certe caratteristiche che tra poco ti dico) passavano nella seconda fase, che potremmo dire polmonare. Vanno incontro a ipossia, desaturano, hanno dispnea. A questo punto i pazienti venivano portati in ospedale ma era tardi perché rapidamente evolvevano verso la terza fase, quella iperinfiammatoria. Una tempesta di citochine, che dà luogo alla gravissima Coagulazione Intravascolare disseminata, la CID, te la ricordi? E questa va affrontata in terapia intensiva e anche lì non sempre ce la si fa.

Ricapitolando. Non bisogna attendere la fase due e tre per intervenire, che cioè sia colpito il polmone e l’endotelio dei vasi e una compromissione dei vari organi, lì è troppo tardi, soprattutto per alcune tipologie di persone (obesi, diabetici, ipertesi). Bisogna intervenire nella prima fase con idrossiclorochina (sì, il farmaco antimalarico del tuo amico Raoult), con antivirali e con eparina. Perché l’eparina? Perché non solo ha un ruolo antitrombotico dunque protettivo sulla parete endoteliale, ma stranamente (questo pochi lo sapevano, lo stiamo scoprendo adesso) è un immunomodulatore, che sinergizza col Plaquenil (ovvero l’idrossiclorochina) nell’attutire l’eccessiva risposta immunitaria dell’organismo al virus.

Ora mi chiederai perché certe persone se la cavano peggio con l’infezione del coronavirus covid-19? Questa è l’elemento nuovo che fino a poco fa non si conosceva: tutti i pazienti più gravi e che sono morti (anche quelli giovani, anche Sepulveda, il mio amato Sepulveda) sono pazienti con uno stato infiammatorio generale già prima dell’infezione: persone obese o sovrappeso, persone ipertese, persone diabetiche, insomma tutti quelli che già avevano un cronico stato infiammatorio in atto. Cosa ci dimostra questo virus, Piero? Che bisogna fare prevenzione, ecco cosa. Bisogna ridurre lo stato infiammatorio con cui le persone viaggiano per tutta la vita. Ci sono persone che mangiano male, mangiano zuccheri, farine, si muovono poco, assumono farmaci per contrastare gli effetti dell’alimentazione e della sedentarietà, antipertensivi antidiabetici anticolesterolo eccetera, anche gli psicofarmaci che date voi psichiatri, lo sai, non fanno bene, fanno ingrassare, sindrome metabolica, anomalie cardiache, diabete, i tuoi pazienti dovete poi dargli farmaci per cuore diabete pressione, è un serpente che si morde la coda, aggiungici l’inquinamento per chi vive in luoghi inquinati, chi vive nelle grandi città, o in una regione inquinatissima come la Lombardia, ecco: a persone già cronicamente infiammate e intossicate, il virus dà il colpo di grazia. Ora, io, da rianimatrice, assisto con perplessità alle discussioni di tutti questi dotti virologi che sanno solo blaterare di vaccino. Il vaccino, tutti lo aspettano come la soluzione definitiva, per uscire sicuri di casa. Piero, non so come la pensi anzi sì, conoscendoti lo so come la pensi, ma io non so se sono più scemi o in malafede, oppure sono sia scemi sia in malafede perché le due cose sono inestricabili, ma ne avessi sentito uno di questi super virologi che parli di prevenzione, che parli delle cose di buon senso, di come fortificare l’organismo umano per renderlo meno disarmato quando arriva il virus, cose di base tipo non alterare il microbiota intestinale, ma c’è qualche virologo che si è mai occupato di microbiota? Eppure lì c’è un universo intero di microbi. Avessi una volta soltanto sentito Burioni nominare il microbiota. Sa solo ripetere vaccino, vaccino, vaccino, per velocizzare prendiamo mille sani infettiamoli e vediamo che succede, ma perché non ti offri tu per dare il buon esempio? E non solo non nominano mai il microbiota, ma pure la vitamina C o D o il sole, stare al sole sembra un rimedio troppo nonnesco e poco virologhese per essere nominato. Proibiscono i parchi proibiscono le spiagge ma si può essere più idioti anzi, dico di più, criminali? Per loro esiste solo il vaccino. Ma io dico: due mesi fa eravamo senz’armi, ora sappiamo che con eparina idrossiclorochina e antivirali oppure Zitromax le persone ce la fanno, perché dover per forza fare in pochi mesi un vaccino, saltando tutti i trial e non sapendo se sarà efficace, e se sarà sicuro e soprattutto… Piero, con tutto questo can can che hanno fatto, un vaccino trovato in tutta fretta che verrà quasi sicuramente imposto a mezzo mondo… Scusami Piero, avrei molte altre cose da dirti, ma inizia il turno. Buon lavoro anche a te. E… corri, corri, corri tu che puoi.


[Chiamate telefoniche precedenti]

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Chiamate telefoniche – 4 https://www.carmillaonline.com/2020/04/25/chiamate-telefoniche-4/ Sat, 25 Apr 2020 21:30:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=59669 di Piero Cipriano

Giorgio Agamben non risponde ho provato tre volte solo stamattina allora chiamo a lei che non è Giorgio Agamben non nel senso che è più fesso di Giorgio Agamben, sì be’ un po’ anche quello, voglio dire, non c’è paragone, ok lei ha ancora una trentina d’anni per recuperare ma se le premesse sono queste non credo che ce la farà, a ogni modo lei non è un filosofo, non le compete filosofare, lei scribacchia, se la cava, ma il suo forte è stare in ascolto degli umani, il suo compito è stare come un indiano con l’orecchio [...]]]> di Piero Cipriano

Giorgio Agamben non risponde ho provato tre volte solo stamattina allora chiamo a lei che non è Giorgio Agamben non nel senso che è più fesso di Giorgio Agamben, sì be’ un po’ anche quello, voglio dire, non c’è paragone, ok lei ha ancora una trentina d’anni per recuperare ma se le premesse sono queste non credo che ce la farà, a ogni modo lei non è un filosofo, non le compete filosofare, lei scribacchia, se la cava, ma il suo forte è stare in ascolto degli umani, il suo compito è stare come un indiano con l’orecchio appizzato al suolo per capire da dove arriverà la catastrofe, lei dirà ma non era questo il compito dei filosofi? Un tempo, forse. Ora i filosofi come se si fossero ritagliati solo il momento della diagnosi e della descrizione fenomenica del mondo, il momento della terapia, almeno a me così pare, non gli interessa più, ecco perché chiamo lei che è un semplice psichiatra disteso per terra con l’orecchio in attesa di sentire le avvisaglie del terremoto. Ma soprattutto la chiamo perché lei è così gentile da rispondere, o forse è solo pervaso da un senso di colpa, un senso di colpa che solo lei sa, e che io non voglio sapere. Oggi finalmente, era da un po’ di giorni che ci ruminavo ma oggi mi sono davvero reso conto che il virus, e questa pandemia, vera o farlocca non ci importa, ha diviso il mondo in due. Non più destra sinistra, conservatori progressisti, fascisti comunisti: tutto superato, roba vecchia, non esiste più. L’ho capito dall’intervista che il prestigioso La verità ha fatto a Giorgio Agamben. Il nostro, siccome non trova più spazio nei media di sinistra spaventati dal virus e spaventati da quello che Agamben dice del virus, parla dove c’è spazio, e lo spazio c’è a destra. Quelli di destra la stanno prendendo (l’epidemia voglio dire) con molto più situazionismo, i sinistri sono storditi e ancora di più si sono rincantucciati nel loro angolino sinistro, non riescono a uscirne nemmeno adesso che fuori non c’è nessuno, è tutto libero, vuoto, potrebbero andare tutti a festeggiare il 25 aprile, la liberazione dal virus, ma sono terrorizzati, si sono dimenticati che i partigiani tra vita e libertà scelsero la libertà, oggi i fan del 25 aprile scelgono la salute, ovvero la vita, e vaffanculo alla libertà, e stanno dentro al calduccio, e si tengono stretta la sciarpa, e si alzano il bavero, e mettono la doppia mascherina anche quando scopano (ammesso che scopino ancora). Ma mi sono appena contraddetto, perché dicevo che sinistra e destra non esistono più, per cui lui (Agamben) non è andato a destra, e se non è andato a destra dove è andato? Tra poco ci arrivo. Ah, il mio, l’avrà capito già dal cognome che è sempre stato la mia maledizione, non mi sono presentato? Ma (pensavo mi avesse riconosciuto dalla voce) sono il suo affezionato Carlo Cafiero Junior, nipote del primo anarchico italiano sfortunatamente morto nel manicomio di Nocera superiore il… va be’, non divaghiamo, il mio dicevo è un ragionare da anarchico, che le categorie diagnostiche destra sinistra noi Cafiero le abbiamo sempre guardate (da molte generazioni ormai) con un nobile vissuto di superiorità.

Che destra e sinistra non esistono più grazie al virus sterminatore di destra e di sinistra lo capisco sa da che cosa? Dai commenti indignati di moltissimi sinistri all’intervista che Agamben rilascia ai destri. Morte ad Agamben. Anzi no, non dicono morte nel senso che gli augurano di morire, ma dicono che è quasi morto, sia fisicamente che filosoficamente. Prende le cantonate, dicono. Perché è vecchio, Agamben. Come è vecchio Tarro come è vecchio Montagnier. I poveri vecchi che, in quanto vecchi, sono contigui alla categoria di no-vax e complottisti o sciechimichisti o terrapiattisti. Ci si mette poco a finire là dentro. Eppure, le storie sono così belle, è così bello ideare complotti, ne vengono fuori così tante piste da seguire, che non capisco perché appiattirsi su un’unica versione. Non capisco perché questa denigrazione per chi ha la passione dei complotti. Ma io dico viva chi sa immaginarsi i complotti. Dovremmo dare il reddito di cittadinanza agli ideatori di complotti, invece no. Chi immagina un’altra versione dei fatti è matto. Tutti fuori di testa allora. La vecchiaia dà alla testa. Si capisce, il cervello dei vecchi si raggrinzisce, smarrisce neuroni, si sfilacciano le sinapsi, e addio a quegli splendidi ragionamenti di un tempo. I sinistri gli piace, ho verificato in questi giorni, più che ai destri, la categorizzazione diagnostica, per i sinistri esistono i fasci esistono i no-vax esistono i complottari, non vedono persone ma vedono categorie. Capisce perché coi sinistri così fessamente categorizzatori (pure io sto categorizzando è chiaro, ma per farle capire dov’è il sinistro errore dei sinistri) non si va da nessuna parte? Per i sinistri i vecchi sragionano. I vecchi non solo sragionano, ma non gli frega niente di morire come ai giovani. Questo rende i vecchi pericolosi. Agli occhi dei giovani di sinistra soprattutto, perché i giovani di destra, non si capisce perché, anelano di più di morire (viva la muerte! gridavano i franchisti). Non si capisce, davvero, perché ai destri scocci meno di morire, i sinistri pensano, dall’alto della propria superiorità sinistra, che ciò sia dovuto alla congenita stupidità dei destri, ma io penso ci sia dell’altro. Secondo me ai giovani di sinistra gli scoccia di più di morire perché i sinistri sono quasi sempre materialisti, atei, e non credono per niente in Dio o in qualcosa di simile (è contro il comunismo credere in un dio supremo, e chi si crede di essere?). I sinistri, dunque, senza dio senza trascendenza senza oltre-vita sono rassegnati al fatto che questa sia l’unica vita. E’ perciò che ai materialisti, ai meccanicisti, ai marxisti, ai newtoniani, ai freudiani il virus fa un fifa blu. Non gli frega che si imponga una App o dieci App (dicono tanto già le App ci sono già siamo schedati ce l’hai o non ce l’hai una carta di credito o uno smartphone? e allora che protesti?) non gli importa che gli piazzino sulla testa migliaia di antennine 5G o 6G o 7G (dicono tanto già hai le 2G e le 3G e le 4G e non protestavi prima cosa diavolo cambia che adesso da 4 siano passati a 5?) non gli scoccia che la formidabile sorveglianza cinese la più imbattibile nello sgominare il virus adesso si trasferisca in Europa e dopo in America. Non gli importa. Basta che si viva. Basta che c’è la salute. Basta che si salvi la pelle. Perché la pelle (e l’io che ci sta incapsulato dentro) una è. Questa un’altra come questa e questa. Allora cazzo dici Agamben che ti lamenti della nuda vita. Ti lamenti perché tu c’hai un’età e tra poco muori ma io che sono comunista materialista ateo di quarant’anni preferisco passare uno due dieci anni di lockdown ovvero carcerato in casa, basta che mi mantengo vivo. Avrò tempo per uscire. E se pure non uscirò, c’è sempre Facebook, che è un luogo sicuro, da cui puoi guardare il mondo senza prendere il virus. Da cui puoi festeggiare la liberazione dal fascismo, il 25 aprile, senza rischiare mai più di morire.

Ecco allora che il virus spartisce il mondo in due, ma non sono più destra e sinistra al diavolo destra e sinistra e al diavolo i destri e i sinistri, adesso il mondo si divide in sopra e sotto. Mi ascolti bene che ho finito e la lascio al suo lavoro di ascoltare i movimenti sussultori delle viscere della terra.

Quelli di sopra sono i mistici (non ho detto i religiosi, ci mancherebbe altro, ci sputo sopra ai religiosi io) nel senso di coloro che per esperienze chiamiamole spirituali, chiamiamole stati di coscienza alterati, oppure perché hanno avuto malattie e sono andati vicini a morire, o hanno fatto digiuni prolungati, o lunghi periodi di isolamento, o sono stati a scuola dagli sciamani, o hanno avuto (come me) crisi di pazzia che si chiama in gergo medico psicosi, o altri fenomeni che non le sto qui a dire ma che lei già conosce insomma si sono avvicinati alla morte, hanno perfino superato di qualche passo la soglia della morte, hanno fatto una decina di passi nei territori dei morti, e poi sono riusciti a tornare indietro. In questo modo sono, per così dire, guariti dalla paura della morte. Perché, secondo lei, io non ho più paura di morire? Ma perché come Ulisse ci sono stato nell’Ade mi sono reso conto, ho creduto di essere morto invece non ero morto e sono ritornato. Ora lo so che quando morirò, in realtà, non morirò. Sto a posto. Pure lei secondo me lo sa, ma non me lo dirà mai. Ma lo accetto. Ecco che quelli (come noi) che stanno sopra, sono gli aerei, stanno con la testa un po’ per aria, ai più sembra che l’abbiano sopra il collo come tutti invece no perché se li guardi con più attenzione noterai che si allunga si allunga sempre più su. Come delle giraffe. Ecco perché quelli di sopra (come noi) non temono più di tanto il nemico aereo, il microscopico demone che viaggia nell’etere. Guariti dal materialismo, è come se credessero che pure lui, il virus che abita le nostre goccioline di saliva, è pure lui uno spirito. E se ci sai fare, e non lo temi, te lo puoi fare perfino amico. E i virus, anche se hanno poco cervello, hanno il senso dell’amicizia. Glielo assicuro.

Quelli di sotto invece sono quei poverini sfortunatissimi che non hanno mai avuto l’occasione di avvicinare la morte, rimasti sempre coi piedi per terra, chiamiamoli i terrestri, mai fatto alcun tirocinio col morire, per cui ne hanno una paura fottuta. E allora altro che: “Siam pronti alla morte Italia chiamò!”, se mai “Fuggiam dalla morte, Italia inchiavardò!”.

Ok. Se io fossi un medico ma non lo sono, sono un biologo ero un grandissimo biologo prima che mi inchiavardassero in questa villa cogli alberi pizzuti, se io fossi un medico questa è la diagnosi che avrei fatto al pianeta o meglio all’umanità di questo momento storico presente. In medicina (lei mi insegna) si procede in tre tempi: la diagnosi (capire qual è il male), la terapia (prescrivere un rimedio), e la prognosi (prevedere come andrà a finire).

Allora, dottore, lo dica lei a Agamben (che non risponde al telefono), e lo dica lei ai sinistri: se questa è la diagnosi la terapia è fare un po’ di tirocinio con la morte.

*

Oggi ne ho ricoverati tre: una, dopo quaranta giorni, ne ha approfittato per fare il punto della situazione, infine ha capito che il virus era Satana moltiplicato per miliardi di particelle e ha gridato al mondo la sua scoperta ma il mondo ha chiamato l’ambulanza, un altro, voleva andare a Ibiza a svagarsi un po’ ma non era possibile, nemmeno comprarsi cocaina e cannabis è riuscito, per cui ha rimediato con il Rivotril, 100 gocce ogni sera per quaranta giorni fanno 4000 gocce finché l’ultima sera ha esagerato: quattro flaconi interi, visto che era finito pure l’alcol in casa, il terzo, invece, non ce l’aveva il virus, sulla carta, perché in pronto soccorso ha fatto ben due tamponi, entrambi negativi, ma aveva tosse e polmonite interstiziale, era sicuro di avere il virus anche se ‘sto merda di tampone dice di no io lo so che è sì, diceva, e rischiava per questa sua tenacia di finire in psichiatria invece è andato a finire in medicina perché dove lo mandi uno che sembra covid ma non è covid ma lui insiste di essere covid? Non va nel reparto covid ma nemmeno in psichiatria ma nemmeno può tornare a casa.

*

La notte, tra un’andata all’ospedale e l’altra, dormo, profondamente, mia figlia piccola dice che russo molto, anzi, più che un russare è un parlare in una lingua sconosciuta, quel che si dice glossolalia, o xenoglossia, ora che me lo dice mi pare di ricordare che pure di notte ricevo chiamate, non solo dall’Italia ma da tutto il mondo perfino da fuori sistema solare.

*

Ma ecco che sono di nuovo in ospedale, provvisto di mascherina chirurgica quella altruistica che protegge gli altri ma non me. Assistente sociale con sorriso tra complice e beffardo mi passa il telefono dice è una che ha letto ciò che scrivi su una rivista.

Ciao, volevo solo ringraziarti per gli articoli che hai scritto da quando è iniziato questo delirio… Ti ho conosciuto così, leggendo uno dei tuoi articoli. Io vivo in Campania, una delle regioni con le misure più restrittive di tutte. Se l’Italia batte tutto il mondo in restrizioni la Campania batte tutta l’Italia nonostante non ci siano tutti questi contagi. Sono una bibliotecaria per cui non posso uscire nemmeno per andare a lavorare. Ho un parco enorme a trecento metri da casa ma ne è vietato l’accesso (vivo in centro ed è sempre pieno di pattuglie). Abito in una mansarda senza terrazzi, ho solo due finestre con le inferriate… Soffro da sempre di depressione e per me la passeggiata solitaria e la luce del sole sono un’esigenza vitale. Ho chiesto alla mia psichiatra/psicoterapeuta se poteva farmi un certificato, ma mi ha risposto di no, perché viene prima la salute pubblica! Io francamente mi sento di impazzire, soprattutto perché le misure andranno avanti fino a metà maggio… Non so manco perché ti ho chiamato, forse perché non trovo altre voci ragionevoli in giro… Perché l’ordine degli psichiatri e quello degli psicologi non si uniscono per chiedere e rivendicare delle cose, tipo il diritto a una camminata? A me questa situazione sembra totalmente assurda…
Cade la linea.
Torna l’assistente sociale: è quella di prima, era caduta la linea. Ah ti volevo dire che ho letto con interesse le avventure di Semmelweis… Io non sono coraggiosa come Anarchik e non ho uno stipendio tale per cui possa fregarmene della multa (come quell’ingegnere di Cattolica, un mito, che esce tutti i giorni e ha già collezionato nove multe!). Allora cosa faccio? Corro su e giù per le scale del mio palazzo, come una matta, dal terzo piano al piano terra, dal piano terra al terzo piano, sperando che i vicini non mi vedano. Cammino per casa, leggo, accarezzo i gatti, cammino per casa, leggo, telefono, accarezzo i gatti, provo maldestramente a fare ginnastica in camera, coltivo i pensieri ossessivi. Così da cinquanta giorni. Mi arrampico sopra l’armadio e mi stendo lì, l’unico posto in cui arriva un raggio di sole dal Velux. Ho anche pensato di uscire sul tetto, ma i miei soffitti sono troppo alti, non ci arrivo. Maledico la volta in cui ho preso in affitto questa cazzo di mansarda senza finestre e senza terrazzo. Poi, certo, esco una volta al giorno per buttare i bidoni, giro intorno al palazzo due o tre volte, in bilico tra l’alienazione e la magia di vedere cose diverse da quelle delle quattro mura, il cielo, gli uccelli, le aiuole. Sono compiaciuta di non mettere la mascherina all’aperto, ma molti mi guardano male, con sguardo di disapprovazione. Io devo respirare, devo prendere aria e luce, aspetto tutto l’anno la primavera perché risveglia un po’ il mio istinto vitale sopito. Chi avrebbe mai pensato che fare una passeggiata sarebbe diventato un privilegio? Ti fanno sentire in colpa se solo osi lamentarti, perché c’è gente che sta peggio di te, perché non pensi ai malati o ai medici… Certo, c’è sempre qualcuno che sta peggio, ma francamente questo pensiero non mi ha mai confortata… Riscrivo alla psichiatra, niente da fare: propone solo farmaci (che avevo appena smesso, faticosamente, dopo anni) o sedute via Skype. Ok, sbatto la testa contro il muro? No, vado sul pianerottolo, unica finestra senza inferriate, fisso per mezz’ora l’ago del rosmarino o il petalo di un geranio… Leggo, mi incazzo, mi indigno, scrivo lettere di protesta, ma nessuno mi caga. I ragazzi autistici dove facevo volontariato non dormono più, non mangiano più. Alcuni provano a uscire coi genitori, ma qualcuno sputa loro dal balcone. Dove sono finita, mi chiedo? E il picco? Tre quattro settimane fa l’abbiamo raggiunto, ma oggi lo scienziato di turno dice di no, ancora no. Probabilmente stanno mettendo le mani avanti per prorogare ancora le misure. Picco, plateau, mascherine obbligatorie, plexiglass in spiaggia, scuole chiuse anche a settembre, nuova ondata in autunno, suicidi, restate a casa detto da una mega villa con parco e famigliola felice, vaccino, fabbriche aperte ma parchi chiusi… Boh, la realtà è sempre più fantasiosa degli incubi. Se osi criticare, diventi immediatamente complottista, negazionista ed egoista. Leggo di una avvocatessa tedesca che si è permessa di evidenziare l’illegittimità delle misure restrittive e che è stata prontamente rinchiusa in una clinica psichiatrica… Ahahah, nulla di nuovo. Vado a leggere La montagna incantata, che è meglio. Ah, e speriamo che il tuo amico, quello là, il basagliano chiamato nella task force, possa finalmente farli ragionare un attimo… Non ci vuole un genio della psicosomatica per capire quanto l’umore sia legato al funzionamento del sistema immunitario… E della vitamina D manco a parlarne… Persino l’OMS ha consigliato regolare esercizio fisico all’aria aperta per aumentare le difese dell’organismo. Forse dovremmo costituire un comitato dei runner: cazzo, non sono mai andata a correre in vita mia, ma adesso inizio apposta. Quanto mi irrita la retorica pelosa del sacrificio individuale per il bene collettivo…! E dello Stato, padre padrone, che ti dice cosa puoi e non puoi fare, ma solo a fin di bene eh, per proteggere la tua salute, come se fosse mai stato realmente interessato al nostro benessere… Ma come fa la gente a crederci? Dai, è ridicolo!

*

Sto per andarmene mi sono levato pantalone bianco giacca bianca camice bianco e mascherina azzurra ho di nuovo abiti civili sto passando il badge per uscire di scena dalla mia rappresentazione teatrale di sensitivo che ascolta i messaggi che vengono dal centro della terra quando l’assistente sociale mi porge il telefono, chi è stavolta? E’ di nuovo quel gentiluomo di Calo Cafiero junior, ha detto che appena lo dimettono dal sanatorio per pazzi mi invita a cena.

Come le avevo promesso ecco un decalogo, un decalogo di sopravvivenza anarchica non solo a questi tempi ma in generale alla vita, come sopravvivere alla vita. Anzi più di un decalogo, le prime venticinque regole da imparare a memoria per non impazzire di questi tempi schizofrenogeni.

1. Se il governo dice non uscire, tu non uscire.
2. Se il governo ha un attimo di incertezza e dice adesso puoi uscire con un figlio tu esci, portalo a vedere il mondo, ma avvolgilo con una mascherina di modo che il virus non gli penetri le cavità oronasali.
3. Se il governo dice dobbiamo aspettare il vaccino per uscire, tu aspetta fiducioso il vaccino.
4. Se il governo dice (anzi, se gli scienziati del governo dicono) che il virus è nell’aria, vuol dire che neppure la spesa è sicura, allora tu sii più accorto del governo, non uscire neppure a fare la spesa, indossa la mascherina anche in casa, avvolta in una sciarpa di lana, levala solo quando dormi, ogni notte mettila a bagno Maria e dopo passala nel microonde, perché i vibrioni sono nell’aria. E quelli mica scherzano.
5. Procurati una fionda.
6. Se hai un arco con delle frecce, meglio, vuol dire che sei a cavallo.
7. Anche se il governo non lo dice, e non lo dirà mai: è venuto il momento di farsi un cane. Un cane piccolo, un cane da taschino, un cane poco più grande di un criceto. Un cane, per essere portato a spasso dal cane. Che, se ti ferma il poliziotto: dove vai? Vado col cane.
8. Se hai un figlio se ne hai due se ne hai tre, dimenticati di aver un figlio due figli tre figli. Lasciali o meglio abbandonali, come un tempo era bello lasciare i cani in autostrada (che bei tempi quando ancora era possibile andare in autostrada, quando era possibile lasciare i cani in autostrada, non torneranno più quei tempi meravigliosi dove tutto era possibile) davanti al telefono. Con l’abbonamento Netflix. O Amazon. O Disney plus. Con un pacco di Nutella biscuits a fianco. Meglio se con una decina di pacchi. Sopravviveranno.
9. Le lezioni? Le videolezioni? Boicottale. Tanto c’è la sanatoria. Promossi tutti. Di’ che non c’è il collegamento. I professori e le maestre ti ringrazieranno. Pure loro, non ne possono più.
10. Il lavoro? Non sei un lavoratore da telelavoro? Niente smart working? Meglio! Mettiti in malattia. Mal di schiena o depressione da epidemia. Un bel mesetto di malattia pagata e passa la paura.
11. Sei un libero professionista o un precario? Eri disoccupato già prima della quarantena? Non hai la paga mensile statale? Ahi ahi ahi. Bisogna inventarsi qualcosa allora. Aspetta che ci penso.
12. Spegni la televisione, anzi, di notte, quando tutti dormono, lasciala cadere dal balcone del quinto piano. Che bel botto. Vedrai. Nel giro di pochi giorni avrà un effetto epidemico. Inizieranno le precipitazioni televisive. I tg titoleranno: il suicidio di massa delle televisioni. Nuova epidemia.
13. Pian piano, ogni notte, lancia un libro dal balcone, o dalla finestra. Comincia da quelli che hai letto. Comincia da quelli più grossi, inutili. Le strade saranno lastricate di carcasse di televisori e di libri.
14. Vedrai che la casa inizierà a respirare. Lo spazio aumenta. C’è più silenzio. Quella televisione che assorda. Quei libri che ti puntavano il dito. Fanculo i libri. Ora avete finito (dico ai libri) di puntare il dito. Ora puntate il dito tra di voi. Alla discarica della carta.
15. Trascorrere molto tempo al sole. Se avete un terrazzino, denudarvi, sdraiarvi al sole, passare tutte le ore di sole sotto il sole. Buon umore e vitamina D. Possibilmente senza mutande. E senza reggiseno.
16. Bere molta acqua. Dal rubinetto. Costa poco. Non si fatica a portarla su e giù. Nell’acqua non c’è vibrione. Il vibrione è solo nell’aria.
17. Non respirare, dunque.
18. Iniziare un digiuno. Mangiare solo a pranzo e cena. Poco.
19. Hai un lavoro? Smetti all’improvviso di andarci, datti malato. Che malattia? La depressione. Vogliono una prova che sei depresso? Sporgiti al balcone, nudo (senza mutande) e dici ora mi butto (ma senza esagerare, se no ti ricoverano) (ma in generale pure esagerando non potranno ricoverare migliaia di persone abbronzate di sole e nude, se no si intaseranno i reparti psichiatrici come prima si intasavano le rianimazioni e siamo punto e d’accapo a dire eh ma ci sono pochi letti per i pazzi).
20. Se hai l’auto vendi l’auto.
21. Se non hai una bici, compra una bici (tra poco iniziano gli incentivi per le bici).
22. Vai a spasso con la bici. Vogliono sapere dove? A fare la spesa. In farmacia. In tabaccheria. Al Bingo. Al SERD.
23. Gira in tondo come un derviscio intorno al tuo palazzo, l’attività fisica è importante.
24. Non tagliare mai più i capelli finché non riapriranno i barbieri.
25. Intanto che fai queste cose apparentemente fuori di testa, inizia a pensare alla rivolta.

[Chiamate telefoniche precedenti]

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Chiamate telefoniche – 3 https://www.carmillaonline.com/2020/04/11/chiamate-telefoniche-3/ Sat, 11 Apr 2020 21:00:11 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=59355 di Piero Cipriano

[Chiamate telefoniche precedenti] Questo scritto ha per oggetto… ok l’incipit s’è capito, il riferimento a Bolaño pure, ieri mi rileggevo le sue Chiamate telefoniche, che avrebbe scritto, il cileno, della pandemia? La pandemia aveva ormai raggiunto il picco, o almeno il primo dei picchi, che nessuno lo sapeva quanti picchi ci sarebbero stati, si iniziava a respirare, ma non fuori casa, sempre dentro casa, perché la libera uscita era posticipata a maggio, forse a giugno, o a settembre. Ritorno graduale alla normalità. Prima apriamo le fabbriche, dopo, molto dopo, apriamo i parchi. Prima la catena [...]]]> di Piero Cipriano

[Chiamate telefoniche precedenti] Questo scritto ha per oggetto… ok l’incipit s’è capito, il riferimento a Bolaño pure, ieri mi rileggevo le sue Chiamate telefoniche, che avrebbe scritto, il cileno, della pandemia? La pandemia aveva ormai raggiunto il picco, o almeno il primo dei picchi, che nessuno lo sapeva quanti picchi ci sarebbero stati, si iniziava a respirare, ma non fuori casa, sempre dentro casa, perché la libera uscita era posticipata a maggio, forse a giugno, o a settembre. Ritorno graduale alla normalità. Prima apriamo le fabbriche, dopo, molto dopo, apriamo i parchi. Prima la catena di montaggio, poi la passeggiatina.

Il fenomeno delle chiamate iniziò a preoccuparmi quando pure nei sogni il telefono squillava senza tregua, però nei sogni lo squillo non era una suoneria di smart phone o di cercapersone ospedaliero, era il trillo di un telefono a gettoni. Si assottigliava il mio meritato riposo. Ma perché devo rispondere a tutti io? Ma perché non chiamate Andreoli o al limite Recalcati? D’accordo è un filosofo non uno psichiatra non vi saprà dare (come me) quei bei farmaci contro la claustrofobia, ma vi parlerà del ritorno a casa, di come si sta bene a Itaca. Vuoi mettere? Sarà perché facevo la notte nel dedalo, e mi sono addormentato tardi. Una donna venuta in pronto soccorso ho dovuto convincerla a tornare a casa ma lei non voleva tornare a casa, dice almeno così ho la scusa per uscire. Non avevo sonno erano le tre e ho non dico riletto perché l’avevo già letto due volte e un po’ volevo dormire, ma ho sbirciato qua e là il libretto di Céline, che poi era la sua tesi di laurea in medicina, perché uno se lo dimentica che Céline, il vituperato Céline, prima di essere l’autore della Trilogia del Nord o di Bagatelle per un massacro (che, detto tra noi, non ho mai letto) era stato il dottor Destoushes, cioè un medico coi contro coglioni. Cosa avrebbe scritto, Céline, della pandemia? Cosa avrebbe detto di questo virus o di questi virologi? Insomma, Céline scrive la storia di Ignazio Filippo Semmelweis, medico che nasce a Budapest con un grave difetto, così mi dice per telefono, nel sogno, e sì, Semmelweiss mi parla lui proprio direttamente nel sogno ma ha la voce majakowskijana di Pierpaolo Capovilla, per cui subito me lo sento molto amico, mi dice ascolta, Piero, dice Piero con quel tono con cui inizia le telefonate Pierpaolo Capovilla, dice sai, sono sempre stato brutale in tutto ma soprattutto con me stesso, non so se pure per te sia stato così, ma io mi diressi verso la medicina con assoluta naturalezza, finché, arrivò un giorno, che seguii un’autopsia in un sotterraneo, là, in quei luoghi dove la scienza interroga i cadaveri con un coltello. Come è come non è, divento allievo del grande medico dell’epoca, Skoda, un dottore di fama clamorosa! Ma un altro medico, meno famoso, fu cruciale per arricchire il mio pensiero: si chiamava Rokitansky, era l’anatomopatologo dell’università di Vienna. Due padiglioni per il parto, nel 1846, s’innalzavano nell’ospizio generale di Vienna. Uno era diretto dal professor Klin, l’altro dal professor Bartch. Presto mi fu chiaro che se i rischi di febbre puerperale erano considerevoli nel padiglione di Bartch, in quello di Klin il rischio di morte equivaleva a certezza.

Il fatto è che da Klin partorivano, perlopiù, ragazze madri, senza soldi. E più del novanta per cento morivano.
Insomma: si moriva più da Klin che da Bartch. Mi segui? Ok, vado avanti.
Altro dato: da Klin l’esplorazione (le mani nel fondo della vagina, per capirci) la facevano gli studenti, da Bartch le levatrici.
Un giorno decisi di provare a invertire gli esploratori. Le levatrici, che facevano il tirocinio da Bartch, passarono da Klin, gli studenti li spostai da Klin a Bartch.
La morte li seguì.
Capisci che significava? Erano gli studenti! Ma Klin sosteneva che erano sì gli studenti, ma erano quelli stranieri che portavano la morte, e ne fece espellere una ventina, ne rimasero la metà. Eppure, la mortalità non cambiò.
Ma sai cosa notai, che ancora di più mi fece fare due più due? Che se una gravida, colta di sorpresa, partoriva per strada, e arriva da Klin solo dopo il parto, veniva risparmiata, non moriva di febbre puerperale.
A quel punto decisi di far semplicemente lavare le mani agli studenti (ancora non lo sapevo il perché, era solo un’intuizione, non avevo microscopi per vedere quegli esseri microscopici) prima di visitare le donne incinte. Feci disporre dei lavabi. Klin si oppose. Non solo: mi fece revocare l’incarico di assistente.
Un giorno Kolletchka, il professore di anatomia, in seguito a una puntura che si era procurato mentre dissezionava un cadavere, si ammalò e morì. Era chiaro, c’era una relazione tra la malattia che aveva ucciso Kolletchka, con l’infezione puerperale di cui morivano le ricoverate.
Un giorno ebbi l’intuizione, ma quando ormai nessuno più, forse nemmeno io, pensava all’impurità cadaverica: era “l’oblio dell’impurità cadaverica” l’origine delle epidemie di sepsi puerperale nelle cliniche. Quale selvaggio, mi domandavo, quale ostetrico selvaggio avrebbe mai osato toccare una puerpera con le mani fresche del contatto con un morto? Solo l’ostetricia europea del secolo più illuminato e raffinato era stata capace di elevarsi a tanto.
Siccome Kolletchka era morto per una puntura cadaverica, era chiaro come il sole: gli essudati prelevati sui cadaveri erano i responsabili del contagio. Le dita degli studenti trasportavano le particelle cadaveriche nel collo dell’utero delle donne incinte.
Feci un’ultima prova. Gli studenti di Klin passarono da Bartch, al posto delle levatrici. L’aumento della mortalità, li seguì.
A quel punto introdussi una soluzione di cloruro di calce con cui ogni studente, dopo aver sezionato i cadaveri, prima di visitare le donne incinte, si doveva detergere. La mortalità, si annullò.
Caro Piero, ora ti domando, e lo so che la mia storia tu già la conosci, è già sedimentata nei tuoi ricordi, ma te lo ripeto: la ragione più elementare non vorrebbe che l’umanità, guidata da dotti chiaroveggenti, si fosse per sempre sbarazzata di tutte le infezioni che la tormentano, o perlomeno della febbre puerperale, sin da quel mese di giugno del 1848?
Invece no! All’umanità ottusa occorreranno quarant’anni, e Pasteur, perché la mia scoperta fosse accettata.
Tutte le Cliniche delle migliori università europee disprezzarono la mia scoperta, dichiararono che i miei risultati non erano conformi coi loro. I medici si dichiararono stufi e umiliati dei malsani lavaggi a base di cloruro di calce.
Per la seconda volta, mi fu revocato l’incarico presso l’ospedale di Vienna.
Tornai in Ungheria, mentre era in corso la rivoluzione, vi presi parte. Mi dimenticai, quasi, della medicina. Mi dimenticai, in certi momenti, di essere stato un medico. Gli incidenti fecero il resto. Sette anni, restai chiuso in una stanza, isolato.
Poi, pian piano, ricominciai. Impiegai quattro anni, per scrivere dettagliatamente L’eziologia della febbre puerperale. Inviai questa tesi all’Accademia di medicina di Parigi. La inviai alla Scienza quella con la S maiuscola. Nemmeno mi risposero. Scrissi una Lettera aperta a tutti i professori di ostetricia, in cui li chiamavo assassini. “Non sono le sale da parto che bisogna chiudere per far cessare i disastri, ma sono gli ostetrici che conviene far uscire, perché sono loro a comportarsi come vere e proprie epidemie”.
Ma nemmeno nel mio stesso ospedale, ormai, si osservano le mie prescrizioni, anzi, alcune puerpere venivano deliberatamente infettate per la soddisfazione di darmi torto.
Un giorno di aprile del 1865 entrai, urlando, nella facoltà di medicina, mi impossessai di un cadavere che attendeva d’essere dissezionato, lo ridussi in brandelli, mi tagliai, e, com’era capitato a Kolletchka, m’infettai a morte. Fu un suicidio il mio? Fu il gesto estremo di protesta di un martire?
Mi portarono in manicomio, il 16 agosto del 1865, a soli quarantasette anni, dopo un’agonia di tre settimane, lasciai la vita agli altri.
Solo cinquant’anni dopo Pasteur ridiede luce alla verità, alla mia buona fede di medico, e al mio cuore di uomo.
Rimase in silenzio. Un rantolo. Poi riprese. Ma tu continui a chiederti perché ti ho raggiunto nel tuo sogno?
Per dirti che la storia si ripete sempre due volte, la prima è tragedia, la seconda è un film dell’orrore. Furono loro, fu il Patto trasversale per la scienza che mi mandò al manicomio e a morte. Ora ritornano, ma adesso, all’ottocentesco Patto per la scienza, mi piace credere, non gli crederà più nessuno.

*

Mi sveglia una telefonata sul telefonino. Guardo l’orologio sono le sette. Chi diavolo è che mi sveglia alle sette del mattino mentre faccio la notte in ospedale, d’accordo non lo può sapere che sto lavorando, o meglio che sto dormendo sul posto di lavoro, o meglio che sognavo e forse mi stava per dire il meglio, ma le sette sono sempre le sette.
Dottore chiamo da Senigallia, ho appena letto sul giornale di Senigallia che il professor Guido Silvestri, senigalliese e docente alla Emory University di Atlanta e tra i fondatori del Patto per la Scienza, ha fatto il punto sullo stato di conoscenza del tremendo virus.
Scrive un post, breve perché è un venerdì notte e lui è stanco di lavoro. Era in trincea? Era in corsia? E’ uno di quelli che lavora? No, perché a quanto pare questi si dividono in due: i vati che pontificano e quelli che vanno in trincea e muoiono.
Ma le dicevo di Guido Silvestri, a proposito, ma lo sa che costui ha lo stesso cognome di un’attrice porno del libro di Bolaño, proprio Chiamate telefoniche che ispira la sua rubrica? Non le pare una inesorabile coincidenza? Quella si chiama Joanna Silvestri, però, ha trentasette anni ed è prostrata nella clinica Les Trapèzes. Perché è prostrata? Forse perché ha conosciuto cose abominevoli nella sua vita e chissà che non le abbia conosciute ancor più abominevoli il suo quasi omonimo Guido Silvestri, chissà che tutti i virologi ma perfino tutti i medici (incluso lei) non siano venuti a conoscenza di cose abominevoli di cui non ci diranno mai. Ma torno alla dichiarazione del professor Silvestri.
Dice questo virus, non ha NESSUNA SPERANZA, lo scrive proprio così come glielo grido io, a caratteri cubitali, nessuna speranza contro la nostra scienza. Contro il Patto per la scienza, sottintende.
Perché non ha speranza? Ma perché lui non è niente, tra i virus, che lo sappia, non è un campione, non è niente confronto all’Hiv, egli sì, è stato un nemico enormemente più insidioso che in trent’anni ha fatto 35 dico 35 milioni di morti, altro che qualche migliaio che nemmeno l’influenza, e mò che faranno bene i conti lo sgameranno. Questo virus è incapace di nascondersi, non sa integrarsi nel genoma dell’ospite cioè di noialtri gli umani, è pure scarsetto a mutare, quindi rimane molto più vulnerabile alla risposta immune dell’ospite e al nostro vaccino, quando, IL VACCINO, impietoso e inesorabile arriverà (perché arriverà) (e lo farete tutti, haha, ora il TSO è #stare-a-casa, dopo il TSO sarà #fate-il-vaccino). Per cui, prosegue il Silvestri, se è purtroppo inevitabile che questo virus da quattro soldi farà ancora molti morti nei prossimi mesi, è ancora più chiaro che presto sarà SCONFITTO dalla nostra capacità di studiarlo e neutralizzarlo. Sono le sue reali parole, dottore, per farle capire il tono bellico del virologo numero due del Patto per la scienza.
Lo ripete come un disco rotto: la presenza della SCIENZA è la vera, grande differenza tra oggi ed il 1348 della morte nera, o il 1630 della peste manzoniana, o il 1918 della influenza spagnola. La presenza della SCIENZA è il motivo fondamentale per cui questo è un virus senza speranza.
Capito dottor Cipriano? Se lo ricordi. La SCIENZA. Non la scienza. Lei e tutti i dubbiosi gli scettici i dialettici i relativisti siete la scienza, loro e quelli del Patto per la scienza sono LA SCIENZA!
Tengo spento il telefono per il resto del giorno. Dico all’assistente sociale di non passarmi più chiamate. Mi sa che chiudo con questa rubrica. Ricovero un altro che pensava di avere, anzi, di essere il virus. Torno a casa. Ci dormo sopra.

*

Sveglio. Sono di nuovo in tangenziale est deserta che vado su e giù casa ospedale. Mi ferma una pattuglia. Dove va? A salvare le persone dal terrorismo psichico dell’attuale stato di polizia. Ah, buon lavoro, mi fa. Grazie. Sia più clemente, gli dico, con le persone. Poco prima di arrivare al nosocomio, che un tempo era un sanatorio per tubercolotici sopra Monte Mario dove c’è l’aria buona e a un tiro di schioppo aveva il gigantesco Santa Maria della Pietà che pure a loro, agli internati, l’aria buona faceva bene, alle infezioni psichiche e alle infezioni dei polmoni ha sempre giovato l’aria buona, poco prima di entrare nel parcheggio semideserto mi viene in mente Paul Feyerabend. L’allievo dissenziente di Popper, l’amico scapestrato di Kuhn e Lakatos. Lo scienziato, nel suo lavoro reale, è un opportunista, così amava ripetere, usa quello che gli serve e se ne libera quando non gli serve più. La ricerca scientifica non deve aspirare a creare teorie vere, ma teorie efficaci. Lo slogan del suo anarchismo metodologico è anything goes, qualsiasi cosa va bene, tutto fa brodo. Ma se qualsiasi cosa può andar bene, allora lo scienziato è autorizzato a utilizzare tutto ciò che gli conviene: idee scientifiche del passato abbandonate, scartate dalla scienza ufficiale, miti, dogmi della teologia, elementi metafisici. Perché, anche all’interno della scienza la ragione non può, non dovrebbe, dominare tutto. Il peso della scienza, nella nostra società, dovrebbe essere ridimensionato, se per secoli si è combattuto per separare stato e chiesa, oggi bisogna separare stato e scienza. Alcune tribù primitive hanno classificazioni di piante e animali più particolareggiate di quelle della botanica e della zoologia scientifiche, e adottano sistemi di medicina non scientifica che risultano più efficaci di quelli scientifici, chi lo dice? Lo dice Feyerabend. E a chi ti fa venire in mente, oggi? A Burioni forse? O a uno sciamano amazzonico? Ecco, vorrei proprio sapere uno sciamano amazzonico che ne pensa del virus. Ma chi c’è, nel mondo della scienza, oggi, che più somiglia a uno sciamano? Chi è l’incarnazione dello scienziato epistemologicamente anarchico di cui vagheggia Feyerabend, il cui pensiero divergente ci può salvare, sia dal virus che dalla scienza di Burioni?

Timbro, mi faccio misurare la febbre come da nuovo protocollo (se è più di 37.5 non si lavora, è solo 36.2). Mi convinco a chiamare il professor Didier Raoult. Trovo il numero dell’istituto Mediterraneo marsigliese e me lo faccio passare. Chi lo vuole mi scusi? Ovviamente comunichiamo in francese e siccome ho fatto ben tre anni di francese alle medie e ero fortissimo, soprattutto nell’uso di beaucoup, riesco a farmi capire alla grande, sono Piero Cipriano, sono uno psichiatra italiano e sono uno dei pochi psichiatri epistemologicamente anarchici, ha presente Feyerabend? Ecco, ora come ora non ho la possibilità (che ha Raoult adesso) di incidere sull’epidemia, ma vedrà, che pure in questo scorcio di pandemia, il mio anarchismo alla lunga tornerà buono, insomma, vengo al dunque, siccome mi ha chiamato Semmelweis in sogno per dirmi come stanno le cose, mi ha messo il tarlo, e così ho iniziato a chiedermi chi è, oggi, il nuovo Semmelweis, e mi sono ricordato di Didier Raoult, che ormai tutti conoscono come il guru della clorochina, o meglio dell’idrossiclorochina che è più potente, ma lo chiamano guru per denigrarlo, che non lo so forse? Un microbiologo e infettivologo con le palle altro che, uno che ha le palle, sì, le palle di sbilanciarsi, ben sapendo che puntare tutto sulla idroclorochina potrebbe sputtanarlo per sempre e altro che Nobel, ammesso che uno come lui se ne freghi qualcosa del Nobel, il Nobel mi pare fatto per uomini grigi, lui di grigio c’ha solo la capigliatura, insomma con tutto quanto Big Pharma ha in canna per uccidere il virus del secolo lui che fa?, punta su un medicinale tra i più noti al mondo, in giro da settant’anni almeno, un farmaco straconosciuto per curare la malaria, malaria di cui, diciamolo, non se n’è mai fottuto nessuno visto che è una malattia da morti di fame, embè lui che dice? Dice che il farmaco antimalarico che non costa niente (infatti nemmeno si trova in giro e Trump pare già che voglia ordinare tutto quello che è disponibile al mondo, e ha fatto infuriare i suoi consiglieri scientifici amici di Big Pharma) lui è stato il primo a dire che è capace di stecchire il coronavirus, il fantomatico virus che ci tiene in casa e che fa la gioia degli autocrati alla Orban o alla De Luca che non gli pare vero di fare gli sceriffi adesso, visto che tutti hanno la fifa blu di morire. Insomma, signora, capisce che dopo il sogno di Semmelweis io non ho potuto fare altro che pensare al genio di Raoult, chi altri somiglia a Semmelweis di questi tempi? me ne dica uno, avanti, ci pensi. Non le viene in mente? Se Semmelweis disse lavatevi le mani, Raoult dice prendetevi questo farmaco che esiste già, non impazzitevi a fare vaccini (che cazzata!, dice Raoult) o a fare il super-farmaco, e però ecco che come a Semmelweis, gli scienziati ottocenteschi alla Burioni in un primo momento (salvo poco dopo ricredersi, ma pure con Semmelweis all’inizio si ricredettero, salvo poi affossarlo) gli dicono che è come minimo un ciarlatano, perché i suoi metodi sono poco rigorosi e non scientifici. A parte il fatto che dovremmo metterci d’accordo su cosa vogliamo intendere per scienza, e pure chiarire che la medicina seppure si giova della scienza è un’arte. E come tutti gli artisti i medici veri, non i parolai la cui più grande impresa curricolare è essere ospite fisso da Fabio Fazio, i medici veri sono intuitivi, sono più artisti che scienziati, anzi, diciamola tutta, i medici veri sono sciamani, perché sono in contatto con il mondo dei morti, prova ne sia l’anello con la testa di morto che Raoult ha incastonato nel dito mignolo, e sono i morti a suggerire ai medici veri come fare, per salvare, ancora per qualche decennio, la vita degli umani. Tutto qui è il trucco: il vero medico è uno sciamano che è andato a parlare con la morte. E Burioni e Silvestri e simili nell’Ottocento sarebbero stati dalla parte del Patto della scienza, dalla parte di tutti gli eminenti medici convinti che le mani di un gentiluomo non hanno bisogno di essere lavate, perché sono sempre pulite.

Raoult, lo si capisce dall’inizio della sua storia, non era nato per fare il conformista. Quanti anni ha adesso? 68? Pensavo di meno. Nasce a Dakar, giusto? In Senegal, dove suo padre era medico militare e sua madre infermiera. Cresce a Marsiglia, o sbaglio? Dove, pensi un po’ che scavezzacollo, oggi direbbero iperattivo, o borderline, lascia gli studi, ma poi ci ripensa, e va a fare la maturità classica da privatista, pensi signora che insofferenza alle regole, pensi quanto se ne può fottere uno come Raoult del Patto per la scienza, ci scatarra sopra al Patto per la scienza, direbbe Manuel Agnelli. Insomma, prende rocambolescamente il diploma e si iscrive a medicina. E come medico se la cava bene, le sue scoperte le fa, mica no, aspettiamo ancora che Burioni in Italia scopra qualche cosa, Raoult scopre cose significative, mi scusi signora ma ora non mi ricordo cosa, ah sì, individua il genoma del batterio che causa la malattia di Whipple, conosce le rickettsie come nessun altro, queste me le ricordo, ricordo che mi fece la domanda a microbiologia sulle rickettsie, e presi 28 pensi un po’, e volevo fare il virologo, pensi che folle, poi scelsi psichiatria, se no adesso mi ritrovavo a essere uno dei dieci venti trenta virologi italiani che non ci capiscono una ceppa sul virus con la corona, e ci confondono le idee, e ci chiudono dentro. Appena inizia l’epidemia, a Marsiglia, all’Istituto ospedaliero universitario Mediterraneo, Raoult testa con successo soli ventiquattro pazienti affetti da Covid-19. Dico bene? A fine febbraio su YouTube pubblica un video, dove appare con quella faccia da druido e dice “Coronavirus: game over!”, proprio così dice, assicurando al mondo che la cura c’è e non vale la pena di fare ‘sta cagnara, non c’è bisogno di tenere la gente in casa fino a ottobre che esce il vaccino, la cura c’è e si chiama idro-clorochina. Giustamente tutti erano già belli pronti per andare in guerra, ora se ne arriva fresco questo e ti dice che la guerra è rinviata a un altro virus, i vari manovratori si stizziscono, il ministro della salute francese subito, come un automa (mettiamo Speranza, o una Lorenzin, o quella di prima, la grillina medica che non aveva mai esercitato miracolata e messa a dirigere la sanità italiana, come si chiamava quella? cavolo, non me la ricordo proprio, non ha lasciato traccia, la Lorenzin almeno qualche sciocchezza la diceva, quella niente, il vuoto pneumatico) ha detto che la terapia di Raoult puzzava di fake news, ma cazzo, ministro, ma pensa prima di parlare, fai due più due, non è che uno debba per forza aprir bocca tanto per darle fiato. Ma non è stato solo lo Speranza di Francia a bollare il farmaco antimalarico del druido, no, hanno tuonato quasi tutti i medici di Francia, “La medicina non si fa con un solo test su 24 pazienti”, ha detto uno. Dopo, però, il ministro della Salute, Olivier Véran, s’è ricreduto. E ha accettato l’appello del druido riguardo l’efficacia del suo cocktail farmacologico, che nel frattempo si è evoluto, perché ora abbina l’idroclorochina a un antibiotico che io, signora, più volte ho preso, quando ho avuto la bronchite e pure una volta cinque anni fa che presi la polmonite: l’azitromicina, commercialmente meglio conosciuto come Zitromax, è una bomba, le assicuro. E così, quel paraculo di Raoult, ha pure ringraziato il ministro Olivier Véran per avergli creduto, dopo l’iniziale titubanza. Insomma, signora, non è che possa tenermi qui al telefono a sentirmi raccontare tutta la storia di Raoult, me lo passa un attimo, il druido con l’anello testa di morto al dito mignolo? Me lo passa o non me lo passa?

[Chiamate telefoniche – qua le chiamate precedenti]

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Chiamate telefoniche – 2 https://www.carmillaonline.com/2020/04/03/chiamate-telefoniche-2/ Thu, 02 Apr 2020 22:01:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=58866 di Piero Cipriano

Questo scritto ha per oggetto il virus, e ha per titolo un libro di Roberto Bolaño [Chiamate telefoniche – 1]. La storia prosegue quando il virus è diventato ormai pandemico, non si può uscire di casa, correre nei parchi, continua il trattamento sanitario obbligatorio con obbligo di dimora a casa per chi una casa ce l’ha, e possibilità di uscire solo se i motivi sono con-provati, e tutti si sono ormai così abituati a tenere a bada la morte col seppellimento domestico che neppure i bambini vogliono portare fuori casa, i cani sì i bambini [...]]]> di Piero Cipriano

Questo scritto ha per oggetto il virus, e ha per titolo un libro di Roberto Bolaño [Chiamate telefoniche – 1]. La storia prosegue quando il virus è diventato ormai pandemico, non si può uscire di casa, correre nei parchi, continua il trattamento sanitario obbligatorio con obbligo di dimora a casa per chi una casa ce l’ha, e possibilità di uscire solo se i motivi sono con-provati, e tutti si sono ormai così abituati a tenere a bada la morte col seppellimento domestico che neppure i bambini vogliono portare fuori casa, i cani sì i bambini no perché immaginano che l’aria sia tutta impestata di bacilli e dicono dove vai? Incosciente. Mettere a repentaglio la vita di quelle creature. Che dopo portano il virus maligno ai vecchi. E si muore tutti. Una reazione a catena. Che sarà mai un mese due tre di tumulazione se dopo si può ancora esser vivi?

Tale è la moral suasion sul non uscire che nemmeno i sofferenti psichici che un tempo uscivano escono più, gli attacchi di panico si svolgono in casa non più in pronto soccorso i depressi restano in casa perché al Centro di Salute Mentale gli dicono resta a casa che fuori c’è l’apocalisse, ma il depresso che già è apocalittico di suo ora si confina ancora di più nel suo umor patibolare domestico, l’ossessivo il fobico l’ipocondriaco non ne parliamo, quelli non usciranno più di casa neppure quando sarà passato il divieto di uscire, ma accidenti devo darmi una regolata a parlare così dei pazienti i pazienti sono sacri, bisogna parlarne con il rispetto di Andreoli che li ama tutti i suoi pazienti o di un Recalcati che sono tutti Telemaco suoi, l’altro giorno una mi scrive che altro che Basaglia, io me lo sogno Basaglia, io piuttosto sono Lombroso, sfottente e irridente con tutti, e mi manda a fare in culo a farmi la mia corsetta anarchica. Leggo questa offesa al mio fragile ego mentre sono in ospedale, in mezzo ai virus, attento a non toccare le maniglie con le mani, ho i gomiti consumati a forza di aprire le porte coi gomiti, eppure giuro non sono più l’ipocondriaco che ero un tempo, avrei voluto avere il tempo per risponderle bene, perché per certi versi lei aveva ragione (per altri no, era madre, o figlia, o sorella, di un paziente grave, e aveva una rabbia di quelle che investono il mondo, e io ero parte del mondo in più ero psichiatra, uno psichiatra che invece di guarire il mondo si permetteva il lusso di descriverlo, di farne parodia, e come mi permetto?, secondo lei non potevo permettermi di contestare il mondo, solo lei ne aveva diritto, data la sua sciagura), aveva ragione da vendere a dire che io non ero Basaglia né lo sarei mai stato, però aveva torto, perché non ero neppure Lombroso né lo sarò mai, ero sì uno psichiatra eterodosso, sono sì uno psichiatra che scrive, ma non scrive nella forma corretta, nella forma saggio di Basaglia, no, scrive nella forma accidentata e sgangherata di uno che non si è cibato di Husserl o di Minkowski ma si è cibato di Cortàzar e di Bolaño, e non ha sua moglie Franca Ongaro che gli riscrive i pezzi ma ha Bolaño stesso e Cortàzar che me li correggono (anche se non si applicano molto con me) e quindi si può capire perché i miei scritti, delle volte, non abbiano quel rispetto e quella rispettabilità che gli scritti di uno psichiatra (mettiamo il grafomane Andreoli, avete presente gli scritti di Andreoli?, mettiamo perfino il noiosissimo Recalcati, avete presente gli scritti morfeici di Recalcati?) sempre hanno, siamo abituati debbano avere, il rispetto per quell’altro che è il paziente, il paziente è sacro, ma siccome quell’altro spesso io mi dimentico che è un paziente, ma ne scrivo come fosse un essere umano, ecco che ne scrivo, senza rispetto, senza la sacralità che si deve a un paziente, e ciò induce la signora congiunta di quel paziente a pensare che io sia Lombroso, che faccia macchiette, ma io non sono Lombroso e non faccio macchiette, signora, comunque, in ospedale non arrivano più i ricoverati che arrivavano prima. Solo i gravissimi, arrivano, oppure quelli che sono senza casa oppure quelli che se ne fregano del virus oppure quelli che a differenza nostra hanno capito tutto.

Gli psichiatri sono tutti intabarrati, perfino i guanti. Serviranno a qualcosa i guanti? Non chiama nessuno neanche oggi. Avranno saputo che poi ne scrivo sulle riviste. La signora ha sparlato di me. Avrà detto in giro non vi fidate, questo si spaccia per Basaglia ma è Lombroso. State in campana a dire i fatti vostri a questo qui. Che li riporta pari pari nei suoi scritti delinquenziali. Non sanno che non è vero, che sono tutti pezzi inventati.

Mentre bighellono, apro le porte con i gomiti, alzo il bavero del camice, svuoto il disinfettante, posiziono meglio la mascherina, vibra il telefono. E’ un messaggio vocale, inviato con Whatsapp. Finalmente.

Dottore spero sia questo il suo numero, se questo non è il suo numero e quindi lei non è il dottor Cipriano, la prego di eliminare immediatamente questo messaggio, glielo chiedo in nome della fiducia che sempre dovrebbe caratterizzare i rapporti tra gli umani. Spero comunque che sia lei, dottore.

Solo noi che ci hanno fatto le diagnosi e le cartelle cliniche l’abbiamo capito. C’era qualcosa, fin dall’inizio, che puzzava. Quella puzza, che non era odore, ma puzza di cadavere di carogna di morti che sarebbero marciti nelle fosse comuni, che tutti entro pochi mesi avrebbero sentito nelle narici, all’inizio la sentivamo solo noi sensitivi. I media tutti zitti. Non parlavano del Risiko. Cicalavano solo intorno a questo coronavirus. Intanto, iniziava il gioco del Risiko. Carri armati avanzavano in tutta Europa e i media zitti. Ventimila soldati americani atterravano negli aeroporti d’Europa altri diecimila erano già sul posto altri settemila da altre nazioni europee. E i media zitti. Come mai nessuno ne parlava? Giornalisti incapaci buoni a cicalare per tutto il giorno sul virus e dire mezza parola dei militari americani?

I cittadini d’Europa, a parte noi sensitivi internati nelle cliniche per pazzi o nelle prigioni, sono tutti ignari. Ottusi. E i media zitti. Noi ci hanno fatto le diagnosi perché abbiamo quelle antenne in più che, d’accordo, molto spesso ci fanno prendere fischi per fiaschi, ma qualche volta ci prendiamo.

Aguzzi la vista dottore, che ora inizia il complotto, ora inizia il delirio. Ma stia tranquillo. Sono un internato senza permesso di uscita. Giusto questo vecchio arnese mi danno. Non sanno che con questo posso sapere ciò che voglio e andare dove voglio. Ora ho deciso di svegliare lei. Che è uno non proprio ottuso come la quasi totalità degli psichiatri, ma è comunque pure lei abbastanza ottuso. Ma le do una possibilità. Non se la lasci sfuggire.
Ci sono varie ipotesi.

Una: è che non è letale il virus ma i vaccini con cui hanno indebolito, qualche mese prima, le persone. Le vaccinazioni di massa antiinfluenzali e antimeningococciche.

Altra possibilità: le decine di migliaia di antenne 5G disseminate soprattutto a Wuhan, in Lombardia, a New York. Dove ci sono le antenne, dove c’è questo elettromagnetismo mai visto prima, le persone sono deboli, immunodepresse, non resistono al virus.

Altra concausa: le polveri sottili, che vicariano le goccioline di Flügge, più efficaci e durature delle Flügge. Sono loro i vettori del virus. Potrebbe essere questa la ragione per cui il virus ha viaggiato più veloce in Pianura Padana, il particolato atmosferico fa da carrier, da vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus da bravi parassiti si attaccano al particolato atmosferico, costituito da particelle solide o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze. Per lo stesso motivo che questo pulviscolo sottile è più fitto a New York che a Kansas City che moriranno molte più persone a New York che a Kansas City.

Il coronavirus è un’arma biologica di distrazione di massa per preparare il mondo, a qualcosa di più grave, tremendo, e definitivo.

Nel giro di pochi mesi il contagio esploderà. Soprattutto nei grandi conglomerati. Lombardia New York Madrid. Le nazioni instaureranno il coprifuoco continuo. Le mascherine saranno rese obbligatorie. La stretta di mano e i contatti ravvicinati aboliti. Le persone potranno uscire solo per lavorare, i pochi a cui sarà concesso di lavorare. Anche i ricorsi all’ospedale progressivamente aboliti. Le persone si doteranno, tutte, di armi da fuoco, adottando il modello americano. Le persone inizieranno a spararsi per uno starnuto o per un colpo di tosse. Le scuole saranno definitivamente soppresse, tranne che per alcuni studenti scelti, tra poco le dirò quali. I lavori, dicevo, progressivamente quasi tutti aboliti, non serviranno più, perché la popolazione si eliminerà da sola, esponenzialmente. Gli ospedali non saranno più necessari. Le persone moriranno in casa o poco fuori il perimetro di casa. Sopravviveranno solo i reparti psichiatrici e le rianimazioni. Anche la professione medica sarà progressivamente assottigliata a due sole specialità: psichiatri e anestesisti rianimatori. Questi ultimi saranno necessari, non tanto per la capacità di rianimare, come uno potrebbe credere, data l’epidemia virale, macché, sarà necessaria la loro capacità di mandare i degenti all’altro mondo. L’università sopravviverà solo per due materie: giurisprudenza e medicina (medicina per le sottobranche di psichiatria e rianimazione, abbiamo detto). Giurisprudenza per due classi di lavoratori: giudici e poliziotti. Le persone si elimineranno da sole, no? Per uno starnuto uno finirà freddato e l’altro condannato all’ergastolo, ergastolo che però si trasformerà in morte agevolata da un rianimatore. E così, ogni volta due piccioni con una fava saranno eliminati. La popolazione si scremerà all’essenziale. L’economia risorgerà splendidamente. L’unico lavoro sicuro e diffuso e capillare sarà il poliziotto. L’Europa l’America la Cina la Russia saranno un grande apparato poliziesco. Le scuole solo per pochi scelti. A sei anni gli psichiatri faranno il test a tutti i non-ancora-persone per capire chi scolarizzare e chi potrà restare a casa coi genitori a fare la quarantena ad libitum in attesa di una morte precoce. Il test spacchetterà i seienni in tre cluster di caratteri (secondo le teorie di Fromm, che per eterogenesi dei fini diventeranno appannaggio di uno stato di polizia): i conformisti, i ribelli e i rivoluzionari. I rivoluzionari, che sono i più pericolosi, verranno subito segnalati, di modo che entro pochi anni (entro l’ottavo anno al massimo) possano cominciare un’aggressiva e demolitiva terapia con psicofarmaci del genere antipsicotico di terza generazione, e dopo verranno trattati con ricoveri ed eventuale galera, in caso di iniziale insubordinazione, e infine rianimazione, contaminazione, estinzione. I conformisti, che saranno la fetta più grossa, avranno il futuro assicurato: un futuro in polizia o nella medicina (psichiatria e rianimazione). I ribelli saranno i più fortunati perché, si sa, essi detestano esser comandati, ma amano il comando, non accettano imposizioni da nessuno e sono perciò perfetti per rappresentare la classe dirigente del futuro, perché bisognerà pur pensarci a come governare gli anni, i secoli che verranno, essi saranno i giudici, i ministri, i capi di stato. Solo i ribelli potranno studiare, come vorranno, tutto ciò che vorranno, senza limiti. Ma saranno pochi, ogni anno si conteranno sulle dita di due mani.

Mi scusi è arrivata la cena. Mi farò vivo di nuovo. A presto. I miei ossequi. Ah, dimenticavo di presentarmi. In realtà lei già mi conosce, o meglio non conosce me ma il mio avo, sono il pronipote di Carlo Cafiero, Carlo Cafiero junior.

Penso alla sua teoria. Di solito i paranoici, i complottisti, che hanno le antenne aguzze, su qualcosa ci prendono, non su tutto, indovinano poche tessere del puzzle, poi però siccome hanno l’ansia di completare il puzzle, le altre tessere le mettono a cazzo, e la teoria fa acqua, e loro passano per paranoici, o complottisti. Io però volevo capire quali fossero, tra le molte, le tessere giuste, quelle che il pronipote di Cafiero aveva imbroccato.

L’attività continua a languire. Chiamate in pronto soccorso oggi zero. Apro e chiudo porte coi gomiti. Alzo e abbasso la mascherina.

Dopo due ore di attesa, attesa da deserto dei Tartari, il sergente Drogo cioè io chiede all’assistente sociale pure lei senza daffare il numero di quel paziente che era il super esperto dei virus. Sentiamo il nostro esperto, dico. Scartabella. Trova il numero. Chiama. Il signor Jack? Sì? salve, sono l’assistente sociale del reparto, volevamo sapere come sta. Le passo il dottor Cipriano che voleva salutarla. Buongiorno. E come se la passa?
No, non vado al CSM. Non vado al CSM non per il virus non per l’isolamento. Non vado al CSM perché lì hanno tutti paura. Sono tutti mascherati come una donna talebana. Non vogliono riceverci. Prima mi facevano i TSO perché non andavo, ora dicono stia a casa che è meglio. E io sto a casa, ci stavo prima ci sto adesso. Cosa faccio? Non vedo la tv perché mi si è rotta e non so ripararla. Non compro i giornali perché non li ho mai comprati. Non ho internet. Cosa faccio allora? Leggo. Cosa leggo? Ho un solo libro in casa. Lo leggo in continuazione. Anche perché non si capisce bene dove vuole andare a parare. E’ Il castello, di Kafka. Comunque, grazie della telefonata, dottore. Ora però ho un po’ da fare, magari la richiamo io, in questi giorni.

Dopo mezz’ora richiama. Dottore, ma lei, che cosa voleva sapere di preciso da me? Perché lei non ha chiamato per sapere come sto, questo è chiaro, in dieci anni che lavora in quell’ospedale non mi ha mai chiamato, e mi chiama proprio ora che tutti sono chiusi in casa per il virus? Lei mi chiama perché si è ricordato che io sono il maggior esperto al mondo sui virus. E si è pentito. E ha fatto mea culpa. E ha pensato che l’attribuzione di disturbo delirante con… come lo chiamavate? con caratteristiche ipocondriache, ecco, che mi è stata fatta, anche da lei, non lo neghi, forse era a dir poco ingenerosa. Ora vuole che io la illumini coi miei deliri. Che le dica ciò che nei mie cinque ricoveri da voi, continuavo senza tentennamenti a ripetervi. Siete medici, vi dicevo, eppure siete asini, asini inconsapevoli. Abboccate a tutto ciò che vi si propina, incapaci di pensiero critico. Per dire la verità a questo mondo, devi passare per delirante. Lei dottore almeno ascolta. Lo stesso pensa che i miei siano i deliri di un pazzo, lo so, ma almeno mi ascolta.

Si metta comodo che le spiego tutta la faccenda. Si è messo comodo? Bene. Iniziamo daccapo.

Si ricorderà che non sono uno che si è laureato su Google, si ricorderà che sono laureato in farmacia e in biologia. Si ricorda, vero? Si ricorda anche che ero specializzato in malattie da microparticelle, anzi, nanoparticelle, lo ricorda vero? Bene. Ma veniamo al nostro incubo, veniamo al virus, mi correggo, il vostro incubo, questo esserino che sa entravi dentro senza chiedere permesso, un maleducato, direte voi, un esserino libero, dico io. Poveri vecchi, poveri malati, poveri coloro che prendono farmaci, essi non riescono a tenerlo a bada, all’ospite indesiderato, all’ospite ubiquo. Quanti italiani siamo? Più di sessanta? Bene. Venti milioni ce l’hanno già in corpo che gira. Ma no che venti, facciamo trenta milioni, anche quaranta, va. Lei dice ci sono dodicimila morti? Ma non era colpa del virus, dio mio. Erano già malati, i poveri cristi. Quante persone muoiono in Italia ogni anno? 650.000? Bene, metà di loro hanno dentro il virus che vi toglie il sonno. Il virus dei polmoni, il virus che toglie il respiro. Il primo virus che seppellisce in casa. Questo però ora non è un mio problema. Io sto in casa io sto bene in casa prima mi facevate il TSO perché dicevate che non uscivo di casa adesso fate il TSO a tutti obbligandoli a stare in casa io ora sto a posto siete voi adesso che non state a posto, voi che volevate uscire tutti i giorni ora vi sentite mancare l’aria. Tre morti sono i morti di questo virus non dodicimila. Forse nemmeno quei tre sono morti per il virus. Ma poi parlate di un virus, ma quello che era in Cina già non è più quello che è in Italia, quello muta non è mica un modello di I-phone che resta in giro per qualche anno, è per questo che è assurdo fare un vaccino, sarebbe come fare un vaccino per il raffreddore, vaccini per un virus da raffreddore che non ti copre sugli altri due milioni di virus da raffreddore. Siete pazzi. Vi siete concentrati su noi pazzi, i deliranti, gli SPDC li potevate trasformare in reparti per i polmoni, in rianimazione, invece di psicofarmaci compravate respiratori, a questo punto non dovevate far morire i vecchi perché non avete i respiratori. Ma non lo sente che da ottobre era pieno di polmoniti atipiche? Dottore, la regola numero uno, che vale per i deliri e vale anche per le infezioni è: aspettare, bisogna aspettare che l’organismo rigetti il virus, non mettersi i guanti, lei tiene adesso il telefono con cui mi parla con i guanti, è un fesso, con quei guanti tocca tutto, con quei guanti impedisce alle sue difese dermiche di reagire ai virus, lei è un dottore meno imbecille degli altri ma comunque è un imbecille, dovete solo attivare le vostre difese immunitarie, non mettere guanti e mascherine, aspettare, bisogna, tenersi la febbre perché il caldo uccide l’ospite indesiderato, il virus è una creatura fragile, se lei si prende la Tachipirina per far scendere la febbre al virus gli fa solo un favore, perché sta meglio al fresco, lui, bravi i fessi. Quelle mascherine con cui mi parla sono come un cancello che vuol impedire alle mosche di entrare, non le servirà quella mascherina idiota attraverso cui mi parla, sono piccoli sa, più piccoli ancora, la dovrebbe buttare ogni due minuti, altro che tenersela per 24 ore. Perché io ho lasciato la virologia? Per non essere complice di quel che succederà. Ci obbligheranno a vaccinarci. Con la scusa di questa finta epidemia faranno il TSO a tutti, finora l’avete fatto a me perché vi mettevo in guardia, mi avete dato gli antipsicotici? Bravi asini. Adesso fottetevi. Adesso voi psichiatri, come tutti gli altri umani, sarete vaccinati obbligatoriamente, TSO per tutti, a parte il fatto che voi psichiatri siete così stupidi che correrete a farlo, il vaccino anti-coronavirus, prima di tutti gli altri, implorerete per essere i primi, perché avete una fifa blu di morire, per cui non ci sarà neppure bisogno che siate obbligati, vi obbligherete da soli, ma pure chi non volesse, tipo me, o tipo lei, perché lo so che lei in fondo in fondo è un antisociale, pure noi due saremo obbligati. Ma è una stronzata questa, perché come dicevo non c’è modo di vaccinarsi per un virus che cambia, un virus che è come il raffreddore. Sarà solo un regalo al Grande Farmaco. Alla religione del Grande Farmaco. Antipsicotici e vaccini per tutti, dottore. Cominci a levarsi di dosso quelle imbragature, ma lo vede come si è ridotto? Sembra un palombaro. Si levi quei guanti, si levi quella mascherina, si levi la cuffia, si levi la casacca, si levi il camice, ritorni a essere un uomo libero. Esca, ritorni in strada, io non sono fatto per stare nelle strade, io sono un misantropo, io sono un pipistrello io sono un vampiro io sono un essere notturno ma lei, lei deve uscire. Tutti devono riprendersi le strade, prendere il sole, correre, vitamina D, buon umore, non farmaci, lo dica agli asini dei suoi colleghi, consigliassero di passeggiare e non di stare chiusi in casa al buio senza il sole senza il vento che porta via i virus, è il vento, il vento e il sole sono le più grandi terapie. Con la reclusione in casa stanno creando un popolo di immunodepressi, voi psichiatri siete i più incompetenti, a non sapere che la reclusione senza svago rende Jack un triste figuro, vi stanno facendo impazzire, dottore, impazzirete tutti, anche voi psichiatri, quelli che già non eravate pazzi prima. In questo paese di 49.000 morti l’anno per infezioni prese in ospedale, perciò lottavo fino alla morte quando mi ricoveravate, perché mi portavate nel luogo dove massima è la possibilità di ammalarsi, ora per dodicimila morti stanno facendo questo casino perché? Ma perché dall’anno prossimo ci sarà la vaccinazione obbligatoria di massa, e chi non ci sta fa la mia fine. La fine di un martire.


[Chiamate telefoniche – qua le chiamate precedenti]

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Chiamate telefoniche – 1 https://www.carmillaonline.com/2020/03/24/chiamate-telefoniche/ Tue, 24 Mar 2020 22:00:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=58808 di Piero Cipriano

Questo scritto ha per oggetto il virus e ha per titolo un libro di Roberto Bolaño. La storia inizia quando il virus ancora non era epidemico, ancora si poteva uscire di casa, fare la spesa, correre nei parchi, ancora non era iniziato il trattamento sanitario obbligatorio con obbligo di dimora a casa per chi una casa ce l’ha, e possibilità di uscire solo se i motivi sono con-provati.

Erano i primi di marzo, e andavo come sempre in ospedale, il luogo perfetto per lasciarsi incubare dal coronavirus, l’ospedale dove ancora non era arrivato ma di lì a poco [...]]]> di Piero Cipriano

Questo scritto ha per oggetto il virus e ha per titolo un libro di Roberto Bolaño. La storia inizia quando il virus ancora non era epidemico, ancora si poteva uscire di casa, fare la spesa, correre nei parchi, ancora non era iniziato il trattamento sanitario obbligatorio con obbligo di dimora a casa per chi una casa ce l’ha, e possibilità di uscire solo se i motivi sono con-provati.

Erano i primi di marzo, e andavo come sempre in ospedale, il luogo perfetto per lasciarsi incubare dal coronavirus, l’ospedale dove ancora non era arrivato ma di lì a poco sarebbe arrivato, era questione di giorni, ore, e il nosocomio dove lavoro vivo penso dormo mangio parlo impasticco – pensavo – diventerà un lazzaretto che regalerà, anche a me, la peste del nuovo millennio, quel giorno andai e per fortuna dormii fino alle sei del mattino. Un’insolita calma come sempre è calmo prima della tempesta. Alle sei del mattino quando pensavo di averla ormai scampata chiama il pronto soccorso, era Edvige, l’infermiera altissima, altera, diceva c’è uno venuto con otto poliziotti. Era già venuto cinque giorni fa, legato sedato poi ci avevo parlato l’avevo fatto sciogliere se n’era andato. Ora ritornava. Diceva il poliziotto che di continuo era lì intorno al Vaticano, per incontrare il papa, deve convincerlo, non si sa di cosa. Ci parlo. Gigantesco. Esaltato. Pazzo. Dice dio mi è venuto in sogno mi ha detto cosa fare in trenta minuti ho scritto centotrenta pagine che ho consegnato a un sacerdote del Vaticano, ho una missione, nessuno mi fermerà. Lei è un incapace, pensa di sapere quello che ho in testa, ma sono io che so leggere tutto quello che lei ha nella testa, lei sarà licenziato da questo posto, io riformerò gli ospedali, riformerò la polizia, riformerò lo stato, riformerò il mondo. Lo lascio fare. lo lascio sfogare. Lo lascio insultare. Lo lasco delirare. Poi gli dico. Per uno che ha visto dio, lei è poco gentile. Anche io ho visto dio, per questo la tratto con gentilezza. Perché lei è un figlio di dio. Io pure sono un figlio di dio. Lei deve essere comprensivo, con me. Non sono perfetto, come non lo è lei. Abbiamo entrambi visto dio, dovremmo essere entrambi più sereni. Io pure so quello che lei ha nella testa. Lo leggo. Come lei legge me io leggo lei. Ora lei farà queste analisi, prenderà questi farmaci che inietterò nelle vene. Farà un breve ricovero. Chi lo decide? Lo decido io. Con la grazia di dio.

E così è stato.

Finito l’intervento attraverso il lungo corridoio del pronto soccorso dove quella notte è entrato il primo paziente in questo nosocomio infettato di coronavirus, il virus è nell’aria, si sente, attraverso l’aria dove goccioline di Flügge invisibili orbitano come pianetini impazziti intorno alla mia scia sopra questi pianetini c’è questo virus che si considera il piccolo principe di questo suo pianetino detto Flügge, lui pensa di essere davvero un principe, lo sa di avere poche sequenze di DNA lo sa di essere poco meno che vivo eppure non immagina di essere diventato l’incubo di questi esseri viventi che si ritengono quasi divini, noi, gli umani, così intelligenti eppure adesso così spaventati, attraverso questa galassia di goccioline di Flügge nlasciate dal paziente infetto in isolamento eppure non contraggo l’infezione oppure sì, non lo saprò mai, non lo saprò mai perché gli operatori sanitari come me, anche in prima linea, se sono asintomatici e afebbrili non potranno mai fare il costoso tampone, test neppure sicurissimo ma meglio che niente, non siamo mica calciatori o politici noialtri, per avere il tampone. Insomma non mi infetto, ancora.

Passano i giorni. Ogni giorno arrivo nel nosocomio. L’Italia ha paura di morire per un virus. Il mondo ha paura dell’Italia. Ho il cercapersone. Il cercapersone suona. Non l’ho disinfettato. Mi lavo spesso le mani.
Adesso siamo già al 20 di marzo e tutti i giorni di questa settimana appena trascorsa e di quella precedente sono uscito di prima mattina, arrivato in ospedale mi sono cambiato, ho indossato divisa bianca camice e mascherina – io che mi fregiavo di essere un medico basagliano senza il camice mi sono ritrovato intabarrato come un chirurgo in sala operatoria – catapultato in prima linea in pronto soccorso a gestire gli arrivi di pazienti intossicati ubriachi agitati eccitati tagliati suicidati eccetera quel tipo di pazienti i meno pazienti perché vai a spiegare a loro che dovrebbero indossare la mascherina perché potrebbe esserci un virus infido eccetera c’è chi ti dice che il virus non esiste chi ti dice che l’ha inventato lui chi ti dice che lui è dio quindi immune dal virus chi ti dice che l’hanno messo in circolo gli americani anzi i cinesi anzi quelli dei vaccini anzi gli extraterrestri eccetera e non è detto che una di queste tesi non possa essere quella giusta, in ogni caso la mascherina non se la tiene e quindi fare attenzione a che non venga legato perché la pazienza degli operatori è al minimo e non vogliono rischiare di infettarsi e se quello non rispetta le regole si espone al rischio della contenzione e insomma tutta la settimana va avanti così.

Iniziano a questo punto le chiamate telefoniche. Sono uno psichiatra più o meno conosciuto per la cosiddetta riluttanza ai manicomi. Qualcuno se ne ricorda e mi chiede lumi. Come ci comportiamo adesso che c’è il virus? C’è chi mi chiama al numero dell’ospedale chi mi chiama sui social chi perfino al telefonino ma come ha fatto ad avere il mio numero? Oppure mi chiama qualche paziente che ho avuto anni fa e che si ricorda di me adesso che è agli arresti sanitari.

Dottore, lei mi disse che correre era meglio degli antidepressivi, vivo in Campania, come faccio adesso che il governatore De Luca ci spara se usciamo?

La prima chiamata degna di nota però è quella di Caltabellotti, l’uomo che ricoverai perché voleva a tutti i costi parlare col papa. Dopo dimesso, il giorno in cui il papa uscì a spasso con la scorta per andare a baciare il Cristo degli appestati a cui chiese di salvare il mondo dal virus con la sua mano, mi chiama: è il dottor Cipriano? E’ proprio lei? Sicuro di essere lei? Non posso dirlo ad altri che a lei. Credo di essere io, parli pure. Era quello che volevo dire al papa, non ci sono riuscito ma lui mi ha ascoltato lo stesso. Ha fatto ciò che andava fatto, recarsi al Cristo degli appestati e chiedere la grazia, lui doveva farlo, adesso siamo salvi, il virus, almeno questo virus, non sarà lui che ci farà fuori. Per un po’ siamo al sicuro.

Attacco. Chi era? Fa la mia collega. Caltabellotti. Quello che avevo ricoverato. Dice che grazie a lui il papa ha capito e è andato a implorare la grazia di Cristo. Ora siamo salvi.

La mia collega fa: ma il papa ce l’aveva l’autorizzazione per uscire? Come dici? Ce l’aveva il comprovato motivo? Era un motivo di lavoro la sua uscita? Di salute? Di necessità? Perché è uscito? Beh, le dico, possiamo farlo entrare nei motivi di lavoro, se ci pensi esercitava il suo ministero, intercedeva con Dio per la nostra salvezza dal virus. Non l’ho convinta. Avrebbe secondo me fatto il TSO pure al papa.

Le chiamate poi sono continuate. Messe in fila, in sequenza, le chiamate telefoniche di questi giorni, casuali, sincroniche, compongono tante tessere di un puzzle che diventa narrazione. Teoria. Spiegazione. Soluzione. Vediamo un po’… chi ha chiamato.

Ah, dicevo, quel mio vecchio paziente fobico della Campania. Mi chiama per lamentarsi che in Campania questo governatore dal piglio autoritario si rammarica perché in Cina hanno i mezzi (repressivi che lui non ha) per governare l’epidemia. Dice che il governatore campano ha dichiarato in un video di voler fare un’ordinanza per impedire alla gente di muoversi per strada. Chi viene trovato a passeggiare o se ne sta seduto su una panchina dovrà stare in quarantena per quindici giorni e se non viene rispettata la quarantena avrà un processo penale.

Gregorio da Pescara, non lo conosco, non so che problemi abbia, ha letto un paio dei miei libri, mi scrive: ma non gli basta la lezione delle carceri? Detenuti ammassati in spazi troppo stretti sedati da psicofarmaci e oppiacei – almeno metà dei detenuti assume psicofarmaci, il carcere, ha ragione lei dottore, è indistinguibile da un manicomio – che esplodono si ribellano protestano assaltano le medicherie si uccidono con psicofarmaci e metadone. Ebbene io lo so che tra poco esploderanno le case gli appartamenti i condominii i monolocali trasformati in carceri in arresti domiciliari in obbligo di dimora. Tra poco, per uscire di casa, le persone avranno il comprovato motivo di doversi recare al pronto soccorso da lei, dottore, per ricevere antidepressivi ansiolitici e stabilizzatori dell’umore. Di questo passo tutti salvi dal virus ma tutti schizzati e sotto psicofarmaci, alé.

Carmine da Reggio Calabria. Un grave ossessivo che lava le mani cinquanta volte al giorno, timori di contaminazione continua, l’ossessivo, si dice, ha il Thanatos costantemente conficcato nel cranio e si difende dalla costante incombenza della morte coi suoi rituali, tra tutti domina il lavarsi. Dice dottore! (con quella parlata calabra aspirata) finalmente non mi sento più malato, qui tutti si lavano le mani nessuno esce nessuno si tocca si stringe le mani non ho più bisogno di giustificarmi, per me questa è la normalità.

Paolo da Milano. Pure lui mi chiama al numero del reparto ospedaliero. Dice ho letto Agamben. Tutti danno addosso ad Agamben. Il povero Agamben. Ma che vi ha fatto Agamben. Pecore che non siete altro. Mentre parla vado sullo smartphone a leggere ciò che ha scritto Agamben, ha scritto che: “L’ondata di panico che ha paralizzato il paese mostra con evidenza che la nostra società non crede più in nulla se non nella nuda vita”.

Ovvio, dice Paolo, una società materialista che crede solo nella vita e non sa niente della morte, non s’è mai interrogata sul morire, ovvio si attacchi alla vita quand’anche fosse vivere vegetativamente e basta, chi se ne frega dei rapporti sociali delle amicizie dell’amore basta che non si crepi poi va bene stare tutta la vita dentro agli arresti sanitari. Neppure dei morti, aggiunge, ci deve importare, tanto sono morti, non servono più alla nostra nuda vita, se muoiono saranno seppelliti in una fossa, il funerale non si usa più, sei matto? Sarà pieno di untori. Nuda morte per nuda vita.

Mi ha incuriosito, appena attacca mi vado a leggere altro del filosofo che di questo passo sarà arrestato per terrorismo: “Non stupisce che per il virus si parli di guerra. I provvedimenti di emergenza ci obbligano di fatto a vivere in condizioni di coprifuoco. Ma una guerra con un nemico invisibile che può annidarsi in ciascun altro uomo è la più assurda delle guerre. È, in verità, una guerra civile. Il nemico non è fuori, è dentro di noi”.

Squilla di nuovo, è ancora lui. È impegnato? Posso dirle un’altra cosa? E continua, Paolo, il bipolare Paolo, anzi no, il ciclotimico Paolo, dice: Non stiamo combattendo un virus, dottore, qui stiamo combattendo noi stessi. Sa qual è la verità? La verità è che da un po’ tutti questi rituali ci avevano stufato ma non sapevamo come fare, il lavoro, la scuola, lo sport (soprattutto il calcio), le uscite, gli aperitivi, il cinema, il ristorante, le passeggiate, lo shopping, le amanti, gli amanti, i premi letterari, le presentazioni libresche, i festival, le sagre, le feste patronali, i carnevali, le olimpiadi, tutto, tutto, tutto questo assembramento di umanità, tutto questo obbligo di socialità, tutto questo consesso umano, tutte queste conoscenze, contatti, amicizie, like, tutto ci aveva strarotto i coglioni.

Per un po’ – continua, è in pieno trance apocalittico, lo lascio dire – continueremo nel virtuale, per un po’ anzi si accentuerà il consumo di internet dei social dei post dei like, poi, senza che il virtuale abbia una continuità reale nel mondo di fuori, senza che si possa toccare qualcuno, il gioco degli hikikomori, di questa umanità ridotta a una serie di monadi hikikomoriche, non reggerà a lungo. Inizierà la solitudine. Non rispondere a uno poi a un altro a un altro ancora. Finché il silenzio farà da prodromo alla follia. Tutti si ordineranno delle carabine con cui, dal nascosto del proprio balcone invece di cantare Azzurro o Fratelli d’Italia ogni tanto schioppetteranno all’untore potenziale che ancora osa uscire, passeggiare, correre, portare a spasso il cane. E dopo ancora, quando nessuno più uscirà, inizierà il tiro al piccione con fucili di precisione da una casa all’altra. Tutti prenderanno l’abitudine a non accendere le luci e a tenere basse le serrande e ordineranno porte antisfondamento e serrande a prova di pallottole. Il processo di autosegregazione, per i sopravvissuti, sarà completo. Fatto ciò, seguirà, senza più un nemico visibile fuori, l’accoltellamento del nemico interno: sgozzamenti, soffocamenti, precipitazioni, tra membri della stessa famiglia. Di cui ne resterà uno solo. A quel punto l’unico superstite di ogni famiglia, siccome neppure più le consegne a domicilio saranno possibili, dovrà per forza uscire, e le strade saranno popolate dai più feroci, i sopravvissuti che hanno già ucciso i propri famigliari, che vanno a caccia, sbronzi di furia omicida. La caccia è aperta. Il virus non ci ucciderà, dicevo, per infezione fisica, ma per infezione psichica.

Ogni tanto ricevo dei messaggi whatsapp o sms, molto laconici.

Dottore: ma lei che studia la psicologia delle masse, l’ha capito perché le persone ai balconi cantano l’inno di Mameli?

No. Forse perché il virus gli ha già dato alla testa? Ma non glielo dico.

Intanto oggi 20 marzo sono andato a correre, voglio farlo prima che inizi il divieto anche per correre. Entro nel parco degli acquedotti e non c’è anima viva. Un parco immenso di 240 ettari percorsi da nemmeno mezza dozzina di runner quasi-fuorilegge, tra cui io. I romani tutti in casa. Io allungo. Dieci chilometri di libertà. Riempio il mio cranio della dose di endorfine che mi è necessaria. Che mi spetta. Che mi merito. Con cui, da quarant’anni almeno, mi drogo. Endorfine da corsa che da vent’anni prescrivo alle persone depresse o ansiose o incazzate per non dar loro antidepressivi o ansiolitici o stabilizzatori dell’umore e quasi sempre funziona. Ora però, dice il ministro dello sport – uno che finora lo sport sembra averlo visto solo in televisione – se le persone continueranno a correre dovremo proibire pure la corsa. Nuda vita, ripeto: è nuda vita questa. Se polizia o carabinieri non mi prenderanno – sento l’altoparlante del grande fratello che ripete: restate a casa restate a casa restate a casa – sarò ancora un efficiente psichiatra del Servizio Sanitario Nazionale italiano. Capace di trattare con la giusta calma pazienza gentilezza empatia gli agitati o i depressi. Se dovesse andar male, se mi prenderanno, ci sarà un criminale in più e un medico in meno sul suolo italiano.

Ci penso, mentre corro, solitario come un appestato o un appestatore, sono ora più che mai dottor Jekyll e Mister Hyde. Al mattino sono uno degli angeli – stucchevole contentino con cui ci prendono per il culo, mentre ci espongono a rischi senza maschere adeguate e senza tamponi, noi no ai calciatori sì – che salvano persone, in prima linea intabarrato in un pronto soccorso. Di pomeriggio sono un demone untore che siccome corre in un parco immenso e desolato può ungere il mondo.

Mentre sto per rientrare nei miei arresti sanitari una delatrice mi indica, con quel dito secco, la riconosco, è lo stesso tipo antropologico, lo stesso archetipo di essere umano che prima se la prendeva coi migranti o coi rom ora deve per forza – sobillata dalla televisione – trovare un nuovo capro espiatorio, e in questo momento sono io, dice, indicandomi agli altri in fila, è andato a core’, nullo capischeno che nun devono core’. I guardiani della nostra nuova dittatura sanitaria. Faccio un esperimento. Metto questa frase su Facebook. Voglio vedere chi abbocca. Come si divide la mia bolla. Anche gli insospettabili mi biasimano. Perfino una collega di buon senso mi scrive: “Il diritto o meglio la libertà del runner di correre non è meno importante della mia di passeggiare o di quella degli anziani di uscire e camminare all’aperto. Se tutti ci sentissimo liberi di fare altrettanto starebbero tutti in strada. Invece tu puoi continuare a correre perché la maggioranza si sacrifica in nome di un interesse che dovrebbe prevalere e cioè quello per la collettività!”.

Qui capisco che non ce la faremo. Ha ragione Agamben. In nome della nuda vita siamo disponibili a farci espropriare di tutto, tra poco anche dell’aria.

Le prove tecniche di dittatura sanitaria stanno andando benissimo. Non abbiamo speranza di farcela.

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