cattolici – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 22:40:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Tre secoli di guerra civile https://www.carmillaonline.com/2019/03/07/tre-secoli-di-guerra-civile/ Wed, 06 Mar 2019 23:01:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=51175 di Sandro Moiso

Pierre Miquel, Le guerre di religione, Res Gestae, Milano, 2019, pp. 636, € 24,00.

L’autore di questo libro uscito in Francia nel 1980, al tempo docente presso la Sorbona, e per la prima volta in Italia nel 1981, certamente non si sarebbe trovato d’accordo con il titolo di questa recensione. Avrebbe, cioè, tenuto fermo il punto sullo scontro di carattere religioso avvenuto in Francia tra il 1523 e il 1771, il periodo di cui appunto l’ampia ricerca si occupa. Eppure, eppure…

Oggi, ancor più di ieri, è evidente agli occhi di chi scrive che spesso è più il [...]]]> di Sandro Moiso

Pierre Miquel, Le guerre di religione, Res Gestae, Milano, 2019, pp. 636, € 24,00.

L’autore di questo libro uscito in Francia nel 1980, al tempo docente presso la Sorbona, e per la prima volta in Italia nel 1981, certamente non si sarebbe trovato d’accordo con il titolo di questa recensione. Avrebbe, cioè, tenuto fermo il punto sullo scontro di carattere religioso avvenuto in Francia tra il 1523 e il 1771, il periodo di cui appunto l’ampia ricerca si occupa. Eppure, eppure…

Oggi, ancor più di ieri, è evidente agli occhi di chi scrive che spesso è più il presente o ancor meglio il futuro a determinare le coordinate della ricerca storica, più che il passato in sé. Si potrebbe forse addirittura affermare che il passato in sé non esiste, essendo rideterminato da ogni stagione di nuove riletture dello stesso, messe in opera sulla base delle esperienze e delle esigenze del presente oppure sulle ipotesi derivate da nuove prospettive future.
In questo senso, sia come ricercatori che come antagonisti del presente, occupandoci di Storia e di studi sociali, così come di qualsiasi altra scienza, possiamo essere tanto agenti del quanto agiti dal futuro.

Il semplice ricordo o la memoria del passato in sé spesso invece finiscono col coincidere con la nostalgia o la difesa conservatrice delle tradizioni e delle nozioni acquisite, mentre sono soltanto i cambiamenti in atto nel presente a costringere la ricerca storica a sfidare i suoi limiti, spesso semplicemente costituiti da verità ed affermazioni che si ritengono, soprattutto in ambito accademico, valide una volta per tutte. Ma i cambiamenti, presenti e futuri, di carattere sociale, culturale e politico, in ogni epoca, costringono ad una rilettura del passato poiché a nuovi immaginari, sempre derivanti dalla materialità del mondo circostante, servono nuovi elementi di conoscenza e nuove articolazioni interpretative per sviluppare le proprie iniziali intuizioni. Rendendo così possibile, infine, che spesso sia il futuro ad agire sul passato (e sul presente), più di quanto faccia il secondo sul primo.

Ecco allora che bene ha fatto Res Gestae, casa editrice da sempre impegnata nel recupero e nella ristampa di testi di storia da tempo scomparsi dal mercato editoriale italiano, a ripubblicare questo testo, denso di informazioni e allo stesso tempo di lettura piuttosto scorrevole, dedicato ai quasi tre secoli che precedettero sostanzialmente l’affermazione delle idee illuministiche e la rivoluzione francese. L’autore infatti ci teneva a sottolineare proprio questo: quei duecentocinquanta anni di violenze, rivolte, roghi, massacri e scontri militari erano serviti comunque a creare le basi per una nuova libertà di coscienza e della successiva Grande Rivoluzione.

Eventi che di fatto significarono l’uscita da un’epoca in cui il pensiero religioso era ancora onnicomprensivo, utile a spiegare tanto i fatti spirituali e morali ricollegabili all’aldilà quanto le esigenze concrete e politiche espresse dalla vita materiale nel mondo secolare. Già nel Principe, d’altra parte, Niccolò Machiavelli aveva sottolineato l’importanza della religione come strumento politico di governo, rivelando così, già agli inizi del XVI secolo, come la religione assuma particolare importanza nella lotta politica là dove non esistono ancora altri strumenti interpretativi della realtà di carattere politico o sociologico.

Proprio ciò che successe tanto al tempo delle eresie medievali che, forse, una più attenta analisi storica rivelerebbe trattarsi di una diffusa resistenza all’affermazione delle nuove regole di una società mercantile in via di progressivo assestamento, quanto abbiamo ancora visto succedere in età a noi più vicine con movimenti sociali come quello di Davide Lazzaretti, il Cristo dell’Amiata, oppure i primi moti della rivoluzione russa del 1905 con la presenza del pope Gapon oppure, ancora, con gli attuali sussulti del radicalismo islamico in tutte le sue componenti.

Movimenti che si ammantano di religiosità proprio in assenza di una teoria laica e politica che serva a spiegare determinate contraddizioni sociali fornendo agli oppressi e ai rivoltosi una prospettiva di cambiamento e di vittoria oppure, e in questo caso soprattutto per quanto riguarda il radicalismo islamico odierno, a causa del fallimento delle teorie politiche messe in atto per raggiungere determinati risultati. Ad esempio il fallimento del nazionalismo arabo di stampo nasseriano e del socialismo di stampo baatista.

Non c’è dubbio che nei tre secoli di storia francese magistralmente analizzati, sul piano dello scontro religioso, sociale, politico e militare, dal testo di Miquel le contraddizioni fossero tante e distribuite su più livelli. Cattolici contro protestanti; signori locali contro la monarchia in difesa delle loro autonomie; borghesi contro vescovi e signori feudali, talvolta al riparo degli editti del re, ma talvolta contro lo stesso; interessi imperiali contro interessi papali; interessi dei contadini liberi contro gli interessi feudali; servi della gleba contro i signori, ma anche investiti in quanto contadini dalle mire espansive della borghesia cittadina sulle terre comuni; la presenza esigua ma significativa di una prima “classe operaia” istruita, ad esempio quella degli stampatori di Lione, che però riveste ancora le vesti di un apprendistato destinato domani a farsi imprenditore1 che si esprimeva con una rimessa in discussione dei principi della Chiesa di Roma a partire dalle critiche che le erano state mosse da Lutero e da tutti gli altri Riformatori.

L’elenco potrebbe ancora essere lungo e il gioco combinatorio delle rivalità e delle contraddizioni allungarsi all’infinito, ma ciò che conta a questo punto è sottolineare che, nel corso dei due secoli e mezzo presi in esame, lo scontro e il gioco delle alleanze tra le varie componenti sociali contribuì soprattutto a ridefinire le forme del nascente Stato moderno, con la sua volontà accentratrice che in seguito la Rivoluzione del 1789 avrebbe contribuito a completare soltanto cambiando il segno della classe al comando.

Ecco allora perché è giusto parlare di guerra civile: proprio perché l’obiettivo ultimo di quello scontro che vide al suo centro per lungo tempo quello con gli Ugonotti, ma anche la straordinaria ultima ribellione dei camisards della Linguadoca e le violente dragonnades messe in atto dal potere reale per reprimerla insieme a tutte le altre rivolte precedenti oppure la nascita della bandiera rossa sulle mura della ugonotta e indipendente città marinara di La Rochelle, fu quello di ridefinire i rapporti di forza politici e sociali che avrebbero dovuto sostanziare la nuova forma statale che ne derivò e che, ripeto, si completò soltanto con l’affermazione della borghesia durante la Grande Rivoluzione.

Rivoluzione che, in quanto dialettica e materiale sintesi delle lotte che l’avevano determinata nel corso dei secoli precedenti, rappresentò non tanto la vittoria di uno dei due attori principali (cattolici e protestanti, tanto per semplificare) ma, piuttosto, la negazione di entrambi attraverso la laicità e la centralizzazione politica giunte a piena maturazione con l’affermazione di classe della borghesia (che aveva in precedenza giocato le proprie carte, non sempre in maniera del tutto calcolata, su entrambi i fronti). Determinando così quella separazione tra Stato e Chiesa che, in Europa, soltanto in Italia sarebbero tornati a riunirsi sotto il Fascismo con i Patti Lateranensi del 1929.

Ma questa riflessione può essere oggi indotta, e questo giustifica completamente la riedizione e una rilettura attenta del testo in questione, dall’osservazione che ormai da più di un secolo, almeno centocinquant’anni se partiamo dalla Comune di Parigi, un’altra violenta e tutt’altro che sotterranea guerra civile si è aperta tra sfruttati e sfruttatori, sia della specie umana che dell’ambiente, che si risolverà soltanto con la ridefinizione delle forme sociali di governo e di produzione. Le forme non sono ancora del tutto date, ma ciò potrebbe essere dovuto al corso degli eventi oppure definirsi completamente soltanto al loro termine, ma certo è che dobbiamo, con intelligenza e lucidità di pensiero, renderci conto che la Comune, la rivoluzione russa, due guerre mondiali, le grandi dittature del ‘900, le lotte antimperialiste e operaie, il ’68, gli anni Settanta e le attuali lotte come quelle della Zad, dei NoTav o in difesa dell’ambiente e contro l’estrattivismo diffuso su scala planetaria oppure, ancora, la nascita di nuovi movimenti autonomi come quello dei gilets jaunes fanno tutti parte di una lunga, forse lunghissima, guerra civile destinata a ridefinire i confini del futuro della nostra specie. Uno scontro, quello che viviamo, che soltanto dal futuro, inteso come negazione dei rapporti sociali di produzione presenti e passati, può trarre l’ispirazione e le giuste motivazioni.

Lasciando agli attuali manutentori dell’ordine costituito il ruolo che toccò alle peggiori forze conservatrici, laiche o ecclesiastiche che fossero, dell’epoca studiata da Miquel. Ovvero quello di negare, con ogni mezzo, un futuro diverso e possibile affinché ciò potesse e possa ancora impedire qualsiasi azione di cambiamento del presente attuale e del passato.
Carcere, forca, tortura, costrizione all’abiura e violenza non sono stati strumenti repressivi tipici soltanto del passato, ma sempre più lo sono del presente. In ogni angolo d’Europa e del mondo e anche questo occorre chiamare col nome appropriato: guerra civile, aperta o strisciante che sia.


  1. L’attualità odierna di questo tema si può riscontrare dalla lettura di Silvio Lorusso, Entreprecariat, Krisis Publishing, Brescia 2018 (qui)  

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Sam Millar: On the Brinks. Storie di strade e prigioni tra Belfast e New York https://www.carmillaonline.com/2016/10/25/33885/ Tue, 25 Oct 2016 21:30:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=33885 di Gioacchino Toni

MILLAR_cover_dorso_ok_def.inddSam Millar, On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 16,90

Parte prima. Belfast in bianco e nero come la foto di copertina. Metà anni Sessanta. Casse di bottiglie di birra vuote ai lati del pub di quartiere e l’immancabile fish and chips all’angolo.

«Il sabato mattina, da bambino, ero attratto dal pub di quartiere, in fondo alla nostra strada su York Street. Fuori dal pub, casse di Guinness vuote erano accatastate contro il muro, immerse nell’odore di fermentazione per il sole mattutino. Il loro contenuto era finito con i sogni [...]]]> di Gioacchino Toni

MILLAR_cover_dorso_ok_def.inddSam Millar, On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 16,90

Parte prima. Belfast in bianco e nero come la foto di copertina. Metà anni Sessanta. Casse di bottiglie di birra vuote ai lati del pub di quartiere e l’immancabile fish and chips all’angolo.

«Il sabato mattina, da bambino, ero attratto dal pub di quartiere, in fondo alla nostra strada su York Street. Fuori dal pub, casse di Guinness vuote erano accatastate contro il muro, immerse nell’odore di fermentazione per il sole mattutino. Il loro contenuto era finito con i sogni della notte precedente, lasciando solo un paio di lacrime di roba nera luccicante sul fondo di ogni bottiglia. Mosche, vili e pigre, ciondolavano ubriache sui colli di bottiglia, ronzando con rabbia per i postumi della sbronza» (p. 15).

Tutti i venerdì sera «dovevo correre da Peter Kelly per il fish and chips. Se anche avessi corso come un pazzo e il fish and chips fosse stato abbastanza caldo da scottargli la lingua, papà mi avrebbe comunque accolto con un Questa roba è ghiacciata. Che diavolo ti ha trattenuto…?» (p. 25).

Fine anni Sessanta – primi anni Settanta. «I neri stavano marciando per i diritti civili in America, e i cattolici del Nord Irlanda avevano l’audacia di dimostrarsi solidali con quella causa. Fu in quel periodo che mio fratello maggiore Danny acquistò un’auto. Non molti cattolici possedevano automobili a quel tempo, quindi la notizia era sulla bocca di tutti. Una Mini celeste» (p. 33).

Nemmeno il tempo di crescere ed il bambino che gironzolava con i cartocci unti di fish and chips da portare di corsa al padre e che si attardava ad osservare le bottiglie di Guinnes accatastate ai lati dell’entrata del pub impara sulla sua pelle cosa significa, in barba alla solidarietà di classe, essere preso di mira dai compagni di lavoro perché proveniente da un quartiere cattolico. «Iniziai a lavorare in un deposito di legname vicino al porto; oltre a me c’erano solo una dozzina di cattolici, su più di cento operai. Inutile dire che nessuno ci diede un caloroso benvenuto, a parte intorno al 12 luglio, nei giorni della festa degli orangisti, quando, zuppi d’alcol e odio, i nostri compagni di lavoro lealisti fecero un bel falò del piccolo capanno dove bevevamo il tè, separati dagli altri […] Dopo aver passato alcuni mesi a tornare a casa guardandomi le spalle, decisi, per ragioni di sopravvivenza, che la vita da falegname non era la mia vocazione. Finii a lavorare in un mattatoio, a due passi dal deposito di legname» (p. 39).

Da lì a poco il piccolo Sam avrebbe rimpianto persino lo sfruttamento nei luridi ambienti di lavoro e le angherie dei compagni provenienti dai quartieri protestanti. All’epoca non era difficile finire in galera per aver anche solo lasciato attraversare casa, dalla porta sulla strada a quella sul retro, qualcuno che andava di fretta. D’altra parte sarebbe stato difficile negare il passaggio a chi sapeva di poter contare sull’intero quartiere.

E così anche chi, come Sam Millar, tra i suoi avi mescolava con una certa noncuranza cattolici e protestanti di scarsa devozione, si aprirono le porte dell’inferno messo in piedi dai detentori di una tradizione secolare nel regnare a casa altrui. Tra il famigerato Crum, così veniva chiamato il Crumlin Road Gaol di Belfast, il Centro per Interrogatori di Castlereagh ed i maledetti H-Blocks di Long Kesh, anche chi era finito dentro senza nemmeno sapere il perché si trovava a doversi schierare più per motivi di sopravvivenza dietro le sbarre che per scelte politiche. Quelle sarebbero arrivate solo dopo, insieme alla solidarietà tra reclusi.

Metà anni Settanta. «Sono stato rilasciato alla fine del 1975 ed ero un’altra persona. Non ero mai stato molto interessato alla politica o alla storia, ma al Kesh, invece, ne divenni un consumatore insaziabile. Gli studi che mi erano stati negati sulla strada, alla fine filtrarono fino a me attraverso gli altri prigionieri, alcuni dei quali con titoli universitari. In realtà cercavo vendetta per essere stato sbattuto al Kesh con l’unica accusa di essere irlandese […] La rivalsa sarebbe stata tremenda. Sarei diventato una spina nel fianco del governo britannico e avrei insegnato a quegli stronzi le buone maniere. Purtroppo per me, i britannici ci misero un attimo a togliersi la spina dal fianco e a infilarmela dritta su per il culo, condannandomi a dieci anni di carcere con l’accusa di possesso di esplosivi e armi da fuoco. E così tornai là dove avevo imparato tutto, a Long Kesh» (p. 66).

Anni Ottanta. Il decennio inizia ormai saldamente in mano alla Lady di ferro residente al numero 10 di Downing Street a Londra. Inverno 1980. «Lo sciopero della fame, iniziato il mese prima, in dicembre aveva raggiunto una fase cruciale: la salute degli uomini stava crollando rapidamente. Il primo fra tutti fu Sean McKenna a cui diagnosticarono due giorni di vita. Quelli di noi che non partecipavano allo sciopero della fame erano impotenti di fronte a qualsiasi azione, poiché ci era stato ordinato di mantenere il sangue freddo a tutti i costi: qualsiasi segno di frustrazione da parte nostra sarebbe tornato utile solamente al governo britannico e ai secondini. Probabilmente quello fu, tra tutti, l’ordine a cui fu più difficile obbedire, sapendo attraverso quali sofferenze stavano passando i nostri amici e compagni» (pp. 135-136). Le cose iniziarono a succedersi frenetiche alternando speranze, scelte infami e compagni morti.

MILLAR_cover_dorso_ok_def.inddMaggio 1981. «I giorni prima delle elezioni si fecero snervanti. I Britannici cercarono in ogni modo di far rimuovere il nome di Bobby dalla scheda elettorale. La Chiesa cattolica, attraverso i suoi sacerdoti servili, ci informò che “nessuno avrebbe votato per Bobby Sands”. Fu davvero confortante sapere che il Governo britannico e la Chiesa cattolica non solo cantavano leggendo dallo stesso libretto, ma addirittura sporcavano lo stesso paio di mutande» (p. 143). «Era martedì mattina presto, il 5 maggio, quando iniziò a sentirsi un lieve tamburellare che veniva giù dalle tubature. Sembrava un battito cardiaco. Non eravamo impreparati a ciò che voleva dire, ma, quando trapelò la notizia della morte di Bobby, fu comunque uno shock» (p. 145).

Parte seconda. New York. Il cupo bianco e nero di Belfast sembra ormai alle spalle. I colori e le luci della vita americana di Sam Millar che emergono dalle pagine del libro non sono certo vivaci, ricordano piuttosto quelli della fotografia di Tonino Delli Colli con cui ha magistralmente dato immagine alla New York tra gli anni Venti e gli anni Sessanta di C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone. Il racconto di Millar sembra protrarre quelle tonalità e quella luce ben oltre agli anni Sessanta, prolungandole ancora per qualche altro decennio.

Il Millar americano? Sempre in bilico tra il legale e l’illegale, magari con un piede e mezzo nell’illegale tra casinò clandestini e lunario da sbarcare. Poi la grande occasione. L’occasione per svoltare e mettere tutto, o quasi, alle spalle. «La Brinks Incorporated, fondata nel 1859, è la più antica e la più grande azienda di trasporto sicuro in tutto il mondo, con centosessanta filiali operative negli Stati Uniti e quaranta in Canada, oltre ad affiliati in altri cinquanta paesi in tutto il mondo. Una bella storia davvero; e io progettavo di farne parte» (p. 217). «“È fondamentale che nessuno si faccia male. E nessuno si farà male, però devi fidarti di me. Non abbiamo bisogno di pistole vere” dissi. Cercai di calmarlo facendoli ragionare. “Le guardie staranno lì a farsela sotto, cazzo, quando si vedranno puntare in faccia queste”» (p. 218).

Finalmente i soldi. Tanti soldi. «Finì che sollevammo oltre mezza tonnellata di banconote in meno di quindici minuti. Un record olimpico. Ogni 45 chili di banconote erano, all’incirca, un milione di dollari. Non me ne frega niente di quel che dice la gente, con un incentivo monetario di quel tipo le chiacchiere stanno a zero» (p. 224).

Le cose non andarono per il verso giusto. C’era da aspettarselo. Novembre 1993. «La terapia diesel è una forma di tortura mentale e fisica dei detenuti che il governo vuole disperatamente far parlare, nella speranza di ottenere una confessione o informazioni vitali da usare in tribunale in una fase successiva. Questo travaglio punitivo consiste nello spostare il prigioniero da un penitenziario a un altro, fino a tre volte al giorno, per disorientarlo e isolarlo, nella speranza di abbattere ogni resistenza» (p. 268).

Così il New York Times riassume, a modo suo, un’intera esistenza di un essere umano che ha passato l’inferno delle prigioni di sua maestà a schiena dritta: «Nel quartiere di Jackson Heights dove vive, l’uomo, che si faceva chiamare Andre Singleton o Patrick, era noto per essere il proprietario di un frequentato negozio di fumetti, uomo di famiglia religiosa, inquilino responsabile che viveva tranquillamente con la moglie e tre figli. In un’altra vita, in Irlanda, la storia era stata ben diversa. L’uomo, slanciato e ben vestito, era Samuel Ignatius Millar, un giovane ribelle di Belfast che ha passato almeno otto anni in carcere, in primo luogo per l’appartenenza a un “gruppo illegale” e poi per possesso di armi ed esplosivi. Nel 1984, all’età di 29 anni, si è fatto strada negli Stati Uniti sotto falso nome. Ha lavorato come venditore ambulante, cercando di ricominciare daccapo. Le autorità ora sostengono che, arrivato nel nostro paese, il signor Millar abbia messo da parte la sua vecchia identità, ma non abbia fatto altrettanto con le sue attività criminali. La settimana scorsa, il signor Millar è stato collegato allo strano trio di sospettati, tra cui un sacerdote melchita e un ex detective della polizia, accusati di averlo aiutato a rubare 7,4 milioni di dollari dai furgoni blindati della Brinks in servizio a Rochester; si tratta di una delle più grandi rapine a mano armata nella storia degli Stati Uniti» (p. 271).

Gennaio 1994 «La terapia diesel continuò senza sosta per altri tre mesi. Venni spedito in numerosi penitenziari notoriamente duri, fino a che il mio avvocato, Anthony F Leonardo, fu finalmente in grado di porvi fine, ottenendo un ordine del tribunale per farmi restare nella prigione Monroe County, affettuosamente conosciuta come la Casa della Sofferenza, dove rimasi per i successivi due anni, in attesa di processo. Il cartello all’ingresso di Rochester diceva benvenuti e vi auguriamo una buona permanenza. Ma questa volta mi strizzò l’occhio: sapevo che saresti tornato…» (p. 275).

11 ottobre 1994. Il processo. «Non c’era nemmeno un posto libero. Il tribunale era pieno zeppo. C’erano i posti riservati alla stampa, e tutti i nostri famigliari e amici avevano cercato di entrare a forza. Tutti gli altri posti andarono a quella particolare specie di persone morbose che non hanno nulla nella loro vita, tranne la prospettiva della rovina di qualcun altro, la perversa euforia voyeuristica che provano osservando i caduti. Di gente così ce ne doveva essere a bizzeffe durante la rivoluzione francese, seduti con i loro ferri da maglia davanti alla ghigliottina» (p. 297).

29 novembre 1994. Il verdetto. «“Avete raggiunto un verdetto?”. “Sì”. “Qual è il verdetto?”. Calmai lentamente il respiro e sentii la mia pelle indurirsi per la tensione. Sapevo cosa sarebbe successo e, come un treno merci nella notte, c’era ben poco che potessi fare al riguardo» (p. 311).

On the Brinks ricostruisce la quotidianità infernale delle prigioni coloniali di sua maestà ed il meccanismo con cui un giovane, finito dentro senza neppure sapere perché, si trova a partecipare a scelte estreme. Il libro, come la vita di Sam Millar, si divide in due grandi blocchi ambientati nelle strade e nelle prigioni di Belfast ed in quelle di New York. Alla militanza nordirlandese segue la grande rapina americana ed è attorno a questi due eventi che si consuma l’esistenza dello scrittore. Dalle crude vicende narrate da Millar si potrebbero ricavare un paio di film: uno dedicato alle vicende di Belfast ed uno incentrato sulla rapina americana. Ci auguriamo che qualcuno ci stia pensando perché il libro, per certi versi, è già una sceneggiatura.

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irlanda-libriOn the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese di Sam Millar è il primo volume della Trilogia Irish proposta da Milieu edizioni. La seconda opera è The General. Martin Chaill, storia e leggenda della malavita iralandese scritta dal giornalista irlandese Paul Williams. Il libro narra la storia di un bandito che tra gli anni ’70 ed i ’90 si trova a dover fuggire, di volta in volta, da polizia, militanti dell’Ira e mercenari dell’Ulster. Il terzo volume della trilogia è Bomber Renegade. Un soldato di sua maestà al servizio dell’Ira libro + cd scritto da Michael “Dixie” Dickson, Federico De Ambrosis e Niccolò Garufi. In questo caso viene raccontata la storia di un ex militare di sua maestà di ritorno dalla guerra nelle Falkland che scopre la cusa repubblicana irlandese sugli spalti del Celtic Park accompagnata dalle rebel songs dei Glasnevin e di Gary Og.
Non mancheremo di dare spazio anche a queste due opere.

 

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