casa pound – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 01 Apr 2025 20:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Pandemia, economia e crimini della guerra sociale. Stagione 2, episodio 1: la schiuma https://www.carmillaonline.com/2020/10/28/pandemia-economia-e-crimini-della-guerra-sociale-stagione-2-episodio-1-la-schiuma/ Wed, 28 Oct 2020 20:00:52 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63263 di Sandro Moiso, Maurice Chevalier e Jack Orlando

“L’unico attore sociale che ancora mancava nella crisi più clamorosa della modernità è dunque arrivato in scena, presentandosi a Napoli: è il ribellismo che scende in piazza […] contro tutto, la Regione, il governo, le regole, la prudenza, la paura, in quanto è fuori dal sistema, alla deriva in un luogo sconosciuto della politica dove anche il contratto tra lo Stato e i cittadini pare non avere più valore […] Come Napoli ha anticipato, qualcuno fa i conti con il costo di questa emergenza [...]]]> di Sandro Moiso, Maurice Chevalier e Jack Orlando

“L’unico attore sociale che ancora mancava nella crisi più clamorosa della modernità è dunque arrivato in scena, presentandosi a Napoli: è il ribellismo che scende in piazza […] contro tutto, la Regione, il governo, le regole, la prudenza, la paura, in quanto è fuori dal sistema, alla deriva in un luogo sconosciuto della politica dove anche il contratto tra lo Stato e i cittadini pare non avere più valore […] Come Napoli ha anticipato, qualcuno fa i conti con il costo di questa emergenza infinita, questa precarietà permanente, questa instabilità costante, scopre che il costo è alto almeno quanto il rischi del contagio, e presenta il saldo al potere. Ognuno ha il suo conto privato da protestare sul tavolo del governo, non c’è al momento una cambiale nazionale da far scadere in piazza, dunque non c’è un disegno unitario capace di raccogliere i diversi reclami, trasformandoli in una ‘causa generale, quindi in un’occasione politica. […] Così i ragazzi che pedalano sulle biciclette delle consegne a domicilio si trovano accanto in piazza i pizzaioli che temono la chiusura, i disoccupati dei Bassi, le badanti, i venditori di souvenir a cui hanno chiuso i banchetti nei vicoli: ognuno con una rabbia distinta di categoria, con una rivendicazione peculiare di mestiere, con un credito di lavoro specifico, in una collezione di risentimenti separati uniti soltanto dal momento della ribellione. […]
Un elemento unificante in realtà esiste, ed è la delusione generale per i buchi che ognuno scopre ogni giorno nella copertura sanitaria di base […], oltre ai mezzi pubblici sovraffollati che trasportano infezione. La sensazione è quella dell’abbandono per il cittadino lasciato solo, […] mentre il potere pubblico – Stato e Regioni – ha sprecato l’estate in uno scaricabarile di responsabilità che è un’altra conferma della scomposizione del Paese, a partire dal potere pubblico”.

Chi è a scrivere queste parole? Un estremista esponente dei centri sociali o dell’ultradestra? Un camorrista interessato a diffondere l’ordine criminale sui territori? No, è l’ex-direttore del quotidiano la Repubblica, sulle pagine dello stesso, nell’editoriale di lunedì 26 ottobre: Il virus della ribellione. Un articolo che manifesta in maniera piuttosto esplicita il timore dell’establishment nei confronti di una rivolta generalizzata, come ha già ventilato la ministra degli interni Lamorgese e come il governo ha già cercato di anticipare non solo con l’uso delle forze dell’ordine distribuite sulle piazze, certo non soltanto per impedire la movida (vista la chiusura anticipata dei bar dei locali di ritrovo alle ore 18), ma anche con ciò che il Dpcm del 25 ottobre prevede in tema di manifestazioni pubbliche: ovvero il permesso per le manifestazioni statiche (sit-in) e il divieto per tutte quelle mobili (cortei).

L’ex-direttore del quotidiano nazionale non viene poi meno al suo ruolo insinuando, anche contraddittoriamente, che le proteste sono «sfruttate dalla camorra che nel declino dell’economia ufficiale vede crescere la sua economia parallela e il mercato dell’usura».
Rimuovendo così il fatto che è proprio nella povertà e nella miseria estrema, che i farlocchi provvedimenti anti-virus potrebbero provocare, che questa potrebbe prosperare molto meglio che contribuendo a rinvigorire le proteste. Ma sono ormai abituali le rimozioni del mondo reale dal discorso mediatico, mentre il solito Roberto Saviano, pur parlando di Napoli come esempio della «disperazione del Sud che sta scoppiando», non rinuncia comunque a sottolineare gli interessi criminali che potrebbero stare alle spalle delle proteste.

Non stupisce che Saviano, l’informazione e i media istituzionalizzati, le forze politiche parlamentari tornino a rispolverare le tesi sugli infiltrati, la criminalità e l’estremismo senza volto, insieme a quella sinistra che, in quasi tutte le sue smorte gradazioni di opinione e colore (dal rosa pallido al rosso spento), assume lo stesso atteggiamento, sventolando il pericolo rappresentato dagli utili idioti di Casa Pound e Forza Nuova (utili tanto alla Destra che alla Sinistra per poter urlare al lupo) indicandone il presumibile coinvolgimento nelle manifestazioni, per allontanare da sé lo spettro della rivolta (che ancora una volta si aggira per l’Italia e per l’Europa) e poter continuare a dormire sugli allori delle sconfitte passate e non doversi assumere alcuna responsabilità politica.

Stupisce invece come anche all’interno dei movimenti, tra tante singole soggettività che pure proprio per le esperienze vissute non dovrebbero avere dubbi sul solito schema dei buoni e cattivi, si sia aperto un dibattito particolarmente presente in rete, come già avvenuto con i “gilet jaunes”, che fa propria la propaganda mediatica e delle anime belle della sinistra, che ripropone la solita minestra riscaldata sulla violenza o si scandalizza perché i giovani hanno attaccato e si sono impadroniti delle merci, come a Torino, di Gucci, dell’Apple Store e del negozio Geo e non dei beni di prima necessità, come ha dichiarato un noto intellettuale torinese in un intervista al quotidiano La Stampa : «Rappresenta una novità per una città che ha conosciuto grandi momenti di rivolta, ma mai con l’accaparramento di merce di lusso. Sarebbe una corruzione della storia».

Nelle rivolte, la composizione delle piazze e delle lotte non la si può certo definire a tavolino: non lo si poteva fare negli anni ’70, quando l’organizzazione di cui lo stesso intellettuale faceva parte fu invece tra le prime a cogliere la novità delle rivolte di Reggio Calabria, nelle carceri oppure per la casa e le occupazioni di massa che ne seguirono1, e non lo si può fare oggi quando i fermati e gli arrestati minorenni, di Milano soprattutto, ci parlano in maniera meno formale e forbita del livore delle periferie.

Periferie che da Torino, città con uno dei tassi più alti di povertà in Italia, a Milano, fino a Parigi e a Filadelfia, ci raccontano oggi la medesima storia: l’impossibilità di rappresentarne il disagio reale per tutte le forze politiche tradizionali e l’inevitabile esplosione che ne consegue. L’emarginazione economica e sociale delle aree suburbane, nonostante le belle parole spese, è molto più fuori controllo del virus2 e questo fa davvero paura perché le manifestazioni di questi giorni sono probabilmente soltanto l’antefatto di quelle che verranno, quando la “vera classe operaia”, di cui molto si ostinano a parlare senza più conoscerla, sarà risvegliata dal suo torpore dalla fine dei fondi destinati alla cassa integrazione (il 31 gennaio 2021) e del blocco dei licenziamenti. Forse è per prevenire questo che il governo e tutti gli apparati dello Stato e dell’informazione stanno già cercando di giocare d’anticipo criminalizzando il dissenso, nelle teste e nelle piazze. Anche se è chiaro ormai per tutti che il problema sociale è ormai globalizzato. Specialmente in Europa, dove il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in un’intervista, sempre a La Stampa, alla vigilia del vertice in videoconferenza fra i 27, ha potuto affermare che : “La Ue deve agire compatta per evitare disordini e rivolte sociali”.

L’ineffabile direttore di un Tg serale, martedì 27 ottobre, ha avuto almeno il merito di dire ciò che tutto questo mondo di benpensanti, così compassionevoli con i migranti quando non si ribellano oppure affogano in silenzio e con i poveri quando mendicano un lavoro qualsiasi o un tozzo di pane, pensa realmente di ciò che sta avvenendo e del protagonismo giovanile, spesso di immigrati di seconda generazione, nella ribellione delle periferie: si tratta della “schiuma”, ha detto rivolgendosi ai telespettatori per introdurre le notizie riguardanti le proteste. Separando, naturalmente, quelle pacifiche dei tassisti e dei proprietari dei bar e dei ristoranti da quelle dei disoccupati e dei lavoratori impiegati nelle stesse aziende che, a differenza dei loro datori di lavoro, non potranno certo godere dei ristori promessi dal governo.

Ma vediamo insieme cosa sta avvenendo. Come nella prima fase3, anche ora è proprio da Napoli che è iniziata la lotta, con la manifestazione serale di venerdì 23 ottobre in cui è esplosa la rabbia della città.
Il giorno dopo, nel pomeriggio, sempre a Napoli, c’erano cassaintegrati, disoccupati, operai degli stabilimenti di Pomigliano e della Whirlpool e molti altri, giovani o meno, pesantemente toccati e danneggiati dalla crisi e dai provvedimenti governativi. Che tutto ciò faccia paura al Governo, a Confindustria, ai media asserviti così come anche alle confederazioni sindacali della Triplice è nel normale gioco delle cose. Soprattutto la mancanza di una rappresentanza unica collettiva con cui sia possibile trattare e mediare, ma per caso non è che anche alla sinistra zombificata faccia altrettanto paura?

I giorni successivi hanno visto una mobilitazione dal sud al nord di tutto il paese e le manifestazioni di Torino e Milano, dove la rivolta è esplosa con una forte presenza di giovani, in particolare delle periferie urbane senza futuro, con pratiche di riappropriazione delle merci in Via Roma, la via del lusso torinese, e con la determinazione di attaccare i simboli della politica come a Milano il grattacielo della regione Lombardia.

I manifestanti di Milano, definiti come “uno sciame di vespe che pungeva dove capitava” da un investigatore di lungo corso4 costituiscono forse il più chiaro esempio di ciò che sta avvenendo ai margini della narrazione del mondo ufficiale. Tra i 28 fermati ci sono infatti 18 italiani e 10 stranieri, di cui 13 minorenni. Tutti provenienti dalla periferia di via Padova, via Porpora o dall’hinterland fin da Cernusco sul Naviglio. Più che chiedersi chi ha organizzato o infiltrato quelle centinaia di ragazzi e ragazzini, lo Stato e i suoi apparati dovrebbero forse chiedersi cosa ribolle nella pentola sociale di cui si finge di ignorare, o forse proprio si ignorano, le necessità e i bisogni. Non risolvibili soltanto sul piano della cultura con cui, troppo spesso, politici ed intellettuali si sciacquano la bocca non sapendo cos’altro proporre oppure non riuscendo nemmeno ad immaginare altre soluzioni che non siano quelle legate alla repressione e all’emarginazione economica e sociale.

A rafforzare questa ipotesi c’è il fatto che su Tik Tok, Instagram e altri social tipicamente giovanili stanno rimbalzando le immagini degli scontri di Torino e Milano, con l’indicazione a replicarli ovunque. Indicazione che non arriva da qualche soggetto politicizzato, ma proprio da quei giovani che tanto i cosiddetti boomer quanto i compagni, attribuivano paternalisticamente ad una gioventù disinteressata, passiva e irrecuperabile, mentre invece questi hanno colto il dato assolutamente politico di quei riot e si sono identificati nei loro simili. Inizia così ad emergere un nuovo soggetto politico, i cui contorni sono ancora invisibili, anche se probabilmente saranno ben più radicali; non perché fanno gli scontri e i saccheggi, ma perché sono i veri figli della catastrofe neoliberista e non possono nemmeno rivendicare la delusione del futuro negato. Non lo hanno mai avuto il futuro e il loro presente è assai più crudo di quello che le generazioni precedenti dei trentenni e quarantenni hanno vissuto.

Nelle piazze di Napoli, e in tutte le altre, c’è tutto e il contrario di tutto, le istanze sono reazionarie e comuniste allo stesso tempo, le distinzioni di destra e sinistra nello sguardo comune sono azzerate (certo, se uno si presenta esplicitamente facendo saluti romani e dicendo di essere di Forza nuova, la distinzione si fa un po’ troppo palese e il gioco non dura), così come le divisioni di classe: abbiamo fianco a fianco imprenditori (piccoli, medi o grandi non è qui importante) con lavoratori subordinati. E’ ovvio che le condizioni e le istanze siano differenti per ciascuno e siano in contraddizione, nonché pongano un serio problema: ovvero quello dell’egemonia piccolo borghese (come mentalità non come classe) che spinge in direzione di un orizzonte di immaginario e rivendicazione assolutamente lavorista e corporativista. Questo è per ora un pericolo da scongiurare, ma non per questo ci si può esimere dal comprendere come una delle novità del movimento attuale sia proprio costituita dalla convivenza tra soggetti e rivendicazioni del tutto incompatibili fino a ieri.

L’antagonismo, nella maggioranza dei casi, è arrivato in ritardo al suo appuntamento con la storia (o forse non ci è arrivato proprio), non perché non ha chiamato per primo alle piazze, né perché non ha saputo rispondere al lockdown di marzo, ma perché sono vent’anni almeno che ha smesso di accarezzare il sogno dell’assalto al cielo e della resa dei conti con il nemico storico.
Si tratta quindi, per chi vuole comprendere il presente andando oltre i limiti del Novecento, di essere attenti a queste lotte, a questa tendenziale rivolta generalizzata con cui i discorsi liberal progressisti, il neo-togliattismo, le camarille politiche non hanno più nulla a che spartire, per poter affrontare una questione urgente e profonda: quella della ricomposizione di un soggetto sociale e politico, nemico del presente, che non può più essere riassunto soltanto in facili formule sociologiche e politiche.

Questo possibile movimento non uscirà vincitore conquistando un palazzo d’inverno ormai ridotto a rudere, ma soltanto quando sarà emersa una nuova generazione di ribelli e rivoluzionari, una nuova modalità della politica che abbia al suo centro non la vittimità, ma la volontà di potenza collettiva.
Forse è vero che a manifestare in maniera più radicale il proprio scontento e disagio sia oggi la schiuma, ma non quella immaginata dai benpensanti dell’informazione e della politica, ma piuttosto quella della Grande onda di Kanagawa dipinta da Katsushika Hokusai nel 1831.
Quella di uno tsunami che potrebbe travolgere il modo di produzione vigente, perché, proprio come per i veri tsunami, ha origini telluriche profonde nei movimenti della tettonica a zolle sociale, che nessun congiurato o infiltrato potrà mai davvero mettere da solo in movimento e che mai nessuna barriera di contenimento o repressiva potrà mai definitivamente impedire.


  1. Era l’epoca dello slogan, lanciato da Lotta Continua nell’autunno del 1970, Prendiamoci la città!  

  2. Come anche il magnifico film I miserabili di Ladj Ly (qui https://www.carmillaonline.com/2020/08/26/i-dont-live-today-2-la-guerra-nelle-periferie/ ) dovrebbe aver insegnato anche ai ciechi intellettuali che pur si riempiono la bocca delle parole cultura e cinema  

  3. Fu proprio a Pomigliano che, il 10 marzo scorso, iniziarono quelle agitazioni operaie e quei blocchi della produzione che costrinsero, almeno formalmente, il Governo a dichiarare un fermo di tutte le attività produttive. E fu proprio da Pomigliano che iniziarono le ribellioni e gli scioperi spontanei che poi si diffusero al resto delle fabbriche d’Italia, soprattutto in Piemonte e Lombardia  

  4. I. Carra, Milano scopre i suoi ragazzi della banlieue. “Uno sciame di vespe”, la Repubblica Milano, 28 ottobre 2020  

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Il Generale, il Prefetto, il Serpente e la pulizia etnica della Jugoslavia https://www.carmillaonline.com/2017/11/13/generale-prefetto-serpente-la-pulizia-etnica-della-jugoslavia/ Mon, 13 Nov 2017 22:01:44 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=41469 di Fiorenzo Angoscini

Giacomo Scotti, I massacri di luglio. La storia censurata dei crimini fascisti in Jugoslavia. Introduzione di Giuseppe Ranieri, Red Star Press, Roma, giugno 2017, pag. 256, € 18,00

L’invasione militare e l’occupazione amministrativo-politica di alcuni territori della Jugoslavia del nord, da parte dell’Italia monarco-fascista, con velleità imperialiste e mire espansionistiche, tramite la cosiddetta ‘guerra d’aprile’ dell’anno 1941, ha provocato numerose vittime, distruzione di villaggi e città, decimazioni di nuclei famigliari, sofferenze, povertà e miseria per le popolazioni slave (s’ciavi, schiavi) che da sempre abitavano quelle terre. Accompagnate da manovre di snazionalizzazione, prevaricazioni, tentativi di cancellazione dell’identità culturale [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Giacomo Scotti, I massacri di luglio. La storia censurata dei crimini fascisti in Jugoslavia. Introduzione di Giuseppe Ranieri, Red Star Press, Roma, giugno 2017, pag. 256, € 18,00

L’invasione militare e l’occupazione amministrativo-politica di alcuni territori della Jugoslavia del nord, da parte dell’Italia monarco-fascista, con velleità imperialiste e mire espansionistiche, tramite la cosiddetta ‘guerra d’aprile’ dell’anno 1941, ha provocato numerose vittime, distruzione di villaggi e città, decimazioni di nuclei famigliari, sofferenze, povertà e miseria per le popolazioni slave (s’ciavi, schiavi) che da sempre abitavano quelle terre. Accompagnate da manovre di snazionalizzazione, prevaricazioni, tentativi di cancellazione dell’identità culturale e linguistica. Un vero e proprio piano di sostituzione etnica.

Già dai tempi dell’occupazione, attraversando il dopo guerra post resistenziale, gli anni cinquanta: quelli delle parole d’ordine nazional-fasciste-scioviniste di ‘Trento, Trieste, Istria italiane’,1 mescolando un irredentismo casereccio a rivendicazioni annessionistiche, nonché la ‘proprietà’ geografia della mitteleuropea città alabardata, l’onda lunga della menzogna è giunta sino ai giorni nostri con l’istituzione (2004), per decreto, del 10 febbraio come ‘Giorno del ricordo’ dedicato alla “memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.

In quella data, ogni anno, vengono consegnate ‘medagliette’ dorate (non sono d’oro, bensì in acciaio brunito e smaltato e recano la scritta “la Repubblica Italiana ricorda”) ai parenti degli ‘infoibati’ ma, tra i riconosciuti come vittime delle doline carsiche, ci sono anche caduti in combattimento (quindi non ‘infoibati’), ex-repubblichini2 e criminali di guerra3 . Un vero e proprio medaglificio fascista.4

Si parla, spesso gonfiandoli e falsificandoli, degli effetti, dimenticando e rimuovendo completamente quali sono state le cause: un’occupazione violenta e sanguinaria, crimini e misfatti, odiose forme di razzismo e repressione. Mescolando foibe e ‘profughi’ (come venivano chiamati dagli ‘italiani’ residenti i rientrati in Italia dalle zone jugoslave), bugie storiche e primati di insediamenti e radici mai avuti. Ribaltando la realtà dei fatti, applicando quello che molti storici definiscono ‘rovescismo’. Cercando di accreditare, cioè, l’esatto contrario di ciò che è avvenuto.

Per comprendere come le mire di annessione, l’odio ‘anti-slavo’ e le violenze fasciste abbiano radici lontane ma costanti, ricordiamo due avvenimenti tragici e criminali, collegati tra loro, nonostante la distanza temporale, dallo stesso e solito ‘filo nero’ squadrista. Il primo è l’attacco al Narodni Dom (Casa del popolo o Casa nazionale) di Trieste, sede delle organizzazioni degli sloveni triestini, un edificio polifunzionale nel centro di Trieste, nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo (Hotel Balkan).5 Incendiato dai fascisti il 13 luglio 1920, nel corso di quello che, persino Renzo De Felice definisce “il vero battesimo dello squadrismo organizzato”. L’altro, relativamente recente, significativamente avvenuto il 4 ottobre 1969 (due mesi prima della strage di Piazza Fontana alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano e riconducibile agli stessi ambienti responsabili, con identiche modalità, della strage) è il fallito attentato (per cause meteorologiche, non per volontà dei potenziali assassini) compiuto presso la Scuola elementare di lingua slovena a Trieste.

Quel lunedì mattina, il custode, trova sul davanzale di una finestra una cassetta portamunizioni militare con scritte in inglese avvolta da filo zincato. Quando i Carabinieri intervenuti sollevano il coperchio, trovano sei candelotti (kg 5,7 di esplosivo) di gelignite spezzati a metà, avvolti in carta paraffinata rossa, e un congegno ad orologeria formato da una pila, due detonatori e un orologio da polso con una vite inserita nel quadrante e collegata ai fili elettrici a loro volta collegati ai detonatori. Ai piedi dell’edificio vengono inoltre rinvenuti otto foglietti di carta con scritte in stampatello di carattere xenofobo quali “No al viaggio di Saragat in Jugoslavia”, “No alle foibe”, firmati FRONTE ANTI SLAVO.

Contro queste tendenze e demagogiche, deboli culturalmente ma forti mediaticamente, scuole di pensiero, in una difficile, logorante e solitaria, ‘battaglia per la verità’ si sono da molto tempo distinti alcuni storici, ricercatori, scrittori, giornalisti e militanti politici, in una sorta di ‘Resistenza storica’ per l’affermazione della realtà. Tra questi Giacomo Scotti, napoletano di origini e italiano di nascita che ha deciso di trasferirsi a vivere, in una sorta di controesodo, in Jugoslavia già nel 1947, autore di numerose inchieste e pubblicazioni,6 Claudia Cernigoi,7 Alessandra Kersevan,8 Alessandro Sandi Volk9 e, recentemente, affiancati anche dal collettivo di ricerca storica, filiazione della Fondazione Wu Ming, denominato ‘Nicoletta Bourbaky’10 che ha smascherato la montatura storico-politica della cosiddetta ‘foiba volante’ (appariva qui e là) che già dall’attribuzione finale si può intuire che era una cosa inesistente, non c’era materialmente.

L’invenzione mediatica ha visto come attori protagonisti reazionari veri, ‘democratici’ camuffati (un senatore Pd) e militanti ‘piddini’ dialoganti con Casa Pound.11 Anche Claudia Cernigoi, su questa strana foiba (foibe?), ha offerto un interessante contributo.12 Una bella compagnia di giro-armata Brancaleone, puntualmente sbugiardata13 . Mentre Scotti, Cernigoi, Volk, Kersevan, ‘Nicoletta Bourbaky’ ed altri, spesso accusati di negazionismo, combattono culturalmente il revisionismo storico vero, supporto e battistrada del revisionismo costituzionale.

Con questo nuovo contributo, Giacomo Scotti, utilizzando fonti articolate e diverse, dati e documenti alla mano, delinea le efferatezze, gli assassini e crudeltà perpretrate nel nord della Jugoslavia dagli occupanti italo-fascisti nella primavera-estate del 1942.
La ricostruzione storica parte dalla devastazione (12 luglio 1942) di un villaggio, Podhum, distante circa dieci chilometri da Fiume. Secondo il Prefetto Testa,14 ricordato dalla “popolazione come il boia del Fiumano e dei territori della Kupa”, il motivo-pretesto dell’eccidio è stato offerto, e compiuto, per vendicare “16 soldati uccisi dai ribelli”, mentre il ‘Federale’ fascista di Fiume, Genunzio Servitori, fa risalire le ragioni della rappresaglia alla morte di due maestri elementari, i coniugi Giovanni e Francesca Renzi, emissari del “regime fascista nelle terre occupate e annesse per italianizzare i ‘barbari slavi’”. Ma Scotti puntualizza: “Il ‘caso’ di Podhum si inserisce, in verità, in un disegno generale di sterminio delle popolazioni slave sui Territori annessi della Slovenia e della Croazia nel quadro, cioè, di un’operazione preparata accuratamente.
Il risultato sarà la totale o parziale distruzione col fuoco di circa cinquanta villaggi…con fucilazioni di centinaia di ostaggi e la deportazione di alcune migliaia di persone”.

Descrive come la popolazione veniva vessata e perseguitata perché aveva parenti che erano ‘andati nel bosco’ , cioè con i Partigiani, oppure di arrestati che venivano condannati a morte da un tribunale di guerra ma solo dopo essere già stati fucilati mentre i lori cadaveri marcivano in una fossa sconosciuta.
Puntualizza come la famigerata circolare 3-C emanata, il 1° marzo 1942, dal comandante della II Armata operante in quei territori, Mario Roatta,15 fosse “un documento-programma (riassunto in un opuscolo di circa 200 pagine e distribuito a tutti gli ufficiali dell’esercito) grazie al quale nel solo mese di luglio 1942 furono deportati 10mila civili dai territori coinvolti in una cosiddetta ‘Operazione Primavera’” . Il cui obiettivo era “lo spopolamento tramite la deportazione dei civili e il massacro dei ‘ribelli’…contenente tra l’altro la formula ‘non dente per dente ma testa per dente’…che rappresentò una normativa repressiva di tipo coloniale nei confronti delle popolazioni dei Territori annessi destinati alla bonifica etnica…facendo terra bruciata, in vista di una imminente colonizzazione italiana”.

Prima delle distruzione di luglio, anche la primavera era stata insanguinata, con decine di villaggi rasi al suolo, comunità distrutte e disperse, giovani e giovanissimi ammazzati perché appartenenti ad una ‘razza’ inferiore. Questa repressione, senza pietà, aveva come principale protagonista il Prefetto Temistocle Testa che, spesso, firmava di proprio pugno gli ordini che sancivano vere e proprie stragi di civili.

Scotti elenca, con precisione certosina, il numero e, a volte, anche i nomi dei fucilati, dei deportati, degli internati nei campi di concentramento, e spesso anche il nome dei fucilatori. Racconta delle lusinghe, dei premi, vere e proprie taglie poste sulla testa dei ‘ricercati’. Della costituzione di squadroni della morte (Milizia Volontaria Anticomunista) e per la caccia (Bela Garda, Camicie Bianche) alle ‘bande Comuniste’, ma che andavano sempre più ingrossandosi con l’aumentare della repressione.
L’autore documenta come non ci sia alcuna differenza tra fascisti della prima ora, neo-fascisti o post-fascisti: gli squadristi del manganello, della somministrazione dell’olio di ricino, degli agguati, dello sfoggio di camicie nere, e delle stragi (da Marzabotto a Piazza Fontana) sono sempre gli stessi, identici storicamente e ‘culturalmente’, siano essi ‘manovali’ oppure ‘intellettuali’.

Uno degli esempi è rappresentato dalla falsificazione relativa alla volontà, e ‘contentezza’, degli abitanti alcune frazioni di Castua, nell’essere internati nei ‘campi’ fascisti. In una comunicazione riservata (giugno 1942) al questore di Fiume, gli artefici della rappresaglia si esprimono così: “Gran parte della popolazione del Castuano che assisteva all’operazione stessa ha manifestato il desiderio di essere internata nel Regno […] Il numero degli internati è di N. 500”.
Sfrontataggine fascista. Contrabbandando per desiderio una deportazione che conduce gli abitanti a sopportare nuove sofferenze e perfino la morte nei ‘campi del Duce’. “Parecchi di loro infatti, finirono nel campo di sterminio di Kampor sull’isola di Arbe dove tra il giugno 1942 e l’inizio di settembre 1943, su 12mila deportati ne morirono di stenti, di fame e di malattia circa 3mila, per la gran parte bambini e vecchi”.

In loro soccorso, a distanza di quasi 70 anni, si prodiga un quotidiano ‘indipendente’, “Il Secolo d’Italia”, già organo ufficiale del ricostituito partito fascista Movimento Sociale Italiano.
Il 23 novembre 2011, a proposito di quel ‘campo di lavoro’, il giornale scrive: “Non era né un campo di concentramento, né un campo di sterminio, e le vittime furono ‘in maggioranza’ comunisti croati e sloveni”. Bolscevichi di pochi anni, oppure ultrasettantenni e donne di ogni età. Con buona pace di quegli ‘ambigui’ che parlano di pacificazione e di equiparare i Partigiani agli assassini (fascisti e Repubblichini).

Un altro esempio di manipolazione della verità e falsificazione degli avvenimenti, riguarda l’epilogo della meschina vita di Vincenzo Cuiuli,16 comandante del ‘campo della morte’17 di Kampor, sull’isola di Arbe, in Dalmazia settentrionale, allestito all’ inizio dell’estate del 1942, il cui padre fondatore (come si autodefinì) è stato il Prefetto Temistocle Testa.
“Il tenente colonello Cuiuli portava sempre con sé un frustino per incutere terrore ai deportati da lui disprezzati come fossero bestie”. Anche per questo motivo era stato soprannominato Zmija, ‘il Serpente’.

Già dal gennaio ’43, nel ‘campo’ si era costituita una cellula clandestina del Fronte di Liberazione e, in luglio, una virtuale Brigata Partigiana (Rabska Brigada) che “si assunse il compito di creare migliori condizioni di vita nel campo e preparare gli internati alla lotta armata”. L’ 8 settembre 1943 la ‘brigata di campo’ prese il controllo della struttura senza compiere alcuna violenza sugli ex ‘controllori’, che non opposero resistenza. Solo “il Cuiuli minacciò i ribelli di farli fucilare, ma venne prontamente immobilizzato dagli internati, senza che gli altri ufficiali e soldati reagissero. Il ‘Serpente’ poté tornare negli uffici del Comando dove trascorse la notte”.
Successivamente tutto il personale militare venne ‘liberato’, furono trattenuti in stato di arresto solo il comandante, carabiniere Cuiuli, e una spia di nome Mohar, successivamente processati e condannati a morte per crimini di guerra.

E qui inizia la girandola di menzogne e ricostruzioni non veritiere.
Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski, nel volume “Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1942)” collocano la morte del ‘regio’ carabiniere, ad Arbe, il 13 settembre 1943 (oltre la data della loro ricostruzione) “ucciso durante la rivolta degli internati”.
Non è vero, documenta Scotti, che Cuiuli fu ucciso ad Arbe il 13 settembre.
“Le cose andarono diversamente”.
L’ex comandante viene trasferito sulla terraferma nella notte tra il16 e 17 settembre e rinchiuso, sotto sorveglianza, in una cella del carcere di Crikvenica. Il mattino dopo viene rinvenuto moribondo nella sua cella: si era suicidato tagliandosi il collo.18

Ma questa soluzione non può essere accettata da parte di chi vuole screditare comunisti, partiginai, slavi ed internati in campi fascisti. Così, in un libro19 pubblicato a Trieste, l’autore, Luigi Papo20 sostiene che Cuiuli è stato una vittima dei Partigiani di Tito: “Gli slavi lo hanno impiccato ad Arbe tra il 10 e il 12 settembre davanti al campo di internamento, in cui era rinchiuso, e lo hanno seppellito in mezzo alla strada assieme al suo cane”.

Ma Scotti, precisa e demistifica: “In tre righe una montagna di falsità”.
Riprendendo le testimonianze raccolte da Anton Vratusa “che smentiscono sia l’impiccagione, l’esistenza del cane dell’ ‘impiccato’ e tutto il resto”, così come confermato anche dallo storico Ivo Baric’ nella voluminosa storia della sua isola, “Rapska bastina” (Il patrimonio di Arbe).
“Il comandante del più malfamato lager per civili creato dalle truppe italiane nella seconda guerra mondiale-suicidatosi forse per rimorso-venne sepolto accanto alle sue vittime”.

L’italiano di Croazia per scelta, Giacomo Scotti, ribadisce: “Bisognerebbe farla finita con il silenzio sui crimini del fascismo italiano, soprattutto le stragi compiute non soltanto dai battaglioni speciali fascisti ma dalle truppe italiane che aggredirono e occuparono la Jugoslavia, annettendosi intere regioni della Slovenia, del retroterra della Provincia di Fiume, della Dalmazia e l’intero Montenegro”.

Rendendo omaggio a tutti i fucilati di quelle terre: oltre 400mila civili, di cui più di 100mila rinchiusi nei campi di concentramento di Molat, Arbe, Gonars e molti altri.
Ciò, in risposta ad un comunicato del 25 aprile 2017, a firma di Donatella Schurzel, vice presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, contro le persecuzioni subite dagli ebrei per opera nazista e dalla “comunità giuliano-dalmata vittima di persecuzioni, deportazioni, stragi e violenze nel corso della seconda guerra mondiale a opera dei nazionalcomunisti di Tito”.
Oplà! Con una giravolta la realtà è capovolta.


  1. http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2015/07/1953-GLI-SCONTRI-PER-TRIESTE-ITALIANA..pdf  

  2. http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_19/foibe-criminali-guerra-fascisti-300-combattenti-rsi-medaglie-ricevute-il-giorno-ricordo-49b164a6-ce59-11e4-b573-56a67cdde4d3.shtml  

  3. http://www.diecifebbraio.info/2012/03/i-riconoscimenti-per-gli-infoibati-ai-criminali-di-guerra-italiani/  

  4. https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/04/il-giornodelricordo-dieci-anni-di-medaglificio-fascista-un-bilancio-agghiacciante/  

  5. http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2011/29-34_PAHOR.pdf  

  6. con Luciano Giuricin, Rossa una stella. Storia del battaglione italiano Pino Budicin e degli Italiani dell’Istria e di Fiume nell’esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume, Rovigno, 1975; Ustascia tra il fascio e la svastica, storia e crimini del movimento ustascia, Incontri Editore, Udine, 1976; Bono Taliano. Gli italiani in Jugoslavia (1941-43), La Pietra, Milano, 1977, ristampato per Odradek Edizioni nel 2012; Juris, juris! All’attacco! La guerriglia partigiana ai confini orientali d’Italia 1943-1945, Mursia, Milano, 1984; con Luciano Viazzi, Le aquile delle Montagne nere: storia dell’occupazione e della guerra italiana in Montenegro (1941-1943), Mursia, Milano, 1987; Dossier foibe, Manni, San Cesario di Lecce, 2005; Il bosco dopo il mare. Partigiani italiani in Jugoslavia, 1943-1945, Infinito Edizioni, Formigine (Mo), 2009; ed altri lavori  

  7. direttrice di “La Nuova Alabarda e la coda del diavolo”, notiziario di informazione culturale, politica e sociale; autrice di interessanti ‘dossier’ monografici: tra cui “L’ombra di Gladio. Le foibe tra mito ed eversione”; “La ‘foiba’ di Basovizza”; “Il caso Norma Cossetto”; “Operazione Foibe: tra storia e mito, Kappa Vu edizioni, Udine, 2005”; La «banda Collotti». Storia di un corpo di repressione al confine orientale d’Italia, Kappa Vu, Udine, 2013  

  8. animatrice della casa editrice Kappa Vu ed autrice di: “Un campo di concentramento fascista. Gonars (1942-1943)”, Kappa Vu Edizioni, Udine, 2010; “Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943”, Nutrimenti Editore, Roma, 2008  

  9. Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell’italianità sul confine orientale, Kappa Vu Edizioni, Udine, 2010; Truffe, fuffe e fascisti… I “premiati” del Giorno del Ricordo. Un bilancio provvisorio, www.diecifebbraio.info, 17 gennaio 2017  

  10. Nome usato da un gruppo di inchiesta sul revisionismo storiografico e le false notizie storiche in rete, con particolare riferimento alle manipolazioni su Wikipedia, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo ha voluto rendere omaggio a Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983  

  11. http://www.casapoundlombardia.org/index.php/en/112-archivio-brescia/164-cpi-brescia-linea-rossa-su-sfondo-nero  

  12. http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2016/05/intrigo-nazionale-a-roccabernarda-1-1.pdf e http://www.diecifebbraio.info/2016/03/udine-2332016-la-verita-documentale-sulla-foiba-mobile-di-rosazzo/  

  13. https://www.wumingfoundation.com/giap/2016/12/la-foiba-volante-non-esiste/  

  14. Temistocle Testa, criminale di guerra, Prefetto di Fiume e del Carnaro dal 1938 fino al gennaio 1943. “…tipico Prefetto fascista interprete della guerra di conquista contro la Jugoslavia(…)e della peggiore tradizione sciovinista e anti-slava del fascismo giuliano”, Marco Coslovich, storico triestino.  

  15. Mario Roatta, due volte capo di stato maggiore, generale dell’esercito (monarchico-fascista-repubblichino) regista dell’assassinio dei fratelli Rosselli, autore della famigerata circolare 3-C, che pianificava l’estirpazione degli ‘slavi’ dalle loro terre per insediare gli occupanti italo-fascisti.  

  16. Vincenzo Cuiuli, colonnello dei Carabinieri, kapò del campo di concentramento fascista di Kampor ad Arbe/Rab, soprannominato dalle popolazioni internate, per la sua ferocia, bestialità e viscidità, il Serpente.  

  17. E’ stato calcolato che la percentuale di morti di Kampor è stata proporzionalmente maggiore di quella di Buckenwald  

  18. Testimonianza di Dusan Prasnikar, raccolta da Anton Vratusa in “Dalle catene alla libertà. La «Rabska brigada», una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista”, Kappa Vu Edizioni, Udine, 2011  

  19. Luigi Papo de Montona, Albo d’oro: la Venezia Giulia e la Dalmazia nell’ultimo conflitto mondiale, Unione degli Istriani, Trieste, 1989  

  20. Nell’ ottobre 1943, passato al servizio dei nazisti, fonda il Partito fascista repubblicano e prende il comando di un battaglione della Milizia Difesa Territoriale e della Guardia repubblicana fascista, nata sulle orme della LX Legione Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale di stanza a Pola e operante in Istria, con i tedeschi, fino alla fine di aprile del 1945  

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Le formelle della memoria corta e manipolata https://www.carmillaonline.com/2016/05/24/le-formelle-della-memoria-corta-manipolata/ Mon, 23 May 2016 22:01:44 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30599 di Rinaldo Capra

Le formelle-copertina Rete Antifascista Brescia, Le formelle della memoria…corta e manipolata – stampato in proprio 2016 – pag. 28

Un anno fa, la polemica sulla rimozione della formella commemorativa del fascista Ramelli dal Percorso della Memoria era solo l’ultima conseguenza di una serie di atti contraddittori e nebbiosi di Manlio Milani e della Casa della Memoria di cui è presidente. I prodromi della piega che stava prendendo Milani, presidente anche dell’Associazione Famigliari Vittime di Piazza Loggia, si erano visti nella partecipazione all’incontro pubblico sulla strage di Piazza Loggia organizzato da Casa Pound nel 2011, creando sconcerto, [...]]]> di Rinaldo Capra

Le formelle-copertina Rete Antifascista Brescia, Le formelle della memoria…corta e manipolata – stampato in proprio 2016 – pag. 28

Un anno fa, la polemica sulla rimozione della formella commemorativa del fascista Ramelli dal Percorso della Memoria era solo l’ultima conseguenza di una serie di atti contraddittori e nebbiosi di Manlio Milani e della Casa della Memoria di cui è presidente. I prodromi della piega che stava prendendo Milani, presidente anche dell’Associazione Famigliari Vittime di Piazza Loggia, si erano visti nella partecipazione all’incontro pubblico sulla strage di Piazza Loggia organizzato da Casa Pound nel 2011, creando sconcerto, sdegno e stupore, ma incassando la qualificante solidarietà della Leghista Simona Bordonali, presidente della giunta comunale, e di Paola Vilardi, consigliere comunale Pdl.

Nel 2012 parte il progetto “Percorso della Memoria”; i promotori sono: Casa della Memoria, Rotary Club (si dice in odore di Massoneria), Comune di Brescia (giunta Pdl-Lega), Gruppo Locale Bu e Bei (anonimi signori che intendono restare tali), sancito con Delibera Comunale n° 230 2012 e con l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica (mirabile la composizione dei promotori). Esso prevedeva la posa di formelle commemorative di tutte le vittime della violenza politica dal 1962, come se la storia repubblicana partisse da lì, a oggi, ordinate in semplice ordine cronologico. Il percorso si snoda da Piazza della Loggia, esattamente dalla Stele che ricorda la bomba, verso la salita al Castello di via Sant’Urbano.

Ecco le finalità, testualmente:
Si ritiene che una collettività, desiderosa di giudicare serenamente una parentesi tragica della propria storia, debba avere il coraggio di ammettere e di ricordare il dolore pagato quale prezzo per sconfiggere la violenza di quegli anni. Questa testimonianza vuole raccogliere in un’unica espressione ciò che è affidato all’episodica rievocazione in manifestazioni deputate.
Raccogliere il tutto in “un’unica espressione” avvicinando, nelle lapidi poste con tanta pompa, vittime e carnefici in nome di una stagione di tolleranza e “serenità” è la manipolazione delle coscienze, assolvendo e riabilitando, senza che ci sia stata nessuna espiazione, i fascisti di ieri e di oggi e i loro folli ideali.

Oggi la questione è ancora viva, bruciante, attuale: Rete Antifascista di Brescia presenta il dossier “Formelle della memoria..corta e manipolata”.
Già la copertina è eloquente: una composizione di quattro articoli de L’Unità, che ci ricordano di altrettanti gravissimi episodi di violenza politica, che sono stati deliberatamente ignorati dal Percorso della Memoria e dei quali sono stati vittime i proletari, gente che lottava per i propri diritti: la strage di Portella delle Ginestre (1947), l’eccidio delle Fonderie Riunite di Modena (1950), gli undici morti ammazzati durante le manifestazioni antifasciste di Reggio Emilia, Licata, Palermo, Catania (1960) e l’assassinio di Giovanni Ardizzone (1962). Ma, come è detto nell’introduzione dell’opuscolo, l’elenco delle vittime immortalate nelle formelle per l’installazione bresciana è esplicitamente ispirato alla pubblicazione Per le vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana, curata dalla Presidenza della Repubblica nel 2008 in relazione al primo anniversario dell’istituzione del 9 maggio quale “giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”.

La scelta di partire dal 1962 esclude gli episodi sopra elencati, ma questi sono episodi abnormi di violenza politica della storia repubblicana che hanno condizionato e continuano a condizionare la società, perpetrandosi quotidianamente nelle attuali espressioni repressive dei movimenti. Inoltre Ardizzone è stato ucciso nell’Ottobre 1962, tuttavia ignorato dall’elenco, nonostante rientri in pieno nel lasso cronologico definito.

I proclami del “Giorno della Memoria” recitano di ricordare le vittime: “tutte, qualunque fosse la loro collocazione politica e qualunque fosse l’ispirazione politica di chi aggrediva e colpiva”. In realtà di molti militanti di sinistra ammazzati non vengono neppure citati i nomi, o a volte lo sono in modo errato. Pertanto l’opuscolo proposto dalla Rete Antifascista ricostruisce un elenco preciso e attendibile della violenza di classe, mettendo a nudo il criterio arbitrario e mistificante scelto per il Percorso della Memoria, dove in un clima di revisionismo storico vengono minimizzati i crimini fascisti finanziati, coperti, insabbiati dallo stato e dai suoi servizi.

Si cita, in un documento allegato, Giorgio Napolitano là dove afferma: “(…) se nel periodo da noi considerato, si sono incrociate per qualche tempo diverse trame eversive, da un lato di destra neofascista e di impronta reazionaria, con connivenze anche in seno ad apparati dello Stato [ndr: è talmente palese che non lo si può negare nemmeno in un’opera di revisione storica!], dall’altro lato di sinistra estremista e rivoluzionaria, non c’è dubbio che dominanti siano ben presto diventate queste ultime, col dilagare del terrorismo delle Brigate Rosse”. Ridefinendo così, in un attimo, la percezione della realtà collettiva: lo stato è la tutela della democrazia e i rivoluzionari e i militanti di sinistra sono il male oscuro della società.

Ma è solo quando si è identificato il sottile legame tra verità e mistificazione che può nascere l’inquietudine. Le constatazioni oggettive che ci sbatte in faccia questo dossier suscitano il disgusto, mentre il riso sorge spontaneo davanti all’opposta constatazione dei curatori del Percorso della Memoria che la vita continua comunque e ci serve la pacificazione. Le culture, soprattutto in questo mondo globalizzato, non piovono dal cielo, le relazioni tra esseri umani sono il frutto di lotte di classe e rapporti di forza e cercare di mutarne l’aspetto per renderle socialmente gestibili non ha senso. Si distorce la realtà, l’immaginario comune, rinegoziando continuamente le immagini collettive per creare nuovi feticci come produttori di legami sociali e creare un regime di finzione. Questo appare lo scopo del Percorso della Memoria. Questa modalità di comunicazione demagogica, parziale, mistificatoria, spettacolare e di intrattenimento, definita anche come “infotainment”, non ha neppure bisogno di essere rigorosa e precisa nei suoi riferimenti, perché nessuno andrà a controllare le fonti e l’attendibilità delle affermazioni e la si può gestire come meglio si crede. Quello che a noi sembra sciatteria e omissione non è altro che l’arrogante certezza da parte del regime di avere stipulato un “nuovo contratto sociale” destinato ad attutire lo scontro di classe e creare una nuova coscienza collettiva manipolata.

La lunga serie di imprecisioni, omissioni e mistificazioni sono evidenziate con precisione inesorabile, attenta e minuziosa, ma solo fissandole in un documento pubblico si potrà avere un riferimento concreto, non virtuale e aleatorio della nostra storia. Non per voler correggere un progetto reazionario in sé, ma per ricostruire un dato di realtà storico e riaffermare il valore dell’antifascismo, come del resto ben espresso nella “Lettera Aperta a Manlio Milani”, che precede l’introduzione del volume.

Segue una rigorosa ricostruzione dell’elenco delle vittime, con sorprendenti scoperte, come ad esempio l’esclusione di Luca Rossi, studente assassinato da un agente della Digos nel 1986, o quella di Tito Tobegia, mitico capo partigiano bresciano, morto in seguito a un’aggressione fascista nel 1968. E ancora tanti altri, perché di sangue proletario e rivoluzionario ne è corso a fiumi, fino a Carlo Giuliani o Samb Modou e Diop Mor, i due lavoratori assassinati a Firenze il 13 dicembre 2011 da un cecchino di Casa Pound e il bresciano di nascita Davide “Dax” Cesare nel 2003.

formelle 1 Commovente l’ultima sezione con la bella poesia di Sante Notarnicola “La nostalgia e la memoria” e quella poesia di Edoardo Sanguineti “Odio di classe” che recita:

Bisogna restaurare l’odio di classe.
Perché loro ci odiano,
dobbiamo ricambiare loro
sono i capitalisti, noi siamo i
proletari del mondo d’oggi,
non più gli operai di Marx o i
contadini di Mao, “ma tutti
coloro che lavorano per un
capitalista […]
al quale la destra propone un libro dei sogni

per informazioni e richieste:
mail: reteantifascista.bs@gmail.com
facebook: Brescia Antifascista
blog: fuochidiresistenza.noblogs.org

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Pietà l’è morta. E anche l’onestà intellettuale del giornalismo italiano. https://www.carmillaonline.com/2015/03/04/pieta-le-morta-e-anche-lonesta-intellettuale-del-giornalismo-italiano/ Tue, 03 Mar 2015 23:01:08 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=21072 di Nico Macce

Schermata 2015-03-03 a 23.47.22Per comprendere il ruolo di disinformazione che hanno i nostri media prendo due esempi freschi freschi.

Il primo è un raffronto tra gli attacchi brutali della polizia messicana contro gli insegnanti in lotta (qui e qui le informazioni del caso) e l’omicidio di Nemtsov a Mosca, un presunto oppositore di Putin.
 Se digitate “Messico e insegnanti” su Google, appaiono pagine della sinistra radicale. Ciò significa e conferma ciò che ho potuto constatare in questi giorni, ossia che sui media, di un fatto così [...]]]> di Nico Macce

Schermata 2015-03-03 a 23.47.22Per comprendere il ruolo di disinformazione che hanno i nostri media prendo due esempi freschi freschi.

Il primo è un raffronto tra gli attacchi brutali della polizia messicana contro gli insegnanti in lotta (qui e qui le informazioni del caso) e l’omicidio di Nemtsov a Mosca, un presunto oppositore di Putin.
 Se digitate “Messico e insegnanti” su Google, appaiono pagine della sinistra radicale. Ciò significa e conferma ciò che ho potuto constatare in questi giorni, ossia che sui media, di un fatto così importante e di sangue non c’è traccia. O molto, molto poco e senza alcuna riflessione politica, quasi fosse un fatto di cronaca, di delinquenza comune in un paese democratico a prescindere.

In compenso, già poche ore dopo l’omicidio di Nemtsov, oppositore liberaldemocratico del governo Putin, un tempo eltsiniano, che sembra fatto apposta per creare instabilità in Russia, la fanfara mediatica si è messa in moto subito, a schiocco di dita, orientando subito l’opinione pubblica verso una responsabilità del governo russo. Che ti fa domandare seriamente: ma avevano già pronto il coccodrillo?

La differenza tra il sombrero e il colbacco? Il Messico fa parte del blocco occidentale, quello dei “buoni a prescindere” e chi se ne frega se spariscono e vengono assassinati gli oppositori. Vale molto di più l’oppositore, oltretutto neppure di spicco, di un paese nemico. Che giornalisti onesti! Sarebbero da mandare ad Acapulco. Ma non in vacanza, a fare gli insegnanti.

Secondo esempio. Sabato 28 c’è stata la manifestazione della Lega e dei fascisti di Casapound a Roma, con piazza del Popolo mezza vuota. Quattro folcloristici gatti, il che rallegra devo dire. Ma delle due manifestazioni antifasciste e antigoverno, giornali e tv hanno parlato solo di quella romana e basta. Romana appunto e molto più numerosa di quella nazionale dei legofascisti: 30 mila in piazza contro Salvini, fatti scendere a poche migliaia dai media, ovviamente.
 Perché, invece, il silenzio sulla manifestazione milanese contro il Jobs Act e il lavoro gratuito all’Expò? Ma perché altrimenti i media avrebbero dovuto cambiare l’ordine di importanza degli avvenimenti, perché tra le 40 e 70 mila persone ieri, nel nostro paese, hanno manifestato contro Lega, fascisti e governo Renzi. Un numero portato in piazza con il passa parola, non dalla CGIL o dai rottami del centrosinistra, ma dai centri sociali e dalle forze più propriamente antagoniste della sinistra rivoluzionaria.

Giorgio Cremaschi qui, sintetizza molto bene il perché di questo totale, ignobile, schifoso silenzio da parte di giornali e tv nei confronti della manifestazione milanese del 28 febbraio scorso.

Quindi, qual è la vera parte consistente dell’opposizione politica e sociale nel paese? C’è ancora antifascismo militante in Italia, dopo il trasformismo osceno del PD e del centrosinistra? Sta crescendo un’opposizione sociale di massa nel paese, contro la svolta autoritaria del governo Renzi? Come mai nessuna autorità politica e di Stato interviene di fronte a palesi reati di apologia del fascismo e razzismo di Lega e Casapound?
 Tutte domande che i media di regime non vogliono che i cittadini si facciano.

Pietà l’è morta recitava un canto partigiano. Mi sembra chiaro che sia morta anche nei giornalisti italiani, dai mezzi busti televisivi alle mezze seghe a cottimo della carta stampata. E anche l’onestà intellettuale. Come si fa a non dare notizie come quella della macelleria messicana sugli insegnanti? E partire all’unisono al via d’un omicidio che puzza tanto di CIA, con una versione dei fatti già bella e pronta? Come si fa a oscurare una parte importante del paese, la sua opposizione sociale vera, facendo spezzatino dei fatti, decontestualizzandoli?

Come si diceva una volta? Pennivendoli?
 Ecco.

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