Bush Jr – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 23 Nov 2024 08:02:07 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Verrà un tempo in cui a muoversi sarà solo l’oscurità https://www.carmillaonline.com/2021/02/10/verra-un-tempo-in-cui-a-muoversi-sara-solo-loscurita/ Wed, 10 Feb 2021 22:00:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64741 di Sandro Moiso

John Woods, Lady Chevy, NN Editore, Milano 2021, pp. 380, 18,00 euro

Darkness, Darkness Be my pillow Ease the day that brings me pain. I have felt the edge of sadness, I have known the depth of fear. Darkness, darkness, be my blanket, Cover me with the endless night (Darkness, darkness – Jesse Colin Young, 1969)

Una storia dalla parte sbagliata della Storia narrata alla maniera “nera” di Jim Thompson: questa potrebbe essere la definizione più sintetica possibile del libro appena pubblicato dall’editore NN. In realtà, però, all’interno [...]]]> di Sandro Moiso

John Woods, Lady Chevy, NN Editore, Milano 2021, pp. 380, 18,00 euro

Darkness, Darkness
Be my pillow
Ease the day that brings me pain.
I have felt the edge of sadness,
I have known the depth of fear.
Darkness, darkness, be my blanket,
Cover me with the endless night

(Darkness, darkness – Jesse Colin Young, 1969)

Una storia dalla parte sbagliata della Storia narrata alla maniera “nera” di Jim Thompson: questa potrebbe essere la definizione più sintetica possibile del libro appena pubblicato dall’editore NN.
In realtà, però, all’interno del primo romanzo di John Woods, giovane scrittore americano cresciuto proprio nell’Ohio Valley descritta nelle vicende, c’è molto, molto di più.
Così come era già possibile verificare in molti romanzi pubblicati dall’editore milanese nel corso degli ultimi anni. A partire da quelli rivelatori, sia sul piano della scrittura che delle osservazioni sulla società descritta, di Kent Haruf: scrittore della realtà rurale americana vista attraverso le storie ambientate nella cittadina (immaginaria ma non troppo) di Holt, Colorado.

Lady Chevy in realtà è l’appellativo dato ad Amy Wrinker, la diciottenne protagonista nonché io narrante del libro di Woods, dai suoi compagni di scuola a causa del suo peso abbondante che la rende “ingombrante” quanto una Chevrolet. Un peso, non solo fisico, che Amy si è portata dentro per troppi anni della sua ancor pur breve vita, destinato prima o poi ad esplodere, insieme ad un’educazione violenta e razzista ricevuta in una famiglia in cui il nonno materno è un ex- Gran Dragone del Ku Klux Klan.

Tiene ancora una cinta di pelle nera nell’armadio, una reliquia cerimoniale con la fibbia d’argento a forma di teschio. Un giorno l’ho vista. Sopra ci sono trentatré buchi, uno per ogni omicidio, mi ha spiegato […] Io sono contenta di portare il cognome di mio padre.
Eppure non posso sfuggire al passato. Su queste colline i morti sono vicini.
Fuori dalla città i boschi sono vasti e fitti. Non troppo tempo fa, le persone scomparivano. I notiziari non parlavano mai di omicidio o linciaggio. Niente corpo, niente crimine. Nessuno troverà mai le loro tombe. Quando un nero svaniva nel nulla, era difficile che il caso venisse risolto o che trapelasse qualcosa. Quelle tombe sono opera di mio nonno Shoemaker […]
Questi sono i miei ingredienti, le spirali di dna che mi hanno reso una persona, che a volte mi fanno sentire forte e speciale, ma più spesso un mostro1.

La piccola città in cui vive, Barnesville, esiste veramente e i suoi abitanti sostengono che sia la località più alta dell’Ohio, annidata sulle colline pedemontane degli Appalachi al confine con il West Virginia. Isolata e dimenticata, ad almeno due ore da qualsiasi altro posto è stata fondata da “arcigni” coloni tedeschi e scoto-irlandesi che sfidarono l’ignota frontiera, «sterminando i nativi Shawnee e forgiando dal sangue una nuova civiltà».

Amy, giunta all’ultimo anno delle scuole superiori con ottimi risultati, ha un unico desiderio: lasciarla, possibilmente per sempre, per laurearsi in Veterinaria presso l’Ohio State University di Columbus, distante sia geograficamente che culturalmente da quel grumo di case, rancori e silenzi che hanno costituto fin dalla sua nascita il suo habitat “innaturale”.
I genitori sono poveri e insoddisfatti, alcolisti e disperati, che hanno ceduto per primi, ad una società dedita al fracking, i diritti di sfruttamento del sottosuolo dei terreni della famiglia. Contribuendo ulteriormente a quel degrado ambientale e impoverimento delle risorse di cui le miniere di carbone a cielo aperto e le falde idriche inquinate in maniera mortale costituiscono il corollario.

Le strutture abbandonate sono il marchio dell’Ohio Valley, giganti architettonici ridotti a mausolei.
Le cose qui vanno male. Lo sappiamo. Ma questi edifici sono la prova che una volta andavamo meglio. Il mondo non è sempre stato così. Una volta davamo il nostro contributo. Eravamo importanti. Contavamo. Adesso parliamo del nostro valore solo al passato, per ricordarci che non siamo più così grandi2.

Come spesso capita nella migliore tradizione letteraria e cinematografica statunitense, fin dalle pagine di Moby Dick, la devastazione della Natura costituisce quasi sempre lo specchio del disagio psichico e morale di un’intera civiltà: bianca, cristiana, razzista. Ma qui, nel cuore della Rust Belt, il tema sfugge alle fin troppo facili formule ispirate al politically correct. Anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che nella prima opera di ampio respiro di Woods le semplificazioni retoriche sono bandite. E le reazioni sono complicate da un sovrapporsi di sentimenti, tradizioni, rabbie sepolte che poco a poco vengono alla luce e non certo in nome del bene e della fratellanza universale.

La giovane protagonista ha condiviso i suoi sogni con gli unici amici che ha avuto fin dall’infanzia: Paul, il suo impossibile amore, e Sadie la ragazza bella e snella destinata, nonostante la sua intelligenza, ad essere preda e giocattolo dei giovani e brutali maschi locali. Ma Amy vuole andarsene ad ogni costo e ad ogni costo cercherà di farlo. Passando su ogni sentimento di amicizia o di amore e perseguendo con rabbia ostinata il suo obiettivo.

Sarà proprio la devastazione del territorio, che già ha portato in punto di morte il padre di Paul, ex-minatore dai polmoni anneriti e consumati dalla polvere di carbone, e regalato alla famiglia Wrinker un figlio minore, Stonewall, gravemente segnato nel fisico e nell’intelletto, non si sa se per l’inquinamento delle falde acquifere e dell’aria oppure per antiche tare genetiche, a scatenare la catena di violenze in cui l’odio per la società estrattivista, che sfrutta il sottosuolo e fa ammalare chi lo abita in superficie, si accompagnerà ad una serie di omicidi premeditati e non sempre collegati da un unico filo rosso.

I capitoli si alternano infatti tra quelli (numerati) che narrano la storia dal punto di vista di Amy e quelli (contrassegnati semplicemente con una H) in cui si sviluppa pian piano la figura, ambigua e buia quanto quella del nonno Shoemaker, dell’agente Brett Hastings.
Non c’è spazio per la pietà, non c’è speranza nella religione e la carne non custodisce nessuna anima: queste sono le linee di indirizzo che legano tra loro sotterraneamente Amy e l’agente in divisa nera. Così, mentre tutti gli altri personaggi (il padre d Amy, l’agente Durum, lo zio Tom reduce, razzista e piagato nello spirito, dal servizio prestato in Iraq, dove ha ucciso civili e bambini) non sono altro che confusi comprimari, apparentemente la chiarezza, sia essa della ragione o della follia, sembra appartenere soltanto a Lady Chevy e a Brett.

La vera chiarezza, però, non macchiata ideologicamente in nessuna direzione, appartiene soprattutto all’autore, che riesce a farci immergere completamente in quella società bianca ignorante e impoverita che ha contribuito alla vittoria di Trump alle scorse elezioni e che ha tenuto botta, continuando a votare a suo favore, anche nel corso delle ultime. Proprio là dove i confini del repubblicano Ohio segnano, da un lato, una linea di faglia con gli stati “democratici” a Nord e a Est mentre, dall’altro, l’inizio di quelli votati alla causa contraria, dal vicino West Virginia a quelli che si estendono da lì sia verso Sud che verso Ovest.

Su Main Street ci sono come al solito uomini seduti sulle panchine a guardare passare le macchine. Fumano sigarette e bevono Mountain Dew. Alcuni li riconosco, operai che riparano tetti come mio padre e, immagino membri del Klan come mio nonno. Ci salutiamo da lontano. Non hanno niente da fare alle 7,30 del mattino, ma sono svegli e vestiti con jeans, giacche di flanella e scarponi da lavoro, nella speranza di trovare qualcosa. Le acciaierie sono state delocalizzate in Cina già da anni. E ora ci sono legioni di uomini espropriati di tutto, in cerca di un lavoro qualsiasi. Tosano prati, trasportano spazzatura, lavano vetri, dipingono case. Ma perlopiù vagabondano, bevono, o si nascondono dalle madri, rintanandosi al piano di sotto guardando film di guerra, uomini adulti con matrimoni falliti e bambini che non vedono quasi mai. Oppure sono giovani senza figli che non hanno mai nemmeno avuto l’opportunità di crescere.
I più fortunati lavorano nelle miniere di carbone, come il padre di Paul. Strisciano fuori dalla terra come sottospecie tenebrose, tornano a casa al volante di un furgone costoso, e sputano catarro nero come l’inchostro sul tavolo della cucina, dove le mogli gli stringono quelle mani perennemente scure, uomini forti con le rughe disegnate a carboncino e gli occhi umidi luminescenti di brina3.

Alle spalle di questi uomini incattiviti dall’odio e dalle difficoltà economiche ci sono le donne che costituiscono il vero architrave delle famiglie e di ciò che rimane di una società allo sbando, e che spesso, come nel caso di Amy e della sua insoddisfatta e apparentemente volubile madre, sono anche le più forti. Magari in modi che non sempre piacerebbero a quegli ambienti liberal-progressisti che spesso guardano a loro, anche nel romanzo, dall’alto delle loro ville dislocate opportunamente nei quartieri migliori della città.

Le vicende si ambientano ai tempi della presidenza Obama, sicuramente poco amato all’interno del perimetro famigliare da cui proviene Amy, ma che ha poca fiducia anche negli altri presidenti, come Bush jr., che hanno mandato troppi giovani a crepare o trasformarsi in assassini prima in Afghanista e poi in Iraq. «Tua madre ha ragione. A noi ci chiamano bifolchi, morti di fame, ce ne dicono di tutti i colori […] Tu, noi, non possiamo essere bianchi e orgogliosi»4.
Un ambiente sociale in costante allerta, in cui la paura di sparire dal punto di vista genetico si accompagna a quella per la possibile morte per cancro legata alla cattiva alimentazione, ai coloranti chimici e agli zuccheri delle bibite gassate oltre che alle acque inquinate.

Noi odiamo gli ospedali, tutti quegli uomini vestiti di bianco. Le pareti dalle tinte tenui e le luci abbaglianti non ci ingannano. E’ solo un’altra vana istituzione americana, un branco di malati che si prende cura di altri malati.
Non ci fidiamo di loro. Secondo i medici […] l’intera cittadina di Barnesville soffre improvvisamente di “allergie stagionali” e “asma” a causa di una “maggior concentrazione di polline”. Questa è la loro diagnosi professionale. Non badate, stupidi contadini, alla terra che trema, alla foschia nera e a quelle fiamme alte sei metri che bruciano nella notte, non c’entrano nulla. Le falde acquifere sono contaminate. L’aria è tossica. E ancora non ci capacitiamo dell’aumento dei difetti congeniti5.

Per tutto ciò anche da qui, da queste pagine6, dalle nebbie pestifere che oscurano le valli oppure che confondono le menti, dai discorsi sui diritti che non hanno gambe materiali su cui muoversi ma che giustificano l’oppressione borghese sul resto della società, occorre partire per comprendere l’America profonda, oscura e malata di oggi. Anche i fatti di Capitol Hill, poiché «il terreno sotto di noi non è instabile. Semplicemente non esiste»7.


  1. John Woods, Lady Chevy, NN Editore, Milano 2021, pp.34-35  

  2. J. Woods, op. cit., pp.148-149  

  3. op. cit., p. 94 

  4. Ibidem, p. 166  

  5. ibid., p.163  

  6. A differenza di quelle di Hillibilly elegy. A Memoir of a Family and Culture in Crisis di J.D. Vance, che non riescono invece a raggiungere l’obiettivo che l’autore si era dichiaratamente proposto. J.D. Vance, Elegia americana, Garzanti, Milano 2017, recensito su Carmilla il 6 gennaio scorso  

  7. J.Woods, op.cit., p. 110  

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“Non respiro”: paralipomeni della democrazia ‘made in USA’ https://www.carmillaonline.com/2020/06/17/non-respiro-indagine-sulla-democrazia-made-in-usa/ Wed, 17 Jun 2020 20:20:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=60653 di Sandro Moiso

Bruno Cartosio, Dollari e no. Gli Stati Uniti dopo la fine del secolo americano, DeriveApprodi 2020, 220 pp., 18,00 euro

Mentre sono ancora troppi coloro che, soprattutto a sinistra, ritengono inutile e fuorviante qualsiasi tipo di attenzione rivolta alla società statunitense e alla sua cultura, a meno che non si tratti di condannarne l’azione e le scelte imperialiste su scala mondiale, e alle contraddizioni che la segnano fin dalla sua nascita, i fatti delle ultime settimane, sulla scia della brutale uccisione di George Floyd da parte di alcuni agenti [...]]]> di Sandro Moiso

Bruno Cartosio, Dollari e no. Gli Stati Uniti dopo la fine del secolo americano, DeriveApprodi 2020, 220 pp., 18,00 euro

Mentre sono ancora troppi coloro che, soprattutto a sinistra, ritengono inutile e fuorviante qualsiasi tipo di attenzione rivolta alla società statunitense e alla sua cultura, a meno che non si tratti di condannarne l’azione e le scelte imperialiste su scala mondiale, e alle contraddizioni che la segnano fin dalla sua nascita, i fatti delle ultime settimane, sulla scia della brutale uccisione di George Floyd da parte di alcuni agenti della polizia di Minneapolis, dimostrano invece come proprio “nel ventre della bestia” sia possibile rintracciare elementi importanti non solo per l’analisi e l’anticipazione di ciò che l’evoluzione dei rapporti sociali e della crisi economica è destinata inevitabilmente a portare alla ribalta qui da noi nel prossimo futuro, ma anche, e forse soprattutto, per la comprensione e la critica del capitalismo attuale e dell’evoluzione (o involuzione) delle sue strutture statuali, giuridiche e socio-economiche.

Questo non soltanto perché, come già Karl Marx affermava nel Capitale, “il paese industrialmente più sviluppato non fa che mostrare a quello meno sviluppato l’immagine del suo avvenire”, ma soprattutto perché nel corso del XX secolo il modello americano di capitalismo (prima industriale e poi finanziario) ha talmente permeato della propria immagine ogni aspetto delle società occidentali da finire col riflettere non soltanto le proprie contraddizioni, ma anche quelle dell’intero modo di produzione capitalistico nel suo insieme. Sia sul piano economico, sociale e politico, sia su quello dell’immaginario che ne è allo stesso tempo il prodotto e l’elemento fondativo.

Non è quindi un caso che, proprio a partire dagli anni Sessanta, come scriveva trent’anni fa l’autore del presente testo in una premessa ad un’antologia di suoi scritti sul mondo del lavoro americano:

Fu il presente ricco di contraddizioni, di antagonismi sociali e politici, di fermenti culturali degli anni Sessanta a sollecitare una generazione di studenti universitari a porsi domande sugli Stati Uniti e a cercare risposte. […] Fu questo, in buona misura, il caso di chi si avventurò nella ricerca delle radici storiche della rivolta nera e, ancora di più, nello studio della storia del movimento operaio statunitense. Si trattava di sentieri pochissimo battuti, in Italia, eppure erano quelli da percorrere per sapere da dove veniva quel radicalismo che ci aveva attratti: la solidarietà antirazzista e l’egualitarismo dei giovani che lottavano contro l’ingiustizia sociale, l’abnegazione e l’eroismo della gente comune nera nella rivendicazione dei propri diritti civili e umani, l’opposizione attiva contro la guerra del Vietnam, le rivolta dei ghetti. Trovammo che la domanda di trasformazione sociale profonda aveva radici a loro volta profonde e ramificate. Mettemmo a fuoco quella varietà delle componenti culturali che avevamo già intuito dietro alla grande letteratura. Comprendemmo che le forme della politica, da quella istituzionale a quella della protesta, erano tanto diverse dalle nostre.[…] E non fu un fatto solo nostro: quella che si definì fu una «frequenza» su cui avremmo trovato presto sintonizzati anche tanti altri studiosi europei.1

Bruno Cartosio che può essere oggi considerato a pieno titolo, e forse soltanto con Alessandro Portelli, uno dei principali americanisti e studiosi della Storia e della vita politica, sindacale e culturale degli Stati Uniti, nel suo ultimo libro, pubblicato da DeriveApprodi, cerca di cogliere come tale cultura politica, sia sul piano istituzionale che sociale, si sia trasformata negli anni intercorsi, grosso modo, dalla presidenza di Ronald Reagan ai giorni oscuri attuali, contrassegnati dalla presidenza di Donald Trump.

Sono gli anni che, non solo nel pensiero dell’autore, segnano la fine del secolo americano. Anni contraddistinti da convulsioni di carattere economico, politico, sanitario, sociale e militare che manifestano tutte le crepe della crisi di un impero economico, politico e culturale giunto alla fine della sua parabola. Anni che, guarda caso, hanno visto il declino generale dell’influenza del capitalismo occidentale sul pianeta, pur senza far sì che a tale declino di influenza politica ed economica corrispondesse un altrettanto significativo declino della concentrazione delle ricchezze accumulate nelle sue mani. O, almeno, nelle poche mani bianche che ancora ne detengono una significativa porzione.

Per fare questo l’ex-redattore di «Primo Maggio» e docente di Storia dell’America del Nord presso l’Università di Bergamo, deve spingere il suo sguardo ben oltre il periodo storico compreso tra gli anni Ottanta del XX secolo e i Venti di quello attuale, per andare alle radici di quel modello istituzionale di regolamentazione dei rapporti sociali e dei conflitti che ne conseguono che passa sotto il nome di democrazia occidentale o americana.
Regolamentazione e normazione basati sul modello di una carta costituzionale che, proprio nei nascenti Stati Uniti del XVIII secolo, vide la sua prima conferma e affermazione. Vero atto di nascita di quella democrazia occidentale di cui tanto si parla ancora oggi, soprattutto a giustificazione del permanere di un dominio e di un intervento neo-coloniale occidentale in ogni angolo del pianeta, neppure più sostenuto da reali rapporti di forza economico-militari.

Democrazia che dall’irrisolto nodo originario della schiavitù, salariale e non, alla differenziazione di genere, razza e classe si trascina ancora nella promessa di una mai raggiunta eguaglianza dei cittadini davanti allo Stato e alle sue leggi, fatte apposta per conservare tale divaricazione all’ombra di un frondoso e contorto albero i cui rami gemmano di continuo nuove disuguaglianze, mentre le sue radici continuano a sprofondare nelle logiche del dominio e del controllo sociale.

Albero che soltanto, e talvolta, le lotte di classe, sociali, di genere e delle minoranze etniche riescono a sfoltire dei rami morti e decrepiti e a potare per dare spazio ad altri più consoni agli interessi generali, ma che soltanto il lavoro di accetta della rivoluzione potrà far adeguatamente respirare in nome della produzione di altri frutti e di altri interessi, non coincidenti con quelli della produzione, del profitto e della proprietà privata dei suoli, delle risorse naturali e dei mezzi di produzione.

E’ una lunga cavalcata, dalle origini a Trump, che Bruno Cartosio ci offre attraverso le pagine del suo nuovo libro, che ancora una volta prende corpo dalla rielaborazione di testi già redatti o editi per altre occasioni. Un percorso che i lettori potranno seguire dall’eredità culturale e religiosa dei Padri Pellegrini alle politiche repressive e autoritarie varate da George Bush Jr. e dall’idea mitica della Land of the Free (oggi ribattezzata da qualche giornale come Land of the spree – strage o carneficina) a Facebook e al suo implacabile controllo politico e securitario, passando per le reaganomics e le “guerre sporche” di cui i governi americani si sono serviti per il mantenimento del loro dominio su scala mondiale. Un cammino che conduce comunque inesorabilmente a quel ginocchio posto sul collo di uomini, donne, classi sociali e non appartenenti alla “razza” bianca che possono sempre e soltanto dire “Non respiro” oppure rivoltarsi per tornare a farlo. Liberamente. Negli Stati Uniti e in ogni altro angolo del mondo.

The end of an Empire is messy at best
And this Empire is ending
Like all the rest
Like the Spanish Armada adrift on the sea
We’re adrift in the land of the brave and the home of the free
Goodbye
Goodbye
Goodbye

(A Few Words in Defense of Our Country – Randy Newman, 2008)


  1. B. Cartosio, Lavoratori negli Stati Uniti. Storia e culture politiche dalla schiavitù all’I.W.W., Arcipelago Edizioni, Milano 1989, pp. 9-10  

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