Brigate internazionali – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il tempo del disincanto https://www.carmillaonline.com/2020/01/22/il-tempo-del-disincanto/ Tue, 21 Jan 2020 23:01:30 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=57469 di Sandro Moiso

Sandro Saggioro, Gli ultimi anni di Victor Serge (1940-1947), Quaderni di pagine marxiste, serie blu V, 2018, pp. 138, euro 7,50

E’ un grande merito l’aver ripubblicato il testo di Sandro Saggioro sugli ultimi anni di vita di Victor Serge, precedentemente edito nella serie dei Quaderni Pietro Tresso (n°57 del 2006), arricchendolo di una introduzione a cura di Graziano Giusti e di un apparato di note decisamente ampliato rispetto a quello dell’edizione originale oltre che di una serie di biografie utilissime per inquadrare meglio le decine di militanti, uomini [...]]]> di Sandro Moiso

Sandro Saggioro, Gli ultimi anni di Victor Serge (1940-1947), Quaderni di pagine marxiste, serie blu V, 2018, pp. 138, euro 7,50

E’ un grande merito l’aver ripubblicato il testo di Sandro Saggioro sugli ultimi anni di vita di Victor Serge, precedentemente edito nella serie dei Quaderni Pietro Tresso (n°57 del 2006), arricchendolo di una introduzione a cura di Graziano Giusti e di un apparato di note decisamente ampliato rispetto a quello dell’edizione originale oltre che di una serie di biografie utilissime per inquadrare meglio le decine di militanti, uomini politici ed intellettuali che compaiono nella ricostruzione delle vicende di quel periodo.
Un testo sintetico, ma importante che fa rivivere, sia allo studioso che al militante delle rivoluzioni a venire, un periodo nevralgico e buio della storia del movimento operaio e dei partiti sedicenti “comunisti” che ne avrebbero dovuto rappresentare l’anima più radicale e rivoluzionaria.

Un periodo in cui la sconfitta, dovuta sia al trionfo della controrivoluzione staliniana in URSS che a quello dei totalitarismi fascisti e nazisti in Italia e Germania, si accompagnava al ritorno sulle scene di un macello interimperialista, nuovamente mondiale, destinato non soltanto a ridisegnare la carta geografica della spartizione imperialista del globo, ma anche quello dei compiti dei rivoluzionari e del movimento politico proletario, confusi tra scontri dottrinari e fisici tra differenti ipotesi politiche e scontri militari di portata devastante in cui il proletariato dei maggiori paesi coinvolti nel secondo conflitto globale fu portato al massacro e costretto a schierarsi in nome della Nazione, dell’Ideologia e di una fasulla concezione della Libertà e della Democrazia.

Un periodo di catastrofi politiche e umane di cui l’opera di Saggioro sa dare conto e da cui è possibile trarre ancora insegnamenti. Non soltanto per la ricostruzione del passato e della mancata affermazione di una rivoluzione comunista a livello internazionale nel corso della prima metà del XX secolo, ma anche per lo scioglimento di alcuni nodi politici del presente.

Saggioro (1949-2015), militante della Sinistra Comunista, stimato medico chirurgo e studioso della storia di quella Sinistra cui apparteneva1 , attraverso la ricostruzione delle peregrinazioni fisiche e intellettuali di Victor Serge durante i suoi ultimi anni di vita, trascorsi in Messico, ha saputo ricostruire un ambiente politico, culturale e di autentica guerra civile interna in cui il movimento comunista internazionale si trovò a dibattersi dopo la catastrofe seguita alle purghe staliniane e ai processi di Mosca della seconda metà degli anni Trenta, alla sconfitta dell’esperienza rivoluzionaria coincisa con la guerra civile spagnola, al tragico accordo tra Hitler e Stalin per la spartizione della Polonia e alla seguente suddivisione del proletariato internazionale secondo linee che nulla avevano più a che fare con gli interessi dello stesso o della rivoluzione.

Victor Serge (il cui vero vero nome era Viktor L’vovič Kibal’čič), militante, intellettuale e scrittore rivoluzionario che dalla sua nascita nel 1890 a Bruxelles, figlio di un militante prima del gruppo Zemlja i Volja e poi di Narodnaja Volja costretto ad emigrare in Belgio per sfuggire alla polizia zarista, portò fin dall’infanzia le stimmate del rivoluzionario perseguitato, imprigionato e costretto ad emigrare vagando attraverso l’Europa, la Russia della rivoluzione e poi dello stalinismo e infine attraversando l’Atlantico per sfuggire, destino che lo accomunò a molti altri, sia al nazismo dopo la caduta della Francia sia allo stalinismo che dava una caccia implacabile in ogni angolo d’Europa e poi anche dell’America ai suoi avversari politici.

Tanto è vero che il travaglio messicano, diciamo così, di Serge inizia proprio nell’anno in cui Lev Trockij è assassinato a Coyoacán dal sicario, addestrtao dalla NKVD, Ramón Mercader. Episodio che costituirà soltanto uno dei tanti anelli di una catena di delitti che contribuiranno a indebolire le file dell’Opposizione di Sinistra, trotzkista e non, e a seminare dubbi e ripensamenti, grazie anche ad un gigantesco sistema di disinformazione e calunnia governato dalla centrale di Mosca, di cui però, alla fine, approfittarono anche gli americani e gli esponenti dei partiti sia totalitari che liberal-democratici europei.

Oggi sembra davvero troppo facile attribuire patenti di tradimento o di eroismo a coloro che, in quei giorni, operarono per salvare almeno un minimo di dignità e continuità, individuale o di piccoli gruppi; in quegli anni catastrofici, in cui il dubbio revisionista ebbe buon gioco a trionfare nella mentalità di molti. Eppure, eppure…
Scorrendo le pagine del libro si può rivivere tutta l’angoscia, le ambiguità, i dubbi e le fragili certezze di coloro che si opposero alla marea stalinista e che in tale tentativo finirono con l’essere travolti, uccisi o che si suicidarono oppure, ancora, passarono le linee per affidarsi, ormai delusi e sfiduciati, al nemico borghese di sempre.

Questo dramma è tutto compreso nelle opere letterarie maggiori di Victor Serge, tutte scritte durante il soggiorno messicano e quasi tutte comparse postume, nei suoi, preziosi Carnets scritti tra il 1936 e il 1947 e nel le sue memorie, oltre che nel gran numero di saggi, articoli e lettere che egli ebbe a scrivere sull’argomento2.
Opere attraverso le quali il militante rivoluzionario, seppur sconvolto da una vita in frantumi e dalle vicende che lo accompagnarono fino al giorno della sua morte, cercò sempre di tenere la barra dritta, non su un improbabile, per l’epoca e forse ancora per l’oggi, obiettivo di liberazione della classe perseguito attraverso l’uso di una fede dogmatica o di un partito più autoritario e settario che autenticamente rivoluzionario, ma almeno su una serie di principi e una dirittura morale ed etica individuale su cui non volle mai transigere. Anche a costo di rompere con amici, compagni e militanti con cui aveva condiviso anni di lotte ed esperienze importantissime.

Fu forse per questo motivo che gli Stati Uniti non gli concessero mai un visto di ingresso, anche quando nel 1942 vi fu una forte mobilitazione di personalità americane, tra cui John Dos Passos e altri scrittori e intellettuali, a favore del suo ingresso negli Stati Uniti. E fu proprio questo crescente e insuperabile isolamento a colpirlo, più di ogni altra cosa. Proprio come aveva scritto a proposito della solitudine intellettuale che aveva accompagnato Lev Trockij prima del suo assassinio, in quella casa che Serge chiamava “la tomba di Coyoacán”:

Si dimentica troppo spesso che l’intelligenza non è un dono individuale. Che cosa sarebbe stato di Beethoven isolato tra i sordi? L’intelligenza di un uomo, fosse anche un genio, ha bisogno di respirare. La grandezza intellettuale del Vecchio era in funzione di quella della sua generazione; gli occorreva il contatto diretto con uomini della sua stessa tempra spirituale, capaci di capirlo al volo e di opporglisi sullo stesso piano […] Così, solo, continuava a discutere con Kamenev, morto fucilato: lo udirono spesso pronunciare il suo nome […] mentre camminava su e giù parlando fra sé3.

Militante anarchico imprigionato in Francia per cinque anni, militante bolscevico durante la Rivoluzione e la guerra civile, membro dell’Opposizione nuovamente imprigionato ma nel Gulag staliniano, esule dopo essere stato liberato in seguito ad una vasta mobilitazione internazionale a suo favore, Victor Serge visse gli anni del disincanto comunista-bolscevico e ne bevve fino in fondo l’amaro calice.

Sono forse le parole che egli dedicò nei suoi Carnets al nipote adolescente di Trockij a riassumere, meglio di qualsiasi altro commento, il senso di un’epoca, che ne ha sfatta un’altra sicuramente gloriosa, ma che non è ancora stata sostituita da una equivalente, anche se certamente diversa.

2 marzo 1944 – Incontro in autobus il piccolo Sĕva, il nipote di Lev Trotsky. Assomiglia in modo straordinario a suo nonno, quale lo mostrano le foto della giovinezza […] Sĕva sta entrando nell’adolescenza, deve avere diciassette anni. Un viso ossuto, duro, severo, triste, con gli occhialetti. «Parli ancora il russo?» «No, l’ho completamente dimenticato». «Ma bisogna impararlo, allora!» «Perché? Per l’attaccamento sentimentale, ah, ma no!» (lo dice violentemente). Rispondo che la Russia cambierà tanto, fra non molto, che dobbiamo restarle fedeli e conservare grandi speranze. Sento che non ci crede, che le mie parole sono prive di senso per lui. – Vive sulla tomba di Coyoacán con Natalija Sedova (la vedova di Lev Trockij), vedendo solo qualche mediocre settario che non sa capirlo. Egli è già al suo secondo sradicamento. Sua madre, Zina Lvovna, si è suicidata a Berlino; suo padre è scomparso nelle prigioni; lui è stato ferito all’epoca dell’attentato di Siqueiros contro suo nonno nel maggio del 1940; ha visto uccidere suo nonno tre mesi dopo e conosciuto l’assassino come “un compagno”…4

Un’opera al nero si potrebbe definire la ricerca di Saggioro, un balletto tragico in cui anche personaggi celebri per la mitologia di una sinistra consunta, quali Vittorio Vidali (il comandante Carlos delle Brigate Internazionali), David Alfaro Siqueiros (il pittore muralista messicano), Pablo Neruda (il poeta cileno) e molti altri, sono destinati ad apparire (finalmente) al lettore odierno per quello che realmente sono stati e hanno rappresentato in quegli anni crudeli. Leggere per credere.
Leggere per pensare ed uscire, forse, da un tunnel che ancora ci inganna, come quello dei fantasmi dei vecchi luna park.


  1. Tra le sue opere principali si vedano: S.Saggioro – A.Peregalli, Amadeo Bordiga 1889-1970. Bibliografia, Colibrì 1995; S.Saggioro – A.Peregalli, Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), Colibrì 1998; S.Saggioro, Nè con Truman né con Stalin. Storia del Partito Comunista Internazionale (1942-1952), Colibrì 2010; S.Saggioro, In attesa della grande crisi. Storia del Partito Comunista Internazionale «il programma comunista» (dal 1952 al 1982), Colibrì 2014. Si veda qui la recensione su Carmillaonline del secondo dei due.  

  2. Poiché la bibliografia sarebbe davvero impossibile da contenere in un singola nota, si ricordano qui alcune delle sue opere, letterarie e non, più importanti cui si accennava prima: V.Serge, Memorie di un rivoluzionario, Massari 2011; V.Serge, Il caso Tulaev, Fazi 2017; V.Serge, Anni spietati, Mondadori, 1974; V. Serge, E’ mezzanotte del secolo, Fazi 2012; Carnets (1936-1947), Massari 2014  

  3. V.Serge, Vie et mort de Trotsky, p. XVI cit. in S.Saggioro, Gli ultimi anni di Victor Serge, p. 122  

  4. V. Serge, Carnets (1936-1947), p.217 cit. in Saggioro, op.cit. p.79  

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Giandante X https://www.carmillaonline.com/2015/12/10/giandante-x/ Thu, 10 Dec 2015 21:30:56 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27229 di Rinaldo Capra

giandante 1Roberto Farina, 
Giandante X, Milieu Edizioni 2015, pp.272,
 € 14,90 Alessandro Capozza (a cura di), Giandante X artista della libertà, edito da AICVAS 2015, pp.141, € 14,00 Roberto Farina (a cura di), Giandante X l’eterno viandante, edito da Associazione Memoria Storica Giovanni Pesce 2013, pp. 79, € 22,00

Giandante X (1899-1984): prima di trovarmi tra le mani i volumi di Roberto Farina e di Alessandro Capozza, non lo avevo mai sentito nominare, non lo conoscevo. Mai visto un’opera, mai sentita una storia o incocciato in qualcuno che lo citasse o lo avesse conosciuto. Pittore, scultore, architetto, poeta, [...]]]> di Rinaldo Capra

giandante 1Roberto Farina, 
Giandante X, Milieu Edizioni 2015, pp.272,
 € 14,90
Alessandro Capozza (a cura di), Giandante X artista della libertà, edito da AICVAS 2015, pp.141, € 14,00
Roberto Farina (a cura di), Giandante X l’eterno viandante, edito da Associazione Memoria Storica Giovanni Pesce 2013, pp. 79, € 22,00

Giandante X (1899-1984): prima di trovarmi tra le mani i volumi di Roberto Farina e di Alessandro Capozza, non lo avevo mai sentito nominare, non lo conoscevo. Mai visto un’opera, mai sentita una storia o incocciato in qualcuno che lo citasse o lo avesse conosciuto. Pittore, scultore, architetto, poeta, ma soprattutto militante ostinato, deciso e solitario, che ha messo al centro della sua ricerca artistica l’impegno politico senza riserva alcuna. I soggetti del suo lavoro sono archetipi epici legati alla sua visione mitologica delle grandi questioni del ‘900. I titoli sono inequivocabili ed esemplari: “Eroe”, “Verso la città futura”, “Combattente”, “Il grido del ribelle”, ecc.

Ha incarnato, di volta in volta, tutte le pulsioni di cambiamento del suo tempo, misurandosi con il rischio di cadere nella retorica, che inevitabilmente i movimenti proponevano, e nelle strumentalizzazioni politiche. Ha usato gli stilemi del Decò, del Futurismo, dell’Espressionismo tedesco, del Razionalismo italiano, ma senza mai deviare dalla sua concezione di arte militante. Anarchico per alcuni, comunista per altri, certamente è stato Ardito del Popolo, miliziano delle Brigate internazionali in Spagna e partigiano in Italia. Sempre con tutti, dove serviva, ma sempre da solo.

giandante 3Eppure quest’uomo è sconosciuto ai più. Pur citato e ammirato da Sironi, Sassu, Lajolo, de Grada, Giolli, Carrà, Formaggio, Treccani, è rimasto nell’ombra.
Si è autoescluso dal mercato regalando quadri o vendendoli sottocosto quando le quotazioni aumentavano.
Unica biografia pubblicata fu “Giandante artista poeta combattente” di Silvio Biscàro (1963) e solo ora, dopo più di cinquant’anni, ecco due pubblicazioni uscite in contemporanea, che si aggiungono a “Giandante X l’eterno viandante”, ancora a cura di Roberto Farina, del 2013.

Giandante , nato Dante Pescò, è figlio dell’agiata borghesia milanese; cresce tra
l’anaffettività della madre e la severità del padre, che non vuole artisti in famiglia. Nel 1916 fugge di casa e rompe ogni relazione con la famiglia, studia architettura e filosofia e come scrive lui stesso: si butta sulla terribile strada fatta di fame, miseria e fango alla ricerca del Mito artistico. Nel 1919 si diploma Architetto Professore e assume il nome di Giandante X.
Giandante non è un refuso di viandante, come alcuni sostengono, ma Già-Andante, già in cammino nella vita di tutti, come un mistico che percorre la terra per costruire la sua piramide di coscienza, che in un suo scritto definisce costruita su “un’enorme zatterone di dolore”. Un cammino, per capire e lottare, fatto di semplici e umanissime cose. La X è l’incognita dell’eterno divenire, la croce della passione ideale e della compassione per gli oppressi, che non hanno cognome che li qualifichi e che in quella X sono tutti rappresentati. L’impressione è di trovarmi di fronte a un uomo con una biografia esemplare, una vita molto più rappresentativa della sua produzione artistica.

giandanteXOra Giandante mi guarda dalla bella foto di copertina del libro di Farina ed io guardo lui: è un ritratto, un bel ritratto. Ha in sé tutti i crismi del ritratto ufficiale, apologetico. La luce disegna il volto da sinistra verso destra, ne mette in risalto la tridimensionalità, la forza del naso e le mascelle serrate. L’espressione è molto intensa, ieratica, come quella che hanno i grandi mistici nell’iconografia classica. L’occhio sinistro è in penombra e il destro, appena più illuminato, non guardano nel centro ottico dell’immagine, ma poco più in alto, come per scrutare orizzonti lontani, ben oltre il fotografo che lo ritrae. Ignora la fotocamera, è totalmente assorto nei suoi pensieri e nelle sue visioni.

C’è in Giandante l’assoluta consapevolezza del proprio essere e dell’immagine che ne vuole dare. Quando si fa un ritratto fotografico, s‘instaura una relazione tra il soggetto, il fotografo e lo strumento di ripresa. Si ricerca una complicità tra l’immagine di sé che vuole dare il soggetto e quella che vuole ottenere il fotografo. L’obiettivo della fotocamera diventa l’ideale punto d’incontro e mediazione delle due esigenze: da questo nasce il ritratto. Invece Giandante guarda oltre, è già in viaggio, si percepisce la tensione ideale e l’assoluta certezza della propria identità. Il fotografo e la fotocamera è come non ci fossero, e lui non sta mettendo in scena la rappresentazione di se stesso, lui è se stesso.

Questa foto però non è un ritratto, ma una foto segnaletica del 1942, scattata in occasione della consegna degli internati dei campi di concentramento in Francia alle autorità italiane.
Ecco ancora più forte la certezza che Giandante aveva l’assoluta consapevolezza del proprio essere, al punto da dare nobiltà estetica allo scatto di un secondino. Riesce in un’opera mirabile: rende ritratto orgoglioso e deciso la foto segnaletica che è di sua natura umiliante e violenta e viene imposta sempre come atto di sopraffazione psichica. Per un attimo il secondino è un autore.

giandanteoscuroUn’altra foto mi ha colpito. Giandante è sfuocato, la grana molto pronunciata e la luce ancor più tenebrosa e drammatica. Le mascelle serrate, le protuberanze sulla fronte, il naso deciso. Gli occhi sono completamente in ombra e solo vagamente si intuisce la pupilla destra, ma una cosa è certa, anche nell’indeterminatezza delle forme, lo sguardo comunica esattamente la stessa determinazione della foto segnaletica. Nulla è cambiato tra le due foto, il carattere monolitico e irriducibile è uguale, la spinta emotiva grande. Farina la associa a una bella poesia:
Desertica
Sull’arcuata sforme faccia
baracollava l’ombra grigia e lunare dell’errante
sue svuotate pupille viaggiavano oltremare…
…nel suo tascapane teneva chiuso il suo gran cuore
.

Aderisce agli Arditi del Popolo, fonda la setta delle Cappe Nere e alla morte del padre rifiuta l’eredità e si libera dei soldi ricevuti dandone parte a Leonida Repaci per la pubblicazione del romanzo L’ultimo Cireneo e comprando libri e armi.
Di scottante attualità il romanzo di Repaci, infatti Giandante vi compare come alter ego del protagonista Nullo Viandante, un pittore che si fa saltare in aria ad una festa danzante dell’alta società milanese. Evidente il riferimento dell’attentato del teatro Diana. Nel romanzo c’è un dialogo tra il pittore e l’amico scrittore poco prima dell’esplosione che racconta bene il pensiero di Giandante e dice: “La mia arte è una fontana senz’acqua… quando il mondo è fango, …è menzogna anch’essa”.

Nel 1923 viene arrestato e rasenta la follia per le torture subite, tuttavia Wildt lo invita alla prima Biennale di Monza, dove presenta un lavoro di 25.000 disegni. Collabora con l’Unità, ha un aspro contraddittorio con Marinetti e nel 1933 lascia clandestinamente l’Italia per la Francia. Come da suo stile, allo scoppio della guerra di Spagna, carica tutte le sue opere su un carretto, le getta nella Senna e parte per la Spagna. Colonna Rosselli, poi 134° Brigata mista, su incarico di Longo diviene responsabile della propaganda delle Brigate internazionali e illustra manifesti e volantini.

giandante 4Preziosa e ampia la ricerca iconografica dell’attività di illustratore in Spagna nel volume di Capozza, che mostra la grande mole di lavoro fatto e in cui lo slogan più usato da Giandante è: Unità. Alla fine della guerra è tra gli ultimi a lasciare la Spagna, ripara in Francia, dove è successivamente consegnato agli italiani che lo mandano al confino. Dopo l’armistizio torna a Milano come ufficiale di collegamento nella formazione Matteotti 33 Fogagnolo vicina agli anarchici. Alla fine della guerra riprende a dipingere, stavolta con tratti meno ideologici, con più colori e coltiva una stretta amicizia con lo stalinista Pesce, quello che aveva difeso Vidali, e sua moglie Onorina, che acquistano molti suoi dipinti e si prendono cura di lui.

Chi è Giandante? Un mistico del comunismo che ha voluto esserci sempre, senza sottilizzare troppo. L’importante era l’azione, l’esempio per far fronte a un nemico comune. Ha gestito gli aspetti contradditori delle sue scelte, non aderendo integralmente al Partito Comunista, ma sempre in bilico per sfruttare tutte le possibilità d’intervento che si presentavano, privilegiando scelta delle persone prima che le posizioni ideologiche. Fedele a se stesso, solo e schivo, fuori dal mercato, nel 1984 ha un attacco di peritonite e muore in ospedale.

Farina mi ha raccontato che la storia della sua morte nel libro è fantasiosa, romanzata, ma ha avuto in seguito l’occasione di conoscere una persona che ha vissuto l’evento. Giandante è rimasto esamine sul selciato del giardino del palazzo dove abitava ed è stato soccorso solo dopo parecchie ore. Pare che all’ospedale , mentre lo stavano portando in sala operatoria, abbia esortato il chirurgo a “fare un bel lavoro”, come del resto lui aveva sempre cercato di fare proprio con la sua vita oltre che con le sue opere.

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