beni comuni – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Rapporto su una guerra già da lungo tempo in atto 2/2 https://www.carmillaonline.com/2018/10/17/rapporto-su-una-guerra-gia-da-lungo-tempo-in-atto-2-2/ Wed, 17 Oct 2018 20:01:37 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=49223 di Sandro Moiso

[Qui la prima parte di questo articolo.]

«Le decisioni che prenderemo sull’energia proveranno il carattere del popolo americano e la capacità di governare la nazione da parte dei presidente e del congresso. Questo nostro sforzo sarà l’equivalente morale di una guerra.» (Presidente Jimmy Carter, 18 aprile 1977)

Nessun governo o partito può essere realmente ‘amico’ dei movimenti che lottano contro l’estrattivismo, in difesa dei territori e del futuro della specie, così come hanno dimostrato gli ultimi voltafaccia pentastellati a proposito delle grandi opere inutili, ma non bisogna mai [...]]]> di Sandro Moiso

[Qui la prima parte di questo articolo.]

«Le decisioni che prenderemo sull’energia proveranno il carattere del popolo americano e la capacità di governare la nazione da parte dei presidente e del congresso. Questo nostro sforzo sarà l’equivalente morale di una guerra.» (Presidente Jimmy Carter, 18 aprile 1977)

Nessun governo o partito può essere realmente ‘amico’ dei movimenti che lottano contro l’estrattivismo, in difesa dei territori e del futuro della specie, così come hanno dimostrato gli ultimi voltafaccia pentastellati a proposito delle grandi opere inutili, ma non bisogna mai dimenticare che il grimaldello per scardinare i diritti e i provvedimenti in difesa dei territori e dei lavoratori è stato troppo spesso fornito dalle forze che si vorrebbero e che si sono sempre sfacciatamente dichiarate democratiche e ‘progressiste’, come l’affermazione dell’ex-coltivatore di arachidi della Georgia, nonché ex-membro della Commissione Trilaterale e premio Nobel, posta in esergo rivela abbastanza chiaramente.

Le differenti forme di pacificazione, infatti, non dipendono dalla qualità dei governi in carica, ma dalle differenti strategie da questi messe in atto per cercare di colpire, frantumare e distruggere i movimenti che ad essi si oppongono.
Da questo punto di vista, ad esempio, le sanzioni amministrative e le pene pecuniarie messe in atto, sempre più spesso, nei confronti degli oppositori dalla Val di Susa al Salento agli Stati Uniti non hanno tanto la funzione di ‘ammorbidire’ gli strumenti repressivi, quanto piuttosto quello di rendere più flessibile e invasiva la pacificazione stessa.

Ad esempio, le pesanti sanzioni pecuniarie adottate dallo Stato contro una parte dei militanti del Movimento No Tav sembra rispondere a una logica di differenziazione della repressine per fasce d’età, cercando di colpire maggiormente i più giovani con la minaccia di lunghi periodi di reclusione e i più anziani con una piuttosto pesante nei confronti dei beni risultanti da una vita di lavoro (casa, risparmi, etc.). Anche se poi, come dimostra la più recente sentenza a carico di 16 militanti di varia età, la condanna alla pena detentiva sembra essere spesso quella più apprezzata dai pubblici ministeri (anche a costo di vedersela dimezzare com’è avvenuto proprio nel corso dell’ultimo processo per i fatti del 28 giugno 2015).

Altri strumenti selettivi di carattere pecuniario, come diversi relatori hanno confermato nel corso del workshop internazionale di Melendugno, possono essere collegati ad una differente ripartizione dei risarcimenti offerti agli abitanti dei territori interessati dal fracking, dalla costruzione di grandi opere o da tutti gli altri aspetti di ‘estrattivismo’ di cui si è precedentemente parlato.
Ripartizioni che in alcuni casi possono essere del 100% della cifra promessa oppure del 30% o anche del tutto assenti, a seconda della partecipazione o meno delle comunità o dei singoli individui alle lotte di opposizione ai progetti proposti in loco.

Uno strumento utile quindi, là dove riesce a far breccia, a dividere le comunità e i comitati di lotta sulla base di interessi economici e a sviluppare all’interno di esse rivalità ed egoismi legati all’interesse privato o alla salvaguardia delle proprietà famigliari.
Che, come ad esempio negli Stati Uniti nei territori ormai sempre più ampi interessati dal fracking, può essere costituito da bollette energetiche differentemente ripartite tra comunità e comunità, anche qui a seconda delle resistenze che in esse si manifestano contro la devastazione ambientale.

Bollette che colpiscono la comunità anche se i resistenti in essa presenti sono una minoranza, cercando così di scatenare un’autentica “caccia alle streghe” nei confronti di chi resiste oppure fa propaganda per la resistenza e delegando quindi alla comunità nel suo insieme il compito di autogestire la pacificazione. Forma sottile e subdola per giungere ad una frammentazione ed esclusione interna di quella che potrebbe diventare o già essere invece una comunità resistente.

Anche in ciò può consistere quel «Restringimento degli spazi per i movimenti italiani in difesa dell’ambiente» di cui ha parlato in apertura del convegno Italo Di Sabato dell’Osservatorio sulla repressione. Ma questa modalità operativa può essere classificata anche secondo quelle modalità di costruzione del diritto penale del nemico sul quale si sono espressi i membri del collettivo Prison Break Project parlando, appunto, di «Il ‘nemico interno’: repressione dei movimenti e criminalizzazione penale del nemico».

Quest’ultimo punto, però, ha anche a che fare con quella costruzione dell’immaginario che troppe volte il movimento antagonista ha sottovalutato, rischiando così di affrontare il proprio nemico, sostanzialmente il capitalismo estrattivista e non, rimanendo nell’ambito ‘territoriale’ politico, economico e giuridico definito a priori dallo stesso. Come ha rimarcato il già precedentemente citato professor Michele Carducci.

Immaginario che, come s è appena detto, investe anche la nozione di ‘progresso’ sociale e economico e tutte le teorie che ne derivano. Soprattutto nella sinistra partitica tradizionale e che soltanto i movimenti reali dal basso e sui territori iniziano, per intrinseca necessità, a scalzare. Opera di scalzamento che, in futuro, costringerà i movimenti, e coloro che li studiano ed appoggiano, a fare i conti con le differenti narrazioni storiche, economiche e socio-antropologiche che fondano l’esistente e che entrano, ancora oggi, a far parte dell’opera di pacificazione culturale messa in atto da sempre dalle classi dirigenti e (al momento) vincitrici. Una cancellazione della memoria che va ben al di là della banalizzazione della ‘memoria’ costantemente rivendicata dalla vulgata antifascista e democratica, sempre comunque fedele alla ‘memoria’ di un ordine liberale e democratico mai realmente esistito. Nemmeno nel ricco Occidente.

La violenza dello sradicamento della comunità umana e delle sue sopravvivenze, che l’attualità riporta alla ribalta e all’attenzione, è stata tale da far dimenticare che quell’Occidente colonialista con cui oggi dobbiamo ancora fare i conti, qui a casa come nel resto del globo, prima di poter essere tale dovette rimuovere al suo interno tradizioni e comunitarismi che impiegarono secoli ad essere piegati alla logica del mercato, della proprietà privata dei beni comuni e degli stati nazionali unificati da religioni uniche e autoritarie, oltre che accentratrici del potere.

Ben prima della Rivoluzione industriale e dell’Illuminismo che, al contrario di quanto troppo spesso si è creduto, più che rappresentare la liberazione delle forze produttive ed intellettuali del continente europeo, segnarono la fase finale di un processo di assoggettamento delle comunità ai principi dell’appropriazione privata e soggettiva della ricchezze e dei beni prodotti e utilizzati collettivamente. E che, sostanzialmente, costituirono la pietra tombale su ogni forma di comunitarismo derivante dalle organizzazioni sociali che erano esistite per millenni senza stato e senza appropriazione privata dei suoli e dei beni e dei saperi prodotti collettivamente.

Oggi i movimenti hanno bisogno di confrontarsi al di là delle barriere nazionali, come l’assemblea del venerdì sera ha potuto dimostrare, e di dar vita a nuove forme di coordinamento, organizzazione e interazione su scala locale e internazionale, proprio a partire dal fatto che la socializzazione delle lotte, della resistenza alla pacificazione e dei loro risultati non è più legata a principi di carattere ideologico ma ad una reale necessità dovuta al fatto di riconoscersi gli uni negli altri. Al di là della lingua, del colore della pelle o della collocazione a Nord o a Sud del mondo. Nonché realizzando già nei fatti, qui e adesso, una vita migliore per gli attivisti, i militanti e i membri delle comunità che resistono insieme alla pervasività del capitalismo estrattivista. Proprio come ha sostenuto, nel suo applauditissimo intervento serale, Guido Fissore del Movimento No Tav valsusino.

Lotte in cui la massiccia presenza delle donne e l’importanza del loro ruolo al loro interno, dal Rojava alle comunità indigene fino a Taranto, Melendugno, Val di Susa e in qualsiasi luogo di difesa della Terra e dei suoi abitanti presenti e futuri, rivelano come la riduzione a servaggio della condizione femminile e la riduzione dell’autonomia delle stesse all’interno delle società sia servita proprio ad attaccare e frantumare quelle comunità che oggi vanno gradualmente ricomponendosi, grazie proprio alla ripresa e riaffermazione di un modello femminile collettivo di lotta e partecipazione molto distante da quello riproposto da quello della “donna in carriera” pubblicizzato dai media, da Hollywood e dall’immaginario borghese.

Dal giorno di Piazza San Giovanni, nel 2011, ad oggi gli attivisti indagati in Italia sono arrivati ad essere 15.782, 852 quelli arrestati, 345 quelli colpiti da fogli di via e 241 quelli condannati alla detenzione. Proviamo a sommarli a quelli colpiti nel resto del mondo, più o meno per gli stessi motivi, e ai morti ammazzati (che a certe latitudini aumentano vertiginosamente) ed è difficile non comprendere che ci si trova davanti ad una autentica guerra civile mondiale condotta dal capitale e dai suoi funzionari, in divisa e non, contro i movimenti, le comunità e i territori.

Un capitale che cerca in ogni modo di liberare al massimo, più ancora che liberalizzare, la propria azione di estrazione di valore da qualsiasi vincolo politico, sociale, legale e ambientale. Un capitale che per fare ciò ha abbattuto anche i confini e i poteri dei parlamenti nazionali, non importa che questi siano caratterizzati da governi di ‘destra’ o di ‘sinistra’. Un capitalismo frenetico che, come ha sostenuto e dimostrato Tia Dafnos, a partire dal Canada, con la sua relazione su «Logiche della pacificazione della resilienza critica alle opere infrastrutturali», più che dalla realizzazione delle infrastrutture e delle grandi opere riesce a trarre profitto anche dalla vendita della loro progettazione agli stati. Considerazione che la dice lunga anche sull’attuale balletto intorno alla ricostruzione del ponte Morandi di Genova e sulla velocità con cui il solito Renzo Piano e la Società Autostrade sono riusciti a presentare in tempi brevissimi progetti per la sua ricostruzione. Non occorre essere responsabili della sua ricostruzione, ma è importante vendere il progetto. Non solo allo Stato ma anche ai media e all’immaginario collettivo.

Un capitalismo che si presenta armato di tutto punto, sotto ogni punto di vista, alla guerra con i movimenti. I quali, forse, devono ancora pienamente comprendere il tipo di scontro epocale che è in corso e in cui sono coinvolti. Una guerra che prepara a guerre ancora più estese e devastanti, in cui però la diffusione a macchia di leopardo dei movimenti e delle aree in lotta più che rappresentare una debolezza degli stessi, come qualcuno durante il workshop ha ipotizzato, rappresenta invece la loro forza ovvero quella di un movimento comune senza confini nazionali, unito dalla necessità di raggiungere scopi simili e di combattere le medesime tecniche di pacificazione. E lo stesso nemico: il capitalismo in ogni sua forma, nazionale e internazionale. Finendo così con il costituire le macchie di ruggine diffuse che finiranno col corrodere e distruggere dall’interno la macchina del dominio mondiale del profitto privato e del suo dannato e, solo apparentemente, infinito processo di accumulazione.

Le reti e il filo spinato, i blocchi di cemento e gli agenti del disordine pubblici e privati schierati a difesa dei cantieri e di confini che già sono stati condannati dalla storia, unificano la Val di Susa con la Palestina, il Salento con il confine norteño del Messico e le esalazioni mortali di Taranto con ogni altra area del pianeta in lotta per la vita e un reale futuro per la specie. Un movimento che, se sarà in grado di trovarsi e di coordinarsi ancora e sempre più frequentemente, così come si espresso il workshop nel suo insieme, saprà fare anche delle sue attuali e apparenti debolezze un momento straordinario di riflessione e di forza unificante.

Soprattutto, però, in questi giorni di delusione per le promesse mancate, ma che allo stesso tempo sono serviti a demolire anche le ultime illusioni partitiche e parlamentari, occorre ricordare, sempre, ciò che ha scritto Arundhati Roy:

«Il sistema collasserà se ci rifiutiamo di comprare quello che ci vogliono vendere, le loro idee, la loro versione della storia, le loro guerre, le loro armi, la loro nozione di inevitabilità. Ricordatevi di questo: noi siamo molti e loro sono pochi. Hanno bisogno di noi più di quanto ne abbiamo noi di loro. Un altro mondo, non solo è possibile, ma sta arrivando. Nelle giornate calme lo sento respirare.»

Qui di seguito però, poiché le lotte non vanno solo raccontate ma anche sostenute fattivamente, si rende necessaria la pubblicazione del comunicato redatto dall’avv. Michele Carducci, ordinario di Diritto Costituzionale Comparato presso l’UniSalento, sulle ultime giravolte pentastellate a proposito del TAP.

LE OMISSIONI DEL GOVERNO CONTE SUI COSTI TAP

La storia dell’analisi costi-benefici su TAP non ha fine e ora sembra tramutarsi in una farsa.
Durante l’estate, tutti i Ministeri interpellati con il sistema del c.d. “FOIA” (accesso civico generalizzato) sono stati costretti ad ammettere l’assenza di documenti e conteggi sugli effettivi benefici di TAP (in termini economici, climatici, ambientali, di risparmio ecc…) e sui costi di abbandono dell’opera (in termini di titoli legali di legittimazione verso lo Stato italiano). Persino il Ministero dello Sviluppo Economico, recalcitrante sino all’informativa all’autorità interna anticorruzione, ha dovuto riconoscere che non si dispone di atti, ma solo di probabili dichiarazioni verbali rese da esponenti azeri a rappresentanti politici italiani oppure di mere deduzioni. Il Vicepresidente Salvini è stato addirittura smentito dal suo Ministero sui presunti risparmi della bolletta del gas.
Poi, il 15 ottobre, il Sindaco del Comune di Melendugno, nella provincia di Lecce dove dovrebbe approdare il gasdotto TAP, è stato urgentemente convocato a Palazzo Chigi insieme ai parlamentari e rappresentanti territoriali del Movimento Cinque Stelle.
Alla presenza della Ministra per il Sud Barbara Lezzi, ha parlato il Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico, il Sen. pentastellato Andrea Cioffi, componente dell’ “Associazione interparlamentare Italia-Azerbaijan”.
Egli ha riferito di suoi personali conteggi su TAP, riguardanti impegni contrattuali sull’estero (perché il gas di TAP servirà principalmente l’estero) e probabili mancati profitti, concludendo per un ammontare di 20 miliardi. Ha dunque parlato di presumibili costi contrattuali di terzi, ma non di analisi costi-benefici tra attivazione dell’opera e contesto socio-economico-ambientale-climatico dello Stato italiano e del suo ecosistema.
Le due prospettive non descrivono in nulla la stessa cosa: l’analisi costi-benefici è richiesta sia dall’Unione europea, che pretende l’inclusione dei costi climatici riferiti agli obiettivi di Parigi sul contenimento di emissioni di CO2, sia dall’OSCE che impone che l’analisi costi-benefici della sicurezza energetica sia declinata con l’analisi costi-benefici della sicurezza ambientale di lungo periodo, oltre che dalla Banca Centrale Europea che vorrebbe finanziare l’opera TAP.
È richiesto da tutte le istituzioni sovranazionali e internazionali di strategia energetica e di investimento finanziario; com’è giusto che sia, giacché l’analisi costi-benefici sulle opere di impatto intertemporale risponde a una garanzia di trasparenza dei decisori pubblici nei confronti non solo dei cittadini di oggi, ma soprattutto delle generazioni future e del loro contesto di vita: contesto che inesorabilmente deve misurarsi sulla dimensione climatico-ambientale.
Di tutto questo il Sottosegretario non ha parlato. Egli non ha neppure voluto consegnare alcuna documentazione al Sindaco. Nulla ha saputo replicare alle domande sui titoli giuridici a fondamento delle eventuali pretese creditorie italiane e non estere. Ha taciuto sul computo dei costi ambientali dell’opera TAP rispetto alla tenuta dell’ecosistema della costa di San Basilio, rispetto ai fenomeni dell’erosione costiera. Nulla è stato detto sui costi climatici rispetto ai criteri ribaditi proprio questo mese dal “Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico” dell’ONU.
Del resto, non è superfluo ricordare che il Governo italiano è pericolosamente privo del “Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”.
Forse anche per questo, il Presidente Conte e la Ministra Lezzi si sottraggono all’onere di un tavolo pubblico e trasparente tra agenzie indipendenti di studio ambientale (come ISPRA e ARPA), rappresentati del governo e del territorio e TAP.
In definitiva, e una volta in più, di analisi costi-benefici non si sa che dire; come, ancora una volta, la Convenzione di Aarhus sulla democrazia ambientale, che prevede il coinvolgimento del pubblico nell’analisi costi-benefici, è stata violata.
Questo è un fatto molto grave, indipendentemente dalle proprie posizioni politiche, perché priva tutti i cittadini del diritto all’informazione completa ed esaustiva sulle scelte politiche dei governanti nei confronti di un’opera che riguarda i diritti delle generazioni future.
La circostanza di un Sottosegretario di Stato inadempiente negli oneri documentali e informativi verso un Sindaco rappresentante di un territorio della Repubblica, non definisce solo un gesto istituzionalmente scorretto; identifica una lacuna istituzionale pericolosa.
In questo scenario, paradossale appare infine il silenzio della coalizione giallo-verde e di Luigi Di Maio che, nel suo “Contratto per il governo del cambiamento”, esplicitamente ha voluto contemplare, per opere come TAP, tre obblighi metodologici totalmente disattesi: la istituzione di un “Comitato di conciliazione” per definire le modalità di azione; l’analisi costi-benefici (non solo quindi l’analisi costi contrattuali esteri); trasparenza e partecipazione di comunità locali e cittadini.
Di Maio tradisce il suo “Contratto”, votato dai suoi elettori.
La leale collaborazione tra istituzioni nazionali e locali e tra istituzioni e cittadini è il cemento della democrazia. Prendersi gioco della leale collaborazione è un illecito costituzionale che va denunciato.
È già partito l’accesso FOIA verso il Sottosegretario Cioffi. Ma sono già state attivate anche tutte le azioni propedeutiche alla denuncia del Governo italiano presso l’Unione europea, l’OSCE e le altre istituzioni che tutelano i diritti di informazione e di trasparenza delle decisioni nelle democrazie.
L’analisi costi-benefici è un dovere verso i diritti delle generazioni future e un presupposto di serietà di una democrazia.
Non pretendere chiarezza su tutto questo significa diventare complici di una erosione dei diritti di cittadinanza, che danneggia tutti e irresponsabilmente condiziona il futuro.

Prof. Avv. Michele Carducci
Difensore Movimenti e cittadini NoTAP

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Lotte e strategie comunitarie: orizzonti oltre il capitale https://www.carmillaonline.com/2015/11/07/lotte-e-strategie-comunitarie-orizzonti-oltre-il-capitale/ Fri, 06 Nov 2015 23:01:10 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=26448 di Gianmarco Peterlongo*

Puebla congreso comunalidad[Cronaca del Primo Congresso Internazionale della Comunalidad, tenutosi presso la Benemerita Università Autonoma di Puebla (BUAP), Messico, 26-29 ottobre 2015].

Centinaia e centinaia di attivisti, ricercatori, studenti, militanti delle lotte sociali ed indigene si ritrovano a Puebla sotto la bandiera del comune contro il capitale. Quattro giorni (dal 26 al 29 ottobre scorso) intensissimi di dibattiti e discussioni che hanno animato il Primo Congresso Internazionale della Comunalità: un concetto eterogeneo, come spiega Silvia Federici nell’assemblea di inaugurazione, che in qualunque sua coniugazione esprime il comune obiettivo [...]]]> di Gianmarco Peterlongo*

Puebla congreso comunalidad[Cronaca del Primo Congresso Internazionale della Comunalidad, tenutosi presso la Benemerita Università Autonoma di Puebla (BUAP), Messico, 26-29 ottobre 2015].

Centinaia e centinaia di attivisti, ricercatori, studenti, militanti delle lotte sociali ed indigene si ritrovano a Puebla sotto la bandiera del comune contro il capitale. Quattro giorni (dal 26 al 29 ottobre scorso) intensissimi di dibattiti e discussioni che hanno animato il Primo Congresso Internazionale della Comunalità: un concetto eterogeneo, come spiega Silvia Federici nell’assemblea di inaugurazione, che in qualunque sua coniugazione esprime il comune obiettivo di superare il sistema neoliberale neocoloniale patriarcale, che dopo 500 anni dalla conquista delle Americhe ha da impartire ancora solo miseria e guerra. La Comunalidad intesa, dunque, come progetto politico che esprime il rifiuto a tale sistema e che aspira a costruire “altro”, un mondo di tanti mondi già visibile in atto in migliaia di realtà che in tutto il pianeta costruiscono relazioni diverse, comunità e società fuori dalle logiche del capitalismo, dell’accumulazione, del profitto, dello sviluppo, e per la riproduzione della vita in una prospettiva cosmo-centrica: dalle battaglie contro l’austerità e la crisi nel vecchio continente alle lotte indigene per l’autogoverno che popolano tutto il continente americano.

Dobbiamo prepararci alla tormenta, ci dicono gli zapatisti del Chiapas, il capitalismo vive delle sue crisi, come insegna Marx, e l’apice del capitalismo ci porta oggi a una “crisi di civililtà (civilizatoria) globale. Una crisi sociale, ambientale, sanitaria, culturale, dei rapporti umani, spiega Raùl Zibechi, dove il consumismo rischia di sancire una mutazione antropologica senza precedenti nella storia dell’umanità, a cui la comunità e il lavoro collettivo possono essere l’unica risposta adeguata ed efficace all’arrivo della tormenta. “Camminare più veloce è camminare insieme” ribadiscono gli indigeni in resistenza dalla Selva Lacandona, attraverso le parole del fu Subcomandante Marcos.
C’è la voce di tutte le Americhe negli auditori dell’università, dei Sem Terra del Brasile, degli Aymara boliviani, di Occupy Wall Street e degli indigeni di Oaxaca, di collettivi femministi, delle polizie comunitarie dello stato messicano del Guerrero, della comunità autonoma di Cherán (Michoacán, Messico), delle lotte studentesche e dei movimenti sociali di Città del Messico. E ovviamente non manca la voce dei desaparecidos di Ayotzinapa e delle decine di migliaia di scomparsi dall’inizio della guerra sucia (guerra sporca) in Messico. Le parole di un compa peruviano commuovono l’enorme platea: “Per noi Aymara la morte non esiste, per noi i 43 di Iguala come tutti i desaparcidos sono qui ed ora insieme a noi a discutere e lottare”.

John HolowayTantissimi tavoli tematici in contemporanea animano al mattino le aule dell’università, che per alcuni giorni perde il suo carattere di accademia: giustizia comunitaria, estrattivismo, battaglie di genere, acqua e difesa dei territori, memoria, linguaggio delle lotte, pratiche di comunicazione comunitaria, migrazioni. Le esperienze dei compagni di tutta l’America Latina riportano in maniera chiara e ineludibile i limiti e le contraddizioni dei governi progressisti sudamericani, il neoliberismo economico del governo del Mas (Movimiento al Socialismo) del boliviano Evo Morales e l’avanzata delle monoculture transgeniche in Brasile e Uruguay, l’ipocrisia dell’ecuadoriano Rafael Correa di fronte alle mobilitazioni degli indigeni andini, e le elezioni in Argentina che segnano un’inevitabile disillusione davanti al così definito ciclo progressista.

“Sì, siamo antiprogressisti”, dice chiaramente Raquel Gutiérrez, tra le principali animatrici di questo congresso, “perché contro il mito del progresso del capitalismo e il paradigma sviluppista”, e perché il progressismo oggi in America Latina è la nuova faccia del colonialismo neoliberale: “Siamo antiprogressisti in quanto contrari al progresso come locomotore della storia, al progresso che unisce destra e sinistra, scienza e chiesa, e che è oggi una nuova forma di colonialismo moderno”, conclude il sociologo argentino Horacio Machado nell’ultima plenaria del congresso. Tantissimi intellettuali e realtà tutti insieme in un confronto non privo di discussioni: la voce delle donne di Silvia Cusicanqui e Sivia Federici, Margara Millán, autrice del recentissimo libro Desordenando el genero, decentrando la nacion (“Disordinando il genere, decentrando la nazione”), il femminismo comunitario della boliviana Julieta Paredes, John Holloway, lo storico statunitense Sinclair Thomson, Raùl Zibechi, Gustavo Esteva dall’Università della Tierra di Oaxaca, l’immenso linguaggio filosofico di Jaime Martínez Luna, Luis Tapia con la sua lezione sullo Stato come campo di lotta, la sociologa Fabiola Escàrzaga, tra i tanti.

Nelle assemblee plenarie pomeridiane dei primi due giorni ci si interroga spesso sul significato e sulla centralità della comunalità, condividendo in ogni caso la necessità non tanto di trovarne una definizione statica, ma piuttosto di concepirla come un concetto dinamico da tradurre nella lotta: Silvia Cusicanqui, ad esempio, invita a “pensare alla comunalità come un concetto eterogeneo che costituisca una forma utopica di ripensare l’esistente” contro il “processo di espropriazione della volontà collettiva da parte del capitalismo predatorio odierno”. Holloway, invece, sostiene che la comunalità vada percepita per natura come “movimento antagonista al capitalismo”, come processo oppositivo e di riconquista, in quanto “oggi viviamo nella società della distruzione del comune, delle relazioni comunitarie sostituite al denaro e alla merce”.

Puebla comunalidadLa plenaria del terzo giorno è incentrata sul ruolo della memoria storica, intesa non come un oggetto, ma come un processo da costruire collettivamente, al di fuori delle narrazioni ufficiali egemoniche del passato, lontano da pericolosi folclorismi così come da revisionismi reazionari. Nell’ultima plenaria, infine, dedicata all’ecologia politica, si guarda alla crisi del mondo moderno, al peggiore ecocidio della storia dell’umanità che oggi colpisce l’America Latina, al capitalismo come anomalia storica perché basato sullo sfruttamento e sulla distruzione della natura e dell’uomo, a cui opporsi oggi secondo una logica differente, biocentrica, che ponga cioè al centro l’uomo senza rimuoverlo dal suo contesto.

Insomma, tutt’altro che un concetto idealizzato e idilliaco, la comunalità è pratica di lotta il cui terreno supera i confini, varca gli oceani e accomuna milioni di persone in resistenza per la vita. Il comune, come spesso viene ribadito riprendendo l’insegnamento negriano, prende sempre forma a partire da un sentimento comune di dolore, rabbia e indignazione, e non a partire da una concezione romantica di unione. I ponti tra le lotte del comunitarismo indigeno latinoamericano e i movimenti sociali dei paesi dell’austerity sono ancora più evidenti se si guarda al linguaggio che utilizzano: solidarietà, mutuo soccorso, reciprocità sono gli strumenti per l’edificazione di comunalità e autonomia, gli anticorpi all’insopportabile individualismo dilagante, al razzismo e all’intolleranza. Sta ora a noi, europei, raccogliere la sfida e la lezione della comunalità, riconiugarla nei nostri territori, ben consapevoli di non poter attingere, in modo analogo, al sostrato di tradizioni secolari che costituiscono la memoria collettiva dei popoli in resistenza dell’America Latina, ma costruendo comunità che siano capaci di costituirsi come spazio delle differenze in lotta per il comune.

Qui video, audio e cronache delle assemblee plenarie e dei tavoli di discussione: http://www.congresocomunalidad2015.org/

Di seguito il pronunciamento finale della neo-costituita Assemblea Nazionale della Comunalidad tradotto in italiano:

URGENTE

PER IL TESSUTO COMUNE

PRONUNCIAMENTO
Primo Congresso Internazionale della Comunalità
Lotte e strategie comunitarie: orizzonti oltre il capitale.

  • Riconosciamo la necessità urgente di appoggiare le lotte sociali che emergono quotidianamente di fronte all’esproprio materiale e simbolico che il capitalismo predatorio porta avanti nel mondo intero. Sono lotte collettive e popoli che si concepiscono e si realizzano a partire da saperi, conoscenze e modi d’agire condivisi di uomini e donne che percorrono il cammino della emancipazione.
  • Adottiamo la “comunalità” come simbolo comune. Tale parola nacque negli anni ’80 come espressione di una realtà viva e in movimento, radicata nei modi di essere e di lottare dei popoli di Oaxaca. Presto si incontrò con altre di tale senso. E’ oggi una fonte di ispirazione e un manto efficace per coprire una varietà di iniziative e lotte che si contrappongono apertamente all’individualismo dominante. In alcuni casi, si tratta di antiche attività che nascono dal tessuto comunitario, come quello dei popoli indigeni, e che si aggiornano costantemente. In altri casi, riflette lo sforzo contemporaneo di coloro i quali soffrirono la costruzione individuale come una prigione e decisero di unirsi con altre ed altri per lottare per il comune e il comunitario. Si tratta sempre di relazioni sociali tessute in pratiche comuni che combattono per la vita e se ne prendono cura di fronte alla dinamica di morte dominante.
  • Ci impegniamo a generare nuovi concetti, teorie e saperi che contribuiscano a comprendere ciò che sta succedendo e a rinforzare le lotte per il comune e per la difesa della vita, contro le teste della idra capitalista. Rifiutiamo tutti i tentativi di gerarchizzare le conoscenze, per far prevalere quella dell’accademia e legittimare la dominazione. Favoriamo, invece, dibattiti fertili su idee e pratiche come quello che ha ispirato l’incontro convocato dagli zapatisti lo scorso mese di maggio.
  • Costituiamo l’Assemblea Nazionale della Comunalità, per continuare a sollecitare gli sforzi che ci uniscono, la lotta anticapitalista e la difesa dei nostri popoli. L’Assemblea adotta il motto del Congresso Nazionale Indigeno: “Siamo assemblea quando siamo insieme, siamo rete quando siamo separati”. Non sarà una entità organica, una struttura burocratica o uno spazio chiuso di intellettuali o attivisti. Sarà un tessuto aperto a quanti condividano le pratiche e gli ideali che ci uniscono. Manteniamo la speranza che con il tempo questa assemblea giunga a essere integrata da rappresentanti di assemblee statali, regionali e locali, costituite in forma autonoma da coloro che considerino utile farlo. Per realizzare questo proposito, costituiamo anche un comitato animatore dell’iniziativa, composto da chi ha organizzato questo Primo Congresso.
  • Esigiamo la comparsa con vita di tutti i desaparecidos di questi anni in Messico. Ci mancano ancora i 43 e solidarizziamo con le loro famiglie. Lontani dal farci intimorire, le azioni atroci delle autorità producono la rabbia e l’indignazione che ha nutrito questo congresso e che alimentano quotidianamente iniziative di resistenza ed emancipazione. Vivi li hanno presi, vivi li vogliamo!
  • Facciamo nostre le lotte per la difesa del comune, dell’acqua, del territorio che si estende negli spazi feriti del Messico, dell’America Latina, del mondo. Sappiamo che in quelle lotte si trova già il germe di un mondo nuovo capace di fermare l’orrore che ci travolge e di affermare il “buen vivir” che ci insegnano i popoli originari.

Puebla, Messico, 29 ottobre 2015

*Inviato a Puebla (Mx) C.S. Cantiere (Mi) www.cantiere.org/

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