bella mia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 22 Nov 2024 21:00:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il blues di Borgo Sud https://www.carmillaonline.com/2021/02/15/il-blues-di-borgo-sud/ Mon, 15 Feb 2021 21:21:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64922 Einaudi, Torino 2020, pagg.160 € 18

di Mauro Baldrati

Il blues, come il punk, è una musica semplice e ripetitiva. Ma lo è come il respiro, il battito cardiaco. Come le penne all’arrabbiata. E’ una forma di ripetizione creativa. Ogni nuovo pezzo blues, eseguito più o meno con gli stessi accordi, è un’avventura che nasce. Per questo l’appassionato non si stanca di ascoltare quel ritmo, quegli accordi, quell’armonica.

Il nuovo libro di Donatella di Pietrantonio, l’ultimo di una trilogia, attiva un meccanismo simile. La sequenza editoriale inizia con [...]]]> Einaudi, Torino 2020, pagg.160 € 18

di Mauro Baldrati

Il blues, come il punk, è una musica semplice e ripetitiva. Ma lo è come il respiro, il battito cardiaco. Come le penne all’arrabbiata. E’ una forma di ripetizione creativa. Ogni nuovo pezzo blues, eseguito più o meno con gli stessi accordi, è un’avventura che nasce. Per questo l’appassionato non si stanca di ascoltare quel ritmo, quegli accordi, quell’armonica.

Il nuovo libro di Donatella di Pietrantonio, l’ultimo di una trilogia, attiva un meccanismo simile. La sequenza editoriale inizia con Bella mia (2014), prosegue con L’arminuta (2017), e si conclude con Borgo sud (2020). Gli accordi, il canto sono gli stessi. La stessa semplicità veicola la scrittura, parca, apparentemente minimalista, in realtà governata da un’autocoscienza che difficilmente si può trovare nella narrativa dei nostri giorni. Scivola come un a-solo di armonica di Paul Butterflied, sa tenere la tensione come la chitarra di Mike Bloomfield.

Anche i luoghi sono negli stessi accordi: L’Aquila del terremoto di Bella mia; il duro, arcaico entroterra abruzzese de L’arminuta; Pescara e il mercato del pesce di Borgo sud. Pure i personaggi appartengono alla stessa specie, come i vari esemplari di pioppi, o tigli, tutti diversi ma simili nella morfologia naturale. La narratrice è sempre lei, anche se l’identità, apparentemente, cambia: bambina e poi ragazzina ne L’arminuta, ceramista in Bella mia e professoressa in Borgo sud. Ma è il medesimo personaggio sotto le righe, serio, persino brusco, il cui occhio “normale” serve per rappresentare gli eccessi degli altri comprimari. Pur avendo una personalità ben delineata, si assume volentieri il ruolo di protagonista-spalla, che guarda, ascolta, racconta, senza giudicare; oppure, se giudica, lo fa attraverso il proprio stupore, il proprio disagio. La sua normalità è uno strumento per dare luce agli eccessi dei vari alter ego: i fratelli diabolici e insopportabili, il nipote adolescente ostile svalvolato dei due romanzi precedenti; la sorella spericolata, come un esserino primordiale che si caccia nei guai per seguire i propri istinti in Borgo sud. E lei, la narratrice, li segue, li fa danzare dalla sua piccola cabina di regia. Ricorda Sal Paradiso che anima Dean, lo fa urlare, ridere, amare, mentre lui se ne sta un po’ appartato dietro le quinte. C’è come un trasferimento di energia tra il narratore, che la tiene compressa, e l’alter ego, che invece la fa deflagrare.

Il processo creativo è interessante. Qui non vogliamo certo riproporre un’analisi alla Sainte Beuve, ovvero indaga il personaggio dell’autore per capire l’opera, però il fatto che l’autrice sia figlia unica e abbia creato dei fratelli e una sorella di intensità letteraria sovralimentata come Adriana di Borgo sud è affascinante. L’abbiamo già conosciuta ne L’arminuta, bambina che fa la pipì a letto, lo stesso letto singolo che deve dividere con lei, una girata di testa e l’altra di piedi. Ora le sorelle sono diventate donne, pronte per la nuova avventura di Borgo sud. Adriana non è un personaggio costruito a tavolino. Forse è il frutto di un desiderio non soddisfatto, o di una solitudine in cerca di riscatto. Fatto sta che la Dipietrantonio è riuscita a combinare chimicamente questi sentimenti, questa contraddizioni nell’opera, con un lavoro di pulizia che rasenta la perfezione.

L’Arminuta, che ha vinto il Campiello, resta il suo capolavoro, ma Borgo sud lo segue a contatto di paraurti, seguito a sua volta da Bella mia. E qui è doverosa una precisazione. L’autrice in questo momento è adulata dal mainstream. Ovviamente il motivo è l’unico che interessa al sistema: vende. E noi, che operiamo nel sottosuolo dell’antagonismo e dell’opposizione, siamo scarsamente interessati a ciò che domina nei livelli di sopra. Il nostro obiettivo sarebbe creare un mondo dove l’arte abbia il giusto spazio, fuori dal vippismo e dalla dittatura del marketing. Ma un bravo anarco-comunista non si tira indietro. Non ha paura di dire bello al Bello, ovunque si trovi. Perché la Bellezza non chiede il permesso. Non accetta gli inviti interessati. Si mostra dove vuole. Forse dove gli capita. E le sue apparizioni ultimamente sono così rare da diventare preziose.

Borgo sud rappresenta un’accelerazione, forse una maturazione rispetto ai due romanzi precedenti. La narratrice porta avanti due progressioni: Adriana, la sua avventura pericolosa su questa terra: è sedotta senza pietà dal ghigno beffardo di un amore impossibile e violento, e ne paga le conseguenze; la protagonista è sposata, ma il marito – l’altro – resta una figura impenetrabile, il cui mistero non si può svelare. E in questo ha in sé, forse, un’ostilità. La crisi coniugale procede inesorabile, con una cadenza da thriller, fino alla rivelazione finale, preparata con la dovuta calma dall’esperta autrice, che non esita, non si dilunga, ma fila con precisione la sua rapida ragnatela. Chiude la trilogia, per cui ci domandiamo: diventerà una quadrilogia, e una pentalogia?

E poi?

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Bella mia https://www.carmillaonline.com/2014/05/22/bella-mia/ Wed, 21 May 2014 22:44:29 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=14800 di Marilù Oliva

bellaDonatella Di Pietrantonio, Bella mia, Elliot Edizioni, Roma, 2014, pp. 191, € 17,50.

Il titolo Bella mia non è riferito a Caterina, la protagonista del romanzo, e nemmeno alla sua gemella morta. È un’invocazione affettuosa intonata a L’Aquila, cantata in una filastrocca popolare che rievoca la nostalgia di chi la ricorda da lontano. E lontana è ormai la città, agli occhi dei suoi cittadini, dopo il 6 aprile 2009. Le macerie si amplificano a simbolo interiore di distruzione, lo sgomento allenta i vincoli e dissipa le aspettative. Le C.A.S.E., ovvero il complesso di nuovi alloggi prefabbricati in [...]]]> di Marilù Oliva

bellaDonatella Di Pietrantonio, Bella mia, Elliot Edizioni, Roma, 2014, pp. 191, € 17,50.

Il titolo Bella mia non è riferito a Caterina, la protagonista del romanzo, e nemmeno alla sua gemella morta. È un’invocazione affettuosa intonata a L’Aquila, cantata in una filastrocca popolare che rievoca la nostalgia di chi la ricorda da lontano. E lontana è ormai la città, agli occhi dei suoi cittadini, dopo il 6 aprile 2009. Le macerie si amplificano a simbolo interiore di distruzione, lo sgomento allenta i vincoli e dissipa le aspettative. Le C.A.S.E., ovvero il complesso di nuovi alloggi prefabbricati in cui le famiglie sentono moltiplicarsi il senso di precarietà, diventano scenario minimo di un romanzo che si arricchisce di più ampi sfondi: quello del fantasma di una città sventrata e, soprattutto, quelli interiori di vite in via di ricostruzione, alla ricerca di un equilibrio che si rintraccia solo dopo aver camminato sul dolore. Il dolore non è solo il lutto, in questo caso quello della gemella che Caterina ha perso durante la fatidica notte del terremoto: è morta e ha lasciato in eredità suo figlio Marco. Il dolore è anche la ricomposizione, l’incastro tra quelli che rimangono e che, a volte, non sanno quali misure prendere con l’esistenza. Anche perché i ricordi premono, delle volte costringono a fughe forzate, come nel brano che vi proponiamo qui sotto (pp.38-40): è la notte di quello che sarebbe stato il compleanno delle gemelle e Caterina può superarla solo in solitudine.
Donatella Di Pietrantonio, tra i dodici finalisti dell’edizione 2014 del Premio Strega, è nata e ha trascorso l’infanzia ad Arsita, un paesino della provincia di Teramo. Oggi vive a Penne. Esercita la professione di dentista pediatrico e il suo primo romanzo, Mia madre è un fiume, è uscito per Elliot tre anni fa.  [ Marilù Oliva]

«L’uomo alla reception mi registra senza neanche uno sguardo e sono contenta di non doverlo ricambiare. Salgo nella stanza.

La notte trascorre, in qualche modo. Le tende pesanti odorano di polvere e fumo stagionato quando le tiro al massimo per escludere il sole dell’alba, un coltello doloroso nelle pupille ancora dilatate. Siedo sul letto sfatto, verso il comodino. Alla luce stretta della lampada preparo il bicchiere di cognac versato dalla bottiglia che mi sono portata dietro da sola, le dieci compresse di Tavor in fila sul ripiano di legno finto. Avverto l’amaro della prima sulla lingua, il sorso di liquore brucia la mucosa da tanto astemia, ne butto giù un’altra, sorso di cognac e un’altra un’altra un’altra, sempre seguita dal sorso che non vuota mai il bicchiere infinitamente capace. O forse l’ho riempito una o due volte. Sento tutti i centimetri di lunghezza dell’esofago incendiato, la rivolta nello stomaco digiuno. Resisto. Reprimo i conati con una fredda sequenza di deglutizioni.

Schiaccio l’interruttore e mi avvolgo nelle coperte, di nuovo gemella dormo in questo grande utero scuro la mia morte provvisoria. Il risveglio cade in un’ora imprecisa della sera. Non so dove vomito. Dopo sprofondo in una seconda filata di ore, più breve. Alla fine accendo l’abat-jour e vomito ancora un po’ di acido cloridrico sul pavimento tra il letto e il tappeto. La testa è un alveare impazzito e pulsante, ricomincia piano a percepire il corpo, la debolezza. Bevo acqua dal rubinetto del lavabo, in bagno. Evito con cura lo specchio e resto a lungo sotto la doccia, attenta alle garze della mano infortunata. Poi asciugo una pelle estranea e sorda, un deserto di cellule dove il sangue tarda ad affluire, i nervi stentano a riattivarsi. Durante il giorno del sonno, l’organismo si è ridotto a un grumo battente centrale, un piccolo nucleo di vita condensata, e da lì riparte adesso l’onda del calore conservato, verso la superficie pallida e spenta. I tessuti si dispongono a ricevere nutrimento, i cicli riprendono. Non mi oppongo.

Apro le tende. Il tempo che ho voluto perdere è già ieri. In uno ieri più vecchio ho aiutato mia madre a lavarla, vestirla. All’inizio c’era qualcun altro con noi nello stanzone gelido, una figura indistinta sullo sfondo, sul bianco della parete, di sicuro una donna, non so chi. Poi deve essere uscita, ci ha lasciate sole quando ha capito che avevamo trovato la forza, sul momento, per quello che andava fatto.

Non avremmo permesso a nessuno di occuparsi del nudo di Olivia, dei suoi orifizi indifesi, del torace schiacciato. Lei ci contrastava passiva, con una rigidità minerale. Una polvere a grana grossa le copriva soprattutto le mani e il viso intatto, come una cipria pesante per un carnevale atroce.

I capelli non si potevano lavare, li abbiamo solo scossi per liberarli di quello sporco secco e friabile. Alla fine era bella, l’abbiamo guardata e baciata, io uno sulla fronte e sua madre tanti, ai piedi, alle mani, alle guance e alla testa, accarezzandola. Solo allora l’ha bagnata di lacrime, non prima, mentre la preparava. Le ha parlato, a lungo, con parole che non ricordo. Olivia era pronta all’incontro con Marco. Anche di quello non ricordo niente, o devo essermi allontanata. All’ultimo minuto le ho tagliato una ciocca, dalla nuca, altrimenti non me lo avrebbe perdonato, e l’ho presa per me. L’ho conservata in una scatolina di carta fiorita, ogni tanto la apro per vedere se almeno questo ricciolo può restare uguale nel tempo che lo separa da lei. Per adesso l’unico cambiamento percettibile è che i capelli appaiono un po’ più aridi, opachi, a passarli tra pollice e indice si sente subito la differenza. Non sono attaccati alla vita».

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