Ayotzinapa – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 21 Nov 2024 05:01:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Ricerca di vita: Ayotzinapa 4 anni e i familiari dei desaparecidos in Messico https://www.carmillaonline.com/2018/09/26/ricerca-di-vita-ayotzinapa-4-anni-e-i-familiari-dei-desaparecidos-in-messico/ Tue, 25 Sep 2018 22:00:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=48937 di Fabrizio Lorusso

Attualmente in Messico ci sono oltre 22.000 corpi non identificati nelle fosse comuni del servizio medico forense. La Commissione per i Diritti Umani ha registrato la presenza di 1.306 fosse clandestine con circa 4.000 corpi sepolti dentro. Sono oltre 37.000 i desaparecidos, la maggior parte dei quali sono vittime di sparizione forzata, cioè di un crimine commesso da funzionari pubblici direttamente o da altri criminali con la connivenza o l’acquiescenza di questi.  Il 2017 è stato l’anno più violento della storia recente, superando il 2011 con oltre 30.000 omicidi dolosi, e [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Attualmente in Messico ci sono oltre 22.000 corpi non identificati nelle fosse comuni del servizio medico forense. La Commissione per i Diritti Umani ha registrato la presenza di 1.306 fosse clandestine con circa 4.000 corpi sepolti dentro. Sono oltre 37.000 i desaparecidos, la maggior parte dei quali sono vittime di sparizione forzata, cioè di un crimine commesso da funzionari pubblici direttamente o da altri criminali con la connivenza o l’acquiescenza di questi.  Il 2017 è stato l’anno più violento della storia recente, superando il 2011 con oltre 30.000 omicidi dolosi, e il 2018 non promette bene dato che da gennaio ad agosto gli omicidi sono stati 21.857, il 20% in più rispetto all’anno prima. Viene ucciso in media da tre anni un giornalista ogni mese e sono almeno 360.000 i rifugiati interni, cioè decine di migliaia di famiglie che sono dovute fuggire in altri stati o emigrare all’estero. La cifra accumulata delle vittime di omicidio e femminicidio è di quasi 250.000 grazie a 12 anni di militarizzazione e paramilitarizzazione della sicurezza pubblica con il pretesto di una presunta guerra alla droga, che in realtà è funzionale alla protezione del capitale privato e finanziario e agli investimenti stranieri, durante le presidenze di Felipe Calderón (2006-2012) ed Enrique Peña Nieto (2012-2018). Questo bollettino di guerra non ha tolto la speranza a migliaia di persone che da anni, e in alcuni casi da decenni, lottano per la verità, la giustizia, la riparazione e la non ripetizione dei crimini e per sconfiggere corruzione e impunità.

Tra questi sicuramente ci sono i genitori dei 43 studenti della scuola rurale di Ayotzinapa che da 4 anni lottano incessantemente per riavere i loro figli e sapere cosa è successo veramente perché “Vivi li hanno portati via, e vivi li rivogliamo”, come recita il lemma che dagli anni ’70 accompagna la lotta dei familiari dei desaparecidos in America Latina. Ne ha scritto molto bene Luis Hernández sul quotidiano messicano La Jornada

In un Paese in cui i cadaveri senza nome sono trasportati su dei camion-frigorifero per mesi e mesi[i], e in cui ogni settimana appaiono nuove fosse clandestine, la dignità e la persistenza dei genitori dei 43 sono il seme di un altro Paese. La loro lotta indistruttibile per la verità e la giustizia è un punto critico della salute pubblica nazionale. A Enrique Peña e ai funzionari del suo governo coinvolti nel caso li perseguiterà per sempre il fantasma di Ayotzinapa. Il futuro governo avrà nella “notte di Iguala” una prova del fuoco definitiva. Dalla sua decisione di toccare gli interessi che frenano il chiarimento dei fatti, dalla sua volontà e capacità di risolvere questo crimine di lesa umanità dipenderà, e molto, il giudizio della storia. Più che di commissioni, è l’ora della verità.

Nella notte del 26-27 settembre del 2014, a Iguala, nel meridionale stato del Guerrero, i ragazzi furono vittime di un attacco orchestrato da differenti autorità, come la polizia locale, la federale, la ministeriale e la statale, con l’acquiescenza e la partecipazione indiretta, per quanto s’è potuto provare finora, dell’esercito messicano, cioè del 27esimo battaglione di stanza a Iguala. Le autorità hanno monitorato gli studenti già dal pomeriggio e tra le 9 e la 1 di notte, per oltre 4 ore, hanno condotto una vera e propria operazione di repressione e di caccia all’uomo, servendosi di corpi speciali paramilitari noti come bélicos e di gruppi del crimine organizzato per portare a termine la strage. 42 studenti sono tuttora desaparecidos e i resti calcinati di uno solo di loro, Alexander Mora, sono stati identificati.

6 persone, tra cui 3 studenti, sono state uccise quella notte e decine ferite. La reazione nazionale e internazionale è stata fortissima e, insieme a scandali di corruzione e alle numerose mattanze delle forze armate che sono vere e proprie esecuzioni extragiudiziali, ha segnato nettamente la presidenza di Peña. Ome se non bastasse la procura Generale della Repubblica e il governo hanno sostenuto una verità fallace, detta “storica” solo da loro, che è stata ottenuta con la minaccia e la tortura degli indiziati. Inoltre su 130 detenuti per il caso nessuno è imputato per sparizione forzata. Le indagini di esperti internazionali e dei giornalisti e attivisti messicani hanno portato alla distruzione della versione ufficiale, che sostiene che i 43 sono stati rapiti e bruciati da narcotrafficanti nella discarica di Cocula, nei pressi di Iguala, e hanno costruito una versione più realistica, anche se incompleta.

Restano aperte almeno quattro piste per le indagini, non esplorate e anzi occultate dalla procura: la caserma e il ruolo del 27esimo battaglione militare a Iguala, che potrebbe aver occultato i corpi dei ragazzi e forse cremati, vista la tradizione stragista dell’esercito nel Guerrero ed essendo l’unica struttura ad avere forni crematori; la pista dei cellulari di alcuni studenti che sono stati accesi e hanno ricevuto chiamate anche molte settimane dopo la sparizione forzata e che, secondo le geolocalizzazioni, si trovavano in strutture militari come il campo n. 1 a Città del Messico; la possibilità che 25 studenti siano stati portati a Huitzuco dalla polizia locale di quella città e non a Cocula nella notte del 26; il mistero del quinto autobus, nascosto dalle indagini ufficiali ma esistente e occupato dagli studenti la notte del 26, su cui ci sarebbe potuto essere un carico di eroina che potrebbe essere stato uno dei moventi iniziali dell’attacco di polizia e crimine organizzato contro i bus (che sono in totale dunque non quattro come dice la procura, ma cinque).

Viste le grandi irregolarità, le torture ai detenuti e la mala fede nella conduzione delle indagini, la versione costruita dal governo e la conduzione del caso viola il dovuto processo e i diritti umani ed è da rifare. Più o meno è questo il contenuto di una sentenza di un tribunale del Tamaulipas (il Terzo tribunale collegiale del 19esimo circuito) in cui viene seguita una parte del caso giudiziario. La sentenza, emessa il 30 maggio 2018 in risposta ai ricorsi presentati dai detenuti per il caso Iguala, è storica in quanto riconosce la gravità delle irregolarità commesse e chiede la costituzione di una Commissione di Indagine per la Verità e la Giustizia e la possibilità di un intervento internazionale, di uno scrutinio e di un accompagnamento di istituzioni come l’ONU, la Corte Interamericana dei Diritti Umani e il GIEI (gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti), che già aveva investigato e demolito la verità ufficiale tra il 2015 e il 2016. Si chiede quindi a gran voce il ritorno degli esperti e la commissione della verità.

Il prossimo presidente, eletto con una maggioranza inedita nella storia democratica del Messico, Andrés Manuel López Obrador, ha promesso la creazione della Commissione e la risoluzione del caso in un comizio proprio a Iguala in cui hanno partecipato sul palco i genitori dei 43. Sarà per il nuovo governo, che per la prima volta è sostenuto da una maggioranza di sinistra e ha promesso una lotta dura contro corruzione, disuguaglianze e privilegi, un banco di prova importantissimo. Ciononostante in questi ultimi mesi di governo, Peña ha fatto di tutto per invertire gli effetti della sentenza e fermare la Commissione sul caso: vari ministeri, tra cui la difesa, ovviamente, e la presidenza hanno interposto circa 200 ricorsi contro il tribunale del Tamaulipas.

Ma il 19 settembre un tribunale gerarchicamente superiore ha confermato la sentenza e ha quindi dato una svolta al caso e all’inizio di un processo di verità e giustizia per Ayotzinapa. Il futuro governo sta promuovendo in questi mesi una serie di incontri pubblici, stato per stato, per formulare proposte per la pacificazione e la riconciliazione nazionale, un esperimento difficile e anche controverso che però sta generando iniziative e discussioni sulla guerra interna, il ruolo dello Stato e dei poteri economici, sul narcotraffico, le vittime e la giustizia transizionale che da tempo il Messico meritava. Le aspettative sono forse troppo alte, ma almeno qualcosa si muove. Di certo la lotta dei collettivi di cercatori e di familiari dei desaparecidos, come quella dei genitori di Ayotzinapa e delle storiche organizzazioni degli anni della cosiddetta “Guerra sporca” degli anni ’70 e ’80, non si fermano e non si limitano alle belle parole. Le manifestazioni e le iniziative, chiaramente, non si fermano per questo motivo e questo 26 settembre 2018 di nuovo i movimenti sociali accompagneranno i genitori dei 43 studenti al grido di ¿Dónde están? e !Justicia¡ per cui si possono seguire e organizzare le azioni globali mediante l’hashtag #Ayotzinapa4años.

La ricerca di vita per i familiari dei desaparecidos

Possiamo intendere la “ricerca di vita” come la risposta immediata alla domanda: “Che cosa stanno cercando i familiari delle persone scomparse?”. Le indagini, le esplorazioni sul campo e le ricerche instancabili, che realizzano i familiari in un’infinità di luoghi diversi in lungo e in largo nella difficile geografia nazionale con il fine di trovare in vita o anche morti i propri cari, si riassumono in un concetto emergente e potente, derivato del discorso stesso delle vittime e delle organizzazioni in lotta per i desaparecidos in Messico.

Tutto questo è quotidianità terribile per migliaia e migliaia di persone nel contesto della cosiddetta “guerra al narcotraffico”, un conflitto interno che non è altro che una strategia di militarizzazione dei territori e di controllo sociale simile a una guerra civile, combattuta tra diversi attori armati per ottenere rendite economiche e politiche, quote di potere e di traffici leciti e illeciti, protezioni e business di ogni tipo.

Mediante la onnipresente violenza fisica, simbolica e strutturale il corollario della guerra diventa il controllo biopolitico dei corpi, delle menti e dei gruppi sociali potenzialmente trasformatori, così come la repressione delle domande di giustizia sociale e di redistribuzione che provengono dai settori più marginali e vulnerabili che, guarda caso, sono anche quelli più colpiti dalla violenza imperante, militare, di polizia e paramilitare: sono i giovani, i poveri, le donne, le comunità rurali e indigene, i custodi delle risorse naturali, i giornalisti e gli attivisti. La società messicana è incastrata tra i fuochi della guerra, dell’impunità, della corruzione, delle disuguaglianze, del mercato inselvaggito, dell’individualismo consumista e ideologizzato e dell’accumulazione per espropriazione e spoliazione, rilanciata dal modello neoliberista globalizzato e dalle riforme strutturali degli ultimi anni.

Mi ha colpito ed emozionato molto leggere della búsqueda de vida (ricerca di vita) nell’introduzione del libro Memoria de un corazón ausente. Historias de vida (Memoria di un cuore assente. Storie di vita) (lo trovi qui in PDF LINK), scritta dal difensore dei diritti umani e cofondatore nel 2009 dell’organizzazione, oggi nazionale, FUNDEC (Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Coahuila), Jorge Verástegui González. Il volume, illustrato dall’artista e attivista Alfredo López Casanova e pubblicato dalla Fondazione Heinrich Böll Stiftung è una collezione di storie di donne che raccontano la vita dei loro cari scomparsi e, in questo modo, invertono le narrazioni che si focalizzano solo sui familiari “che restano” e che cercano i desaparecidos e ridanno vita e contenuto agli assenti e al loro vissuto prima della sparizione.

Come segnala la stessa introduzione, il libro “cerca di cambiare la narrativa, restituendo la storia di persone scomparse in base al concetto di ricerca di vita, il quale sorge analizzando che cosa c’è dietro alle azioni di ricerca di un desaparecido e comprendendo che la relazione intima tra chi sta cercando e la persona cercata è un vincolo profondo che va oltre la fisicità, la materialità e la corporalità per trasferirsi alla affettività, la soggettività e al vissuto. In un senso fisico, ma anche in uno soggettivo, ciò che si cerca è vita, visto che i nessi possono essere biologici, “di sangue”, e allo stesso tempo affettivi, come succede tra fratelli o tra madre e figlio, ma possono essere solo affettivi, come tra coniugi o amici, per cui “la connessione affettiva è quella che riveste di vita la ricerca di chi è desaparecido” ed è sintetizzato dalla metafora per cui l’assenza significa che “sparisce una parte del cuore”.

Esistono due possibilità di rincontro che sono la localizzazione in vita o senza vita della persona scomparsa e, anche se in quest’ultimo caso pare paradossale parlare di una “ricerca di vita”, in realtà succede che la vita è intesa come battito fisico di cuore e polmoni, ma anche soprattutto come affettività e soggettività singolare da recuperare. Addirittura i resti ossei di un proprio caro, estratti da una fossa clandestina, rappresentano una vita soggettivamente presente per chi la sta cercando ed eventualmente per chi la trova dopo aver percorso tante strade in senso fisico come in senso metaforico, dopo aver solcato sentieri della memoria in cui l’assente ha lasciato le sue orme. I cercatori e le cercatrici di fosse clandestine trovano tesori di inestimabile valore, non solo ossa, resti o semplici indizi.

La desaparición rompe il vincolo fisico ma soprattutto quello affettivo, provocando di conseguenza un impulso irrefrenabile al movimento, alla ricerca e anche all’azione collettiva, a qualunque costo e rischio, con il fine di ritrovare i vincoli e avviare un processo di chiusura del lutto che, fino a quel momento, era rimasto congelato o sospeso, aperto indefinitamente. In molti collettivi di familiari questo dolore si può socializzare e il lutto diventa condiviso e più sopportabile, spingendo all’azione e alla ricerca di vita.

“Los otros buscadores: buscando vida entre los muertos”(Gli altri cercatori: cercando vita tra i morti) è il nome emblemático del nuovo collettivo di Mario Vergara, cofondatore del collettivo de Los otros desaparecidos de Iguala nel 2014 che continua a lottare a cercare suo fratello Tomás, sequestrato nel 2012 a Huitzuco, stato del Guerrero.

Nel 2016 uscì un reportage di Juan Flores Mateos centrato sulla figura di Mario ma anche di altri uomini e donne che in Messico intraprendono la ricerca dei loro cari e denunciano la complicità o l’inerzia delle autorità. Il titolo del pezzo era, giustamente: “Encontrar a los muertos para darle vida a los vivos” (Trovare i morti per dare vita ai vivi).

Parlando dei dolori e le conseguenze fisiche e psicologiche della ricerca nel caso dei genitori dei 43 studenti di Ayotzinapa, Luis Hernández Navarro spiega:

La sofferenza non diminuisce con gli anni. Né la sua, né quella del resto dei genitori e fratelli degli studenti scomparsi. La sparizione forzata è uno dei delitti più atroci. Le famiglie soffrono in un primo momento per il terribile colpo rappresentato dall’assenza. Poi soffrono l’afflizione della ricerca e dell’incertezza. Non hanno modo di processare il lutto. Non hanno modo di dire addio.

La sofferenza, i sensi di colpa, i cattivi momenti hanno avuto effetti devastanti sulla salute dei familiari. Le patologie che già avevano sono peggiorate, mentre ne emergono di nuove. In 16 famiglie su 43 ci sono malattie molto gravi, in maggioranza legate al diabete, l’ipertensione e la cattiva alimentazione. Il febbraio scorso è morta Minerva Bella Guerrero, madre di Everardo Rodríguez bello, il quarto di sette figli. La zia Mine, come la chiamavano i suoi cari, era una donna allegra, che amava ballare, fino a che la tristezza causata dalla sparizione forzata di suo figlio non l’ha spenta. Nel letto di morte ha chiesto a sua figlia di trovare suo fratello e di abbracciarlo più forte che può.

Francisco Rodríguez, marito di Minerva, usa una maglietta con scritto: Muoverò montagne per stare con te. Neanche lui s’arrende. Ha promesso a sua moglie che avrebbe trovato sua figlio Everardo e non si fermerà finché non avrà adempiuto la sua promessa. Le famiglie degli altri ragazzi l’hanno salutata con un bollettino di guerra: è morta combattendo il cancro e l’impunità di un governo che non le ha mai dato risposta circa il destino di suo figlio. Riposi in pace.

La chiusura del lutto sospeso implica che, secondo Verástegui, “solamente con il rincontro delle due persone esiste la possibilità di andare avanti e transitare da uno stato di incertezza a un nuovo senso di vita”. Cercare resti della vita fisica, allora, significa fare un salto, una rotazione, nella comprensione normalizzata e comune sulla morte e recuperare una parte importante della vita di chi si sta cercando. Implica anche ritrovarsi nel “non-senso delle sparizioni forzate” e intraprendere un viaggio di ritorno allo stato precedente.

L’interiorizzazione della búsqueda de vida è un elemento di costruzione di nuove identità individuali e collettive, aspetto fondamentale nei movimenti sociali, a partire dalla reazione contro l’aggravio, l’ingiustizia e l’abuso, e soprattutto dinnanzi a quello stesso dolore, quel dolore comune, che provano tutti e tutte le vittime e che le unisce in communitas. Il lavoro di Memoria de un corazón ausente usa il metodo della storia orale per ridare voce e vita agli assenti mediante la narrazione di chi li sta cercando e, così facendo, ricostruisce scampoli di senso dentro l’incertezza limbica e dolorosa della desaparición.

Leggi su Carmilla l’archivio “Ayotzinapa” LINK

@FabrizioLorusso

[i] Il riferimento è alla notizia diffusa la settimana scorsa di un camion-frigorifero enorme pieno di cadaveri (157 corpi) che deambulava per il territorio dello stato di Jalisco per via della mancanza di spazio nelle strutture preposte alla conservazione e identificazione dei cadaveri. Il “camion della morte”, parcheggiato in una di zona periferica di Guadalajara, visto l’odore di putrefazione che emanava, ha suscitato le proteste degli abitanti ed è stato spostato. Questa pratica è proibita dal 2013 ma viene ancora realizzata i varie località. http://www.eluniversal.com.mx/estados/lo-que-sabemos-de-los-cuerpos-hallados-al-interior-de-un-trailer-en-jalisco

]]>
Ayotzinapa: tre anni di menzogne storiche e ingiustizie in Messico https://www.carmillaonline.com/2017/09/27/ayotzinapa-tre-anni-messico-la-lotta-continua/ Tue, 26 Sep 2017 22:00:16 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40825  di Fabrizio Lorusso

  “Vorrei che le scarpe di mio figlio mi portassero fino a lui”

“Per una madre è molto difficile vedere l’alba, il tramonto e vedere che tuo figlio non c’è”

Genitori dei 43 desaparecidos della scuola di Ayotzinapa

“Sono passati tre anni e non abbiamo nessuna risposta concreta, questo vuol dire che il governo non ha interesse ad arrivare alla verità sui nostri figli e punta a stancarci, ma non ci arrenderemo”, esordisce per telefono, Cristina Bautista, madre di Benjamín, uno dei 43 studenti [...]]]>  di Fabrizio Lorusso

  “Vorrei che le scarpe di mio figlio mi portassero fino a lui”

“Per una madre è molto difficile vedere l’alba, il tramonto e vedere che tuo figlio non c’è”

Genitori dei 43 desaparecidos della scuola di Ayotzinapa

“Sono passati tre anni e non abbiamo nessuna risposta concreta, questo vuol dire che il governo non ha interesse ad arrivare alla verità sui nostri figli e punta a stancarci, ma non ci arrenderemo”, esordisce per telefono, Cristina Bautista, madre di Benjamín, uno dei 43 studenti desaparecidos della scuola di Ayotzinapa, nello stato messicano del Guerrero. La notte tra il 26 e il 27 settembre 2014 un gruppo di studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, che si trovava nella vicina città di Iguala, subì una serie coordinata di aggressioni dalla polizia e da membri dell’organizzazione criminale Guerreros Unidos. I giovani erano andati a Iguala per raccogliere fondi, occupare temporaneamente alcuni pullman e così poter partecipare alla manifestazione che si tiene ogni anno a Città del Messico per ricordare la strage del 2 ottobre 1968 in cui l’esercito aprì il fuoco su migliaia di studenti riuniti in Plaza Tlatelolco e fece oltre 300 vittime. L’attacco, preceduto da un’attività di supervisione dei movimenti dei ragazzi da parte delle autorità mediante il Centro di Controllo C4, durò più di quattro ore e vi presero parte direttamente la polizia locale, la federale, quella statale, la ministeriale e l’esercito, le cui unità presenziarono i fatti, non intervennero mai in difesa degli studenti e invece si dedicarono a vessarli e minacciarli.

“E’ un gran dolore come madre, come padre, vedere che arriva il compleanno di tuo figlio e non sapere niente di lui, non potere abbracciarlo, ed è l’amore che abbiamo per ciascuno di loro che ci tiene svegli e ci fa continuare per chiedere un castigo per i responsabili”, spiega Cristina in un’intervista per questo articolo.

Il bilancio della “notte di Iguala” è stato brutale: sei morti, tra cui tre studenti, quaranta feriti, una città e un paese traumatizzati, e infine 43 studenti desaparecidos, cioè vittime di sparizione forzata da parte degli apparati di sicurezza statali. Volevano diventare maestri in zone rurali, indigene, marginali e per molti di loro iscriversi alla magistrale era l’unica opzione di vita.

La tradizione delle scuole normali messicane viene dagli anni ’20 e ‘30 del Novecento, quando s’istituirono con un carattere “socialista” per formare insegnanti che poi diventavano un riferimento fondamentale per l’organizzazione sociale, oltreché educativa, delle comunità. Col passare degli anni, di fronte all’autoritarismo del sistema politico dominato dal partito egemonico PRI (Partido Revolucionario Institucional), alla militarizzazione dei territori e alla strategia antinsurrezionale del governo, specialmente nel Guerrero, e poi al neoliberalismo imperante, portatore di ulteriori disuguaglianze, le normali rurali sono diventate fucina di ribellioni e alternative popolari osteggiate da tutti i governi fino a quello attuale.

Nelle settimane seguenti il “caso Ayotzinapa” ha fatto il giro del mondo e ha esposto il governo del presidente messicano Enrique Peña Nieto allo scrutinio internazionale e alle critiche di una società indignata che ha articolato un movimento imponente nelle piazze.

“Nello stato del Guerrero è scoppiata una vera e propria insurrezione col movimento per i 43, con quello per boicottare il voto nel 2015 e coi gruppi armati di polizia comunitaria”, spiega Ludovic Bonleux, autore del documentario Guerrero da poco uscito nelle sale messicane (link trailer).

Per tutto il 2015 le “Giornate di azione globale per Ayotzinapa” hanno tenuto accesi i riflettori trovando il sostegno e la solidarietà di migliaia di persone, collettivi e organizzazioni in Messico e fuori. L’anno seguente, senza tregua, i genitori e i solidali del movimento, sebbene meno presenti sui media esteri, hanno continuato a realizzare picchetti, incontri con le autorità, manifestazioni, carovane in Europa, Stati Uniti e America Latina

Ma mentre per le strade si chiedeva “verità e giustizia per i 43” al grido di “vivi li han portati via, vivi li rivolgiamo”, il titolare della Procura Generale della Repubblica (PGR), Jesús Murillo, s’occupava di fabbricare in fretta e furia una narrazione tossica, la cosiddetta “verità storica”, favorevole al governo Peña.

“Il governo messicano ha cominciato a tessere una versione ufficiale che potesse coprire per sempre la realtà dei fatti accaduti quella notte”, precisa Anabel Hernández, giornalista messicana autrice dell’inchiesta “La vera notte di Iguala”.

Dopo i sei anni di guerra militarizzata al narcotraffico e i 100mila morti provocati dal suo predecessore, Felipe Calderón, Peña s’era impegnato dall’inizio del suo mandato, nel dicembre 2012, a proiettare all’estero l’immagine di un paese alle soglie “del primo mondo” e rispettoso dei diritti umani.

Ayotzinapa ha distrutto il suo programma politico e propagandistico, basato su una netta spinta alle riforme neoliberiste, la continuazione della strategia militare contro i narcos, l’attrazione degli investimenti stranieri come panacea e la proiezione turistica e sportiva del Messico, e ha evidenziato invece una realtà nazionale drammatica: oltre 50 milioni di poveri, indici di disuguaglianza crescenti, sette femminicidi al giorno, una strage imparabile di giornalisti, 32mila desaparecidos e 105mila omicidi dolosi in quattro anni e mezzo di governo.

“Andiamo avanti a gridare per le strade, ogni giorno realizziamo attività culturali o di protesta in varie parti, facciamo rumore per la presentazione in vita dei nostri figli e spero che in Italia la gente resti informata sulla nostra lotta”, chiede Cristina.

Lo Stato messicano è chiaramente indicato come colpevole di fronte alle vittime e all’intera società per non aver saputo o voluto restituire, vivi o morti, ai genitori i propri figli e all’opinione pubblica una verità consistente dei fatti. Al momento nessuno degli oltre 100 accusati e incarcerati per il caso è stato processato, tanto meno condannato.

Attualmente le petizioni del movimento dei genitori dei 43 desaparecidos si riassumono nei punti enunciati dal comunicato “4 strade imprescindibili per la verità e la giustizia”, che altro non sono che le piste abbandonate deliberatamente dalla Procura Generale e dal governo in questi tre anni e che hanno impedito un vero chiarimento delle responsabilità.

Le loro richieste si basano sul secondo e ultimo rapporto del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Internazionali (GIEI) della CIDH, consegnato il 25 aprile dell’anno scorso all’opinione pubblica e al governo dopo un anno di ricerche. Gli esperti hanno attestato che la versione governativa non regge ed è stata costruita mediante la tortura degli indiziati e la manipolazione delle prove. Le loro conclusioni sono simili a quelle di Anabel Hernández, in prima linea nel contestare la versione ufficiale costruita da Murillo e dal direttore dell’Agenzia per le Indagini Criminali, Tomás Zerón.

“Questi due personaggi hanno inventato la cosiddetta ‘verità storica’, facendo credere che gli studenti della scuola normale sono stati sequestrati e bruciati nella vicina città di Cocula per ordine di un semplice e piccolo sindaco, quello di Iguala, José Luis Abarca, da un gruppo di poliziotti senza armamento né formazione sufficiente e da un piccolo gruppo criminale che era operativo nella zona”, ha spiegato la giornalista in un’intervista telefonica.

La cremazione di 43 corpi nella discarica di Cocula era tecnicamente impossibile, secondo le perizie dell’Equipe Argentina di Antropologia Forense ed esperti delle principali università del paese, ma la Procura ha insistito nel voler imporre questa versione.

“I militari, i poliziotti federali e del Guerrero hanno orchestrato questo crimine, ho prove contundenti del fatto che l’esercito ha sparato direttamente quella notte contro i pullman degli studenti perché stava lavorando per un boss importante a capo delle operazioni nella regione per recuperare un carico di eroina da 2 milioni di dollari e il governo messicano era a conoscenza di tutto ciò”, conclude Hernández.

Questo mese si sono moltiplicate le attività dei movimenti che sostengono i genitori di Ayotzinapa e il 26 è stata realizzata la XXXVI Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa, anche se il terremoto del 19 settembre ha cambiato i piani. C’è stata quindi una camminata silenziosa a Città del Messico e in decine di altre città messicane. I genitori dei 43 hanno portato tutti i prodotti di prima necessità raccolti alle vittime del terremoto del quartiere Xochimilco. “Capiamo il vostro dolore perché da tre anni non sappiamo nulla dei nostri 43 figli, per questo e perché i nostri fratelli a Città del Messico hanno aperto le porte della città alla nostra lotta, abbiamo deciso di ristrutturare il nostro piano di azione e sospendere alcune attività che erano in programma”, ha annunciato il Comitato dei Genitori dei 43 studenti. Intanto per il 26 è prevista una camminata di protesta nella capitale e poi si riunirà ancora l’Assemblea Nazionale Popolare nella Normale di Ayotzinapa per cercare nuove strategie.

“Per noi il 26-27 non è tutto, la battaglia continua sempre perché abbiamo detto che andremo avanti fino a conoscere il dei nostri figli, perché altrimenti passa l’idea che non succede mai niente, che il governo uccide, fa sparire la gente, la imprigiona e non gli si dice niente”, annuncia Cristina. “Non ci stanchiamo di ripetere il nostro reclamo come un disco rotto e ora ci concentriamo sui 4 punti che il GIEI ha chiesto d’indagare allo Stato messicano”, ribadisce.

Il primo punto riguarda il ruolo del 27° battaglione dell’esercito di stanza a Iguala, il cui intervento la notte del 26 settembre non è stato indagato, né sono state ispezionate le caserme in cui, secondo alcune ricostruzioni plausibili della stampa e dei testimoni, potrebbero essere stati portati alcuni degli studenti.

Il secondo punto chiede indagini specifiche, basate su una serie di prove scartate quasi di default dalla Procura, sul gruppo di 25 alunni che sarebbe stato condotto a Huitzuco, a mezz’ora di macchina da Iguala, da agenti delle polizie federale, locale e ministeriale. Nessun poliziotto di queste corporazioni è stato arrestato o interrogato al riguardo.

La Procura, da mesi, presumibilmente sta analizzando i tabulati telefonici di un migliaio di cellulari, diciassette dei quali sono degli studenti e sono stati utilizzati anche dopo la loro sparizione forzata, per cui si chiede di rendere noti i risultati completi sulla localizzazione geografica e sui contenuti delle chiamate.

Infine s’esige un’indagine sulla pista del traffico di droga tra Iguala e Chicago come possibile movente dell’aggressione. Inizialmente la Procura aveva parlato di soli quattro autobus sequestrati dagli studenti, ma poi sono emerse prove dell’esistenza di un quinto pullman che, a insaputa dei ragazzi, sarebbe stato carico di eroina, il che potrebbe aver innescato la persecuzione armata da parte delle polizie colluse con i narcotrafficanti dell’organizzazione Guerreros Unidos a Iguala.

David Fernández, rettore dell’università Iberoamericana nella capitale, ha affermato che “il caso Ayotzinapa è paradigmatico perché permette di capire cosa è successo e succede nel paese: il costo del discredito che ha pagato il governo messicano per non aver indagato sulla sparizione dei 43 studenti è inferiore al prezzo che dovrebbe pagare se venisse a galla la verità”.

Il reclamo della società per le violazioni dei diritti umani, che spesso si configurano come crimini di lesa umanità, continua a riecheggiare in tutti gli angoli del Messico e del mondo grazie all’azione e al coraggio dei genitori dei 43 studenti e di tutti gli altri desaparecidos a cui non importa quanto possa essere alto il prezzo della verità e della giustizia.

P.S. Per chi volesse informarsi in modo completo sul caso Iguala-Ayotzinapa e sugli eventi della notte del 26 settembre 2014 consiglio la Piattaforma Ayotzinapa, da poco inaugurata da Forensica Architecture, in collaborazione con l’Equipe Argentina di Antropologia Forense e il Centro per i Diritti Umani Miguel Agustìn Pro Juárez, i quali hanno concepito un sito interattivo per mappare ed esaminare le diverse narrative presenti sulla notte di Iguala. Il progetto vuole ricostruire per la prima volta la totalità dei fatti notti che hanno avuto luogo quella notte per fornire uno strumento forense che coadiuvi le indagini sul caso.   

]]>
La vera notte di Iguala e il caso Ayotzinapa: intervista con Anabel Hernández https://www.carmillaonline.com/2017/03/15/la-vera-notte-iguala-caso-ayotzinapa-intervista-anabel-hernandez/ Tue, 14 Mar 2017 23:00:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37045 di Fabrizio Lorusso

Anabel Hernández è una delle giornaliste d’inchiesta più riconosciute del Messico. E’ autrice, tra gli altri, dei libri La terra dei narcos. Inchieste sui signori della droga[*], Messico in fiamme. L’eredità di Calderón e La vera notte di Iguala, l’inchiesta più attuale e contundente sul caso dei 43 studenti di Ayotzinapa, scomparsi a Iguala, nel meridionale stato messicano del Guerrero, la notte del 26 settembre 2014. Per le minacce e le aggressioni ricevute, che hanno coinvolto direttamente lei, la sua famiglia e i suoi vicini, [...]]]> di Fabrizio Lorusso

Anabel Hernández è una delle giornaliste d’inchiesta più riconosciute del Messico. E’ autrice, tra gli altri, dei libri La terra dei narcos. Inchieste sui signori della droga[*], Messico in fiamme. L’eredità di Calderón e La vera notte di Iguala, l’inchiesta più attuale e contundente sul caso dei 43 studenti di Ayotzinapa, scomparsi a Iguala, nel meridionale stato messicano del Guerrero, la notte del 26 settembre 2014. Per le minacce e le aggressioni ricevute, che hanno coinvolto direttamente lei, la sua famiglia e i suoi vicini, Anabel vive da più di sei anni sotto scorta. Dall’agosto del 2014 e all’agosto del 2016, s’è dovuta rifugiare negli Stati Uniti, dove ha potuto vivere coi suoi figli grazie a una borsa di studio del programma di studi in giornalismo dell’Università della California a Berkeley. Ho conversato con lei delle sue scoperte sul caso dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, sulla corruzione delle autorità e il ruolo dell’esercito, sulla situazione dei cartelli del narcotraffico, sul muro di Trump e sulla legalizzazione delle droghe. Questa è la versione integrale dell’intervista di cui alcuni estratti sono usciti su Huffington e su Ctxt. Esce oggi su Carmilla in collaborazione con Frontiere News [Foto “Ayotzinapa” di Diego Simón Sánchez / Cuartoscuro].

Perché te ne sei dovuta andare dal Messico e com’è stato il periodo dell’esilio negli USA?

Prima di tutto va spiegato che il Messico è uno dei luoghi più pericolosi al mondo per l’esercizio della professione giornalistica. Non sono solo parole al vento. In Messico sono stati assassinati più di 116 giornalisti negli ultimi dieci anni. Solo l’anno scorso sono stati sedici ed io, per sfortuna, sono una delle giornaliste che ha subito violenze e attentati come conseguenza del mio lavoro. In seguito alla pubblicazione del mio libro Los señores del narco (uscito in Italia col titolo La terra dei narcos. Inchieste sui signori della droga) nel dicembre del 2010 sono venuta a sapere da una delle mie fonti d’informazione che l’allora Ministro della Sicurezza Pubblica, Genaro García Luna, aveva organizzato un piano per uccidermi come rappresaglia per quanto avevo pubblicato su di lui e sulla rete di corruzione che operava dentro la Polizia Federale (PF) per favorire il cartello [organizzazione criminale] di Sinaloa e passava direttamente dallo stesso García Luna e dai principali capi della polizia. Questo ha provocato che la polizia organizzasse un complotto per assassinarmi. Me ne sono accorta in tempo e allora la Commissione Nazionale dei Diritti Umani ha chiesto al governo di Città del Messico di darmi una protezione. Da allora vivo 24 ore su 24 con la scorta.

verdadera noche iguala portadaDopo questi fatti, nel gennaio 2010, c’è stato un attentato armato contro la mia famiglia e s’è scatenato un inferno: alcune delle mie fonti d’informazione sono state ammazzate, crivellate di colpi per strada, come nel caso del Generale Mario Arturo Acosta Chaparro, che era stato una delle mie fonti principali per il libro Los señores del narco e mi aveva narrato l’incontro che ebbe con esponenti dei differenti cartelli della droga, compreso Joaquín “El Chapo” Guzmán, che all’epoca era latitante, per ordine dell’allora Presidente della repubblica Felipe Calderón. Contrariamente a quanto diceva in pubblico, cioè che c’era una “guerra contro il narcotraffico”, in realtà quello che faceva era essere corrotto dal narcotraffico e cercare di negoziare con diverse organizzazioni criminali. Questa informazione, in seguito, me la confermò anche Edgar Valdez Villareal, alias “La Barbie”. Si tratta di un narcotrafficante importante che [prima di finire in manette] lavorava per il cartello di Sinaloa, per quello dei fratelli Beltrán Leyva e per El Chapo Guzmán. Valdez mi scrisse una lettera nel novembre del 2012, raccontando come lo stesso presidente Calderón aveva condotto alcune di queste gestioni con i criminali, per cui invece di perseguitarli si sedeva a prendere un caffè con loro, e come gli risultasse che quel capo di polizia, che risponde al nome di Genaro García Luna, e altri dirigenti che avevo denunciato ricevesse denaro da lui e da altri cartelli.

Sono rivelazioni molto pesanti.

Questo ha fatto sì che le aggressioni contro di me fossero sempre peggiori e nel dicembre 2013 è successa una cosa molto delicata, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, per cui sono stata costretta a lasciare il Messico. E’ arrivato un commando armato della polizia federale con undici uomini armati a casa mia. Sono entrati nel condominio, hanno minacciato gli uomini della scorta, portandosene via una per malmenarlo brutalmente, e poi hanno minacciato i miei vicini, puntagli le pistole alle tempie, senza nemmeno risparmiare i bambini di sei o sette anni lì presenti. Infine sono entrati in casa ma io non ero là. Non hanno rubato assolutamente niente, ma questo crimine è rimasto impune e sono stata obbligata a pianificare un’uscita dignitosa dal Paese.

Dico così perché non volevo sembrare un “cattivo esempio” per i miei colleghi e compagni, scappando solo per scappare. Volevo veramente trovare un modo di avere uno spazio, di continuare a lavorare, ricercando e pubblicando informazione in Messico senza stare in Messico. Così ho trovato un programma di giornalismo d’inchiesta alla Università della California di Berkeley che mi ha che mi ha accolto per due anni dandomi una borsa per poter vivere coi miei figli in relativa tranquillità. Anche se era una piccola isola, per me era difficile pensare ai miei colleghi che continuavano a morire in Messico e alla situazione che non cambiava, così ho deciso di rischiare comunque e, nei due anni passati negli USA, ho indagato sul caso Iguala-Ayotzinapa e la desaparición dei 43 studenti, tornando una volta al mese in Messico.

Anabel Hernandez

Foto: la giornalista Anabel Hernández (su gentile concessione)

Quali sono le principali scoperte del tuo libro sulla “vera notte di Iguala” e il caso Ayotzinapa?

Dapprima vorrei dire all’opinione pubblica e alla comunità internazionale che il governo del Messico ha inventato la risoluzione del caso.

Quando succede questa terribile sparizione forzata degli studenti e l’omicidio di tre di loro e di altre tre persone, proprio quella notte del 26 settembre che tutti ricordano, il governo messicano ha cominciato a tessere una versione ufficiale che potesse coprire per sempre la realtà dei fatti accaduti quella notte. Durante un anno mi sono occupata di smantellare tutte le menzogne inventate dal governo federale, principalmente dalla Procura Generale della Repubblica (PGR), diretta all’epoca da Jesús Murillo Karam e dal responsabile diretto delle indagini, che era il direttore della Agenzia per la Indagini Criminali (AIC), il signor Tomás Zerón.

Questi due personaggi hanno inventato la cosiddetta “verità storica”, hanno fatto credere al mondo che gli studenti della scuola normale erano stati assassinati per ordine di un semplice e piccolo sindaco, quello di Iguala, José Luis Abarca, da un gruppo di poliziotti senza armamento né formazione sufficiente e da un piccolo gruppo criminale che era operativo nella zona. Questa è la storia inventata dal governo che ha detto al mondo che gli studenti erano stati cremati quella notte in una discarica della vicina cittadina di Cocula. E’ la storia che conosce il mondo, ma questa storia è falsa.

Ciò che ho scoperto in due anni di ricerche si riassume in cinque punti fondamentali che dimostrano, provano, che sono stati i funzionari pubblici del governo del presidente Enrique Peña Nieto, sono stati i militari, i poliziotti della federale e i federali-ministeriali, e sono stati alcuni membri della polizia statale [dello stato del Guerrero] a prendere parte a questo crimine. Ho trovato che sono stati direttamente l’esercito messicano, il 27esimo battaglione di fanteria, e l’allora colonnello responsabile del battaglione [José Rodríguez Pérez] che hanno orchestrato, disegnato, ordinato, coordinato e infine eseguito la sparizione forzata dei 43 studenti. Ho potuto anche scoprire che vi hanno partecipato attivamente almeno quattordici elementi della Polizia Federale. Nel libro cito anche i loro nomi nello specifico. Cito anche i nomi dei membri della Polizia Federale Ministeriale (PFM), ossia coloro che lavoravano al servizio di Tomás Zerón e hanno partecipato direttamente ai fatti, e ho prove contundenti del fatto che l’esercito ha sparato direttamente quella notte contro i cinque pullman su cui viaggiavano gli studenti. Hanno sparato in particolare sui due autobus della marca Estrella de Oro, i bersagli di quella notte.

Ho scoperto che l’origine o la ragione dell’attacco, che fino ad ora è stato tenuto nascosto dal governo federale, è che l’esercito quella notte stava lavorando per conto di un boss molto importante che gestiva le operazioni nel Guerrero e che voleva recuperare il carico di eroina di due milioni di dollari che si trovava nei due pullman e che, per una fatalità, gli studenti avevano occupato ignari di tutto qualche giorno prima. Senza sapere che quei bus si sarebbero trasformati nelle loro tombe. E un altro degli elementi che ho potuto scoprire è che il governo del Messico era a conoscenza di tutto ciò.

fue el estadoCome?

A metà 2016 c’è stata un’investigazione interna alla procura. Il responsabile degli affari interni, l’Auditor Generale della PGR ha fatto un’indagine indipendente sulla stessa investigazione condotta dalla PGR nel caso e ha scoperto quello che avevo scoperto anch’io: che la presunta cremazione dei corpi a Cocula non è mai esistita, che la maggior parte degli arrestati per il caso, come racconto nel libro, erano stati brutalmente torturati per strappargli confessioni di delitti che non avevano commesso e che i due pullman Estrella de Oro erano realmente la chiave di quello che era successo quella notte. Per questo l’Auditor ha ordinato di investigare più a fondo questi fatti. E ha ordinato anche di indagare sul Capitano José Martínez Crespo, un personaggio centrale in questa tragedia, uno dei principali responsabili, accusandolo di presunti nessi con la criminalità organizzata. Ha ordinato anche l’arresto di vari poliziotti federali e un’investigazione totale sul 27esimo battaglione delle forze armate. Il governo federale era a conoscenza di tutta l’informazione e, per ordine del presidente Peña Nieto, queste due indagini chiave, sulla falsità dei fatti della discarica di Cocula e sul coinvolgimento dell’esercito, sono state tenute segrete per vari mesi. Per ordini presidenziali.

Dopo aver presentato il suo rapporto, l’Auditor della procura, César Alejandro Chávez Flores, è stato minacciato e s’è dovuto dimettere. Il documento è stato divulgato pubblicamente? Si può parlare della “riduzione al silenzio” di uno dei pochi funzionari onesti in questa vicenda?

E’ così. Il documento è finito nelle mie mani proprio quando stavo finendo di scrivere il mio libro. Mi ha confermato la bontà dei contenuti dell’inchiesta e ho pubblicato il suo contenuto nel libro, ma ora si può trovare anche alla pagina web verdaderanochedeiguala.com, che abbiamo creato con la casa editrice affinché tutti, compresi i genitori dei 43 studenti e i loro avvocati, possano consultare questi documenti. L’Auditor s’era preso l’impegno con i genitori dei 43 di condurre un’investigazione indipendente contro Tomás Zerón e nei riguardi dell’indagine della PGR, quindi sul lavoro dello stesso Zerón ma anche dell’ex procuratore di Jesús Murillo Karam.

Si suppone che c’era un impegno, nell’agosto scorso, della PGR a consegnare i risultati di questo rapporto ai genitori degli studenti, ma dato che l’auditing interno aveva scoperto tutte le irregolarità e la “bugia storica”, è per questo che per ordine del presidente la allora procuratrice di giustizia, Arely Gómez, ha ordinato di non dare il documento ai genitori di Ayotzinapa. L’auditor dopo ha subito pressioni da parte della stessa procuratrice e da altri funzionari della procura, tra cui il primo degli accusati, Tomás Zerón, affinché cambiasse i risultati del suo rapporto che distruggeva la “verità storica”.

La cosa più grave di questo documento, che poi è la più importante, è il momento in cui l’auditor, attraverso varie prove ricavate da perizie e testimonianze, con un’indagine molto profonda, scopre, riguardo ai fatti di Cocula, che gli studenti non sono mai stati assassinato e bruciati lì. E che le ossa dello studente Alexander Mora, che si suppone sia l’unico identificato tramite analisi genetico dei suoi resti, rinvenuti nel fiume di Cocula, sono stati collocate lì in realtà dallo stesso Tomás Zerón: si tratta della prova periziale più importante che coinvolge, incolpa e responsabilizza il governo messicano di questi fatti. Perché, se i fatti di Cocula sono falsi e le prove sono state messe lì nel fiume San Juan di Cocula, il signor Zerón e il governo erano in possesso dei resti calcinati di Alexander Mora? Questa è la parte centrale del caso, per questo il governo non poteva permettere che fosse diffuso pubblicamente il rapporto dell’auditor generale. Ed è per questo che lui è stato minacciato di morte ed è stato forzato a rinunciare.

vivos se los llevaronSarebbe possibile accusare di crimini di lesa umanità gli alti funzionari del governo e lo stesso presidente?

Non sono un avvocato né esperta nella materia, ma una delle parti più efficaci delle conclusioni che raggiunge l’auditor, dopo aver controllato la normativa internazionale, è che effettivamente, dato che è stato violato il diritto alla verità delle vittime, che è parte del diritto internazionale, visto che sono stati commessi selvaggi atti di tortura per inventare questa storia e presumibilmente “risolvere il caso, siccome sono state alterate le prove e la verità dei fatti e sono state compiute violazioni gravi ai diritti umani, si può considerare che se il governo del Messico, Peña Nieto e i funzionari pubblici coinvolti non risolvono questa situazione, possono essere giudicati internazionalmente se si integra un tribunale speciale.

Che resta del famigerato gruppo di narcotrafficanti dei Guerreros Unidos e dell’ex sindaco di Iguala, José Luis Abarca, e di sua moglie, María Pineda, che inizialmente vennero indicati come i responsabili della sparizione degli studenti?

La gran maggioranza, l’80%, dei detenuti, compresi presunti membri dei Guerreros Unidos, il sindaco e sua moglie, sono stati torturati e i loro arresti sono stati illegali. L’ho saputo dai referti medici che ho controllato e che furono realizzati a tutti questi detenuti, ma anche da testimonianze che ho ottenuto da loro e dai loro familiari. Per vari mesi mi hanno mandato lettere dalla prigione, raccontandomi le brutali e selvagge torture che hanno sofferto, comprese le violazioni sessuali e le scariche elettriche su tutto il corpo per far sì che confessassero il falso. Secondo l’auditor generale l’incarcerazione della maggior parte di loro e dei principali accusati d’essere gli autori intellettuali e materiali della sparizione dei normalisti, come il signor Abarca e sua moglie, i quattro detenuti che hanno confessato d’aver bruciato gli studenti e i poliziotti locali che, secondo l’accusa, avrebbero orchestrato e organizzato tutto ciò, è stata illegale, il che significa che non dovrebbero restare in prigione. Il governo del Messico s’è preoccupato di fabbricare capri espiatori, falsi colpevoli, ed ha accusato persone innocenti di un crimine che non hanno commesso per proteggere i veri colpevoli, principalmente i funzionari pubblici di Iguala, dell’esercito messicano, della polizia federale e della stessa procura che hanno partecipato attivamente alle operazioni della notte di Iguala.

Al di là dei gruppi criminali piccoli del narcotraffico come i Guerreros Unidos, nel Guerrero chi comanda?

Per scrivere il libro Los señores del narco per dodici anni ho investigato sulle operazioni del cartello di Sinaloa e dei fratelli Beltrán Leyva [che prima della scissione del 2008 lavoravano insieme]. Una delle principali basi delle operazioni di questi gruppi era il Guerrero, specialmente la città portuaria di Acapulco. In quel libro racconto come l’allora comandante militare della zona, Salvador Cienfuegos, attualmente Ministro della Difesa, andava in giro in yatch per la baia di Acapulco in compagnia del boss Arturo Beltrán Leyva. Il libro è uscito ormai più di sei anni or sono e il Ministro non ha mai negato i fatti che vi sono narrati né ha sporto denuncia. Quando viene fuori questa storia del governo federale per cui presumibilmente c’era un gruppo criminale molto forte chiamato Guerreros Unidos e c’erano anche i rivali, Los Rojos, mi metto a cercare e ritiro fuori l’archivio che avevo usato per il libro e scopro che quell’organizzazione quasi non esiste, è praticamente minuscola. Ho potuto parlare personalmente con gente del cartello di Sinaloa e dei Beltrán Leyva e mi hanno detto che in effetti sì esistono le bande dei Rojos e dei Guerreros Unidos, ma si tratta di cellule minuscole che non rappresentano nulla in comparazione con il potere che ancora possiede nel Guerrero l’organizzazione dei Beltrán Leyva. Quando Arturo Beltrán Leyva viene assassinato a Cuernavaca, nello stato del Morelos, nel dicembre 2009, varie parti della loro organizzazione iniziano a smantellarsi. Ci sono molti membri importanti di questo gruppo criminale i cui nomi non sono stati rivelati dal governo ma che continuano con le loro operazioni nel Guerrero. E sono diventati capi importante, magari non al livello de El Chapo Guzmán, però sì con la capacità di trafficare quantità significative di droga, di eroina, dal Messico agli Stati Uniti. Uno di questi capi, di alto livello, nel settembre 2014 controllava la zona di Iguala e dintorni ed è questo boss, il cui nome il governo non cita e che non è accusato o in arresto per il caso, che la notte del 26 settembre ordina al 27esimo battaglione dell’esercito di recuperare ad ogni costo l’eroina che si trovava in quei due pullman da cui sono stati sequestrati i 43 studenti.

ezln 43Quindi qual è il ruolo dell’esercito nel Guerrero?

Sono in possesso di fascicoli della stessa PGR, dichiarazioni di testimoni collaboratori di giustizia che adesso la procura non può smentire, in cui si segnala che per anni l’esercito messicano ha protetto e lavorato con il cartello di Sinaloa e dei Beltrán Leyva. Questo è successo durante molto tempo, è una complicità antica. Particolarmente nel Guerrero c’era questa protezione. Ripeto: lo stesso General Cienfuegos, quando era a capo della zona militare di quella regione, è accusato di aver frequentato Arturo Beltrán Leyva e di averlo protetto. Ci sono molte accuse addirittura non solo contro l’esercito, ma anche contro la polizia federale e la federale-ministeriale, che allora era la AFI o Agenzia Federale delle Investigazioni. Quando Genaro García Luna ne era il direttore, nel 2004-2006, la stessa agenzia funzionava come “assassino mercenario” del cartello di Sinaloa. C’è un episodio che ricordo molto bene e ho i documenti che avallano quanto dico. E’ successo ad Acapulco, dove c’era un gruppo del cartello degli Zetas che voleva prendersi la plaza [la zona, il mercato] e toglierla agli uomini dei Beltrán Leyva e di Sinaloa. Quando i Beltrán Leyva vengono a sapere di questa operazione, non solo inviano i loro uomini armati a combattere gli Zetas m sono gli stessi membri della polizia AFI che agiscono come sicari agli ordini di Arturo Beltrán quella sera: sequestrano vari membri degli Zetas e dopo li fanno fuori registrando un video impressionante. E’ stato quello il primo video di un “esecuzione” dal vivo che poi venne diffuso in vari mezzi di comunicazione in spregio agli Zetas nel mezzo di una guerra selvaggia che stavano facendo col cartello di Sinaloa. Insomma, la complicità dell’esercito, dei federali e della polizia federale ministeriale col narcotraffico nel Guerrero, specialmente coi Beltrán Leyva, è antica e ci sono diverse prove al riguardo. Oggi purtroppo il caso dei 43 desaparecidos è un esempio ulteriore di questa collusione del governo, di questa guerra fallita in cui non solo l’esercito protegge i narco ma addirittura agisce da sicario.

Perché il caso Iguala-Ayotzinapa è emblematico?

Per varie ragioni. La più umana e allo stesso tempo più importante è che in effetti in Messico migliaia di famiglie hanno vissuto la tragedia dei desaparecidos. Oltre 25mila persone sono state “fatte sparire” nel periodo presidenziale di Felipe Calderón (2006-2012), ma per paura o per via delle intimidazioni molti dei loro familiari sono rimasti zitti, non han detto nulla, pero timore ad essere criminalizzati. I genitori dei 43 ragazzi hanno rotto questo schema e hanno dimostrato al Messico e al mondo che di fronte al crimine delle sparizioni forzate non si può mantenere il silenzio.

L’esempio che hanno dato questi genitori negli oltre due anni dalla sparizione dei propri figli non è solo di coraggio ma anche di profondo amore. Mi sembra che alla fine questo è quello che conta di più. L’esempio d’amore di questi genitori ha commosso il mondo e ha fatto in modo che in Messico questo caso non si dimentichi e che ci siano molte persone che continuano a cercare verità e giustizia.

D’altra parte questo caso è l’esempio chiaro del fatto che questa “guerra contro il narcotraffico” in Messico è una guerra simulata perché non si può parlare di “guerra” quando un battaglione è al servizio del narcotraffico. Non si può parlare di guerra contro i narco quando il presidente della Repubblica, invece di mettere in prigione un manipolo di pessimi funzionati pubblici, cioè 40 o 50 funzionari coinvolti nel narcotraffico che hanno determinato i fatti della notte di Iguala, e invece di processarli e dare un esempio per dire che “questo non lo possiamo permettere”, ecco al contrario il presidente ha tollerato la corruzione e la collusione, premiando i responsabili. Oggi il colonnello che era responsabile del 27esimo battaglione ha assunto praticamente l’incarico di sottosegretario alla difesa ed è diventato generale. Il Capitano Martínez Crespo e i federali che hanno partecipato agli attacchi continuano a “proteggere la società” ovunque essi siano, il che in realtà rappresenta un rischio per la società messicana.

Il caso è emblematico perché dimostra il fallimento della guerra alla criminalità organizzata.

Infine è un caso che ha scosso il mondo, ha fatto in modo che la comunità internazionale veda che in Messico in verità non ci sono né pace, né verità, né giustizia quando si tratta di crimini commessi dallo Stato.

ayotzinapa-somos-todosE’ proprio il ministro Cienfuegos che ora chiede l’approvazione di una Legge per la Sicurezza Interna che legittimi la militarizzazione della sicurezza pubblica, la presenza dei militari per le strade e la realizzazione di operazioni di polizia da parte delle forze armate. Che ne pensi?

Mi sembra che il Messico stia passando per un processo molto complicato. Da una parte abbiamo un esercito fuori controllo che vuole più potere e impunità.

Dall’altro abbiamo un presidente con i livelli più bassi di popolarità degli ultimi decenni, con indici minimi di approvazione, che è a punto di finire il suo mandato e non sa come uscirne fuori. E abbiamo una società che ripudia la presenza dell’esercito per le strade. E’ molto pericoloso che il caso di Ayotzinapa resti impunito perché permetterà che l’esercito messicano possa continuare a stare per le strade commettendo questo ed altri crimini. Non va dimenticato che i fatti di Iguala non sono il primo crimine di massa commesso dai militari. Appena qualche mese prima, a metà del 2014, nel Estado de México, a Tlatlaya, i militari hanno assassinato ventuno persone, le hanno ultimate in modo sommario. Il Ministero della Difesa ha provato a nascondere anche questo caso per vari mesi fino a che alla fine l’inchiesta giornalistica dell’agenzia AP e della rivista Esquire è riuscita a scoprire la verità e a rivelare che non s’era affatto trattato di uno scontro a fuoco tra l’esercito e alcuni delinquenti, ma un’esecuzione sommaria condotta dall’esercito. Siamo dinnanzi a una crisi terribile in cui sfortunatamente sembrerebbe che questo esercito boia permarrà nelle strade con tutto ciò che implica.

Gli Stati Uniti hanno promosso per decenni le politiche di “guerra alle droghe”, specialmente in America Latina, ma adesso la marijuana è stata legalizzata per uso ricreativo in ben otto stati americani e in altri quindici è permesso il suo uso medicinale. Che pensi di questo paradosso?

Tutto dipende dall’angolazione da cui guardiamo questa situazione. La mia posizione è contraria alla legalizzazione delle droghe. Mi spiego, se la giustificazione per la legalizzazione è legata alla salute pubblica, mi pare che sia una strategia sbagliata e ti do le mie ragioni. Prendiamo per esempio gli USA. Il principale consumo di droghe negli Stati Uniti non è di droghe illegali ma legali. Le medicine che si suppone che possono essere vendute solo su prescrizione medica, mentre in realtà c’è tutto un mercato nero immenso nel Paese che fa sì che giovani, bambini e persone adulte abbiano accesso a medicine allucinogene in modo illegale in una farmacia legale. Questo dimostra che la legalizzazione non è la soluzione. Se non c’è prima una vera cultura della legalità, se la legge che esiste attualmente non si applica, non si può pensare che la legalizzazione della marijuana, della cocaina, dell’eroina e delle metanfetamine sarà la soluzione, sempre ci sarà un mercato nero. E’ quanto stiamo vedendo con le medicine. Se il governo statunitense non è capace di controllare le imprese farmaceutiche, non riesco nemmeno a pensare come qualcuno possa solo sognare di poter controllare il business legale, i piccoli proprietari, le imprese che fabbricano droghe che prima erano illegali. E’ un sogno stupido, ingenuo, che non porta da nessuna parte. E’ dimostrato che la legalizzazione delle droghe, le droghe legalizzate dunque, non implica che, anche se sono legali, non sorga un mercato illegale, nero, di queste. Da una parte.

Dall’altra se si tratta di vedere la legalizzazione delle droghe come una maniera per controllare la violenza e il business multimilionario, di miliardi di dollari secondo il governo USA, del narcotraffico e dei cartelli, è una visione totalmente erronea. Quando in Colorado s’è iniziata legalizzare la marijuana, con questi posti in cui si può comprare apertamente, i cartelli della droga messicani, secondo quanto mi ha spiegato un agente de la DEA (Drug Enforcement Administration) [agenzia antidroga statunitense], hanno creato delle minipillole, piccole dosi di droga sintetica che fanno lo stesso effetto della marijuana ma a un decimo del costo di una sigaretta di marijuana legale. Stiamo parlando, quindi, del fatto che non è possibile controllare i cartelli perché per ogni droga che si legalizza, se ne inventano una nuova. I cartelli stanno nel business e stanno inventando costantemente nuove droghe per migliorare i loro affari, per renderli più efficienti e redditizi.

Inoltre dobbiamo tenere da conto che non trafficano solo droghe, ma anche persone o merci e si dedicano alla pornografia infantile, al taglio abusivo degli alberi e un mucchio di affari illegali. Allora pensare che la legalizzazione di alcune droghe controllerà il potere dei cartelli è un sogno ridicolo, è una cosa che non succederà. Solo con la cultura della legge, applicando la legge. Non mi riferisco a sparare. Mi riferisco al fatto che, se veramente si cominciasse a vedere una vera guerra contro il narcotraffico, prima di arrestare El Chapo Guzmán, si sarebbero dovuti arrestare tutti i suoi complici, dai governatori ai banchieri e agli imprenditori. Se le grandi banche continueranno a riciclare denaro sporco impunemente, ci saranno “Chapos” ovunque perché ci sarà sempre una parte del mondo “legale” disposta a convivere e fare affari con il mondo illegale. La recente estradizione de “El Chapo” negli USA non sarà una soluzione per il Messico nemmeno alla lontana, anzi, potrà generare ancora più violenza e instabilità.

marcha-ayotzinapaUn altro tema, diciamo, “frontaliero” è l’amministrazione di Donald Trump. Hai vissuto due anni negli USA come migrante-esiliata e conosci bene i due lati della frontiera. Che pensi della costruzione del muro e delle prime settimane di governo?

Devo riconoscere che facevo un po’ di fatica, quando vivevo là, a riconoscere certe attitudini, certi modi di essere del nordamericano. Perché da una parte c’è una comunità latina molto grande, di migranti, ma l’essenza, ciò che è l’americano bianco, anglosassone, beh, sono personaggi difficili da comprendere. Una cosa vera è che, per come l’ho sperimentato in carne viva là e l’ho visto, negli Stati Uniti c’è sempre stato un razzismo occulto, non detto, silenziato. Per un’epoca, lo sappiamo, c’è stato un razzismo aperto, selvaggio e crudele, però poi, col passare degli anni, questo razzismo è rimasto progressivamente all’interno degli americani anglosassoni. L’ascesa di Trump spiega questo: chi vota per lui è questa maggioranza bianca, e non mi riferisco solo a una maggioranza bianca economicamente benestante, ma anche all’esistenza di un’ampia maggioranza bianca formata da operai, gente comune che non ha abbastanza per vivere e che si sente scalzata dai migranti e sentono che questi sono arrivati a rubargli il loro paese. Poco tempo fa ho potuto parlare con un accademico molto importante della Università della California a Los Angeles, David Maciel, e lui mi spiegava una cosa che non avevo capito, perché c’è bisogno di essere americani per capire queste parole: quando Trump in campagna elettorale diceva “faremo di nuovo grande l’America” e “America per gli Americani”, significava tornare indietro di cinquant’anni. Alla “America grande” in cui c’era un gran razzismo e ciascuno se ne stava al suo posto e non si poteva muovere da lì. Restituire l’America agli americani si riferisce a questa classe, a questa razza fondatrice di ciò che sono gli Stati Uniti. A questo faceva riferimento Trump, per questo ha votato la gente, per tornare al passato. Siamo di fronte a una situazione critica perché chi pensa che si tratti solo di Donald Trump, si sbaglia. Tutto questo riguarda una buona maggioranza della società americana per cui c’è un piccolo razzista silenzioso che cova nel seno di ogni americano.

no-solo-ayotzinapaChe opinione ti sei fatta delle manifestazioni contro Trump in Messico, compresa l’iniziativa “Vibra México” che pretende di creare una “unità di tutti” contro il presidente USA? Ci sono alcuni settori e organizzazioni della società che l’hanno usata, piuttosto, per sostenere Peña Nieto internamente. Che pensi delle reazioni del governo messicano?

Credo che, ci piaccia o no, che siamo d’accordo o no come messicani da questa parte del confine, il presidente Trump sul suo territorio possa fare quello che vuole. E’ tra le sue prerogative farlo. Se lui pensa che con un muro impedirà che i messicani passino il confine e questa è la sua politica pubblica e gli americano lo sostengono, non c’è maniera di impedirlo. E’ assurdo, colpirà milioni di messicani, ma non si può impedirlo. Quando lui dice “i messicani finiranno per pagare il muro”, ci sono tanti modi con cui può fare in modo che i messicani paghino il muro e ti faccio un esempio specifico. La principale entrata legale di denaro, senza parlare delle droghe, che ha il Messico, più del petrolio, sono le rimesse dall’estero, ossia i soldi che inviano tutti i messicani che vivono negli USA ogni anno. Se Trump decidesse aumentare o introdurre una tassa a queste rimesse, noi messicani finiremmo per pagare il muro. Riguardo a questo discorso di “unità”, mi sembra che in Messico non vi sia unità, perché non può esseri unità intorno a un presidente assassino. Uno cosa è che Trump sia terribile e un’altra è che la gente pensi di stringersi attorno a un presidente che è stato terribilmente corrotto, come l’ha mostrato il caso della Casa Blanca [Casa Bianca, un’inchiesta giornalistica del portale Aristegui Noticias che messo in luce le opache relazioni tra l’acquisto della casa del presidente e sua moglie e contrattisti del governo del gruppo imprenditoriale Higa] e il fatto che ha permesso l’impunità, proteggendo per esempio i responsabili della sparizione dei 43 studenti nel caso di Ayotzinapa. E la gente questo lo sa! Come si fa a lanciare un appello all’unità quando è un governo assassino che convoca? Siamo in una situazione davvero molto polemica in cui vedo una società che ama il proprio Paese, in cui amiamo il nostro Paese, il Messico, ma sappiamo che il governo che abbiamo sarà capace di qualunque cosa affinché Trump non decida rappresaglie legale contro vari funzionari pubblici, per esempio adesso che El Chapo Guzmán è stato estradato negli Stati Uniti… Molti, incluso il presidente, devono essere preoccupati, anche se lui stesso ha accettato l’estradizione pensando che così sarebbe entrato nelle grazie di Trump. Ebbene oggi, osservando l’attitudine di Trump, mi pare che tutti debbano preoccuparsi perché il signor Joaquín Guzmán Loera possiede molta informazione non solo sui periodi presidenziali precedenti ma anche su quello in corso in cui, ricordiamo, è stata possibile la sua seconda fuga di prigione a metà 2015…

padres ayotziCome pensi che possa evolvere l’organizzazione de “El Chapo” in Messico adesso? Potrà realmente il boss stipulare dei patti con la giustizia statunitense? Molti dicono che non ha più molte carte in mano o che comunque non riuscirà mai a uscire di galera con tutti capi di accusa che gli hanno dato.

E’ una domanda complessa a ampia, ma bisogna premettere che la fine de El Chapo è iniziata nel gennaio 2016, quando è stato ricatturato. La sua fine era già quindi determinata prima dell’estradizione del 19 gennaio scorso. Non era già più il capo del cartello di Sinaloa, quando viene estradato, e non aveva più nessun potere, era totalmente debilitato da una guerra interna. Ora negli USA lui sa che la sussistenza, la sopravvivenza della sua famiglia dipende soprattutto da lui e da quello che pensa di negoziare col governo americano. So che il governo statunitense lo vede come un’arma importante contro il governo messicano. L’aspettativa è che, sebbene non gli possano offrire una condanna minore e, per quanto ho capito e per le informazioni in mio possesso, gli daranno l’ergastolo, comunque ci sono altre cose da negoziare con lui come i soldi, la protezione per la sua famiglia, eccetera. Dunque in cambio di diversi benefici che il governo USA sarebbe disposto a concedergli, tra i quali non ci sarebbe una sentenza leggera ma benefici di indole economica e di altro tipo, loro si aspettano che El Chapo Guzmán cominci a denunciare i suoi principali protettori nel governo, in questo e nei periodi passati. E’ l’informazione che ho. Nel fascicolo criminale aperto contro di lui presso la corte federale del distretto est di New York, in cui sarà giudicato, si riconosce che nell’ultimo decennio il boss è diventato il narcotrafficante più potente del mondo grazie all’aiuto di funzionari dei livelli più alti del governo messicano che, durante questa presunta “guerra al narcotraffico”, hanno combattuto di più i suoi nemici per rafforzare il cartello di Sinaloa e consegnarli le plazas.

Tornando al caso Ayotzinapa. Nella presentazione del libro La verdadera noche de Iguala alla FIL-Fiera Internazionale del Libro di Guadalajara, nel dicembre 2016, hai parlato del caso di un militare del 27esimo battaglione a Iguala che stavi per intervistare, ma poi non è stato possibile perché la persona che faceva da tramite è stata assassinata. Stai ancora investigando sul caso?

Continuo a indagare sul caso e su quale sia la situazione legale dei detenuti che sono stati torturati. Anche la ONU e la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) stanno investigando su questo. So che ci sono già state le liberazioni di alcuni reclusi. Mi aspetto che ce ne possano essere altre e di certo continuo a investigare su quale sia stato il destino finale degli studenti che è una questione ancora irrisolta. Per quanto riguarda il militare m’interessava parlare con lui perché mi aveva fatto arrivare una comunicazione secondo cui alcuni dei 43 studenti erano stati portati nella caserma del 27esimo battaglione nella notte del 26 settembre 2014. Non segnalo questo nel mio libro, non ne parlo, perché non ho avuto l’opportunità di parlare direttamente con il militare visto che la mia fonte che faceva da tramite è stata assassinata e, ora che ho provato a stabilire di nuovo qualche tipo di contatto con il militare, mi hanno informato che risulta desaparecido…

ayotzi 43 ya bastaChe messaggio vorresti far passare ai lettori in Europa?

Mi sembra che la comunità internazionale sia stata abbastanza debole col governo del Messico riguardo questo caso dei 43 studenti. Mi pare che la stessa Unione Europea e il governo statunitense vincolino il governo messicano all’adempimento di norme minime sul rispetto dei diritti umani per poter fare affari col Messico. Ciononostante il Messico nemmeno rispetta questi standard minimi sui diritti umani. USA ed Europa continuano a fare affari col Paese con un pragmatismo criminale.

Mi pare che la comunità internazionale deve iniziare a vedere il Messico con occhi più disincantati e a comprendere che è una polveriera. La comunità internazionale, magari, si sta fregando le mani, pensando agli investimenti e ai guadagni multimilionari che può ottenere in un paese come il Messico, soprattutto adesso che c’è stata la riforma petrolifera, per cui chiunque può investire ed estrarre petrolio nel Paese, ed è cambiata anche la normativa sul settore energico. Mi sembra che la comunità internazionale non capisce che il Messico è una polveriera in cui i suoi capitali e gli investimenti possono esplodere insieme al resto del Paese.


[*] Il titolo del libro in spagnolo è Los señores del narco. Lo sottolineo perché nella traduzione italiana si perde un contenuto importante: i “signori del narcotraffico” del titolo originale non sono solo i trafficanti di droga e i boss ma anche, e soprattutto, i “signori” del mondo politico che li proteggono o fanno affari con loro ed anche i riciclatori di denaro sporco che permettono al business di “ripulirsi” e proliferare. Migliore è il titolo della versione americana: Narcoland: the mexican drug lords and their godfathers (La terra dei narcos: i baroni messicani della droga e i loro padrini).

]]>
Messico Invisibile: Los Otros Desaparecidos de Iguala. Intervista a Xitlali Miranda Mayo https://www.carmillaonline.com/2017/01/13/messico-invisibile-los-otros-desaparecidos-de-iguala-intervista-a-xitlali-miranda-mayo/ Fri, 13 Jan 2017 01:25:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=35982 di Fabrizio Lorusso*

A oltre due anni dalla Iguala Noticias Aliadas 4notte di Iguala, nello Stato messicano del Guerrero, nella quale la polizia locale, con la connivenza della polizia statale e federale e dell’esercito, uccise sei persone e consegnò quarantatré studenti della Scuola Normale (magistrale) Rurale R. Isidro Burgos di Ayotzinapa a un gruppo di presunti narcotrafficanti, il caso resta irrisolto; e ciò nonostante siano oltre cento i detenuti e la procura abbia elaborato migliaia di pagine per integrare il fascicolo. Dunque non ci sono state condanne per i fatti violenti della [...]]]> di Fabrizio Lorusso*

A oltre due anni dalla Iguala Noticias Aliadas 4notte di Iguala, nello Stato messicano del Guerrero, nella quale la polizia locale, con la connivenza della polizia statale e federale e dell’esercito, uccise sei persone e consegnò quarantatré studenti della Scuola Normale (magistrale) Rurale R. Isidro Burgos di Ayotzinapa a un gruppo di presunti narcotrafficanti, il caso resta irrisolto; e ciò nonostante siano oltre cento i detenuti e la procura abbia elaborato migliaia di pagine per integrare il fascicolo. Dunque non ci sono state condanne per i fatti violenti della notte del 26 settembre 2014, assimilabili a una persecuzione armata e un’operazione pianificata contro degli studenti inermi, come ha spiegato il Giei (Gruppo Interdisciplinare di Esperti Internazionali nominato dalla Commissione interamericana per i diritti umani per investigare sul caso), e non sono pochi gli osservatori delle vicende messicane che parlano di “terrorismo di Stato” e “narco-stato”, in riferimento all’evidente degenerazione e compenetrazione mafiosa delle istituzioni e delle funzioni pubbliche in Messico. A oggi la lotta dei genitori dei quarantatré studenti, che risultano ancora ufficialmente desaparecidos come altre 30 mila persone in Messico, continua per ottenere verità, castigo dei responsabili, restituzione con vita dei desaparecidos e soprattutto giustizia, grazie anche al sostegno di migliaia di attivisti, giornalisti, avvocati, persone solidali, collettivi, organizzazioni, difensori dei diritti umani e istituzioni, messicane e straniere, che li accompagnano.

D’altro canto il governo e la procura hanno cercato costantemente di manipolare le informazioni e creare ‘verità storiche’ di comodo per ridurre il ‘caso Iguala-Ayotzinapa’ a una vicenda locale, come fosse un evento eccezionale e limitato a una zona, mentre in realtà le implicazioni sono molto più ampie e strutturali e le responsabilità arrivano a toccare le alte sfere, includendo il presidente Peña Nieto e il ministro degli Interni in quanto capi delle forze armate e della polizia federale, la cui partecipazione nella ‘notta di Iguala’ è stata provata.

Iguala Noticias Aliadas 5Nel settembre e ottobre 2014, durante le prime ricerche per trovare i quarantatré studenti nelle colline intorno a Iguala, l’organizzazione solidale Upoeg (Unione dei Popoli Organizzati dello Stato del Guerrero) rinvenne decine di fosse clandestine e di resti ossei: il Messico si stava trasformando in un’immensa fossa comune stipata di cadaveri, simbolo del contubernio tra le autorità e le mafie. Le fosse di questo tipo sono centinaia in tutto il Paese. Quando la Upoeg lasciò Iguala, un gruppo di cittadini della città decise di proseguire nelle ricerche e creò il Comitato degli Altri Desaparecidos (Los Otros Desaparecidos de Iguala), coordinato da Xitlali Miranda fino all’estate scorsa ed oggi trasformatosi in una AC (Associazione Civile).

Fino a poche settimane fa il lavoro del gruppo consisteva nel cercare le fosse e i resti umani intorno alla città, dare sostegno alle famiglie che hanno vissuto l’esperienza della perdita per ‘sparizione forzata’ di uno o più membri, coordinarsi con la procura e con le istituzioni che dovrebbero svolgere le ricerche, partecipare alle brigate nazionali con altri comitati simili che, di fronte all’inazione delle autorità, si dedicano a cercare i propri desaparecidos, e richiedere l’identificazione dei resti e le prove del DNA. Il potenziale di denuncia insito nelle attività di ricerca nelle fosse clandestine era molto alto, visto che rappresentava uno sberleffo e un’occasione di rendere più visibile la problematica delle sparizioni forzate, quelle, cioè, in cui partecipa direttamente lo stato o è connivente con la delinquenza organizzata. Le attività di ricerca sono oggi sospese e una parte maggioritaria del collettivo ha deciso di fondare un’associazione e di aderire a diversi programmi del governo per vittime, abbandonando la parte minoritaria del gruppo che, invece, vorrebbe continuare con le ricerche direttamente senza intermediazioni da parte della procura che, in passato, s’è mostrata inetta e aggressiva nei loro confronti.

Iguala Noticias Aliadas 2Questa intervista racconta le difficoltà e le soddisfazioni, le sofferenze e la tenacia di queste persone che, oltre a lottare contro l’indifferenza dello Stato, devono sfidare la negazione delle famiglie e dell’intera società nei riguardi del fenomeno delle sparizioni forzate. Le vittime e le famiglie, infatti, portano uno stigma, sono spesso identificate dai media e dai vicini come “persone di malaffare” o “membri della criminalità organizzata”, come gente che “qualcosa avrà fatto” e per questo è stata “fatta sparire”. E quindi molte preferiscono nascondersi. Gli Otros Desaparecidos e i movimenti per le vittime della narcoguerra in Messico le fanno riemergere con dignità.

Che percezione avevi della situazione del Paese prima della sparizione dei quarantatré studenti di Ayotzinapa?

Personalmente non conoscevo le dimensioni del problema che possiamo vedere adesso ed è palpabile. Prima la mia vita erano il lavoro, la famiglia e gli amici, dunque mai m’ero accorta della situazione e del pericolo in cui vivevo. Molta gente come me sentiva semplicemente voci su ciò che succedeva, ma era come vivere sotto una campana di vetro. Succedeva a molti qui. Non abbiamo avuto la disgrazia di essere toccati direttamente dalla criminalità ed era una cosa lontana.

Quindi la tua storia personale non ha a che vedere con le sparizioni forzate?

In realtà ho due cugini desaparecidos. Uno è stato sequestrato ad Apaxtla, ma la sua famiglia non ha mai detto nulla, né ha sporto denuncia. Perfino noi, comunque parte della famiglia, abbiamo saputo un anno dopo che era stato chiesto un riscatto, che era stato pagato, ma che mio cugino non era più tornato. Ne ho un altro, Jonathan, desaparecido in un blocco stradale della polizia sette anni fa a Chilpancingo, la capitale del Guerrero. È di un altro ramo della famiglia, l’abbiamo cercato a lungo, ma non l’abbiamo trovato né abbiamo avuto informazioni su dove potesse essere. Quindi ho un’idea di cosa significhi una sparizione forzata, ma in quell’epoca non ci siamo mai rivolti a un’organizzazione. Abbiamo sporto denuncia e cercato da soli. Pensiamo si trovi nei pressi della località in cui è scomparso, ma di certo non a Iguala perché qui ci sono bande criminali differenti.

Iguala Noticias Aliadas 3Come nasce il comitato de Los Otros Desaparecidos?

La ricerca dei desaparecidos a Iguala è iniziata per via degli studenti di Ayotzinapa. Quel crimine ha mosso la coscienza di tante persone, compresi io e i miei amici. Dopo il 26 settembre sono venute qui le persone della Upoeg (Unión de los Pueblos y Organizaciones del Estado de Guerrero) perché vari degli normalisti sono originari delle comunità in cui lavora quella organizzazione, cioè della Costa Chica e della montagna. Loro sono in gran parte contadini e decidono di spostarsi a Iguala per fare le ricerche, con la speranza di ritrovare gli studenti vivi. Ma quando cercano sulle colline scoprono l’esistenza di decine di fosse con resti umani. La notizia fa scalpore in Messico e all’estero e viene confermato che non si tratta degli studenti. Ma allora nasce la domanda: chi sono?. A nessuno pare importare la questione perché sono venute le autorità e la procura statale, hanno visto le fosse, ma la risposta, assurda, che hanno dato è stata solo: «Va beh, non sono gli studenti.»

La nostra ricerca in quel momento era per i normalisti, ma non potevamo lasciar passare una cosa del genere come avevano fatto loro. La Upoeg ha cominciato a convocare le famiglie di Iguala che avevano un loro caro desaparecido, ma le famiglie non s’avvicinavano. C’è stata solo una reazione solidale per cui regalavano cose, cibo, acqua e materiali, ma non partecipavano alle assemblee e alle ricerche. Io e le mie amiche andavamo a portare aiuti, così è nata un’amicizia con loro e soprattutto con Miguel Jiménez. Lui mi diceva: «Dovete venire a vedere perché quando vedrete che c’è là capirete le dimensioni del problema, perché se te lo racconto non si capisce quello che sta succedendo e noi un giorno ce ne dovremo andare, per cui voi dovete essere consapevoli che Iguala è una zona di fosse, un cimitero.» All’inizio pensavo esagerasse. Finché non ho toccato con mano non era una realtà, ma quando ci sono andata ho capito che effettivamente la collina era disseminata di fosse. Mi venne un colpo, non m’ero mai accorta del problema che vivono molte famiglie. Dunque abbiamo fatto riunioni con il parroco, Padre Óscar, chiedendogli aiuto. Abbiamo cominciato a convocare le famiglie in chiesa annunciando: «Se hai un familiare scomparso, vieni a farti l’esame del DNA e cercalo sulle colline.» Così le famiglie arrivavano perché erano attratte dalla possibilità di farsi lo studio del DNA. L’organizzazione di Julia Alonso, Ciencia Forense Ciudadana (Scienza Forense Cittadina), ci ha offerto di realizzare le prove e quindi è nato il comitato dei familiari.

Iguala Noticias Aliadas 6Come vi siete organizzati?

La prima riunione di una ventina di famiglie è stata l’8 novembre 2014. Considera che qui siamo gente povera, senza nessuna risorsa, e con quello che racimoliamo facciamo volantini, li mettiamo su Facebook e reti sociali, chiediamo ai giornalisti che vengano. L’11 novembre la sorpresa è stata enorme perché la cantina della chiesa era piena di famiglie, circa centocinquanta. È stato paralizzante, faceva paura. Mi ricordo che Miguel mi ha chiamato quella mattina dicendo che avevano avuto un problema, cioè che avevano sequestrato uno dei loro compagni della Upoeg e quindi non potevano venire alla riunione. Immagina la paura che avevamo qui a Iguala tutti quanti, per avere osato organizzare una cosa del genere. Ho pensato di non andarci nemmeno io, ma dopo ho riparlato con lui e gli ho detto che sarei andata solo a presentarmi brevemente e spiegare cosa sapevamo fino a quel momento. Loro alla fine non sono arrivati, ma è comunque successo qualcosa d’impressionante, inatteso, quando le persone hanno iniziato a prendere la parola, ad alzarsi in piedi e a raccontare le loro storie al microfono, una dopo l’altra. Tutti piangevano perché le storie erano tragiche e parlavano di sofferenza, impunità, impotenza, di come nessuno ti ascolta e non si sa cosa fare e dove andare. Oltre a queste narrazioni resta il dolore per aver perso un familiare.

Come realizzate le ricerche?

Noi non abbiamo fatto molto perché tutto è successo spontaneamente e abbiamo fissato un’altra riunione per il martedì seguente. Poi il venerdì dopo c’è stata la prima ricerca con i familiari, in cui abbiamo trovato sette resti umani, e la domenica siamo andati nella zona delle fosse clandestine accompagnati da gente della Procura generale della Repubblica (Pgr). È stata come una palla di neve che ha accelerato tutto per via del tremendo bisogno che palesavano le famiglie, le quali non erano mai state ascoltate fino a quel momento da autorità indolenti e inerti. Allora c’è stata la possibilità di andare a cercare, scavare e trovare i propri familiari, vedere che si fa con i corpi delle fosse che non sono stati esumati.

Com’è stata la collaborazione con la Procura?

Iguala Noticias AliadasÈ nata per un colpo di fortuna. Una giornalista ci ha messo in contatto con la signora Eliana García che ha una lunga carriera da attivista ed è responsabile dell’ufficio per i diritti umani della Procura. Sono venuti alla riunione con le famiglie e hanno promesso di cominciare i lavori insieme a noi. È difficile la collaborazione con loro perché è un’istituzione che ha un meccanismo che non va avanti, dunque ci sono molti vizi non solo in quest’istituzione ma in tutte, per cui è complicato che facciano qualcosa anche se sanno essere di loro competenza. Non lo fanno. Quindi hanno cominciato a lavorare da quando noi facciamo riunioni. Senza le famiglie tutto questo sarebbe già finito. Se quelli della Procura escono a cercare soli, non trovano niente, ma con la pressione delle famiglie qualcosa si muove nel meccanismo, per forza, a denti stretti, ma si muove. Perché ci sono lì i familiari che gli dicono che c’è qualcosa e che si deve continuare a scavare, e così trovano. È una lotta costante, logorante per noi e magari pure per loro, ma se non si facesse così non si otterrebbe niente.

Che strumenti avete per le ricerche?

Va beh, abbiamo solo pale, picconi, piccole sbarre e prima avevamo delle aste metalliche che però si sono piegate e non le abbiamo sostituite. Da quando abbiamo iniziato, siamo andati in giro senza risorse, dicevamo soltanto alle famiglie di portarsi dietro quello che avevano lì, oggetti rudimentali. Non abbiamo attrezzi sofisticati.

Che tipo di sostegno e ostacoli avete avuto?

Come richiesto, ora andiamo a cercare sotto protezione della polizia federale e a volte della Marina. Ciononostante questo aiuto è limitato, minimo, si può trattare magari solo di una pattuglia con tre/quattro federali, ma va beh, in qualche modo facciamo finta di sentirci protetti, altrimenti già avremmo bloccato le ricerche. E infatti sono state sospese in certi momenti, quando qui era diventato molto pericoloso per una serie di omicidi che stavano colpendo l’intera regione, nella speranza che poi la situazione della sicurezza tornasse a migliorare. Anche se questo non è accaduto, abbiamo deciso di continuare. Da due mesi il governo statale manda un camioncino per gli spostamenti delle famiglie. Abbiamo chiesto altri aiuti all’amministrazione statale e comunale, ma più che altro mostrano indolenza. Le famiglie non hanno bisogno solamente di andare avanti con le ricerche, ma anche di altri aiuti perché sono molto umili e sfavorite, economicamente parlando. Quasi sempre la persona scomparsa all’interno del nucleo familiare rappresenta il sostento economico e quando sparisce le finanze familiare cadono in picchiata, senza contare gli altri aspetti dolorosi. Perciò abbiamo avviato pratiche presso gli enti statali. Quando c’era il governatore ad interim Rogelio Ortega, nel 2015, è venuta sua figlia e sono stati dati alcuni aiuti… Siamo un gruppo di 400 famiglie e alle riunioni di solito ne vengono 200. Loro hanno mandato diciotto progetti produttivi. Figurati, non toccano neanche il 50% del totale e poi portavano 300 ceste di alimenti per 400 famiglie. La risposta dello Stato è stata molto scarsa.

Iguala Noticias Aliadas 7Ma non dovrebbe essere operativa la Legge delle Vittime?

C’è un’altra istituzione, la Comisión Ejecutiva de Atención a Víctimas (Commissione Esecutiva di Supporto alle Vittime – Ceav), che ha l’obbligo secondo la Legge generale delle Vittime di fornire alle famiglie il supporto economico, giuridico e psicologico, ma anche questa non si muove. Stavano dando 100 pesos (7 euro) alle famiglie per i biglietti del bus. Glieli hanno tolti dal novembre 2015 con varie scuse: primo, perché dicevano che si stava chiudendo l’anno fiscale, poi perché non c’erano ancora le risorse, adesso perché gli chiedono una tesserina… Da novembre a gennaio hanno fatto firmare documenti alle famiglie come se stessero ricevendo il denaro, promettendo loro che sarebbe presto arrivato. Ma a gennaio hanno smesso di firmare perché abbiamo girato un video di quando firmavano senza ricevere i soldi e allora s’è fermata questa pratica abusiva delle firme, ma alla fine non hanno dato più niente alle famiglie. Adesso gli viene data della frutta e l’acqua durante le riunioni. In teoria avrebbero diritto, quando partecipano alle riunioni con la Procura, al rimborso del vitto, dell’alloggio, del trasporto. Convochiamo questi incontri il martedì per aggiornare sulla situazione e ci vengono la PGR, duecento persone delle famiglie e la CEAV, sostanzialmente a portare l’acqua… Ma il gruppo di coloro che vanno a fare le ricerche s’è ridotto gradualmente. Eravamo settanta, cinquanta, quaranta e ultimamente andiamo in venti.

Quante fosse e corpi avete rinvenuto e identificato?

Sono stati esumati 145 resti umani dalle fosse. Ne sono stati identificati ventiquattro e, di questi, ne abbiamo consegnati quindici alle famiglie. Gli altri restano in attesa. Non ho il dato esatto delle ‘fosse positive’ e neanche le autorità lo saprebbero dare con precisione, ma stiamo parlando di più di 100-120 fosse. Vi sono anche fosse clandestine con più di una persona dentro, alcune addirittura ne contenevano sei.

Hai ricevuto minacce?

Personalmente non ho mai ricevuto intimidazioni né molestie da parte del crimine organizzato o dalle autorità. Però ci sono altri membri del gruppo, come Mario Vergara, che hanno denunciato le minacce di morte che hanno ricevuto. Hanno minacciato anche la famiglia di Mario e ci sono varie persone che si sono ritirate dal comitato. Non conosciamo la causa o se abbiano ricevuto minacce. C’è stato l’assassinio di Jimena, che ha un familiare desaparecido e ha partecipato alle ricerche nel febbraio dell’anno scorso. Però non consociamo il motivo, non s’è aperta un’indagine al riguardo. C’è un altro ragazzo assassinato il dicembre scorso e non sappiamo se abbia a che vedere con il fatto che aveva un fratello desaparecido. Miguel Jiménez, che è stato fondatore del comitato, è stato ucciso vicino ad Acapulco e non si sa perché, visto che non hanno indagato… Faceva parte di molti movimenti, era un militante sociale. Infine ci sono molti modi di minacciare o impedire alle persone di fare quello che fanno.

FB_IMG_1462088847576Siete legati a qualche struttura che difende i diritti umani?

C’è un’organizzazione, la Idheas (Litigio Estratégico en Derechos Humanos) che sarebbe la rappresentante legale del gruppo. Loro sono a Città del Messico, ma qui a Iguala non c’è nessuna organizzazione per i diritti umani non governativa o sociale. C’è solo la commissione statale del Guerrero, la Coddhum (Comisión Derechos Humanos de Guerrero).

Cosa ha significato per voi la partecipazione di Mario Vergara alla prima Brigata Nazionale di Ricerca dei Desaparecidos (Primera Brigada Nacional de Búsqueda de Desaparecidos) ad Amatlán, Veracruz?

Credo ci siano varie organizzazioni per le ricerche di persone scomparse in varie località della regione, ma quando viene qui la Upoeg e ci insegna a cercare le fosse sul terreno e incominciamo a farlo, capiamo che era proprio qualcosa che mancava. Puoi stare in una disputa continua con le autorità, ma loro fanno qualcosa solo se vogliono, altrimenti niente. Perciò l’esistenza del movimento delle famiglie di Iguala significa che qualcosa si può fare, perché non abbiamo praticamente nulla, siamo in una situazione economica pessima, ma anche così i genitori salgono sulle colline e come possiamo ci spostiamo, compriamo quanto necessario o lo chiediamo. L’idea è condividere con altre organizzazioni, che a volte hanno molta esperienza e fanno progressi in altre direzioni, il fatto che a volte percorrendo le colline e le strade si ottengono più risultati, è come quando si appicca il fuoco. Siamo orgogliosi di aver messo il nostro granello di sabbia al riguardo. Mario, che cerca suo fratello con tutto il coraggio e l’energia del mondo, ha imparato molte cose sulla ricerca delle fosse ed è stato uno dei principali ispiratori per la realizzazione di questa Brigata Nazionale.

Che impatti avete provocato nelle famiglie e nella società?

Iguala è una città in cui si dice che non succede niente, quindi la società ignora il movimento dei desaparecidos, non c’è una vera solidarietà verso le famiglie. Piuttosto queste vengono criminalizzate non solo dalle istituzioni ma anche dalla società, e vengono escluse perché hanno dei desaparecidos e, secondo l’opinione comune, sicuramente avevano a che fare con la delinquenza organizzata. È un mondo a parte quello dei desaparecidos, è triste ma è molto reale e si sente perché non abbiamo organizzazioni qui che li accompagnino, per esempio se c’è una manifestazione o per altre questioni. Forse abbiamo un impatto a livello nazionale e internazionale, come si è visto con la Brigata, ma a livello locale non si muove niente. Insomma, nulla cambia e i familiari delle vittime si sentono addirittura segnalati, come se avessero una malattia o qualcosa da nascondere.

Che sviluppi vedi per il futuro?

Siamo in una fase complicata, visto che nei gruppi grandi sorgono tante idee e abbiamo bisogno di più unità per andare avanti. Abbiamo appena inviato una richiesta alla Pgr, al funzionario addetto alla ricerca delle persone scomparse e al viceprocuratore per i diritti umani, affinché vengano a Iguala e si inizi a fare l’esumazione dei cadaveri nelle fosse comuni dello Stato del Guerrero per identificare i corpi. Ci sono tante famiglie che cercano i loro cari sulle colline qui intorno, ma nessuno può garantire che questi non siano stati già trovati e portati al SeMeFo (Servicio Médico Forense), e quindi che lo Stato non abbia adempiuto alle sue funzioni. Infatti succede che spesso mandino i corpi alla fossa comune pubblica senza troppe verifiche, lasciandoli lì come rifiuti nell’oblio. Stiamo chiedendo che vengano riesumati e si confronti il DNA con quello dei familiari. Non ci sono banche del DNA e questa è l’unica cosa che possiamo fare, del resto deve farsene carico lo Stato.

Che succede alle famiglie che trovano i resti dei loro desaparecidos?

Non tutti i corpi identificati sono di Iguala, ce ne sono di altre regioni. Le persone identificate che formano parte del comitato continuano ad assistere alle riunioni in chiesa. A una signora che ogni domenica viene con noi nelle ricerche sono stati consegnati i resti del figlio, ma lei dice che proseguirà finché gli altri non avranno recuperato i loro cari perché c’è un patto e lei è stata aiutata dagli altri. Quando viene consegnato loro un familiare, ho visto che per le famiglie è un sollievo. È difficile per me pensarci in questi termini perché io desidererei che fosse vivo e sentirei un gran dolore, ma loro no. È stato tanto il loro logoramento, il loro cammino e la sofferenza che, quando gli viene restituito qualcosa del familiare scomparso, sentono sollievo e, soprattutto, pace.

*[Questo testo, aggiornato ora per Carmilla, è uscito sulla rivista Pagina Uno n. 49 e, in spagnolo in versione breve, sul sito dell’agenzia peruviana di notizie Noticias Aliadas. E’ anche un estratto del libro Messico invisibile. Voci e pensieri dall’ombelico della luna, ed. Arcoiris, Salerno, 2016]

]]>
Zapatisti, Elezioni e CoScienze per l’Umanità https://www.carmillaonline.com/2017/01/05/zapatisti-elezioni-e-coscienze-per-lumanita/ Wed, 04 Jan 2017 23:00:31 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=35832 di Perez Gallo

[Una necessaria alunni-telescopiocorrispondenza dal Chiapas, le foto sono di Gianpa L.]

Mentre da Ankara ad Aleppo, da Berlino ad Istambul, il 2016 si è chiuso con il sangue degli attentati e con i preludi di un possibile nuovo scontro planetario, nelle montagne del Sudest messicano le e gli zapatisti, che di quarta guerra mondiale parlano da almeno vent’anni, hanno puntato forte sull’organizzazione, affinché di fronte alla “tormenta” in arrivo quelle e quelli in basso e a sinistra possano non essere solo vittime di una carneficina, ma [...]]]> di Perez Gallo

[Una necessaria alunni-telescopiocorrispondenza dal Chiapas, le foto sono di Gianpa L.]

Mentre da Ankara ad Aleppo, da Berlino ad Istambul, il 2016 si è chiuso con il sangue degli attentati e con i preludi di un possibile nuovo scontro planetario, nelle montagne del Sudest messicano le e gli zapatisti, che di quarta guerra mondiale parlano da almeno vent’anni, hanno puntato forte sull’organizzazione, affinché di fronte alla “tormenta” in arrivo quelle e quelli in basso e a sinistra possano non essere solo vittime di una carneficina, ma artefici e protagonisti di un cambiamento possibile. Lo hanno fatto a modo loro: spiazzando. È così che nel giro di dieci giorni, dal 26 di dicembre del 2016 al 4 di gennaio del 2017, hanno messo in piedi, loro indigeni spesso associati in modo stereotipato ai saperi ancestrali, alle antiche credenze religiose e a civiltà ormai defunte, un incontro internazionale sulle scienze dure: fisica, astronomia, medicina, agro-ecologia, cibernetica, ingegneria energetica. Ospiti ben 82 scienziati provenienti dal Messico e altri 10 paesi.

L’evento ha avuto come titolo “L@s Zapatististas y las ConCiencias por la Humanidad”, che gioca sul binomio scienze-coscienze per mettere le scienze al servizio di un altro progetto di mondo, tanto distante dal capitalismo quanto vicino a quella che del capitalismo è la vittima maggiore: l’umanità. E ha avuto un’interruzione tra il 31 di dicembre e il 1 gennaio, giorni in cui ha avuto luogo l’incontro del Congreso Nacional Indigena, organizzazione che include comunità afferenti tutte le 62 nazioni indigene riconosciute in Messico. In discussione la ratifica della proposta fatta sempre in Chiapas lo scorso ottobre di una candidatura indipendente alla presidenza della repubblica per le elezioni del 2018.

Entrambi questi incontri, ConCiencias e congresso del CNI, hanno dato la misura di un momento di grande vivacità e cambiamento nel movimento zapatista, che da qualche anno, dopo un periodo di rafforzamento dell’autogoverno nelle comunità, nei municipi e nelle Giunte del Buon Governo, ha portato avanti alcune iniziative pubbliche eclatanti.

esercitazione-zapatistiQuesta fase è iniziata il 21 dicembre 2012, giorno della fine del mondo secondo il calendario maya, quando 40000 maya incappucciati hanno marciato silenziosamente in alcune città del Chiapas annunciando: “E’ il suono del vostro mondo che crolla, è quello del nostro che risorge”.

Successivamente, tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, tre sessioni dell’Escuelita zapatista hanno aperto le porte delle comunità a 6000 alunne e alunni provenienti da tutto il mondo.

A maggio del 2014, dopo il vile assassinio del maestro zapatista Galeano nel caracol de La Realidad per mano di un gruppo di paramilitari, il subcomandante insurgente Marcos ha cessato di esistere, annunciando di non essere mai stato altro che un ologramma, una figura buona per i media occidentali che di fronte a una sollevazione indigena erano solo capaci di vedere la faccia di un bianco, e ha preso così il nome di subcomandante insurgente Galeano, lasciando la guida dell’EZLN nelle mani dell’altro subcomandante, Moises.

Alla fine dello stesso anno, dopo i tragici fatti di Iguala, gli zapatisti hanno invitato come ospiti d’onore al loro Festival de las Resistencias y Rebeldías contra el Capitalismo le madri e i padri dei 46 giovani “assenti” (3 uccisi e 43 desaparecidos) di Ayotzinapa.

In seguito, prima sono stati chiamati a raccolta gli intellettuali vicini allo zapatismo per la presentazione dei volumi de “Il pensiero critico di fronte all’Idra capitalista”, poi, nell’agosto scorso, è stato organizzato il festival delle arti CompArte, e ora, infine, sono state invitate le scienze e gli scienziati.

galeanoMa a cosa è dovuto questo relativamente nuovo interesse degli zapatisti per le scienze dure? Il SupGaleano lo racconta così: “Alle comunità zapatiste arriva gente di tutti i tipi. La maggioranza viene a dirci quello che dobbiamo fare o no. Arriva gente, per esempio, che ci dice che è bello vivere in case con pavimento di terra e pareti di legno e fango; che è bello camminare scalzi; che tutto questo ci fa bene perché ci mette in contatto con la madre natura e riceviamo così, direttamente, gli effluvi benefici dell’armonia universale… La modernità è cattiva, dicono, e includono in essa le scarpe, il pavimento, le pareti e il tetto moderni e la scienza.”

La proposta portata avanti dagli zapatisti, dunque, è l’idea che la scienza sia solo un altro campo di lotta, un terreno su cui le e gli indigeni ribelli, senza dover abbandonare le pratiche tradizionali, la medicina naturale e gli usi e costumi, hanno diritto di costruire il proprio futuro. E che la scienza sia utile al loro cammino di autonomia. Perché la scienza – sono convinti – può venir incontro alle loro domande della vita quotidiana. Domande come: qual è la spiegazione scientifica, se le medicine chimiche curano una malattia, ma danneggiano altre parti dell’organismo? Secondo quale spiegazione scientifica animali come il gallo cantano o annunciano fenomeni o cambiamenti nella madre natura? Scientificamente gli OGM danneggiano la madre natura e gli esseri umani? E scientificamente la terra ha anticorpi come gli esseri umani? Può avere anticorpi contro il capitalismo?

zapatismo-tecnologiaIn questo originale festival delle scienze, dunque, le lezioni si sono susseguite tutti i giorni, dalle dieci del mattino alle otto di sera, di fronte a cento alunne e cento alunni zapatisti, oltre a svariate centinaia di ospiti messicani e stranieri solidali e aderenti alla Sexta Declaración de la Selva Lacandona. Mentre questi ultimi erano presenti solo in qualità di “ascoltatori”, e non erano quindi autorizzati a fare domande, le e gli alunni zapatisti sono stati i veri destinatari delle lezioni, e hanno ora il difficile compito di socializzare i saperi acquisiti, in primo luogo tra loro e poi, soprattutto, di ritorno alle loro comunità, con le decine di migliaia di uomini, donne, bambini e anziani zapatisti.

Alcune di queste lezioni sono state plenarie, altre più ristrette, alcune molto specifiche e tecniche mentre altre hanno cercato di affrontare le tematiche scientifiche dal punto di vista delle loro premesse o ricadute sociali. E così molti studiosi e professori, anche di università molto celebri messicane e straniere, si sono focalizzati sui dispositivi scientifici nella meritocrazia e nella valutazione accademica, altri hanno ripreso le teorie di Thomas Khun sulla struttura delle rivoluzioni scientifiche, altri ancora hanno provato a tematizzare la presunta neutralità della scienza rispetto ai dispositivi di controllo o di assoggettamento politico.

alunni-concienciasTra i due cicli del ConCiencias, la seconda parte del quinto congresso del CNI ha portato alla ribalta l’agenda politica nazionale dell’EZLN. Nella precedente sessione congressuale di ottobre, infatti, su proposta proprio dell’EZ, il CNI aveva fatto sua l’idea di candidare per le prossime elezioni presidenziali della primavera del 2018 una donna di lingua e sangue indigeni in qualità di portavoce di un Consiglio Indigeno di Governo, i cui membri sarebbero stati scelti tra tutte le nazioni indigene appartenenti al CNI e, secondo le loro consuetudini, sarebbero stati revocabili e sostituibili nel caso non rispettassero il mandato loro assegnato dalle comunità di riferimento. La proposta, che si avvarrebbe della possibilità, aperta per la prima volta proprio da queste elezioni, che alle presidenziali possa presentarsi un candidato indipendente, ossia svincolato da qualsiasi partito politico registrato, era stata approvata dai delegati presenti ad ottobre, ma per essere ratificata doveva passare il vaglio di tutte le comunità afferenti al CNI, in accordo con il principio del “comandare ubbidendo”.esercitazione-zapatisti-2 E così, nel caracol di Oventik, nel primo pomeriggio del primo gennaio 2017 è stato pubblicamente dichiarato da una delegata che tale decisione era stata definitivamente approvata da 43 nazioni del CNI, mentre le restanti 19 non hanno ancora avuto il tempo di discuterla. Già negli ultimi mesi vari comunicati usciti a firma di Moises e Galeano avevano spiegato i motivi della proposta: in tutto il paese i processi di spossessamento delle terre indigene, dell’acqua, delle foreste, il saccheggio delle loro risorse e la violenza dello Stato, dei cartelli della droga e del paramilitarismo hanno spinto molte comunità a una situazione di collasso e a un vero e proprio rischio per la loro sopravvivenza. Allo stesso tempo, la crisi, la militarizzazione del Paese, la proliferazione del nacotraffico e le riforme neoliberali hanno portato la gran maggioranza della società messicana, anche quella meticcia, a un’insicurezza cronica e a un impoverimento generalizzato. Di fronte a tutto questo, era diventato necessario contrattaccare, come lo era stato per gli zapatisti il prendere le armi l’1 gennaio 1994.

cni-2Così lo ha spiegato Moises nella seduta plenaria a Oventik, facendo proprio un parallelismo con quella giornata: “Ora le condizioni del popolo messicano nelle campagne e nelle città sono peggiori di 23 anni fa. La povertà, l’esasperazione, la morte, la distruzione, non sono solo per chi ha abitato originariamente queste terre. Ora la disgrazia raggiunge tutte e tutti. La crisi colpisce anche chi si credeva in salvo e pensava che l’incubo era solo per chi vive e muore in basso. I governi vanno e vengono, di diversi colori e bandiere, e l’unica cosa che fanno è peggiorare le cose. Con le loro politiche, l’unica cosa che fanno è che la miseria, la distruzione e la morte arrivino a più persone. Ora le nostre sorelle e fratelli delle organizzazioni, quartieri, nazioni, tribù e popoli originari, organizzati nel Congreso Nacional Indígena, hanno deciso di gridare il loro ya basta.”

Una mossa disperata, dunque, e che ammette esplicitamente di non farsi illusioni sulle possibilità di vittoria in un sistema antidemocratico come quello messicano, ma che avrà senz’altro il beneficio dell’effetto sorpresa, e che proverà a coinvolgere i diversi settori in lotta nella società messicana e a fare tesoro delle ondate di mobilitazione che si sono susseguite durante gli ultimi anni: dal movimento per la pace con giustizia e dignità contro la narcoguerra di Calderón al movimento #YoSoy132 contro il monopolio televisivo e le elezioni defraudate, dalla gigantesca indignazione scaturita dal massacro dei giovani di Ayotzinapa (rappresentanti dei padres di Ayotzinapa erano presenti anche questa volta come ospiti d’onore nel caracol di Oventik) agli scioperi e blocchi stradali messi in atto da molte comunità di Chiapas e Oaxaca l’estate scorsa contro la riforma educativa promossa da Peña Nieto e repressi col sangue dal governo.

cniUna mossa disperata, come disperata era stata l’insurrezione del 1994, avvenuta in un periodo storico che non poteva essere più sfavorevole, con il crollo dei socialismi reali e l’imposizione del pensiero unico neo-liberista. E forse per dimostrare come per gli zapatisti non c’è un unico modo di lottare e di difendersi, e che il cambio di strategia non è un cambio di natura del loro progetto politico, la giornata del primo di gennaio si è conclusa con un’esercitazione militare, che centinaia di insurgentas e insurgentes hanno svolto sotto gli occhi incuriositi dei migliaia di presenti.

Intanto, il progetto di distruzione portato avanti dallo stato messicano continua: mentre la riforma educativa è stata temporaneamente rimandata proprio grazie alla determinazioni dei maestri riuniti nella CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores Educación), proprio all’inizio dell’anno è entrata definitivamente in vigore la privatizzazione del sistema energetico, portando a un immediato aumento del 20 per cento del prezzo della benzina. E così in questi giorni si sono diffusi in tutto il paese blocchi stradali, occupazioni delle stazioni di servizio con esproprio di benzina data in regalo ai veicoli, e distruzione dei caselli autostradali. A dieci giorni dall’investitura di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, la società messicana inizia questo 2017 in maniera combattiva. Mentre EZLN e CNI lanciano per fine maggio, in luogo ancora da stabilirsi, un’assemblea costituente, con il compito di formare il consiglio indigeno destinato al governo del Paese.

]]>
Ayotzinapa due anni dopo: più di 43 motivi per continuare la lotta #Ayotzinapa243 https://www.carmillaonline.com/2016/09/27/ayotzinapa-due-anni-piu-43-motivi-continuare-la-lotta-ayotzinapa243/ Tue, 27 Sep 2016 15:00:28 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=33645 di Perez Gallo e Nino Buenaventura (da Città del Messico)

nos-faltan“Ayotzinapa non è un fatto isolato, è la viva immagine della repressione di Stato!”. È all’insegna di queste parole che si è commemorato, oggi 26 settembre, il secondo anniversario dei tragici fatti di Iguala, quando nella cittadina dello stato messicano del Guerrero, un gruppo di studenti “normalisti” (magistrali) appartenenti alla scuola rurale di Ayotzinapa – un’istituzione scolastica ereditata dalla Rivoluzione in cui gli alunni studiano per diventare maestri nelle comunità contadine e da cui uscirono figure guerrigliere rivoluzionarie come Lucio Cabañas e [...]]]> di Perez Gallo e Nino Buenaventura (da Città del Messico)

nos-faltan“Ayotzinapa non è un fatto isolato, è la viva immagine della repressione di Stato!”. È all’insegna di queste parole che si è commemorato, oggi 26 settembre, il secondo anniversario dei tragici fatti di Iguala, quando nella cittadina dello stato messicano del Guerrero, un gruppo di studenti “normalisti” (magistrali) appartenenti alla scuola rurale di Ayotzinapa – un’istituzione scolastica ereditata dalla Rivoluzione in cui gli alunni studiano per diventare maestri nelle comunità contadine e da cui uscirono figure guerrigliere rivoluzionarie come Lucio Cabañas e Génaro Vázquez – furono brutalmente attaccati dalla polizia messicana. Tre di loro, insieme ad altre tre persone che si trovavano sul luogo, incluso un quattordicenne calciatore di una squadra locale, rimasero sul terreno, uccisi da proiettili al volto. Al termine di quella notte altri 43 giovani non furono più ritrovati, e ancora oggi rimangono nell’immaginario collettivo come l’emblema di un fenomeno brutale e terribilmente comune nel Messico odierno: quello delle “sparizioni forzate”. Dal 2006, anno di entrata al potere dell’ex presidente Felipe Calderón, che iniziò la cosiddetta “narcoguerra”, ad oggi, quando ci avviciniamo alla fine del mandato del suo successore Enrique Peña Nieto, si stima che i desaparecidos nel paese ammontino a più di trentamila, anche se i numeri reali del fenomeno sono probabilmente molto maggiori, essendo la stragrande maggioranza di essi migranti centroamericani finiti nel buco nero del lavoro schiavistico per i cartelli della droga e le cui sparizioni non sono mai state registrate dalle statistiche governative.

ayotzi-2016Fenomeni, quelli delle desapariciones forzadas, che al pari delle centinaia di migliaia di omicidi, femminicidi, episodi di esproprio di terre di popolazioni indigene, e di iper-sfruttamento nelle maquiladoras (fabbriche frontaliere a capitale occidentale e manodopera a bassissimo costo tenuta docile dalla minaccia del narcotraffico) rappresentano la cifra di un Messico, e un’America Latina, socialmente dilaniato. Fenomeni per i quali, parlare di impunità suona quasi eufemistico. Il caso di Ayotzinapa, ancora una volta, ne è il simbolo drammatico, nonostante questo avvenimento, a differenza di molti altri, è riuscito nel corso degli ultimi due anni ad acquisire una rilevanza mediatica senza precedenti. Le roboanti proteste che paralizzarono il paese per gli ultimi mesi del 2014, e che nel corso del 2015 portarono la causa di Ayotzinapa in America Latina, Europa e Stati Uniti grazie a una serie di carovane organizzate dai famigliari degli studenti scomparsi e appoggiate da organizzazioni sociali di tutto il mondo, costrinsero infatti in un primo momento il governo messicano ad accettare la proposta che a condurre le contro indagini fossero gruppi di esperti internazionali e di periti forensi argentini.

img-20160927-wa0037
Questi ultimi, tristemente esperti in tema di desaparecidos proprio a causa della sanguinosa storia della dittatura argentina, hanno smascherato una per una le versioni che lo Stato ha cercato di portare avanti, tese a chiudere il caso sancendo la morte dei normalisti e addebitandola ora a un cartello della droga locale, i Guerreros Unidos, ora a male marce nei corpi di polizia locale del Guerrero. Tuttavia, i ripetuti tentativi di insabbiare le prove e la negazione da parte del governo alle richieste di svolgere indagini all’interno dell’esercito, la cui presenza la notte di Iguala è ormai accertata, non hanno fatto che esasperare ulteriormente la società messicana, mentre gli stessi periti, divenuti ormai scomodi, sono stati licenziati nel marzo di quest’anno.

È così che oggi, in occasione della grande manifestazione che ha attraversato Città del Messico, le richieste di “apparizione in vita” degli studenti e l’impegno ad andare avanti nella loro ricerca “fino a incontrarli”, assume un sapore di totale distacco, avversità e opposizione a uno Stato, a un
sistema politico e giudiziario marcio e corrotto. E non potrebbe essere altrimenti, è infatti di questa settimana la notizia che Luís Fernando Sotelo, giovane ricercatore universitario aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, è stato condannato a 33 anni di carcere per fatti relativi a una manifestazione successiva al massacro di Iguala.

La macchia di sangue aperta ad Ayotzinapa ha così continuato ad allargarsi a dismisura nel corso di questi ultimi due anni. Lo ha fatto attraverso un pacchetto di riforme di sistema marcatamente nimg-20160927-wa0025eoliberali che porteranno alla progressiva privatizzazione dell’industria petrolifera nazionale (PEMEX), da ulteriori attacchi speculativi nei confronti dei territori e dall’implementazione di una riforma educativa che presenta numerose affinità con la “buona scuola” renziana e il cui unico vero scopo è la privatizzazione del sistema scolastico e il controllo della categoria degli insegnanti. La parte combattiva dei docenti delle scuole primarie e secondarie pubbliche, organizzata nella corrente sindacale CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educación), con l’appoggio solidale e militante delle comunità del Sud, hanno bloccato il Paese per tutta l’estate, occupando alcune autostrade e le piazze di alcune città e portando avanti uno sciopero ad oltranza che ha impedito la riapertura di molte scuole. La tenacia e la forza del movimento ha costretto lo Stato a reazioni violentissime, durante una delle quali, a Nochixtlán nello stato di Oaxaca, sono state assassinate dodici persone. Tuttora non vi sono colpevoli per la strage.

È in questo clima che si è aperta, con la giornata di oggi, la “settimana della memoria”, che si concluderà con il corteo del ottobre, giorno in cui si ricorda il massacro di piazza Tlatelolco, quando nel 1968 il governo diede ordine di sparare sulla folla uccidendo oltre 300 manifestanti. L’enorme corteo che oggi ha attraversato le vie della capitale, insieme alle iniziative realizzate in oltre 100 città del Messico e del mondo nell’ambito della Giornata Mondiale per Ayotzinapa-24 mesi (#Ayotzinapa243), ha dunque riportato in piazza la rabbia e l’indignazione non solo per la tragica notte di Iguala e per i 43 studenti di Ayotzinapa, ma anche per tutti quei desaparecidos senza nome e tutti i massacri di Stato rimasti impuniti, gridando a gran voce che in Messico ci sono più di 43 motivi per continuare a lottare. [Ultime due foto del collettivo “Documentación de Marchas”]

Connessioni

43 poeti per Ayotzinapa e aggiornamenti – Qui Link

Iniziative per i 24 mesi dalla desaparición dei 43 studenti: hashtag #Ayotzinapa243 #AyotzinapaDosAños

Speciale Ayotzinapa dos años: Desinformémonos

Notte di Iguala video e documenti, timeline: link 1   Link 2

]]>
¡Ayotzinapa somos todos! Prologo e poesie del libro 43 poeti per Ayotzinapa https://www.carmillaonline.com/2016/09/27/ayotzinapa-somos-todos-prologo-e-poesie-del-libro-43-poeti-per-ayotzinapa/ Mon, 26 Sep 2016 22:00:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=33599 di Fabrizio Lorusso

43-poeti-per-ayotzinapa-copertina[A due anni dalla “notte di Iguala”, nello stato messicano del Guerrero, e dalla sparizione forzata di 43 studenti della Scuola Normale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa pubblichiamo il prologo al libro 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos, AA.VV. (traduzione all’italiano di Lucia Cupertino), Ed. Arcoiris, 2016, p. 216, 12 €]

Nella notte tra il 26 e 27 settembre 2014 quarantatré studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nel meridionale stato messicano del Guerrero, furono sequestrati dalla [...]]]> di Fabrizio Lorusso

43-poeti-per-ayotzinapa-copertina[A due anni dalla “notte di Iguala”, nello stato messicano del Guerrero, e dalla sparizione forzata di 43 studenti della Scuola Normale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa pubblichiamo il prologo al libro 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos, AA.VV. (traduzione all’italiano di Lucia Cupertino), Ed. Arcoiris, 2016, p. 216, 12 €]

Nella notte tra il 26 e 27 settembre 2014 quarantatré studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nel meridionale stato messicano del Guerrero, furono sequestrati dalla polizia locale dei comuni di Iguala e Cocula e consegnati a un gruppo di presunti narcotrafficanti dell’organizzazione dei Guerreros Unidos. Da allora i giovani risultano desaparecidos e gli inquirenti non hanno saputo offrire versioni plausibili sull’accaduto. In questi mesi l’azione di esperti autonomi, degli attivisti e di alcuni giornalisti, spesso osteggiati dalla Procura, dal Governo e dai mass media allineati, ha permesso all’opinione pubblica e ai genitori dei ragazzi di ottenere dati preziosi che hanno sconfessato la cosiddetta “verità storica” sul caso, offerta dall’ex procuratore generale Jesús Murillo Karam nel gennaio 2015 e basata su testimonianze di presunti delinquenti estorte con la tortura. Secondo la Procura i ragazzi sarebbero stati rapiti e poi bruciati dai narcotrafficanti per oltre quindici ore nella discarica di Cocula e i loro resti sarebbero stati gettati nel vicino fiume San Juán. L’opera di controinformazione e di ricerca indipendente, in particolare le indagini dell’EAAF (Équipe Argentina d’Antropologia Forense) e del GIEI (Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti della Commissione Interamericana dei Diritti Umani), ha smentito parti sostanziali di questa narrazione e ha mostrato le numerose contraddizioni e la malafede delle autorità nell’investigazione del caso. Sono state messe in evidenza la presenza e le responsabilità dell’esercito e della polizia federale nell’accaduto.

Invece la versione governativa, sorretta da campagne mediatiche che discreditano i ragazzi, i loro cari e la società che chiedeva giustizia e verità, pretendeva di ridurre l’accaduto a un episodio “locale”, limitato solo a pochi poliziotti e politici corrotti. Al contrario gli apparati pubblici coinvolti a vario titolo sono diversi e la notte del 26 settembre s’è svolta una vera operazione repressiva complessa e articolata di persecuzione contro un gruppo di studenti inermi. È stata anche rivelata la presenza di un autobus, tra quelli che i ragazzi avevano occupato e sottratto ai conducenti, che probabilmente era carico di eroina. Un attacco così spietato e prolungato, conclusosi con la cattura dei 43 e con la loro sparizione, potrebbe essere stato motivato dal timore di perdere il prezioso carico, la cui presenza ignoravano i normalisti. Iguala è uno degli hub del cosiddetto pentagono dell’oppio dello stato del Guerrero, una regione tra le prime al mondo per le coltivazioni di amapola o adormidera, cioè di papavero da oppio. Il cartello di Sinaloa, capeggiato da Ismael “El Mayo” Zambada e Joaquín “El Chapo” Guzmán, che attualmente è incarcerato in un penitenziario di Ciudad Juárez, sta infatti spingendo nel mercato statunitense l’eroina color caffè e la bianca, sostituendo la tradizionale di color marrone scuro. I messicani stanno facendo concorrenza direttamente agli importatori asiatici di eroina bianca, molto apprezzata sulla costa est, e, in questo contesto, Guerrero e il Triangolo d’Oro, un’area appartenente agli stati del Durango, del Sinaloa e del Sonora, sono territori strategici. Gli esperti internazionali del GIEI hanno investigato sul caso per un anno.

Il 30 aprile 2016 è scaduto il loro mandato e il governo del presidente Enrique Peña Nieto ha deciso di non rinnovarlo. La loro presenza è diventata scomoda perché con le loro scoperte hanno sostenuto la lotta dei genitori degli studenti e dei movimenti sociali nazionali e globali, denunciando le omissioni e le responsabilità dello Stato messicano in quello che si può configurare come un delitto imprescrivibile di lesa umanità. “Vivos se los llevaron y vivos los queremos” (“Vivi li hanno portati via e vivi li rivogliamo”), continuano a gridare il 26 di ogni mese i familiari delle migliaia di vittime di desaparición, i genitori di Ayotzinapa, i collettivi e i cittadini solidali nelle piazze del Messico. Chiedono giustizia e verità. A quasi due anni dalla “notte di Iguala” è chiaro che il caso dei normalisti di Ayotzinapa rappresenta solo la punta di un iceberg. Nell’ultimo decennio regioni come Guerrero, Veracruz, Tamaulipas, Chihuahua, Nuevo León, Coahuila, Estado de México e Michoacán, solo per citare alcuni esempi emblematici, si sono trasformate in immense fosse comuni, depositi clandestini di ossa e cadaveri di persone che non verranno mai identificate a causa dell’inerzia delle istituzioni. Non a caso queste zone corrispondono a snodi in disputa tra varie organizzazioni criminali, a punti di passaggio strategici dei traffici di droghe, armi e persone, a focolai di resistenza popolare o a territori ricchi di biodiversità e risorse naturali il cui sfruttamento è ambito da imprese multinazionali.

Quando una persona è sequestrata e viene “fatta sparire”, sono i suoi familiari che devono provvedere da soli alle ricerche, osteggiati da autorità indolenti, se non proprio conniventi con i perpetratori del crimine. Solo da alcuni anni, in particolare dopo la nascita del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità del poeta Javier Sicilia nel 2011, le vittime del conflitto interno messicano, della militarizzazione della sicurezza e della cosiddetta “guerra alle droghe”, che in realtà è una guerra alla società stessa, sono riuscite faticosamente a ritagliarsi uno spazio nel dibattito pubblico, a rendere visibile la tragedia nazionale della violenza e a organizzarsi efficacemente per smorzare dolori e solitudini, incontrarsi, fare comunità e lottare insieme per la verità. Grazie ai loro sforzi è stata approvata una “Legge delle Vittime”** che, all’atto pratico, non ha funzionato per mancanza di fondi, coordinamento e volontà politica per cui è ancora in corso una battaglia per riformarla e renderla operativa. Le istituzioni che ha creato sono solo l’immagine sbiadita di quello che prevede il suo testo e che la società civile esige. Un’altra legge importantissima, quella sulle sparizioni forzate, è ancora in discussione e gli sforzi della società civile organizzata si concentrano dunque su quest’iniziativa. Ciononostante anch’essa rischia di venire sterilizzata da veti e postille che, insieme alle croniche limitazioni del budget, puntano a limitare le responsabilità degli apparati dello Stato nelle desapariciones.

ayotzinapa-1[Tramonto domenicale semidesertico. Mi trovo nel zocalo, la piazza centrale, della città di León, nello stato del Guanajuato e osservo i cartelli e i poster disposti per terra da uno sparuto gruppo di attivisti. Una madre tiene per mano la sua bambina, che avrà dieci anni, e s’avvicina all’immagine in primo piano di Jhosivani Guerrero de la Cruz, studente desaparecido di Ayotzinapa. Suggestionata, forse spaventata, dalla sequenza grafica dei ragazzi davanti ai suoi occhi, la bimba chiede a sua madre: “Mamma, ma perché lì dice che sono desaparecidos, cos’hanno fatto?”. “Li han fatti sparire perché facevano i rivoluzionari”, è stata la risposta. Secca, cinica, magari preoccupata di non saper spiegare una realtà terribile alla sua figlioletta, o semplicemente male informata e pregiudiziosa, la signora con le sue parole è uno spaccato della società, almeno di quei settori disinformati e negazionisti che ne formano il nocciolo duro, specialmente fuori dai grandi centri urbani. Sono tantissime le persone che ancora oggi, per esempio, negano o minimizzano la realtà delle sparizioni forzate, non riconoscono il ruolo della forza pubblica in questi crimini, ignorano le cifre ufficiali e sono convinte che a loro non potrà mai succedere una cosa del genere e che le vittime siano sempre legate al mondo del crimine. “Se sono desaparecidos, avranno qualcosa a che fare coi narcos, se non ti metti nei guai, qui non ti capita niente”, sostengono…].

La sparizione forzata di persone in Messico, come in molti altri Paesi dell’America Latina, è una pratica che risale per lo meno agli anni sessanta e settanta del secolo scorso. La guerra sucia, o guerra sporca, condotta da alcuni apparati dello Stato, specialmente dalle forze armate, si rivolgeva contro i militanti dei movimenti popolari e d’insurrezione armata, oltreché contro la popolazione comune, che rivendicavano una maggiore giustizia sociale e una democratizzazione del sistema. Così l’assassinio politico, la desaparición, la tortura, il genocidio e l’annichilamento delle comunità hanno configurato una strategia repressiva ben definita. Guerrero, stato dalle profonde radici contadine e indigene e dalle enormi disuguaglianze sociali, ha prodotto numerosi movimenti guerriglieri e nelle sue montagne ci sono le forze armate che storicamente hanno gestito la controinsurrezione.

Il maestro rurale Lucio Cabañas, fondatore del gruppo armato Partido de los Pobres (Partito dei Poveri), venne ucciso nel 1974 in uno scontro coi militari e divenne una figura d’ispirazione per le lotte contadine e sociali. Aveva studiato proprio nella scuola di Ayotzinapa. Tanti suoi compagni non morirono sul campo di battaglia, ma furono sequestrati e non si seppe più nulla di loro. Sono tuttora desaparecidos. La sparizione forzata non significa la morte, ma nemmeno la vita. Significa sospensione, un limbo della memoria e della disperazione, dell’oblio e della ricerca. Vuol dire paura, strategia del terrore, distruzione del tessuto sociale. E questo male assoluto non può far altro che servire agli interessi di un meccanismo perverso e complesso, a volte criptico e altre chiaro, ma comunque potente, cinico ed efficace. Il potere dell’oppressione e dell’economia depredatrice, la riproduzione dello status quo, la spoliazione dei territori e delle culture, il monopolio politico dell’élite e l’ideologia della guerra, sia essa “fredda” o “calda”, “guerreggiata” o di “bassa intensità”, ne oliano gli ingranaggi. Dopo la caduta del muro di Berlino, con la presunta e declamata fine delle ideologie e della storia, la guerra sporca s’è riconvertita e modernizzata nel contesto della globalizzazione e di un conflitto interno messicano sempre più complesso e sanguinario.

La narcoguerra o guerra alle droghe e al narcotraffico ha sostituito la lotta contro il “pericolo rosso” e rappresenta un asse di legittimazione per politiche pubbliche, retoriche governative e campagne elettorali dal trasfondo bellicista. Ma i risultati, al di là dei falsi successi millantati di volta in volta dal presidente di turno, sono sempre gli stessi: carriere armamentiste, violenza, corruzione, crescita e sofisticazione del business degli stupefacenti e di altre attività criminali “collaterali”, impunità e controllo autoritario delle domande sociali. Nel frattempo le droghe e i narcocapitali inondano i mercati dei Paesi consumatori mentre le decine di migliaia di morti e le briciole della catena del valore del narcotraffico restano a Sud. Nel solo Messico le vittime della narcoguerra sono oltre 150.000 in un decennio e qualunque tipo di droga, naturale o sintetica, costa meno di prima. Col tempo il fenomeno della desaparición ha assunto proporzioni catastrofiche. Negli ultimi dieci anni il numero dei desaparecidos nel Paese ha superato quota ventottomila e oggi la desaparición forzada risponde a una molteplicità di fattori, al di là di quelli tradizionali di tipo politico. Le persone sono sequestrate e “fatte sparire” anche solo perché si trovano nel posto e nel momento sbagliato oppure perché difendono la loro terra e organizzano la popolazione. O perché transitano in una zona che è in mano alla criminalità organizzata e la polizia collabora o è al soldo di questa.

Ci sono ipotesi che provano a inquadrare la sparizione forzata come strategia di spopolamento delle regioni ad alta densità di risorse naturali o sostengono l’esistenza di un reclutamento coatto di manovalanza criminale da parte dei cartelli della droga che, per esempio, hanno bisogno di figure specializzate come i tecnici informatici e delle telecomunicazioni. Ad ogni modo in tutti questi casi si parla di desaparecidos in quanto c’è una partecipazione diretta o un’omissione di azioni preventive e di tutela da parte dello Stato che diventa quindi artefice o complice di questo crimine ignobile. Il tasso d’impunità dei delitti in Messico s’aggira intorno al 97% e la corruzione è endemica a tutti i livelli. La narco-politica caratterizza e definisce l’incipiente democrazia messicana nel secolo XXI. In questo contesto è triste ma realista affermare che l’escalation della violenza e delle sparizioni forzate avviene semplicemente perché è possibile che avvenga. Cioè la possibilità di delinquere e, semplicemente, farla franca perché mai si verrà catturati o condannati, o perché in ogni caso è possibile corrompere le autorità, rappresenta la norma, anche in caso di reati gravissimi. La protezione garantita da alcuni funzionari pubblici a certe organizzazioni criminali o il loro diretto coinvolgimento nei business illeciti è la cartina al tornasole di questo patto d’impunità. Oggi, come quarant’anni fa, Guerrero, in particolar modo la zona della tierra caliente, che è il cuore delle coltivazioni illegali, soffre un’endemica crisi umanitaria ed economica. La sua città principale, Acapulco, è stata negli ultimi anni la capitale mondiale dell’omicidio, con tassi di violenza altissimi. Si tratta di uno degli stati più poveri del Messico, sempre agli ultimi posti delle classifiche relative agli indici di povertà, disuguaglianza socioeconomica e sviluppo umano. In questo contesto le mattanze, i crimini e persecuzioni della notte di Iguala possono ripetersi con logiche e risultati simili, come in effetti è successo, e non solo nel Guerrero.

otros-igualaA Iguala, pochi giorni dopo il 26 settembre 2014, è nato il Comitato di Ricerca de Gli Altri Desaparecidos (Los Otros Desaparecidos), attivo ancora oggi. A partire proprio dalle ricerche degli studenti desaparecidos nelle colline tutt’intorno alla città, s’è creato un movimento di familiari che dapprima ha cominciato a riunirsi, poi ad aiutare concretamente la UPOEG (Unione dei Popoli Organizzati dello Stato del Guerrero), che aveva organizzato delle squadre per trovare i giovani ancora in vita, e infine a formare le proprie brigate per disseppellire le centinaia di corpi e di resti rinvenuti mano a mano nei dintorni. Non si trattava più esclusivamente di cercare i 43, dato che il problema era molto più grave: l’intera zona era disseminata di fosse clandestine e ossa umane. I 43 non sono stati ancora stati ritrovati, e nemmeno i loro resti, salvo quelli di uno di loro, Alexander Mora Venancio, identificato con l’esame del DNA. Ma grazie al rischioso ed estenuante lavoro dei Los Otros Desaparecidos tante famiglie di Iguala hanno ottenuto risposte circa il destino dei loro cari scomparsi. Risposte che in tanti anni nessuno, né gli inquirenti né le istituzioni, aveva voluto o potuto dare. Perché offrire spiegazioni sul caso di un desaparecido potrebbe significare la assunzione di responsabilità enormi, per cui lo Stato dovrebbe ammettere d’essere coinvolto, d’essere parte in causa, e processare se stesso in qualche modo. In altri casi, invece, la procurazione di giustizia e le polizie, le agenzie per le indagini e i pubblici ministeri sono inerti, disfunzionali o privi di risorse e tecnologie. Avere un caso di desaparición in famiglia implica portare una croce, sopportare uno stigma sociale, affrontare l’isolamento e addirittura minacce, insomma vuol dire essere vittima due, tre, quattro volte.

La scelta alternativa, altrettanto amara, è far finta di dimenticare, smettere di cercare, rassegnarsi e provare a condurre di nuovo una vita “normale”. Il progetto collettivo e itinerante Orme della Memoria (Huellas de la Memoria), ideato dall’attivista e scultore Alfredo López Casanova, punta esattamente al contrario: registrare i passi dei familiari dei desaparecidos che hanno camminato per anni di comunità in comunità attraverso una stampa delle suole delle loro scarpe, che hanno incise frasi in rilievo dedicate ai cari scomparsi. La stampa su carta dei dati dei desaparecidos e delle espressioni d’affetto dei loro familiari viene realizzata con inchiostro color verde-speranza. Ma alcune incisioni sono di colore rosso, quando i resti della persona scomparsa sono stati rinvenuti e identificati, o nero, quando chi la stava cercando muore durante le ricerche o per malattie contratte durante anni di dolore e spostamenti.

Ciclicamente le cronache dei quotidiani europei riportano i nomi di villaggi e comunità messicane, spesso difficili da pronunciare o anche solo da memorizzare, dove sono avvenute terribili stragi, esecuzioni extragiudiziarie, violazioni di massa ai diritti umani, 15 sparatorie, repressioni della protesta sociale, abusi delle forze di polizia e dei militari, oppure regolamenti di conti, occupazioni, spoliazioni e sequestri da parte della criminalità organizzata. Ayotzinapa, Tlatlaya, Apatzingán, Acteal, Aguas Blancas, Tetelcingo, Temixco, Iguala, Tepalcatepec, San Fernando, Pasta de Conchos, Atenco, Oaxaca, San Juan Copala, La Realidad, Topo Chico, Pajaritos, Wirikuta: sono solo alcune località tristemente note in terra azteca, probabilmente meno in Italia. I luoghi si dimenticano e sono pochi i media che dedicano uno spazio alla riflessione su un problema grave e strutturale: la provenienza delle armi in possesso dell’esercito e delle narcomafie in Messico. Queste arrivano in gran parte dagli Stati Uniti e dall’Europa, cioè dalle regioni che più ricevono e riciclano i narco-capitali e che più consumano le droghe prodotte, o in transito, nei Paesi latinoamericani. Grazie agli esborsi dell’erario pubblico messicano e al contrabbando gli stati più conflittuali e socialmente diseguali, come Guerrero e Chiapas, sono invasi da armi di alto calibro che servono a uccidere e a far sparire migliaia persone, senza tregua e calcolatamente, come nel caso dei 43 studenti.

proceso-1989-la-verdadera-noche-de-iguala-1-638I fucili tedeschi G36 della Heckler & Koch, azienda leader mondiale nella produzione di armi da fuoco, sono passati facilmente dalle mani delle polizie del Guerrero a quelle dei cartelli della droga locali, malgrado esista un divieto legale di esportare armamenti negli stati in cui si violano i diritti umani. Anche per questo, sebbene siano concentrate nel Sud del mondo, le mattanze, come quella di Iguala, e le vittime dell’ipocrita narcoguerra, iniziata dall’ex presidente americano Richard Nixon e portata avanti dai vassalli di Washington in America Latina, come il colombiano Álvaro Uribe e i messicani Felipe Calderón e Enrique Peña Nieto, ci riguardano da vicino, direttamente, senza scuse. La società tedesca, e anche una parte del mondo politico, ha mostrato il suo sdegno per la situazione e ha dato alcuni segnali, per lo meno a livello diplomatico, economico e nelle piazze.

Peña Nieto viene dichiarato persona non grata da collettivi e importanti associazioni, ma non dai governi e dall’Unione Europea, che indugia, ammaliata 16 dalle promesse dell’apertura del settore energetico messicano. E il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi, dal canto suo, ostenta vergognosamente una reverenza e una spregiudicata vicinanza con “l’amico Enrique” ad ogni incontro ufficiale, senza mai menzionare la grave crisi ed il conflitto in corso in Messico. A livello mondiale le iniziative, dentro e fuori dalle Giornate Globali per Ayotzinapa realizzate nel 2014 e 2015, sono state tante che è impossibile ricordarle tutte. Il libro 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos, nell’ottima traduzione in italiano di Lucia Cupertino, ha accompagnato in Messico, e di certo lo farà in Italia, l’ondata di protesta, rabbia, soli-darietà e unione che ha coinvolto migliaia di militanti, specialmente negli ultimi due anni, dopo Ayotzinapa. È grazie ai progetti culturali, ai romanzi, alle cronache, ai documentari, ai flash mob, ai dipinti, alla street art, alle opere teatrali e, senza dubbio, è grazie a queste poesie, composte da poeti messicani, spagnoli e sudamericani, che i riflettori non verranno spenti e che possiamo dire “Ayotzinapa somos todos”. Ayotzinapa siamo tutti affinché la memoria sia collettiva e così sopravviva, si rinnovi e fruttifichi.

“43 poeti per scacciare la morte, per dar sfogo a una indignazione vitale. La poesia come una affermazione, sono qui, sono con te, sono per tutti. Dove tutti significa molte persone, tutte le vive, tutte le sparite, tutte le torturate, tutte le assassinate di questo Messico contemporaneo, immerso in una guerra contro i poveri, contro chi si sente sicuro di fare il proprio dovere, contro chi vuole essere libero. Molte di più dei 43 studenti desaparecidos dall’esercito, la polizia e i narcotrafficanti ad Iguala la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014. Però quei 43 ragazzi risvegliano la poesia: sono stati trasformati dal desiderio popolare di mettere fine alla violenza di stato e della delinquenza (nessuno sa dove finisce una e comincia l’altra) in semi di speranza”. (dalla postfazione di Francesca Gargallo)

Nota.

**In spagnolo Ley General de Víctimas. È la norma approvata nel 2013 come risultato di una grande mobilitazione sociale contro la narcoguerra e la violenza, iniziata nell’aprile di due anni prima, e di un parallelo processo legislativo durante i mandati presidenziali di Felipe Calderón, fino al novembre 2012, e di Enrique Peña Nieto, nei due mesi successivi. La Legge, sulla carta, prevede l’identificazione delle tipologie di vittime e i loro diritti, la creazione di istituzioni specifiche di supervisione, vigilanza e implementazione dei programmi in favore delle vittime della violenza, fonda l’anagrafe nazionale delle vittime e prevede un fondo di aiuto e riparazione del danno.

Iniziative per i 24 mesi dalla desaparición dei 43 studenti: hashtag #Ayotzinapa243

Speciale Ayotzinapa dos años: Desinformémonos

Notte di Iguala video e documenti, timeline: link 1   Link 2

Articolo 26-27 settembre da Città del Messico link


Tre poesie dal libro

Briceida Cuevas Cob _____________ Maya, Messico

MESE XUUL (DAL 24 OTTOBRE AL 12 NOVEMBRE)

I

Questa volta il lumino dell’attesa si consuma dinnanzi al dubbio.

Questa volta i tuoi antichi defunti sono giunti e non c’eri in casa.

Eri alla ricerca dei vivi tra i morti.

(Vennero a cercarti e ti trovarono col tuo altare ambulante

ad issare volti reiterati di giovani amati).

Da allora

alla marcia per la giustizia e il ripudio

si sono unite le anime degli altri morti.

E non se ne andranno fino a quando non li troveranno vivi.

II

In questo mese di convivenza coi morti,

il forno in terra cruda per cuocere grandi tamales*

ti ricorda

che la morte giunge

dai quattro punti cardinali.

Ma l’odore della morte che ti circonda non viene da quelle parti.

Ha cancellato la sua traccia.

III

A lungo ti domandi:

“Se all’ottava del giorno dei morti tornano gli impiccati,

quando verranno i vivi incinerati?” Neghi a te stessa quest’idea

E intraprendi la ricerca

in valli, fiumi, guazzi, montagne, fosse clandestine

con una piccola luce che si è moltiplicata attraverso le voci d’altri:

“Vivi li hanno portati via,

vivi li rivogliamo”

IV

Le foglie del fior di morto**

non bastano a curare la ferita

quando profonda è la radice del dolore.

Lo sai perché sono trascorsi più di 43 giorni.

E ogni giorno che passa scava una palata di angoscia nella fossa

aperta del tuo cuore.

Preghi.

Mentre sopporti le burle del potere

sfogli il fior di morto;

Interroghi ogni petalo marcito:

Vivono…? Non vivono…?

E a ogni domanda senza risposta si sfoglia la tua anima.

Il fiore che si porge ai defunti durante la Festa dei Morti

 

*Piatto tipico amerindio costituito da massa di mais ripiena di carne e verdure, che viene avvolta in foglie di banana, mais e simili per poi essere cotta (NdT).

**(nome scientifico: Tagetes erecta, anche detto in nahuatl Cempohualxochitl, Venti fiori). In diverse zone del Messico la pianta è inoltre usata come rimedio medicinale in varie situazioni di malessere, includendo alcune considerate culturali, come paura e spavento (NdT).


Juan Campoy _____________ Spagna

AYOTZINAPA

Erano il miglior raccolto del Paese,

una generazione di pensatori liberi,

la speranza di un popolo.

Ma il potere appesta

e va marcendo

fino a servire d’adorno

negli uffici.

Tutto ciò che poteva essere orizzonte,

un cielo libero fecondato di vita,

non era nient’altro che una pagina

archiviata in uno scantinato buio.

43 voci con faccia e nome

disposti ad essere concime nel campo,

viveri sul tavolo dei poveri,

vaccino miracoloso

contro la febbre nera del lebbroso,

43 poesie

contro la longitudine vertiginosa

di una sferza o di una sciabola.

Erano il miglior raccolto del Paese,

però hanno lasciato solo equazioni

irrisolte,

verbi e aggettivi contro l’inverno0

e il suo bacio mortale,

così riga

dopo riga hanno scagliato metafore

contro l’iniquità

insopportabile dei genocidi.

Forse li colsero distratti,

o forse avevano troppa fiducia

nei pilastri basilari della loro fede.

Spaccati in pronomi,

il campo è rimasto seminato di ossa.


Patricia Olascoaga _____________ Uruguay

La morte ci sorprende ad ogni semina

con le braccia aperte all’aria.

Quarantatré sono state

le bocche a gridare la denuncia e l’utopia,

fors’è per questo,

le labbra aperte nei baci

giovani bocche ancora senza crepe d’odio,

sogni nuovi.

Fors’è per questo.

Quarantatré sono stati

i corpi a camminare lungo una strada in discesa,

quarantatré e non sono tornati.

La morte ci sorprende ad ogni semina

senza un luogo dove piangere i morti.

Assalto a mano alzata, zampata feroce:

non gli è bastato rubare la vita di quei corpi

incenerire i volti ormai inespressivi,

dovevano anche rubare i loro corpi dalla sepoltura

i loro nomi alle presenze

le loro lacrime al pianto delle loro madri.

Fors’è per questo,

quarantatré giovani bisognerà partorire oggi

come impotenza o ribellione o omaggio.

Partorirli ogni giorno nel ricordo e nel verso

e repellere l’oblio

e maledire quarantatré volte,

come uno scongiuro e una supplica

quando si lancia il chicco nell’aria ad ogni semina,

quarantatré giovani nella terra.

 

]]>
Messico Invisibile: Orme della Memoria per i Desaparecidos https://www.carmillaonline.com/2016/07/05/messico-invisibile-orme-della-memoria-per-i-desaparecidos/ Mon, 04 Jul 2016 22:00:39 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=31713 di Fabrizio Lorusso

orme della memoria huellas messico italia[A questo link invito a seguire il progetto Orme della Memoria e il cammino della mostra, che sarà in Italia da aprile 2017 (Firenze 18-23 aprile, Roma 19-30 aprile, Verona 1-15 maggio, Venezia 16-30 maggio, Torino 1-12 giugno, Padova 15-30 giugno), dedicata agli oltre 30mila desparecidos in Messico. A fine post e come giusta conclusione segnalo il trailer dell’ottimo documentario Cielito rebelde: Voci del Messico resistente di Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri. Il testo seguente è estratto dal libro di [...]]]> di Fabrizio Lorusso

orme della memoria huellas messico italia[A questo link invito a seguire il progetto Orme della Memoria e il cammino della mostra, che sarà in Italia da aprile 2017 (Firenze 18-23 aprile, Roma 19-30 aprile, Verona 1-15 maggio, Venezia 16-30 maggio, Torino 1-12 giugno, Padova 15-30 giugno), dedicata agli oltre 30mila desparecidos in Messico. A fine post e come giusta conclusione segnalo il trailer dell’ottimo documentario Cielito rebelde: Voci del Messico resistente di Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri. Il testo seguente è estratto dal libro di Fabrizio Lorusso, Messico Invisibile: Voci e Pensieri dall’Ombelico della Luna**, prologo di Alessandra Riccio, Ed. Arcoiris, 2016, € 15, pp. 356]

Mezza primavera 2016. Il laboratorio di Alfredo López Casanova, attivista e scultore messicano, è un piccolo museo con opere e narrazioni che catturano il visitatore. Siamo nel cuore antico di Città del Messico, dove il frastuono delle strade trafficate trova pace e, smorzato negli androni e nei patii interni delle case di ringhiera, diventa silenzio. Qui la memoria può lasciare le sue tracce. Il progetto Orme della Memoria è nato in questo spazio nei suoi aspetti materiali, ma spiritualmente è sorto ed è cresciuto per le strade, nelle dimore, nei cortei e nelle famiglie che sono testimoni delle sparizioni forzate in Messico.

DSC_0726 mejor (Small)La maggior parte dei casi di desaparición è legata a qualche tipo di omissione, azione o complicità commessa dalle autorità. Secondo i dati ufficiali sono più di 27.000 le persone scomparse nel Paese e oltre 150.000 i morti attribuibili al conflitto interno dell’ultimo decennio. Solo nel governo di Peña Nieto, tra il dicembre 2012 e il marzo 2016, si contano più di 60.000 omicidi. Si tratta di un fenomeno di violenza esplosivo e complesso che comprende ed eccede la cosiddetta “guerra alle droghe” o “narcoguerra”, dichiarata dall’allora presidente Felipe Calderón nel 2006. In realtà la strage dei morti ammazzati, dei femminicidi e dei desaparecidos, siano essi messicani, centro o sudamericani, rispecchia molteplici tensioni sociali, disuguaglianze e problematiche irrisolvibili nel breve periodo, anche perché frutto di un modello economico e sociale escludente e traumatico. Un modello di stato minimo, anzi infimo, e nettamente business oriented, che nel contesto messicano e latinoamericano crea il terreno ideale per il proliferare delle “imprese criminali” regionali e globali.

Le scarpe di chi cerca i propri cari desaparecidos possono trasformarsi in messaggeri di speranza e di denunce. Per questo Alfredo, che concepisce l’incisione e l’arte come mezzi per il cambiamento sociale, s’è dedicato a incidere sulle suole delle loro scarpe i nomi, i ricordi e le date di chi è scomparso e a stampare su carta le loro orme. Il progetto, concepito per diventare collettivo e itinerante, comincia a girare il Messico e, si spera, il mondo nel mese di maggio 2016. Settanta paia di scarpe riempiono il Museo della Memoria Indomita nel centro della capitale messicano e si preparano per un lungo viaggio.

Com’è nato il progetto “Orme della Memoria”?

Dal contatto con le famiglie dei desaparecidos. Da alcuni anni seguo alcune famiglie, ancora prima che nascesse il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità del poeta Javier Sicilia, nel 2011. Proprio nel mezzo di questa sterile, fottuta e non pianificata guerra iniziata da Felipe Calderón, che forse era vincolato a un gruppo per sconfiggerne un altro.

DSC_0823 (2) nivel (Small)Il 10 maggio 2010 ho partecipato al corteo annuale del 10 maggio, Festa o Giorno della Mamma, che è un corteo nazionale molto importante in cui convergono a Città del Messico i familiari dei desaparecidos di tutto il Paese. Faceva un caldo tremendo, stavamo camminando e mi sono messo a pensare a come risuonavano i passi delle persone. Si sentivano slogan e canzoni, alternati ai silenzi. Ed era quando i passi si sentivano di più. C’erano gruppi organizzati e gente sola, tutti con dei desaparecidos da rivendicare. Ho pensato allora a tutte queste scarpe che fuggono e che registrano tutto il contenuto di chi le porta, denuncia e non si stanca di cercare i propri cari. Ho iniziato a osservare la parte posteriore delle loro scarpe che è sempre molto consumata e ho visto che le scarpe erano elementi dell’identità delle persone e della loro regione di provenienza: da Tijuana a Guerrero, da Oaxaca a Monterrey, l’unica cosa che hanno in comune è il dramma della sparizione forzata.

Cosa hai fatto dopo?

Dovevo parlarne con qualcuno di fiducia e mi sono rivolto a Lety Hidalgo affinché mi prestasse delle scarpe vecchie che non usava. Lei è di Monterrey e cerca suo figlio Roy. Mi ha dato le scarpe, ora le apprezzo molto, con affetto. Quindi ho elaborato io un testo perché conosco il caso. L’idea era di mettere su una scarpa i dati della persona, per esempio: “Io mi chiamo Lety Hidalgo e cerco mio figlio”. Sull’altra dice: “Roy è stato fatto sparire l’11 gennaio 2011”. Nello specifico è stato tecnicamente difficile incidere sul materiale di queste scarpe, quindi alla fine ho deciso di aggiungere linoleum e la scritta è venuta in rilievo e così l’ho stampata su un foglio.

Dopo mi sono arrivate le scarpe di Luz Helena Montalvo, del Coahuila. Al loro interno c’era una lettera indirizzata al suo figlio scomparso. Era la chiave. Ho preso una parte del testo, oltre ai dati di base, e l’ho incisa, poi ho chiesto a Luz Helena il permesso di caricare la stampa sulla pagina Facebook del progetto e da lì i contatti si sono moltiplicati. Hanno iniziato a scrivere perfino dal Cile, dall’Argentina, dall’Uruguay.

E dopo questa fase sperimentale?

A metà del 2014 mi sono arrivate altre scarpe su cui potevo incidere più facilmente, anche senza aggiungere linoleum. Facebook è servito a diffondere il progetto e la rete di relazioni s’è allargata anche grazie a gruppi organizzati come FUNDEC, Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Coahuila, FUNDENL, Fuerzas Unidas por Nuestros Desaparecidos en Nuevo León, e altre. Non era ancora scoppiato il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa. Molti di questi gruppi sono stati legati al Movimento per la Pace di Javier Sicilia e grazie a questo siamo entrati in contatto. Mi sono accorto che per vari motivi ciascun familiare aveva messo via un paio di scarpe a cui era affezionato. Tere Vera è una di loro, cerca sua sorella Minerva che è scomparsa a Matías Romero, Oaxaca, il 29 aprile 2006, cioè molto prima della dichiarazione della cosiddetta “guerra al narcotraffico”. Lei camminava da sola, non c’era nessun movimento a cui unirsi.

DSC_0761 (2) (Small)Quindi non c’erano organizzazioni fino a poco tempo fa?

L’unico precedente che io ricordo di persone organizzate per la ricerca dei desaparecidos è Eureka, intorno alla figura di Rosario Ibarra de Piedra e quindi agli anni ‘70, e i gruppi del Guerrero, legati a quel periodo storico e alla figura di Tita Radilla, figlia di Rosendo Radilla Pacheco, vittima di sequestro politico per cui il Messico è stato condannato internazionalmente.

Ma c’è molta gente che ha casi in famiglia e non è vincolata a nessun gruppo, non sa cosa fare e allora parte da sola nella ricerche. Tere con queste scarpe che ho qui e che ha consumato, cucito e ricucito fino a non poterne più, ha camminato per tutto lo stato di Veracruz e Oaxaca da sola, fermandosi a dormire in casa di sconosciuti, nelle chiese o dovunque potesse per cercare sua sorella. Lei mi disse: “Guarda, avevo queste scarpe, non so perché dal 2006, te le do perché questo progetto ha molto a che vedere con esse”. E così potrei raccontarti altri casi. Qui ci sono quelle di Araceli Rodríguez che dice: “Guarda, ti consegno i miei stivali da carovana”, cioè quelli che hanno marciato nella carovana di Javier Sicilia nel Nord del Messico nel 2011. Anche María Rueda mi ha dato le sue scarpe della carovana, le chiamano così.

A che epoche si riferiscono le storie?

Il progetto non è limitato ad alcune date, ma ha camminato da solo e in questo camino ti trovi con persone con casi d’ogni epoca, anche degli anni ’70. Alejandra Cartagena è figlia di Leticia Galarza Campos, scomparsa a Città del Messico nel 1978. Era il periodo delle sparizioni forzate ai danni dei militanti del movimento guerrigliero Liga Comunista 23 de Septiembre.

Ci sono le scarpe di Celia. Suo marito è scomparso nel 1974 e io sapevo il suo nome: Jacob. Ma non sapevo un altro dettaglio finché lei non m’ha inviato uno scritto per inciderlo sulle suole in cui dice che lui era un maestro diplomato alla scuola normale di Ayotzinapa: “Mi chiamo Celia Piedra Hernández, cerco mio marito, Jacob Nájera Hernández, vittima di sparizione forzata a San Jerónimo de Juárez, Guerrero, dal 2 settembre 1974, maestro diplomato alla Normale di Ayotzinapa, con queste scarpe non smetterò di cercarti, ti amiamo con il cuore che è il motore della nostra ricerca”.

Chi scrive il testo per le suole?

Quando, all’inizio del progetto, mi arriva il testo di Luz Helena dentro una scarpa, capisco che lì c’è già tutto: l’oggetto o la scarpa e il contenuto da registrare che loro mi mandano e non elaboro io. Preferisco così, anche se è molto doloroso per loro scriverlo. Dunque questa è la prima lettera, dell’8 maggio 2014: “Sono Luz Helena Montalvo, madre dell’architetto Daniel Roberto Dávila Montalvo, scomparso il 23 giugno 2009 a Torreón, Coahuila, all’età di 27 anni. Daniel è padre di una bimba e un bimbo che lo aspettano con ansia, quando l’han portato via si sono portati via la vita, per noi non c’è nessun progetto di vita, non c’è allegria, per me che sono sua madre c’è solo il camminare, il cercare, cercarlo nella speranza di trovarlo e riportarlo a casa. Dany, continuo a cercarti, manchi ai tuoi genitori e fratelli, a tua moglie, ai tuoi figli, ai nonni, agli zii, ai cognati e ai cugini, ti rivogliamo con noi e ci manchi molto. Tua madre”.

C’è un tema centrale nelle lettere che ricevi?

Ci sono sempre tutti i dati delle persone, ma ho pensato che le lettere dovesse contenere anche qualcosa sul tema della ricerca e dell’incontro. Cosa ti dicono le parole ricerca e incontro? Questo chiedo loro e mi scrivono qualcosa. Ognuno si libera e mette quello che vuole, cose semplici o elaborate e intime.

“Io mi chiamoYolanda Oropeza, cerco il mio figlioletto Roberto Oropeza Villa che è scomparso a Piedras Negras, Coahuila, il 21 marzo 2009. Camminare per me è un respiro di speranza per poterlo trovare un giorno”. E’ un testo semplice e diretto, ma ce ne sono altri più complessi perché col tempo le famiglie costruiscono narrazioni diverse.

“Melchor Flores Landa, cerco mio figlio, Juan Melchor Flores Hernández, vittima di sparizione forzata. I fatti sono avvenuti a Monterrey il 25 febbraio 2009. Melchor, detto Cow-boy Galattico”, questa è la parte essenziale, ma poi continua emotivamente: “Figlio mio, ti cerco da 7 anni e non mi sono ancora stancato, continuerò a cercarti finché Dio me lo permetterà e le mi forze e il mio corpo resistano, ovunque tu sia ti mando tutto il mio amore di padre, ti amo e ho bisogno di te”.

Qual è la tua relazione con le persone che ti spediscono le loro lettere e le scarpe?

E’ molto importante per me, è un simbolo di fiducia, significa che il progetto vale la pena e che loro condividono qualcosa che fa molto male. Il progetto sta diventando collettivo e bisogna essere più rispettosi e attenti. Ho incontrato personalmente quasi tutti i proprietari delle scarpe e, quando non è stato possibile, me li hanno lasciati da qualche parte, ma cerco sempre di vederli e parlarci prima o poi. Quando ci troviamo mi parlano del loro caso e spesso scrivono il messaggio subito dopo. Meglio avere una relazione personale. Per esempio c’è una lettera con foto che viene dalla frontiera nord, da Mexicali. Un’amica me l’ha consegnata e non li ho conosciuti direttamente: “Pierre Meza López, scomparso il 14 agosto 2006 a Mexicali. Seguirò sempre le tue orme fino a trovarti, fino alla fine del mondo, mi manchi molto, ho molto bisogno di te, ti amerò sempre, tua mamma Imelda”. Quello che resta inciso alla fine sono i dati essenziali e poi una parte più personale, emotiva, che si prende dalla lettera o che quasi sempre riguarda la ricerca e l’incontro, anche se non sempre gli suggerisco io queste parole. Ma queste finiscono per apparire, in un modo o nell’altro, e la speranza di trovarli è costante.

DSC_0818 (2) nivel (Small)

DSC_0815 (2) nivel (Small)Priscila ha un fratello, Juan Chávez, scomparso l’8 settembre 1978: “Sono Priscila Chávez e cerco mio fratello. Sopportando e pellegrinando, stanca di tanto camminare per un fratello che tanto amo, continuerà sempre a lottare fino a trovarlo insieme agli oltre 500 desaparecidos”. Lei sta citando la cifra che si conosceva ai tempi della guerra sucia [guerra sporca dello Stato e dei militari contro i movimenti di protesta, guerriglieri e sociali in generale]. Ci sono varie persone che scrivono e dicono che stanno cercando tutti gli altri, non solo i loro cari. A volte, parlando delle scarpe, ho chiesto ai genitori se qualcosa era cambiato in loro a partire dalla scomparsa di loro figlio. Vari dicono di sì, perché hanno camminato tantissimo nei cortei, nelle procure, nei ministeri, nelle fosse e nelle ricerche. E hanno cambiato il loro modo di vestire, per cui portano scarpe più comode, con le suole resistenti e flessibili, per andare avanti a camminare.

Com’è nato il nome “Orme della Memoria”?

E’ stato facile perché qui ci sono memorie, scarpe, incisioni, prove di fatti, passi e orme, e allora così siamo arrivati al titolo.

In che lingue è tradotta la página Facebook?

All’inizio facevo una foto e riproducevo il testo, coi dati e le frasi die familiari, delle scarpe su una pagina Facebook in spagnolo più o meno una volta alla settimana. Strada facendo ho conosciuto una studentessa inglese che faceva la tesi su questo tema e s’è offerta di tradurre in inglese la pagina. Altri amici qui in Messico hanno fatto lo stesso per l’italiano. Poi sono nate le pagine in tedesco e in giapponese, data una forte relazione che mantengo con i collettivi “Bordamos por la Paz” (Tessiamo per la Pace). Loro hanno un collettivo in Giappone. Stesso discorso per la versione francese, c’è un’amica che collabora dal Québec. L’idea è che ci sia un impatto fuori dal Messico.

Per ora le orme sono verdi, ma in futuro di che altri colori le farete?

Nel progetto Bordamos por la Paz abbiamo cominciato a tessere in rosso per raffigurare tutti gli omicidi che ci sono nel Paese. Poi, sul tema dei desaparecidos, i familiari hanno preferito il verde che simboleggia la speranza di ritrovarli vivi. Il verde s’è consolidato e molti gruppi l’hanno adottato. Comunque ci saranno due altri colori. Il nero nasce perché arrivano scarpe relative a casi particolari, come questo: “Io sono María Helena, mamma di José Saúl Ugalde Vega, desaparecido il 14 settembre 2015 a Queretaro. Con queste scarpe sono andata fuori a cercarti tutti i giorni, sono stati giorni disperati, senza dormire e mangiare, sperando di trovarti. Il 4 dicembre 2015 hanno trovato i tuoi resti, ti amo figlio e non ti dimenticheremo mai”. Come segnale di lutto dobbiamo inciderli in nero. Può essere perché sono stati ritrovati i resti della persona o i membri della famiglia che i occupavano delle ricerche sono morti. Alcuni a volte muoiono cercando, s’ammalano, perché quando avviene la sparizione davvero solo loro sanno quanto forte è il dolore, l’ansia e la disperazione. Questo causa malattie. Useremo anche il rosso perché molti di quelli che seguono le ricerche sono stati assassinati, come nel caso di Nepo, Nepomuceno Moreno. Lui aveva detto in faccia all’ex presidente Calderón, una settimana prima che lo ammazzassero, che aveva ricevuto minacce perché cercava suo figlio. A Calderón non fregò nulla e Nepo fu assassinato. Qui ho 5 o 6 casi di familiari che sono finiti così per aver continuato le ricerche.

Ci sono altri casi che puoi condividere?

Ho conosciuto Lucía Vaca, moglie di Alfonso Moreno, al corteo nazionale del maggio 2014. Avevamo amici in comune. Alfonso mi ha parlato del caso di loro figlio, Alejandro, e mi ha dato un paio di scarpe per il progetto, le prime da uomo. Il secondo paio è stato quello di don Margarito, che mi ha dato i suoi sandali. Sono stato ad Ayotzinapa, ci siamo conosciuti perché eravamo seduti vicini sull’autobus e mi ha detto di avere le scarpe che ha usato quando, insieme agli altri genitori dei 43 studenti scomparsi, è andato a cercarli fuori dalla città di Iguala. E fu quella volta che rinvennero molti altri corpi e fosse clandestine, per cui nacque il movimento degli Altri Desaparecidos de Iguala (Los Otros Desaparecidos de Iguala). Molti di loro, nella maggior parte dei casi, posseggono solo le scarpe che portano. Il mese dopo ci siamo visti in manifestazione a Città del Messico e abbiamo fatto uno scambio di scarpe: gli ho dato dei sandali nuovi in cambio dei suoi vecchi. Ora hanno questo testo stampato: “Io Margarito Ramírez cerco mio figlio che si chiama Carlos Iván Ramírez Villareal, studente della normale di Ayotzinapa. Lo hanno fatto sparire i poliziotti, insieme a 42 dei suoi compagni, a Iguala, il 26 settembre 2014”.

Allora qui c’è tutto il Paese, raccolto nelle scarpe delle famiglie che sono alla ricerca dei loro cari, perché ho paia che vengono da Tijuana e dal Guerrero, da Oaxaca e dal Chiapas. E’ sintomatico che ne arrivino di più dai luoghi in cui il conflitto è più presente, ci sono tantissime scarpe del Tamaulipas, di Tijuana o di Veracruz e del Guerrero. E’ un termometro del conflitto.

Ne arrivano dall’estero?

Al riguardo è successo qualcosa d’imprevisto. Così come ne sono arrivate del periodo della guerra sporca in Messico, ne hanno mandate alcune dall’Argentina. Ne ho un paio di un bambino, Camilo, figlio di Paula Mónaco, che ha 5 anni e ha cominciato a chiedere insistentemente dove erano i suoi nonni. Paula le ha cominciato a spiegare. Sai, là le famiglie non nascondono le cose e cercano un modo di spiegare. Lei ha detto al bambino che li stavano ancora cercando. I genitori di Paula sono spariti durante la dittatura. Le scarpe dicono: “Mi chiamo Camilo Tovar Mónaco, cerco i miei nonni, Esther Felipe y Luis Carlos Mónaco, sono scomparsi a Villa María, Córdoba, Argentina, l’11 gennaio 1978. Io chiedo a mia mamma, Paula, quando troveremo i suoi genitori. Lei dice che non lo sa, ma che continueremo a cercarli. Quando torneranno, correrò ad abbracciarli perché sono i miei nonni”.

Poi mi sono arrivate due paia dal Guatemala e due dall’Honduras. Le reti sociali aiutano molto. E’ venuta una compagna dell’associazione Hijos México e ha portato delle scarpe del periodo della guerra degli anni ’80 in Guatemala. Ho fatto un intercambio anche con una mamma durante la Carovana delle Madri Centroamericane che è passata dal Messico recentemente e altre mi sono arrivate da Ana Enamorado, una signora dell’Honduras che è rimasta in Messico per cercare suo figlio, desaparecido nello stato del Jalisco. Forse ne manderanno altre da El Salvador e dalla Colombia. Si chiude una fase e la prima esposizione è per il 9 maggio al Museo de la Memoria Indómita di Città del Messico.

Come proseguirà il progetto?

In futuro dovrà essere aperto e collettivo, non importa chi farà le incisioni e il resto. Ora è finita la fase sperimentale e tecnica. Da solo non potrei continuare. Per adesso è già collettivo nella misura in cui esistono 5 pagine-specchio tradotte in varie lingue e varie persone che ci si dedicano. Poi alcuni compagni in Messico si sono fatti coinvolgere in vari modi ed è così, necessariamente, che potremo procedere a creare maggiore visibilità sulla sparizione forzata in Messico.

huellas

In che senso?

Stiamo sperimentando il ritorno di uno stato di terrore, di uno Stato repressore e di una strategia mediatica, specialmente delle TV, che influisce sull’elezione di un presidente e instaura una visione idilliaca del Paese. La paura è stata impiantata nella società e fa sì che la maggior parte della gente entri in una fase di negazione, cioè che neghi quello che succede qui e, quando poi gli succede qualcosa, solo allora arriva la botta. E dunque s’impedisce che, in una situazione così drammatiche come questa, con oltre 30.000 desaparecidos e 150.000 morti, la gente si mobiliti e protesti. Se sono trentamila i desaparecidos, dovresti avere là fuori per le strade a manifestare, fisse, a dir poco 30 o 60mila persone, una o due per ogni famiglia con vittime. E invece non è così, non ci si mobilita. I gruppi di familiari fanno quello che possono, cercano almeno di unirsi a livello nazionale per avere più forza, soprattutto per quanto concerne l’iniziativa di Legge sulla Sparizione Forzata che si discute in parlamento. Un paese come questo non ha una legislazione adeguata su questa materia ed è un’altra tragedia…

DSC_0829 (Small)Infatti, si susseguono le condanne internazionali contro il Messico per il disprezzo imperante dei diritti umani. Si fanno addirittura in leggi come quella appena approvata nel Estado de México, detta Ley Atenco o Ley Eruviel (dal nome del governatore Eruviel Ávila), che ampliano molto le facoltà della polizia, anche senza previa consultazione del potere politico, nell’uso della “forza letale” contro i manifestanti. Oppure c’è il caso dell’approvazione del regolamento dell’articolo 29 della Costituzione che dà al presidente più possibilità di decretare lo “stato d’eccezione” e la sospensione delle garanzie individuali, anche in presenza di presunte emergenze economico-sociali.

Ciò conferma che si va all’indietro, verso uno Stato più autoritario. E stiamo parlando di un Paese con un narco-governo, dobbiamo dirlo chiaramente. Una gran quantità di desaparecidos, come successe nel caso emblematico dei 43 di Ayotzinapa ma anche in tanti altri in Messico, sono presi e consegnati ai narcotrafficanti da diversi corpi della polizia, includendo i federali e i militari. Lì c’è una situazione per cui non sai dove comincia la relazione di complicità tra narcos e governo. Stiamo vedendo un deterioramento tale da poter parlare di un narco-governo.

Perché vengono fatti sparire?

E’ molto assurdo. Molti casi sono assurdi. Tere Vera cerca sua sorella che era andata a tagliarsi i capelli e non è più tornata. Non chiedono soldi né riscatti alla famiglia. Al figlio di Lety l’hanno costretto a uscire di casa a mezzanotte, poco prima d’andare a dormire. Arriva la polizia, o personaggi vestiti da poliziotti, di nero, lo prendono per portarlo in questura e perché, dicono, hanno bisogno d’informazioni, ma poi non si sa niente di lui, sparito. Il marito di Ixchel nello stato del Coahuila. Vanno a prenderselo all’alba, gli dicono che vogliono precisazioni su un caso qualunque e non fa più ritorno a casa. Con i ragazzi di Ayotzinapa abbiamo visto un altro caso di coinvolgimento diretto delle autorità.

Ci sono tante ipotesi. Nel caso del figlio di Alfonso Moreno, per esempio, lui è un tecnico delle telecomunicazioni. Ci sono casi di ingegneri e altri professionisti che sono rapiti e quindi si crede che i narcos li sta usando per e comunicazioni, la costruzioni di tunnel e altre questioni tecniche. Ma in altri casi pare non ci sia logica, è l’assurdo.

I casi degli anni ’70 ricadevano nella logica del nemico politico che bisognava annichilire. Questi esistono anche oggi. Per esempio il “Tio”, Teodulfo Torres Soriano, un attivista che nel giorno dell’insediamento del presidente Peña Nieto si trova affianco a Juan Francisco Kuykendall. E’ il primo dicembre 2012. Il Tío filma, nei pressi del palazzo del Parlamento, come un proiettile di gomma viene sparato dalla polizia e rompe la scatola cranica di Kuykendall. Questo di vede, si vede il proiettile sparato, soprattutto se si congela il fotogramma. E’ quindi una documento di prima mano della repressione e della responsabilità della polizia federale nell’accaduto. Il ferito fu portato in ospedale e rimase in coma per un anno. Il Tío è un testimone oculare e viene fatto sparire. E’ una desaparición politica simile a quelle di 40 anni fa, perché Teodulfo aveva in mano un’informazione precisa e chiara di un abuso indiscutibile della polizia. La PGR, la procura o Procuraduría General de la República, ha chiesto il video al Tío e gli ha dato 5 giorni per consegnarlo. Ma in questi pochi giorni ecco che Teodulfo sparisce. Per fortuna è riuscito a dare il video ad altre persone o oggi possiamo vederlo su internet. L’evidenza mostra che sono stati apparati dello Stato a farlo sparire, non si vede nessun’altra spiegazione. E’ il primo desaparecido politico del governo di Enrique Peña Nieto. L’80% dei desaparecidos non aveva nessuna affiliazione politica, non sono militante di nessuna organizzazione. Sono professionisti o lavoratori senza appartenenze specifiche, come Alejandro Moreno, il figlio di Alfonso. Ma capiamo anche che spariscono perché c’è una strategia di spopolamento forzato di molte regioni in cui ci sono acqua, risorse naturali o minerarie. Questa è un’altra ipotesi, ma in fin dei conti pare evidente perché è vero che si registrano spopolamenti e spoliazioni come in una guerra di sterminio.

Puoi spiegarlo meglio?

DSC_0754 nivel (Small)Ci sono persone che a partire dal loro caso individuale hanno compreso che si tratta di un problema strutturale e, quando affrontano il tema, cominciano a parlare alla prima persona plurale, come un collettivo, e non più in prima persona. Ed è proprio per segnalare che tutte le vittime del Paese sono di ognuno di noi. Se noi sovrapponiamo la mappa geografica del Paese con le regioni dove ci sono più desaparecidos, vedremo che stiamo assistendo alla fase più acuto di saccheggio d’argento dall’epoca coloniale e, quando non sono le risorse naturali, sono i centri di resistenza come Atenco, il Chiapas o Oaxaca a catalizzare l’attenzione. Cioè, dove ci sono zone in resistenza sociale, questa deve essere debilitata, e dove ci sono risorse naturali, per esempio lo shale gas, bisogna spopolare, sfollare. Quindi, come si fa? Instaurando uno stato del terrore con la sparizione forzata, cioè una strategia perversa, peggiore dell’assassinio o della prigione.

Che esempi hai trovato al riguardo?

Ne ho uno del gruppo de Los Otros Desaparecidos de Iguala. “Mi chiamo Mario Vergara, cerco mio fratello Tomás, è stato sequestrato e fatto scomparire a Huitzuco, in Guerrero, il 5 luglio 2012. Ho imparato a cercare in fosse clandestine, ma chiedo a Dio di non farmi incontrare mio fratello in un orribile buco, cammino anche per ritrovarlo vivo”. E di un familiare di un ragazzo di Ayotzinapa. “Sono Margarita Zacarías, mamma di Miguel Ángel Mendoza Zacarías, studente della normale di Ayotzinapa, in Guerrero, è scomparso il 26 settembre a Iguala, insieme a 42 dei suoi compagni. Figlio mio, voglio dirti che ho camminato tanto cercandoti e non ce l’ho fatta, ma voglio che tu sappia che non riposerò fino ad ottenerlo, anche se dovesse costarmi la vita”.

Di una madre honduregna che sta qui in Messico: “Sono Priscila Rodríguez Cartagena, vengo dall’Honduras camminando fino al Messico, cercando mia figlia, e seguirò le orme fino a trovarla. Yesenia Marlén Gaitán è sparita il 10 febbraio a Nuevo Laredo, in Tamaulipas, quando si dirigeva verso gli Stati Uniti”.

Una è del gruppo Hijos México. E’ stato difficile incidere, la scarpa è arrivata tutta rotta. E’ del periodo della guerra sporca, lei non ha conosciuto suo padre, perché è scomparso quando sua mamma era incinta: “Sono figlia di Rafael Ramírez Duarte, desaparecido politico dal giugno del 1977. Seguire le tue orme è voler toccare i tuoi piedi coi miei, come il gioco della tana dei conigli tiepida che c’hanno rubato, papà, Tania”.

Ci sono bambini che ti inviano le loro scarpe?

Sì. Una frase di un bimbo riflette tenerezza e semplicità e dice molto di una regione, per esempio il Michoacán, che sta al centro della narcoguerra. “Sono Leonel Orozco García, ho 8 anni. Mio papà Moisés Orozco è stato catturato-fatto sparire il 22 maggio 2012 ad Apatzingán, in Michoacán. Cerco mio papà per trovarlo perché è mio papà, e gli vogliamo tanto bene”.

Un altro bambino è figlio di uno studente di Ayotzinapa. “Io mi chiamo José Ángel Abraham de la Cruz, ho 9 anni e sto cercando mio papà, Adán Abraham, studente della normale di Ayotzinapa, desaparecido il 26 settembre 2014 a Iguala, in Guerrero. Per questo mi trovo ora qui a Città del Messico, esigendo la presentazione con vita di mio papà e dei suoi 42 compagni”. Miguelito non aveva altro che queste scarpe e, siccome è cresciuto e non ha niente di niente, le scarpe ormai gli andavano strette. Ho chiesto permesso a suo fratello e a sua zia, lo abbiamo portato a comprare delle scarpe nuove. Tanto ai genitori dei 43 come agli altri desaparecidos che non hanno niente di più di quello che portano addosso io chiedo le scarpe per fare uno scambio e gli consegno un paio nuovo.

Quante scarpe hai inciso fino ad ora?

Abbiamo circa 70 paia di scarpe, ma ne stanno arrivando altre. Saranno esposte qui a Città del Messico per un po’ e poi si sposteranno secondo un percorso logico, verso nord, ma anche dove la gente e i gruppi organizzati vorranno. Potrebbero arrivare all’estero, negli USA e in altri posti, perché l’idea è di denunciare la situazione. Mi sono arrivate le scarpe di un familiare di quello che è noto come il primo desaparecido del Paese nel 1969, che era legato alla guerriglia di Genaro Vázquez. Da lì si arriva fino ad oggi con un paio di scarpe che è del 2015. Se mi inviano una scarpa di una moglie che cerca un marito o un figlio che magari è un militare, non lo scarto. Non escludo nulla, perché l’idea è mostrare l’intero paese, per cui le ragioni delle sparizioni sono molteplici in tanti luoghi diversi.

Allora abbiamo incluso il figlio di Araceli Rodríguez, che è della Polizia Federale, o il papà di Nadim Reyes, Edmundo, che è rivendicato come militante desaparecido dall’EPR (Ejército Popular Revolucionario, gruppo guerrigliero dello stato di Guerrero). C’è di tutto, è il Paese: scompaiono militanti politici e contadini, studenti e perfino soldati o poliziotti, e non mi hanno ancora mandato il caso di un giornalista, ma ce ne sono. E’ una gran tragedia. Sono donne sole, figli orfani e tutta una strategia di Stato che rappresenta un filo conduttore. Per esempio nel caso di Araceli Rodríguez c’è una denuncia e un’ipotesi chiara secondo cui i capi della polizia federale hanno mandato suo figlio, Luis Ángel León Rodríguez, con altri cinque e un autista a occupare una cittadina. Che è successo lì? E’ il novembre 2009. Li mandano a un paesino in un giorno di riposo, non lavorativo, in un’automobile non di servizio, che è stata chiesta a terzi e non è della polizia, senza armi né uniformi. E così gli danno l’ordine di occupare il paesino. Poi tutti spariscono. Quello che sta succedendo è un disastro, una guerra non detta. Se paragoni cosi come l’Afghanistan o l’Iraq o altri ancora vedrai che qui ci sono bilanci peggiori, in un Paese che teoricamente non è in guerra.

huellas2

Userai anche altri oggetti?

Per Orme della Memoria non ho voluto le scarpe dei desaparecidos perché già è stato fatto molto con gli oggetti dei desaparecidos e mi interessa la parte vitale, la parte di chi cerca, di chi più ha indagato e di chi sta lavorando in questo periodo alla Legge sulle sparizioni forzate. Chi farà uscire questo paese dal disastro sono i familiari perché vogliono cercare i loro figli e stanno scoprendo le ragioni del deterioramento, quindi vogliono denunciare e cambiare il Paese. Lo spirito collettivo del progetto può potenziarlo affinché non si centri su una persona sola e prosegua indefinitamente.


** Cos’è Messico Invisibile?

Il libro riunisce reportage, interviste e saggi sul Messico attuale che è diventato il centro dei traffici degli stupefacenti consumati negli Stati Uniti e in Europa: marijuana, cocaina, eroina, metanfetamine. In 10 anni la “guerra alle droghe” ha fatto oltre 150mila morti, 30mila desaparecidos e migliaia di femminicidi nel Paese. La crisi dei diritti umani colpisce specialmente giornalisti e attivisti che lavorano sotto minaccia del crimine organizzato, spesso indistinguibile dalle autorità. Messico invisibile spiega l’evoluzione dei narco-cartelli, le vicende del boss Joaquín “El Chapo” Guzmán e il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa, sequestrati da poliziotti e narcos a Iguala la notte del 26 settembre 2014 e, ad oggi, ancora desaparecidos. L’autore dà spazio a storie silenziate, invisibili, come quelle delle donne della prima casa di riposo al mondo per ex prostitute o di chi s’organizza per cercare i propri cari desaparecidos, e critica le narrazioni tossiche sui “cervelli in fuga” e sul neoliberalismo, il sistema culturale ed economico che fa da cornice alla conflitto messicano. Nuovi studi sul culto popolare della Santa Muerte, sugli italiani all’estero e sui legami tra l’amianto e il “filantrocapitalismo” in America Latina completano il testo. Alla fine di ogni capitolo sono raccolte le voci, con interviste a Don Ciotti, fondatore di Libera, Alfredo López Casanova, ideatore di Orme della Memoria per i desaparecidos, agli scrittori Alberto Prunetti, Pino Cacucci e Roberto Saviano, al difensore dei diritti umani Francisco Cerezo, al pittore partigiano Luciano Valentinotti e a Xitlali Miranda, coordinatrice delle ricerche degli Altri Desaparecidos di Iguala. Segnalo presentazione del libro il 7 luglio alle 19:30 presso l’ex OPG occupato Je so’ pazzo a Napoli.


Di seguito il trailer del documentario (presto disponibile per varie proiezioni in Italia) Cielito rebelde: Voci del Messico resistente di Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri. Seguitene i passi! FaceBook Link 

Un viaggio nel Messico che resiste al neoliberismo. Voci da una terra in cui Non ci si rassegna, dove immaginare un mondo che include altri mondi non è un semplice slogan ma una reale e costante pratica quotidiana. Abbiamo iniziato a pensare in collettivo, a immaginare un progetto. La forma che abbiamo scelto è quella del film documentario. Una serie di interviste che possano rendere diversi sguardi sul Messico e sulle lotte che lo animano. Negli stati che abbiamo attraversato siamo entrati in contatto con diversi attivisti e militanti di organizzazioni radicali e anticapitaliste, cercando di cogliere il comune sentire che vive intorno al “discorso rivoluzionario” nel Messico di oggi. Parlando di capitalismo e resistenze, di collettività e autonomia, abbiamo imparato che, nonostante tutto, pensare un futuro rivoluzionario e agire in un presente tanto complesso può essere una pratica quotidiana. Abbiamo visto come si possa parlare di tutto ciò con una semplicità disarmante. La stessa semplicità con la quale da ormai più di vent’anni dei contadini, in Chiapas, tengono testa agli attacchi del governo, costruiscono il proprio mondo sottraendolo al capitalismo e ci regalano ogni giorno un motivo di speranza.

Un film di: Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri.
Fotografia di: Claudio Carbone
Disegni di: Mario Berillo
Montaggio di: Leonardo Botta
Musiche di: Moover
con la collaborazione di Kairos elementikairos.org
Pagina Facebook: facebook.com/Cielito-Rebelde-Voci-del-Messico-resistente-493029287533380/timeline
Sito: cielitorebelde.org
Trailer: vimeo.com/151901240

]]>
Segnali di fumo: NarcoGuerra di Fabrizio Lorusso / Venti mesi dopo #Ayotzinapa https://www.carmillaonline.com/2016/05/26/sdf-narcoguerra-fabrizio-lorusso/ Wed, 25 May 2016 22:01:58 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30574 2di Nicola Gobbi e Simone Scaffidi

La notte tra il 26 e il 27 settembre 2014, 43 studenti della scuola rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, Messico, venivano sequestrati dalla polizia di Iguala e scomparivano nel nulla. A venti mesi da quella notte, la strage di Stato resta impunita e gli studenti tuttora desaparecidos. Fabrizio Lorusso ha sviscereto il tema sulle pagine di Carmilla e ha scritto un libro fondamentale e documentatissimo per capire il contesto che ha permesso Ayotzinapa. Si intitola NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della [...]]]> 2di Nicola Gobbi e Simone Scaffidi

La notte tra il 26 e il 27 settembre 2014, 43 studenti della scuola rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, Messico, venivano sequestrati dalla polizia di Iguala e scomparivano nel nulla. A venti mesi da quella notte, la strage di Stato resta impunita e gli studenti tuttora desaparecidos. Fabrizio Lorusso ha sviscereto il tema sulle pagine di Carmilla e ha scritto un libro fondamentale e documentatissimo per capire il contesto che ha permesso Ayotzinapa. Si intitola NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga (Odoya, 2015) e si tratta di una piccola enciclopedia narrativa sul Messico di oggi: la violenza quotidiana che lo attraversa, le sparizioni forzate, i Narcos e il loro rapporto con lo Stato, con la cultura popolare e il sistema economico.

Con Nicola abbiamo deciso di recensire NarcoGuerra a fumetti. Le tavole che seguono sono state pensate e disegnate pochi giorni prima della spettacolare evasione dal carcere di massima sicurezza de El Altiplano del Chapo Guzman, fra i più leggendari narcotrafficanti della storia del narcotraffico, avvenuta in sella a una moto lanciata a tutta velocità in un tunnel sotterraneo scavato sotto le docce della prigione in cui era recluso. Alla notizia della corsa in moto in una galleria sotterranea abbiamo sorriso, ma non ci siamo sorpresi, la realtà in Messico supera di gran lunga la fantasia, la ribalta e la fa a pezzetti, senza chiedere permesso.

Fabrizio Lorusso, NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga, Odoya 2015, pp. 416, € 20.00

1

 

2

pag.3

pag.45

pag.6

7

8

]]>
Nella Notte Ci Guidano le Stelle. Ayotzinapa e la Lotta per la Verità https://www.carmillaonline.com/2016/04/06/nella-notte-ci-guidano-le-stelle-ayotzinapa-la-lotta-la-verita/ Tue, 05 Apr 2016 22:00:03 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=29660 di Fabrizio Lorusso 

ayotzinapa iguala_normlistas[Questo articolo è formato da un aggiornamento di Fabrizio Lorusso dal Messico sul caso Iguala-Ayotzinapa e da un comunicato stampa del Collettivo Parigi-Ayotzinapa che ripercorre cronologicamente la vicenda e decostruisce il discorso ufficiale. Il titolo del post è ripreso dal testo del canto della Resistenza “Fischia il vento” e dall’ispiratore titolo del romanzo Il sole dell’avvenire (vol. 3) di Valerio Evangelisti]

In Messico il numero dei desaparecidos ha superato ufficialmente l’impressionante cifra di 27.500[1], anche se ci sono stime che addirittura [...]]]> di Fabrizio Lorusso 

ayotzinapa iguala_normlistas[Questo articolo è formato da un aggiornamento di Fabrizio Lorusso dal Messico sul caso Iguala-Ayotzinapa e da un comunicato stampa del Collettivo Parigi-Ayotzinapa che ripercorre cronologicamente la vicenda e decostruisce il discorso ufficiale. Il titolo del post è ripreso dal testo del canto della Resistenza “Fischia il vento” e dall’ispiratore titolo del romanzo Il sole dell’avvenire (vol. 3) di Valerio Evangelisti]

In Messico il numero dei desaparecidos ha superato ufficialmente l’impressionante cifra di 27.500[1], anche se ci sono stime che addirittura raddoppiano l’entità di questa catastrofe umanitaria, e la crisi dei diritti umani, che le autorità cercano di sterilizzare e silenziare con una strategia mediatica e diplomatica, è pesantissima su tutti i fronti[2]. Il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa è emblematico, metafora terribile della lunga notte messicana, ma è riuscito, a fasi alterne e grazie all’azione della società civile e dei media non allineati col governo, a rompere il silenzio su questa situazione. Ayotzinapa rappresenta tuttora una spina nel fianco del governo di Enrique Peña Nieto, presidente eletto nel 2012 e appartenente al Partido Revolucionario Institucional (PRI). A un anno e mezzo dalla “notte di Iguala”, in cui agenti della polizia locale di Iguala e Cocula, nel meridionale stato del Guerrero, sequestrarono 43 studenti della scuola normale rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, ultimarono extra-giudizialmente altre sei persone, ne ferirono decine e consegnarono i giovani a presunti narcotrafficanti, i normalisti restano ancora desaparecidos e il governo è in affanno, sempre alla ricerca di maniere sbrigative e “creative”, cioè ingannevoli, per chiudere il caso e ricostruire la falsa immagine di un Paese moderno e pacificato, pronto ad accogliere investimenti, agli occhi del mondo.

Crimine di Stato

Lo Stato non ha riconosciuto le sue responsabilità, malgrado le indagini giornalistiche rigorose svolte in questi diciotto mesi convulsi, che sono basate su testimonianze dirette ed evidenze audiovisuali, abbiano mostrato che vi fu un’operazione orchestrata da diversi apparati pubblici e dalle autorità contro gli studenti[3].

Alle stesse conclusioni è arrivato anche il rapporto del settembre 2015 stilato dal Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI)[4], un’equipe altamente qualificata della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) che, grazie a un accordo d’assistenza tecnica siglato col governo del Messico, funge da coadiuvante delle indagini ufficiali[5].

Il GIEI ha parlato di “un’aggressione massiva, in ascesa, sproporzionata e senza senso” alla quale hanno partecipato non solo agenti della polizia locale e presunti criminali del cartello dei Guerreros Unidos, ma pure le forze armate e la polizia federale, che ignorarono o coprirono rastrellamenti e violenze, dunque furono conniventi coi crimini che si stavano commettendo[6].

Il GIEI e il quinto autobus

Inoltre ha mostrato che la PGR (Procura Generale della Repubblica) ha deciso di accantonare la linea delle indagini che riguarda uno dei cinque autobus che erano stati presi dagli studenti nella stazione di Iguala e che, senza che questi ne fossero a conoscenza, conteneva probabilmente una partita di eroina nel portabagagli. L’attacco contro i ragazzi, quindi, potrebbe essere stato guidato dall’intenzione di recuperare il prezioso carico di stupefacenti[7].

Gli autobus di linea sono infatti un mezzo di trasporto comune per i narcotrafficanti e, serve ricordarlo, proprio lo stato del Guerrero detiene la leadership storica nella produzione di marijuana e sperimenta da 3-4 anni un boom delle coltivazioni di papavero da oppio, pianta da cui si ricavano l’eroina e la morfina esportate negli Stati Uniti. Il Guerrero racchiude nei suoi confini il cosiddetto pentagono dell’oppio, una zona geografica delimitata da 5 vertici che dalla costa alle catene montuose, a ridosso dei vicini stati del Morelos, de México, del Michoacán e di Città del Messico, ospita le coltivazioni e i laboratori di stupefacenti. Ma le “cinque punte” della regione sono blindate e protette da altrettante postazioni militari, mentre gli snodi autostradali e le strade statali sono controllati dalla polizia federale e da quelle statali e municipali, rispettivamente. Sono queste le autorità che gestiscono i flussi e pattugliano i territori, negoziando a vari livelli coi gruppi della delinquenza organizzata. E sono queste “forze dell’ordine” che sono intervenute preventivamente e poi durante tutta la notte nella strage, gli attacchi e i sequestri compiuti il 26 settembre 2014 a Iguala e dintorni.

Il GIEI ha chiesto di poter intervistare i militari del 27º Battaglione di stanza a Iguala che erano presenti durante la persecuzione degli studenti, ma il governo gliel’ha proibito categoricamente e fino ad oggi ha continuato a difendere le azioni dell’esercito, mentre dal canto suo la PGR ha negato il coinvolgimento di autorità federali e non ha aperto nessun fascicolo al riguardo[8].

L’opera di ricerca del GIEI e dell’Equipe Argentina d’Antropologia Forense (EAAF) ha smontato la “verità storica” sulla notte di Iguala, presentata ai mass media nel gennaio 2015 dall’allora procuratore generale della Repubblica, Jesús Murillo Karam, la quale sostiene che i normalisti furono bruciati nella discarica di Cocula e i loro resti gettati nel vicino fiume San Juan.

Il tentativo di archiviare il caso prematuramente è fallito e l’investigazione s’è distinta per le incoerenze e le irregolarità. Non è riuscita a determinare con certezza il destino che hanno avuto i 43 studenti, né a soddisfare le richieste di giustizia e verità della società civile e dei genitori dei ragazzi. Questi, supportati da cittadini, collettivi e movimenti sociali di tutto il mondo, non hanno mai smesso di mobilitarsi per le strade e ovunque ne abbiano avuta la possibilità, tanto in Messico come all’estero.

La battaglia per il rinnovo del mandato del GIEI

Il 22 marzo 2016 i genitori e i loro rappresentanti, avvocati del Centro dei Diritti Umani della Montagna-Tlachinollán hanno fatto richiesta formale di una proroga affinché il GIEI prosegua nelle investigazioni sul caso. Il ministro degli interni, Miguel Ángel Osorio Chong, ha invece ribadito che il lavoro degli esperti si concluderà il 30 aprile e non ci saranno dilazioni. “Al posto di stare a discutere sul termine, abbiamo bisogno di conclusioni […] non troviamo una linea diversa da quella che ha studiato la PGR”, ha dichiarato in un’intervista radiofonica[9].

Invece Emilio Álvarez Icaza, segretario esecutivo della CIDH, ha mostrato apertura verso l’ipotesi di un nuovo mandato e tratterà il caso col governo durante le sessioni del 157º periodo ordinario di riunioni della Commissione Interamericana previsto tra il 2 e il 15 aprile[10]. “Abbiamo ricevuto una comunicazione da parte delle organizzazioni che rappresentano gli studenti con la richiesta di un prolungamento del mandato, ma nessuna notifica da parte del governo messicana”, ha spiegato Álvarez. Ancor più diretto è stato il presidente della Commissione Interamericana, James L. Cavallaro, che da Washington ha sentenziato: “Non è una decisione del signor Osorio Chong, ministro degli interni, dare per conclusa la partecipazione del GIEI nel caso Ayotzinapa”.

Secondo l’accordo siglato il 18 novembre 2014 tra la CIDH, i rappresentanti delle vittime e il governo messicano il futuro del GIEI non ha nulla a che vedere con le opinioni di Peña Nieto o di Osorio. Certo è che l’esecutivo e la procura possono ostacolare in tutto i modi il lavoro degli esperti e renderlo di fatto impossibile, cosa che a tratti hanno già cercato di fare. “E’ riprovevole questa manovra del governo per cui dice che non si rinnoverà, quando non è sua competenza farlo”, ha ribadito Cavallaro.

In un comunicato anche i gruppi nati in solidarietà con il movimento di Ayotzinapa in Europa si sono espressi in favore di una proroga “indefinita” e hanno sottolineato il loro pieno sostegno al GIEI, “di fronte alle recenti dichiarazioni in alcuni mezzi di comunicazione messicani, come MVS e Gruppo Milenio, in cui è stata attaccata l’integrità morale di alcuni dei suoi componenti”[11].

In Messico il conflitto è senza quartiere, il governo e la procura, supportati da gruppi mediatici alleati, si occupano da mesi, praticamente dall’inizio delle indagini, più di screditare gli studenti, le loro famiglie, i giornalisti indipendenti e gli esperti internazionali che di trovare soluzioni concrete e dimostrare una reale volontà politica di toccare le corde sensibili del “patto d’impunità” vigente nel Paese.

Trappole e manovre

Il 22 marzo la PGR, istituzione sempre più screditata agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, è arrivata addirittura ad ammettere l’apertura di un’indagine preliminare contro il segretario della CIDH, organi facente parte della OSA (Organizzazione Stati Americani), Álvarez Icaza, per una presunta frode nei confronti dello Stato messicano. Questa “malversazione di fondi” è stata denunciata dal Consiglio Cittadino per la Sicurezza Pubblica e la Giustizia Penale, un’associazione civile affine all’esecutivo di Peña Nieto[12].

Il presidente dell’associazione, José Antonio Ortega, s’è immaginato e ha denunciato un pregiudizio economico relativo al lavoro del GIEI, visto che la CIDH, non avrebbe rispettato il compromesso d’inviare in Messico in qualità di esperti “delle persone probe”. Così, secondo Ortega, “i cinque membri del GIEI sono tutto il contrario”. La CIDH ha espresso “costernazione e considera inammissibile l’apertura di un fascicolo in base a questa denuncia temeraria e infondata”. Si tratta di una vera e propria provocazione: la PGR ha preso la palla al balzo e ha fatto sfoggio del suo cinismo, non archiviando immediatamente la denuncia. Ci sono almeno 150.000 casi di omicidio negli ultimi 9 anni e migliaia di desaparecidos che meriterebbero la priorità, invece s’accetta d’iniziare una pratica insultante per la società e per le vittime. Ad ogni modo, dopo due settimane di rimpalli mediatici e reazioni, finalmente il 5 aprile la PGR ha desistito dall’azione penale “per mancanza dei requisiti a procedere”.

La pressione mediatico-giuridica contro il dirigente della CIDH e del GIEI viene ad unirsi a una prolungata “campagna di dispregio totale e spietata da una posizione di forza e dai mezzi di comunicazione”, come l’aveva definita e denunciata mesi fa lo studente di Ayotzinapa Omar García, sopravvissuto agli attacchi del 26 settembre. Dall’Italia, in cui si trova per l’iniziativa “Carovane Migranti” di Torino, Omar ha riaffermato: “Prolungare nel tempo l’indagine è quello che cercano, così il movimento si stanca e la gente dimentica. Non per altro è stata avviata la campagna di diffamazione del GIEI; non per altro hanno imposto questa terza perizia; non per altro ora vogliono indennizzare le famiglie. Le famiglie, avvocati, esperti e studenti, il movimento che accompagna Ayotzinapa, dovranno analizzare bene che fare di fronte a questa situazione.” Per questo “non abbandonare i genitori dei nostri 43 compagni desaparecidos. Se dimentichiamo, loro vincono”.

La terza perizia sull’incendio nella discarica di Cocula

In questo contesto la PGR ha diffuso a sorpresa il 2 aprile il risultato della terza perizia sull’incendio della discarica di Cocula, realizzata da un Gruppo Collegiale di esperti nominato ad hoc il febbraio scorso dalla procura, d’accordo con il GIEI. Lo studio, ancora parziale, indica “evidenza sufficiente” del fatto che c’è stato un “fuoco controllato di grosse dimensioni e almeno 17 esseri umani adulti che furono bruciati in quel luogo”.

Poche ore dopo in un comunicato il GIEI ha denunciato la violazione dell’accordo di riservatezza che aveva stabilito con la procura, deplorando “questa forma di cambiare la dinamica del dialogo e il consenso” e “le decisioni unilaterali” sulla diffusione del documento. Inoltre i genitori dei 43 non sono stati avvisati previamente dei risultati della perizia, come invece era stato accordato durante le loro conversazioni con lo stesso presidente Peña.

Prima della conferenza stampa il portavoce degli esperti, Ricardo Damián Torres, che hanno realizzato questa terza perizia avevano rassicurato il GIEI del fatto che “il messaggio era per dire che non s’era potuto determinare se il fatto era accaduto o no e che c’era bisogno di nuovi studi e prove sperimentali per determinarlo”, si legge sul comunicato di protesta del GIEI. Invece hanno fatto l’opposto, rinforzando l’idea dell’esistenza di una guerra sporca da parte delle autorità messicane nei loro confronti. “Ciononostante il suo messaggio s’è riferito a parti del contenuto del rapporto provvisorio che nemmeno erano state analizzate dal GIEI e, cosa ancor più grave, segnalando pubblicamente cose che non sono state spiegate al GIEI durante la riunione, né sono approvate unanimemente dai periti esperti di incendi”, approfondisce il comunicato. Il Messico firma a iosa trattati e convenzioni internazionali sui diritti umani, ma poi la realtà è questa.I periti forensi argentini dell’EAAF hanno commentato che non esiste “una risposta concludente” sulla calcinazione dei 43. La loro perizia, presentata il 9 febbraio 2016 e fondata su studi realizzati solo poche settimane dopo i fatti, ha confermato che nella discarica c’erano resti ossei di 19 persone. Ciononostante è impossibile stabilire le date di calcinazione che probabilmente si riferiscono a diversi incendi. Vidulfo Rosales, avvocato difensore dei genitori di Ayotzinapa, ha segnalato che nella discarica “viene bruciata spazzatura regolarmente, anche se si suppone che è la scena di un crimine”. Di fatto negli ultimi 5 anni si sono registrate più di 300 sparizioni forzate e decine di fosse comuni con resti umani nella zona. Fino ad oggi solo i resti dello studente Alexander Mora sono stati identificati con certezza, però erano stati ritrovati in una busta di plastica sulle rive del fiume San Juan, non nella discarica.  La nuova perizia, pertanto, “non conferma né smentisce l’ipotesi della PGR”, hanno dichiarato i periti argentini il 2 aprile [13]. Pertanto, dopo un’assemblea presso la normale di Ayotzinapa, i genitori dei 43 studenti e le organizzazioni della società che li sostengono hanno deciso di riprendere le mobilitazioni e le proteste a partire dal 6 aprile. Il Comitato Studentesco della nella scuola “Raúl Isidro Burgos” ha cominciato una sospensione indefinita delle attività e alcune organizzazioni, capeggiate dal “Campamento de los 43” hanno chiuso simbolicamente i cancelli della sede della PGR a Città del Messico.

La verità è oggetto di una guerra sporca in Messico, è stuprata dalla disonestà e dal cinismo ufficiali, mentre sta alla società, ai media autonomi e ai ricercatori indipendenti mantenere vive la memoria e le ricerche. Quello che segue è un tentativo (ben riuscito) in tal senso.

 

ayotzinapa_2Comunicato del 3 aprile 2016 – Collectif Paris-Ayotzinapa – parisayotzi@riseup.net

Nel gennaio 2015 il procuratore generale della Repubblica messicana, Jesús Murillo Karam, ha presentato le conclusioni del governo sul caso dei 43 studenti di Ayotzinapa vittime di sparizione forzata a Iguala il 26 settembre 2014. Secondo la sua versione i 43 studenti sarebbero stati assassinati dalla criminalità organizzata, i loro corpi bruciati nella discarica pubblica di Cocula e le loro ceneri gettate in un fiume sottostante. Nel settembre 2015 il GIEI (Gruppo Internazionale di Esperti indipendenti), nominato della CIDH (Commissione Interamericana dei Diritti Umani), ha reso pubblico un rapporto che rimetteva in discussione questa versione (qui il video della conferenza stampa). Questo rapporto raggiungeva le stesse conclusioni di quelle di numerosi specialisti tra cui l’Equipe Argentina d’Antropologia Forense (EAAF) che aveva determinato che non c’erano elementi scientifici che permettessero d’assicurare che i 43 studenti erano stati calcinati presso la discarica di Cocula. Messo davanti a queste perizie, che contestavano la cosiddetta “verità storica” di Murillo Karam, il governo messicano ha deciso d’effettuare un terzo studio servendosi di un nuovo gruppo di specialisti in tema d’incendi e fuoco.

Per questa perizia la PGR (Procura Generale della Repubblica) ha chiesto la collaborazione del GIEI che ha accettato di partecipare a condizione che tutte le decisioni fossero prese congiuntamente. Il primo aprile 2016 il nuovo gruppo di specialisti nominato dalla PGR e il GIEI ha reso alle autorità messicane un rapporto con alcuni risultati preliminari del proprio lavoro. Contrariamente a quanto convenuto con il GIEI, la PGR ha deciso unilateralmente di rendere immediatement pubblici i risultati di queste perizie. Ha dunque indetto una conferenza stampa che ha avuto luogo il giorno stesso e in cui i giornalisti non hanno avuto la possibilità di fare domande. Ricardo Damián Torres, membro de l’equipe di specialisti, s’è incaricato di fare da portavoce di tutto il gruppo. Contrariamente a quanto il signor Torres aveva indicato al GIEI prima della conferenza stampa, il suo messaggio non si è affatto limitato a segnalare l’impossibilità, al momento, di confermare o rifiutare l’ipotesi della calcinazione degli studenti nella discarica di Cocula. Anzi, è stata fatta allusione a elementi della ricerca che non erano ancora stati analizzati dal GIEI e sui quali non c’era consenso tra tutti i membri del gruppo di specialisti.

In questa conferenza di 4 minuti la PGR ha concluso che c’è stato un evento incendiario controllato di grandi dimensioni e che nella discarica sono stati ritrovati i resti umani di almeno 17 persone incenerite sul posto e che questo permette di formulare l’ipotesi che si tratti dei resti degli studenti scomparsi. La versione della procura si basa principalmente sulle confessioni, probabilmente ottenute sotto tortura (vedere rivista Proceso, 12 settembre 2015) di tre presunti sicari che hanno confessato di aver bruciato gli studenti presso la discarica di Cocula. Eppure, il 9 febbraio 2016 l’Equipe Argentina d’Antropologia Forense (EAAF), in una conferenza stampa durata oltre un’ora e mezza, aveva presentato in modo dettagliato i risultati della sua ricerca nella discarica (che era stata realizzata dal 27 ottobre al 6 novembre 2014, cioè solo un mese dopo la tragedia). Da questa perizia emerge che gli elementi probatori testimoniali forniti dai presunti sicari non concordano con le prove fisiche raccolte sul campo.

L’equipe argentina (cf. ALLEGATO 1) ha dimostrato che nella discarica ci sono stati, sì, molteplici episodi di fuoco controllato, ma che nessuno di essi ha avuto le dimensioni ipotizzate dalla PGR, né ha potuto avere luogo nella notte del 26 settembre 2014. L’EEAF ha trovato nella discarica i resti di almeno 19 individui, tra i quali compaiono due protesi dentali che non corrispondono ai profili degli studenti. L’equipe insiste sul fatto che questi 19 corpi sono stati molto probabilmente calcinati in momenti diversi e che ciò è da mettere in relazione con il contesto delle sparizioni forzate nella zona di Iguala. In effetti, in seguito alla sparizione dei 43 studenti e alle ricerche nella regione, sono stati denunciati a Iguala più di 300 casi di sparizione che sono stati commessi negli ultimi 4-5 anni e nei dintorni sono state scoperte dozzine di fosse clandestine. Per questo l’EAAF, al contrario della procura, afferma che ad oggi non c’è nessun prova fisica che permette di stabilire un legame tra i resti rinvenuti a Cocula e gli studenti scomparsi.

La sola prova al riguardo è costituita dall’osso che ha permesso l’identificazione dello studente Alexander Mora Venancio. Questo frammento osseo è stato ritrovato da membri della Marina all’interno di una busta di plastica scoperta sulle rive del fiume San Juan, in seguito alle confessioni dei presunti sicari. L’EAAF non era presente al momento del rinvenimento e, in mancanza di una catena di custodia, non è in grado di confermarne la provenienza. Il governo, d’altro canto, non ha permesso agli esperti del GIEI d’interrogare i membri della Marina che l’avevano ritrovata.

L’identificazione è stata eseguita dal laboratorio di medicina legale dell’università di Innsbruck, che è stato incaricato dal governo messicano d’analizzate 17 resti calcinati. Il solo frammento per cui è stato possibile estrarre il DNA nucleare è l’osso di A. Mora Venancio. Questo frammento, secondo l’EAAF, presentava un colore diverso, una dimensione maggiore e un minor grado d’esposizione al fuoco degli altri frammenti ossei ritrovati nella discarica o nelle buste. Gli altri campioni, essendo troppo calcinati per poterne estrarre il DNA nucleare, sono stati sottoposti a una procedura sperimentale per l’estrazione del DNA mitocondriale. Grazie a questo metodo gli esperti hanno trovato una corrispondenza con la madre dello studente Jhosivani Guerrero de la Cruz, ma la coincidenza genetica è debole in termini statistici e l’EAAF considera che questo risultato non permette un’identificazione definitiva, soprattutto se si tiene in conto il numero degli scomparsi nella regione. Inoltre il frammento in questione proveniva, anch’esso, dalla busta recuperata nel fiume. Il laboratorio di Innsbruck ha eseguito i test del DNA sul resto dei campioni e consegnerà i risultati nei prossimi giorni.

Insomma, in questa nuova ricerca realizzata un anno e mezzo dopo i fatti la PGR non apporta nuovi dati rispetto alle perizie precedenti, però ne ricava conclusioni differenti. Affermando che almeno 17 persone sono state bruciate nella discarica durante uno stesso evento incendiario, la procura cerca di eliminare le incoerenze tra le prove fisiche e le testimonianze dei sicari e d’imporre, così, la sua “versione storica” dei fatti. Il modo in cui questi risultati sono stati resi pubblici mostra nuovamente l’incompetenza del governo, il suo autoritarismo e il suo disprezzo per le vittime e i loro cari, non solamente per i 43 studenti di Ayotzinapa ma per centinaia di desaparecidos della regione di Iguala, alcuni dei quali potrebbero essere stati bruciati nella discarica di Cocula (basti pensare alla citata protesi dentale non appartenente ad alcun studente di Ayotzinapa).

Tutto questo accade in un contesto molto delicato. Infatti, malgrado la richiesta delle famiglie dei 43 di prolungare il mandato del GIEI, che scade in aprile, il governo ha deciso di non rinnovare la missione del Gruppo, nonostante il caso degli studenti, tuttora desaparecidos, sia lontano dall’essere risolto. Inoltre, da qualche mese, i membri del GIEI sono oggetto di una ignobile campagna di discredito su certi mezzi di comunicazione messicani e nelle reti sociali. Il governo messicano non ha mostrato nessuna volontà di mettere fine a queste diffamazioni che, sia beninteso, mirano a screditare il lavoro fatto dal GIEI. Al contrario, le autorità messicane hanno dato seguito a una denuncia infondata sporta contro il segretario esecutivo della CIDH, Emilio Álvarez Icaza, riguardante una presunta appropriazione indebita di fondi pubblici da parte del GIEI.

Non è la prima volta che il governo di Enrique Peña Nieto si mostra ostile verso gli organismi internazionali che denunciano la violazione dei diritti umani in Messico. Nel marzo 2015, quanto il relatore speciale dell’Onu sulla tortura, Juan Méndez, ritenne che la tortura in Messico era una pratica generalizzata, fu definito dalle autorità messicane “non professionale e non etico” (commento fatto da Juan Manuel Gómez Robledo, che all’epoca era responsabile dei diritti umani presso il Ministero degli Esteri e che è attualmente l’ambasciatore messicano in Francia). Inoltre la nuova autorizzazione per una visita che Juan Méndez ha richiesto al governo messicano per continuare il suo lavoro nel 2016 è stata appena rifiutata col pretesto di problemi di calendarizzazione.

L’informazione diffusa in Francia (e in genere in Europa) riguardante la nuova perizia non considera altro che il messaggio lanciato in conferenza stampa dal governo. Vi invitiamo a esaminare il comunicato stampa che il GIEI ha pubblicato immediatamente dopo la conferenza della PGR e in cui denuncia le manovre delle autorità messicane e le loro mancanze nel rispetto degli accordi sottoscritti. Vi invitiamo inoltre a entrare in contatto con le famiglie dei desaparecidos e con gli studenti che hanno subito l’aggressione del 2014 per conoscere la loro versione dei fatti. I familiari e i cari dei 43 rifiutano categoricamente l’annuncio fatto il primo aprile e sono determinati a continuare la loro lotta finché non si arrivi alla verità e alla giustizia.

Restiamo a vostra disposizione e vi invitiamo a mettervi in contatto con noi per ulteriori informazioni.

 

ALLEGATO 1 Conferenza stampa del 9 febbraio 2016 dell’Equipe Argentina d’Antropologia Forense (EAAF)

Ecco le principali conclusioni del gruppo di esperti argentini:

  • Rapporti metereologici realizzati da varie istituzioni registrano precipitazioni piovose nella zona di Cocula durante la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014. Inoltre, le immagini satellitari confermano l’assenza di fuoco a tale data.
  • I 138 elementi balistici (bossoli e proiettili) ritrovati nella discarica provengono da almeno 39 armi da fuoco distinte. Si tratta per lo più di armi da spalla, mentre i presunti testimoni parlano di armi da pugno. Inoltre, alcuni di questi elementi balistici erano arrugginiti, il che significa che la loro presenza nella discarica precede la scomparsa degli studenti.
  • L’analisi del suolo, della vegetazione, di insetti e di escrementi animali ha dimostrato che nella discarica sono avvenuti numerosi episodi di fuoco controllato con differenti epicentri, il che è confermato dalle immagini satellitari degli ultimi anni. Per di più, dei tronconi d’albero sono stati ritrovati nel punto in cui, secondo i sicari, si trovava la pira usata per bruciare i corpi. Se l’indicazione dei sicari fosse esatta, i tronconi dovrebbero essere, anch’essi, completamente carbonizzati.
  • Nella discarica sono stati trovati centinaia di frammenti ossei carbonizzati che non possono essere stati calcinati in un solo evento incendiario, perché presentano differenti livelli di esposizione al fuoco e perché sono sparpagliati in vari punti della discarica. Basandosi sulle “rocche petrose” (che sono le ossa del cranio più resistenti) presenti nella discarica, l’EAAF ha calcolato che tali resti umani appartengono ad almeno 19 individui diversi. Tra questi resti, figurano due protesi dentarie, di cui una è fissata su una mandibola. Siccome nessuno degli studenti di Ayotzinapa portava protesi, nella discarica sono sicuramente presenti resti umani non attribuibili agli studenti.

Note

[1] (Legati a indagini di competenza federale e di ogni stato) http://secretariadoejecutivo.gob.mx/rnped/datos-abiertos.php

[2] https://youtu.be/aevgXsqTEIw  o http://www.hchr.org.mx/index.php?option=com_k2&view=item&id=767:declaracion-del-alto-comisionado-de-la-onu-para-los-derechos-humanos-zeid-ra-ad-al-hussein-con-motivo-de-su-visita-a-mexico&Itemid=265

[3] Steve Fisher y Anabel Hernández, Iguala, la historia no oficial, http://www.proceso.com.mx/390560/iguala-la-historia-no-oficial

[4] http://centroprodh.org.mx/GIEI/

[5] https://www.centrodemedioslibres.org/2015/09/06/informe-ayotzinapa-del-grupo-interdisciplinario-de-expertos-independientes-de-la-cidh/

[6] AAVV, México, la Guerra invisible. Informe de Libera contra las mafias. http://www.red-alas.net/wordpress/wp-content/uploads/2015/09/DossierMexico_LIBERA_ESP.pdf (pp. 52-55)

[7] José Reveles, Échale la culpa a la heroína, Grijalbo, 2015.

[8] Denise Maerker. Ayotzinapa, incompetencia y manipulación. http://www.eluniversal.com.mx/entrada-de-opinion/columna/denise-maerker/nacion/2015/09/8/ayotzinapa-incompetencia-y-manipulacion

[9] http://www.radioformula.com.mx/notas.asp?Idn=581856&idFC=2016

[10] http://www.oas.org/es/cidh/sesiones/docs/Calendario-157-audiencias-es.pdf

[11] Comunicado completo http://aristeguinoticias.com/2403/mexico/ongs-europeas-respaldan-en-un-comunicado-al-giei/

[12] http://www.seguridadjusticiaypaz.org.mx/

[13] http://aristeguinoticias.com/0204/mexico/el-tercer-peritaje-sobre-cocula-no-afirma-ni-niega-hipotesis-de-la-pgr-peritos-argentinos/

]]>