Astensionismo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 01 Apr 2025 20:00:58 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta. https://www.carmillaonline.com/2023/02/19/dal-bunga-bunga-al-festival/ Sun, 19 Feb 2023 21:00:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76167 di Sandro Moiso

La recente assoluzione del Cavaliere da cabaret non può stupire più di tanto, pertanto l’autore di queste righe non si protrarrà nel ricordare gli eventi e le polemiche che hanno accompagnato la vicenda. Già fin troppo tempo si è speso su un terreno che di opposizione politica reale ben poco aveva ma che, in compenso, è servito da paravento per segnare un passaggio epocale di tanta sinistra italica da una posizione di carattere ancora socialdemocratico ad una persa tra le spirali del liberalismo salottiero e moralista, oltre che economico, [...]]]> di Sandro Moiso

La recente assoluzione del Cavaliere da cabaret non può stupire più di tanto, pertanto l’autore di queste righe non si protrarrà nel ricordare gli eventi e le polemiche che hanno accompagnato la vicenda. Già fin troppo tempo si è speso su un terreno che di opposizione politica reale ben poco aveva ma che, in compenso, è servito da paravento per segnare un passaggio epocale di tanta sinistra italica da una posizione di carattere ancora socialdemocratico ad una persa tra le spirali del liberalismo salottiero e moralista, oltre che economico, destinate soltanto a far smarrire qualsiasi riferimento alla guerra tra le classi e ai bisogni materiali delle fasce sociali meno abbienti della società.

Sì, le lunghe “battaglie”, soprattutto mediatiche, condotte sulle “malefatte” di un premier autentico erede del Marchese del Grillo, intravisto nel nostro futuro più che nel passato nazionale da quel geniaccio cinematografico che rispondeva al nome di Mario Monicelli, avranno pure alimentato tanta ironia, anche sulle pagine di «Carmillaonline» attraverso le “Schegge taglienti” di Alessandra Daniele, ma, soprattutto, sono servite a diffondere una tendenza al moralismo e al giustizialismo che, dopo aver rinvigorito l’immagine di Marco Travaglio e del suo giornale e aver costituito le fondamenta dei “Vaffa Day” di Beppe Grillo, che hanno preceduto l’entrata in scena del Movimento 5 Stelle, ha cancellato, o almeno ha cercato di farlo, ogni riferimento al fatto che la battaglia politica, soprattutto se condotta da Sinistra, dovrebbe fondare le sue radici nelle contraddizioni reali del modo di produzione capitalistico. E non nelle sue platoniche ombre mediatiche.

Si dice che Antonio Ricci, ideatore di tanta tv berlusconiana, dai tempi di Drive In e Lupo Solitario fino ai tutt’ora inossidabili Striscia la notizia e Paperissima, sia da sempre appassionato ammiratore e collezionista di tutto quanto riguardi il Maggio francese e il Situazionismo. Così da far pensare che di quella significativa esperienza critica possa esser diventato uno dei legittimi eredi. Portando lo spettacolo ad essere l’unico elemento di riferimento per qualsiasi critica sociale e politica e rovesciando la rabbia della critica nel sorriso, nemmeno acido, dello spettacolo d’intrattenimento. Tanto da poter dire che se Bonaparte fu l’esecutore testamentario della Rivoluzione francese, così Ricci, si scusi il paragone un po’ azzardato sul piano storico e delle dimensioni effettive dei personaggi e degli eventi, lo è stato altrettanto in Italia per le intuizioni di Guy Debord sulla Società dello spettacolo.

Passato dalle collaborazioni con Beppe Grillo a quella più lunga, solida e, probabilmente, meglio remunerata col Cavaliere di Monza, l’autore televisivo, dopo essersi fatto le ossa in Rai, ha potuto scatenare il suo estro in una serie di programmi che hanno abituato il pubblico a reagire con lo sghignazzo e la battuta a qualsiasi evento politico e sociale. Trasformando così ogni evento in un puro e semplice spettacolo satirico. Anche se dai tempi di Lupo Solitario e dei gemelli Ruggeri, ivi transitati dal cabaret insieme a Patrizio Roversi e Syusy Bladi, e dell’ironica critica al socialismo reale raffigurato nell’immaginaria terra di Kroda, a quelli del Tapiro d’oro di Striscia la notizia e degli involontari capitomboli di Paperissima, qualcosa si è perso per strada. Soprattutto in termini di originalità.

Ma poco importa poiché, per i motivi appena menzionati, forse, si dovrebbe affermare che il vero artefice e stratega dei successi berlusconiani, compresi quelli processuali, sia da individuare proprio in colui che del détournement situazionista ha fatto la sua carta vincente e il grimaldello per scassinare una comunicazione “politica” già da tempo imbalsamata. Il rovesciamento, l’uso obliquo dei significati e dei fatti ha infatti finito col costituire il motore e il motivo delle narrazioni politiche italiane, certo non soltanto a partire dall’epoca berlusconiana, ma che in quest’ultima ha trionfato.

Soprattutto a Sinistra.
Un trionfo del rovesciamento che ha fatto sì che oggi gran parte del cosiddetto elettorato, ma anche chi scrive, non sappia più cosa significhi concretamente in politica il termine “sinistra”. Troppo volubile, troppo espandibile, troppo ambiguo e, come si sa, il troppo stroppia.

Una Sinistra istituzionale ammaliata dai salotti dei talk show televisivi. Una Sinistra per cui il look e l’apparenza hanno trionfato sui contenuti, così come dimostrano ancora le immagini di quella parte della stessa che esultava trionfante alla vista del Cavaliere che lasciava Palazzo Chigi nel 2011. Soltanto per sottomettersi, poi, al successivo governo Monti, lanciato in tv come salvatore della patria, non lo si dimentichi mai, proprio da Pier Luigi Bersani, e alla riforma Fornero delle pensioni. Senza nemmeno lontanamente accennare a ciò che oggi, per un tipo di riforma simile ma tutto sommato più leggera (64 anni invece di 67 per la pensione di vecchiaia) sta accadendo nelle strade e nelle piazze francesi.

Una Sinistra, infine, che si affida ai messaggi social e alle prediche vuote del Festival di Sanremo, durante il quale lo spettacolo di nani e ballerine di craxiana memoria si è ripetuto su grande scala e con un audience elevatissima. Liberalismo da strapazzo che, tra fiori che volavano per i calci di Blanco e le finte provocazioni di Rosa Chemical, Fedez e dei Maneskin, si è ammantato di “impegno civile” per mezzo dei discorsi stantii e retorici di Benigni; di un femminismo che non è riuscito nemmeno a elevarsi al livello dell’hollywoodiano “Me Too” (già piuttosto deludente rispetto ad un serio discorso sulla questione delle reali condizioni sociali e famigliari di milioni di donne); della superficiale lamentatio antirazzista e di mille altre banalità di base scambiate per discorsi “seri” e “impegnati”.

Discorsi del tutto simili a quelli contenuti nei programmi del PD che un altro uomo di spettacolo, Fiorello, ha definito “discorsi ad minchiam” dopo essersi imbattuto in un articolo dell’Adnkronos riguardante “i caratteri del nuovo partito nella quattro mozioni”, nel quale si citava testualmente: «Il nuovo Pd dovrà essere ‘aperto’, ‘inclusivo’ e ‘di prossimità’. Ma anche ‘paritario’, magari con una ‘cosegreteria’ o comunque con vertici ‘duali’ uomo/donna, e mai più ‘verticista’».

Il successo di tanto chiacchiericcio inutile e vuoto, tutt’altro che classista, si è visto, ad esempio nel calo dei tesserati del PD, sul quale pesano nonostante tutto anche le false tessere campane, la scarsa attenzione per il suo congresso (soprattutto nelle sezioni di tradizione “operaia”) e nel risultato delle votazioni regionali di Lazio e Lombardia in cui, guarda caso, il vero vincitore è stato l’astensionismo. Un astensionismo cosciente, non nel senso politico ma di rabbia e disgusto volutamente espresso attraverso il non voto. Come ha ammesso Stefano Fassina in un articolo dell’«Huffington Post» del 16 febbraio scorso:

Un’astensione con un nettissimo segno di classe. A tal proposito, le analisi delle precedenti tornate elettorali, amministrative e politiche sono inequivocabili. In attesa della scomposizione sociale del voto del 12-13 febbraio scorso, ne troviamo chiara conferma nell’affluenza a Roma, dove la quota di votanti in ciascun Municipio è direttamente proporzionale al reddito medio in esso registrato. […] In sintesi brutale, chi ha più bisogno di politica sta lontano dalla politica e, quando si avvicina alla politica, sta lontano dalla sinistra ufficiale…

Astensionismo che segnala anche, però, la possibilità di una rinascita futura di movimenti spontanei dal basso, poco ideologizzati e ancor meno inquadrabili ai fini dell’ormai cadaverico parlamentarismo. Manifestazione di uno scontento diffusissimo, giovanile e non, operaio e non, femminile e non, che per forza di cose dovrà, in forme ancora tutte da definire, rivolgersi contro l’attuale sistema di valori “condivisi” e di sfruttamento diffuso, mal retribuito e spietato del lavoro salariato. In sostanza, contro il capitale e le sue guerre sociali e militari.

Per ora, Berlusconi ha vinto e si sfrega ancora una volta le mani felice. Ma non ha vinto per i cavilli legali utilizzati dai suoi abili avvocati e nemmeno per le crepe apertesi nella magistratura e nel suo lavoro. Sempre fin troppo efficiente nei confronti di anarchici e No tav. Anche se Marco Travaglio potrà piangere ancora su puttanieri scagionati e giudici minacciati, mentre ancora qualche giorno fa il suo giornale mostrava un’immagine di prima pagina in cui alle spalle di Alfredo Cospito si proiettavano le ombre dei mafiosi, sbandierando il suo giustizialismo “tradito” nelle aule di tribunale e parlamentari.

Silvio Berlusconi rimane l’autentico vincitore di Sanremo, tant’è vero che del, tutt’altro che monolitico, blocco di centro-destra è stato l’unico a non iniziare la tiritera opposta su foibe, famiglia e droga. Perché sapeva di aver vinto, insieme ad un Guy Debord rovesciato nel suo contrario (com’è destino di ogni teorico del détournement), quando ha visto il Presidente della Repubblica inchinarsi davanti allo spettacolo e alle sue implacabili leggi. In nome dei discorsi di “impegno civile”. Mentre, Zelensky, nel ruolo di fantasma europeo, poteva soltanto aggirarsi ma non manifestarsi di persona sul palco dell’Ariston.

Dunque, dopo tanti anni, missione compiuta per il Cavaliere. Con la Sinistra istituzionale definitivamente rovesciata nel contrario di ciò che avrebbe dovuto essere e “rifondata” a immagine e somiglianza del glamour dei programmi Mediaset.
The king is dead, long live the king!
Anche se all’orizzonte già si delinea il volto confuso di uno strano soldato…

APPENDICE

Si allega qui di seguito, per dover di cortesia e non per altro, la precisazione richiesta all’autore dall’Ufficio Stampa di Striscia la notizia.

PRECISAZIONE CON RICHIESTA DI PUBBLICAZIONE

Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta.

Gentile Sandro Moiso,

abbiamo letto il suo pezzo “Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta”, apparso su Carmillaonline.com il 19 febbraio. Superata una certa sorpresa nell’assistere al divertente e creativo tentativo di collegare l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo “Ruby ter” al Festival di Sanremo 2023 e all’impatto sul linguaggio televisivo (e non solo) avuto da Striscia la notizia e dai programmi di Antonio Ricci, ci teniamo a precisare alcuni punti che ci sembrano decisivi.

Drive In, come d’altra parte anche Lupo solitario, che lei cita, è stato un programma innovativo, libero e libertario. Era una caricatura delle abitudini degli italiani e della società dell’epoca: un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi degli anni 80. Una parodia dell’Italia di quegli anni esagerati, del riflusso, dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere. Omar Calabrese, Luciano Salce, Giovanni Raboni, Federico Fellini, Umberto Eco, Oreste Del Buono, Angelo Guglielmi e tanti altri intellettuali dell’epoca la definirono «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» o «l’unico programma per cui vale la pena di avere la tv».

È andato in onda dal 1983 al 1988, quindi molti anni prima della fondazione di Forza Italia e non ha nulla a che fare con l’impegno politico diretto di Silvio Berlusconi.

E seppure, come scrive lei, a Striscia la notizia, che è nata nel 1988, a volte si ride, è pure vero che non è sempre così. Si ride pochissimo quando, come in questi giorni, si mandano in onda immagini delle violenze dentro il CPR (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Palazzo San Gervasio, delle gabbie in cui vengono rinchiusi gli “ospiti” della struttura, delle fascette di contenzione, della “terapia” a base di sedativi che alcuni di loro sono costretti a prendere. Tanto più che Striscia la notizia è l’unica voce di denuncia, nell’indifferenza generale della stampa nazionale. A Striscia si ride pochissimo anche quando salta in aria l’auto dell’inviata da Palermo, Stefania Petyx, che tra i tanti servizi contro le mafie ne ha realizzato uno a Corleone, proprio sotto la casa di Totò Riina. O quando in redazione arriva un pacco bomba o quando viene data alle fiamme la casetta di un inviato. Si ride pure pochissimo quando si denunciano magagne, errori, inefficienze del nostro Paese e lo si fa senza riguardi per le più importanti imprese pubbliche e private, dall’Eni a Fca, a Telecom, e per questo si accumulano più di 400 vertenze legali, e neppure quando si indaga sulle acque minerali, i supermercati, le grandi aziende che talvolta sono sponsor della rete televisiva che manda in onda il programma. È chiaro che tutti noi (lei compreso) potremmo sempre fare di più. Ci proviamo, spesso non ci riusciamo e aumenta il disincanto nel constatare che una risata, anche finta, non seppellirà nessuno.

Con i nostri più cordiali saluti

L’ufficio stampa di Striscia la notizia

P.S. Antonio Ricci non ha mai firmato esclusive di alcun genere con nessuna rete proprio per avere la più grande autonomia possibile.

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Il Sistema Tedesco https://www.carmillaonline.com/2017/07/09/il-sistema-tedesco/ Sun, 09 Jul 2017 18:40:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=39370 di Alessandra Daniele

L’astensionismo ha superato il 50%. Ormai la maggioranza degli aventi diritto al voto si tiene lontano il più possibile dalla scheda elettorale, come fosse una mail di phishing. 50%. È un dato che colpisce. Com’è possibile che ci siano ancora così tanti italiani disposti a votare per questo branco di grotteschi cialtroni noti come la nostra classe politica? Come fanno a fidarsene, come fanno a sopportarli, come fanno anche solo a distinguerli? Un milione di liste. Un solo obiettivo: il potere. Un solo padrone: il mercato. Una sola preoccupazione: bloccare le [...]]]> di Alessandra Daniele

L’astensionismo ha superato il 50%. Ormai la maggioranza degli aventi diritto al voto si tiene lontano il più possibile dalla scheda elettorale, come fosse una mail di phishing.
50%. È un dato che colpisce. Com’è possibile che ci siano ancora così tanti italiani disposti a votare per questo branco di grotteschi cialtroni noti come la nostra classe politica?
Come fanno a fidarsene, come fanno a sopportarli, come fanno anche solo a distinguerli?
Un milione di liste.
Un solo obiettivo: il potere.
Un solo padrone: il mercato.
Una sola preoccupazione: bloccare le inchieste, giudiziarie e giornalistiche.
Un solo slogan: “Basta negri”.
Promessa vana, oltre che infame.
Perché l’Europa ci ha chiuso fuori.
Ci ha sbattuto la porta in faccia.
Per quanto gli italiani si credano diversi dai migranti, per l’Impero Carolingio di Merkel e Macron non sono che altri pezzenti sulla stessa barca.
I cialtroni nostrani però continuano a promettere di risolvere i problemi che loro stessi hanno creato, e che con la loro avidità, disonestà, incompetenza, possono soltanto aggravare.
Perché tanti italiani li votano ancora, perché rischiano di affidare un municipio o un ministero a chi non dovrebbe gestire nemmeno una bancarella?
La risposta è in un certo senso contenuta nella domanda.
Gli italiani ormai non votano più per, votano solo contro.
Fanno la croce sulla scheda sperando solo di fottere la banda di cialtroni che gli sta più sul cazzo, quelli che trovano più odiosi, o che ritengono più pericolosi.
Senza illusioni.
Non sperano di sconfiggerli né di fermarli, solo di rallentarli per un po’, vederli rosicare.
Vederli perdere un po’ del denaro che hanno rubato, del potere che hanno usurpato, delle false amicizie, delle clientele.
Vederli annaspare e sudare in Tv, agitarsi inventando cazzate patetiche per negare la disfatta, contorcersi come scarafaggi schienati.
Vederli rivoltarsi contro i complici di partito. Pugnalarsi alle spalle. Divorarsi a vicenda.
È questa l’ultima soddisfazione che rimane agli elettori italiani.
Questo è il sistema tedesco che abbiamo adottato.
Schadenfreude.

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Il Cazzaro Dimezzato https://www.carmillaonline.com/2015/06/07/il-cazzaro-dimezzato/ Sun, 07 Jun 2015 19:14:43 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23092 di Alessandra Daniele

Wow, that was quick.

renzi-dimezzatoA quanto pare la Golden Age del Renzismo è durata meno di un anno. Gli agiografi che ne prevedevano almeno venti si stanno già contorcendo in una patetica marcia indietro. E nel PD sono ai materassi. Il solo valore aggiunto di Renzi era essere un vincente. L’unica cosa che spingeva quasi tutti nel suo partito e dintorni a sopportarne arroganza e incompetenza era la sua promessa di tenerli comunque quasi tutti al potere. Un Renzi che perde non serve più a niente. Un Renzi che [...]]]> di Alessandra Daniele

Wow, that was quick.

renzi-dimezzatoA quanto pare la Golden Age del Renzismo è durata meno di un anno. Gli agiografi che ne prevedevano almeno venti si stanno già contorcendo in una patetica marcia indietro. E nel PD sono ai materassi.
Il solo valore aggiunto di Renzi era essere un vincente. L’unica cosa che spingeva quasi tutti nel suo partito e dintorni a sopportarne arroganza e incompetenza era la sua promessa di tenerli comunque quasi tutti al potere.
Un Renzi che perde non serve più a niente.
Un Renzi che si fa fottere persino dall’ottantenne Berlusconi che dopo aver lanciato in alto la Paita alle primarie, l’ha impallinata come una quaglia alle regionali, piazzando l’ex direttore di Studio Aperto alla presidenza della Liguria. Un Renzi che si fa fottere persino da Civati, il fuffoso zimbello di Twitter che contro la Paita ha rastrellato il doppio di SEL al primo tentativo.
Un Renzi che perde metà dei voti, e scappa in Afghanistan con metà mimetica ha ormai perduto anche la sua immunità.
In meno d’un anno delle sue cazzate, la percentuale nazionale del PD è crollata dal 41% delle europee al 23%, due punti sotto la tanto perculata vecchia Ditta Bersani, alla quale appartengono tutti i presidenti regionali PD eletti, mentre le renziane hanno fatto la fine d’una Barbie in bocca a un cane.
Calcolato il 50% d’astensione, ormai meno d’un italiano su dieci ha ancora voglia di tapparsi il naso e il culo per votare PD.
Ed è pure troppo, viste tutte le porcate di cui l’aspirante Partito della Nazione s’è reso responsabile.
La legittimità politica del governo Renzi, già fantasmatica fin dall’inizio, esce da queste regionali completamente azzerata.
L’ascesa di Renzi è stata rapida, la discesa potrebbe esserlo altrettanto. Questo non significa che abbia smesso d’essere pericoloso, purtroppo per quanto sonora questa sconfitta è ancora soltanto una mezza misura. Ci sono altre porcate che il Cazzaro corrente firmerà prima di venire sostituito col prossimo come un filtro intasato.
Probabilmente la Finanziaria di quest’anno, e qualche altra tappa della demolizione controllata della Costituzione.
Poi auspicabilmente finirà nella spazzatura insieme ai leccaculo che l’avevano scambiato per il giovane invincibile führer del reich millenario. E toccherà al successore.
Di Maio promette 780 euro al mese per tutti i disoccupati e i pensionati.
Salvini promette di tagliare l’aliquota fiscale al 15% per tutti gli italiani purosangue.
Le semifinali per il titolo di Cazzaro 2.0 sono cominciate.

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Il paese regale https://www.carmillaonline.com/2014/11/30/il-paese-regale/ Sun, 30 Nov 2014 21:33:56 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=19093 di Alessandra Daniele

OTPIl tanto strombazzato 40% renziano è un record farlocco quanto le sue promesse. Calcolata la massiccia, maggioritaria astensione, il presidente PD dell’Emilia Romagna è stato in realtà votato solo dal 17% degli elettori. Questo significa che 9 emiliani e romagnoli su 10 saranno governati da qualcuno che non hanno eletto. Il vero record è questo. Il vincitore di X Factor avrà una legittimazione popolare maggiore. Diventa sempre più evidente quanto la cosiddetta democrazia italiana sia in realtà una monarchia da operetta, al momento rappresentata da un petulante reuccio [...]]]> di Alessandra Daniele

OTPIl tanto strombazzato 40% renziano è un record farlocco quanto le sue promesse. Calcolata la massiccia, maggioritaria astensione, il presidente PD dell’Emilia Romagna è stato in realtà votato solo dal 17% degli elettori. Questo significa che 9 emiliani e romagnoli su 10 saranno governati da qualcuno che non hanno eletto. Il vero record è questo.
Il vincitore di X Factor avrà una legittimazione popolare maggiore.
Diventa sempre più evidente quanto la cosiddetta democrazia italiana sia in realtà una monarchia da operetta, al momento rappresentata da un petulante reuccio che mentre l’Italia letteralmente sprofondava nel fango, ha passato tutto l’autunno fra cene di lusso, inaugurazioni, e vertici internazionali.
L’Italia è una satrapia pataccara il cui precedente kaiser sòla Berlusconi ha semi-abdicato per convenienza in favore di quello dei suoi principini ereditari che gli somigliava di più, cioè, come spesso succede, quello “bastardo”, cresciuto in un’altra famiglia, ma col suo stesso DNA politico e culturale.
La corte del Bastardo consiste essenzialmente in una schiera di principesse-immagine incaricate di rappresentarlo ripetendo pedissequamente i suoi slogan in tutti i talk show che non ha tempo e voglia d’occupare di persona, e di affiancarlo alle cene come accompagnatrici.
Intanto la rabbia degli sfruttati viene convenientemente dirottata verso gli immigrati da Salvini, la nuova opposizione funzionale che i media monarchici hanno costruito apposta a questo scopo dandogli quasi più spazio televisivo che allo stesso Renzi.
”Salvini e Camusso sono due facce della stessa medaglia” ha sentenziato di recente il reuccio: in realtà sono Salvini e Renzi a essere due facce dello stesso culo.
Il M5S sta mutando con la stessa velocità con la quale s’era sviluppato. L’arbitraria investitura regale del rampante Di Maio e degli altri quattro marchesi del Grillo sputtana definitivamente lo slogan ”Uno vale Uno” per quella cazzata che è sempre stato.
L’Italia è una monarchia, e neanche una di quelle moderne, europee, costituzionali, è una satrapia da terzo mondo nella quale una famiglia di spocchiosi parassiti consuma tutte le risorse, mentre al suddito viene additato come nemico il vicino di casa più sfruttato di lui, e le elezioni sono una farsa da mostrare alle telecamere e della quale chiacchierare inutilmente in Tv. Mentre la politica estera si stabilisce all’estero. E tutto il resto lo decide il mercato.

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The Empty Box https://www.carmillaonline.com/2013/06/05/the-empty-box/ Tue, 04 Jun 2013 23:00:04 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=6168 di Sandro Moiso

jack in the box

Urna. Urna cineraria. Urna elettorale. Urna vuota. Triste cimitero di speranza infrante e tradite, cadaverica rassegna di ideologie politiche morte e sepolte. Vuoto di idee e di proposte che si è trasformato in una significativa assenza di risposta da parte di un elettorato più toccato dalla crisi che dai discorsi dei leader  e/o dagli slogan “acchiappa-voti”. Questa la fotografia delle ultime competizioni elettorali, dal novembre del 2012 al maggio del 2013, in Italia.

Un autentico deserto dei Tartari, in cui presidenti di seggio e scrutatori   hanno atteso inutilmente [...]]]> di Sandro Moiso

jack in the box

Urna. Urna cineraria. Urna elettorale. Urna vuota. Triste cimitero di speranza infrante e tradite, cadaverica rassegna di ideologie politiche morte e sepolte. Vuoto di idee e di proposte che si è trasformato in una significativa assenza di risposta da parte di un elettorato più toccato dalla crisi che dai discorsi dei leader  e/o dagli slogan “acchiappa-voti”. Questa la fotografia delle ultime competizioni elettorali, dal novembre del 2012 al maggio del 2013, in Italia.

Un autentico deserto dei Tartari, in cui presidenti di seggio e scrutatori   hanno atteso inutilmente l’arrivo di elettori sempre più scarsi e poco motivati. Un’autentica catastrofe per il parlamentarismo di stampo borghese o anche solo populista. Il consenso non c’è più. Si sta esaurendo. Per tutti. Nonostante i recenti sforzi di “Piazza Pulita” per rilanciare Beppe Grillo.

Certo, i risultati delle amministrative non sono pienamente comparabili con quelli delle politiche, anche per il numero di elettori coinvolti. Certo, Pdl e 5 Stelle hanno subito un calo (comunque più che fisiologico) anche perché entrambi i partiti dipendono moltissimo (per quanto riguarda il risultato elettorale) dall’impegno profuso dai due rispettivi leader in termini di campagna elettorale.  Ma ciò non toglie che il trend astensionistico, iniziato in maniera vistosa con le elezioni siciliane di novembre e continuato con quelle politiche di febbraio, abbia subito un ulteriore salto in avanti, o in alto, alle ultime amministrative, con un astensione netta di quasi il 40% degli aventi diritto al voto. 

Così, mentre i media nazionali e i leader dei maggiori schieramenti cercano di giustificare la scarsa affluenza ai seggi cantando vittoria (per il PD o per la tenuta della maggioranza) oppure accusando gli Italiani “peggiori” (Grillo), pochi hanno tentato di puntare il riflettore sulle cause e conseguenze di tale nuova voragine elettorale.

 Primo, come al solito quando si tratta di fustigare PD e Pdl, Il Fatto Quotidiano che, in un articolo di Chiara Paolin, rammenta come ben poco ci sia da cantar vittoria anche per il PD: ”Vincere perdendo è la grande novità delle Amministrative 2013. Succede al PD, che rispetto alle Comunali del 2008 ha visto sparire 291mila voti (di cui 253mila soltanto a Roma, NdA), il 41%” (29 maggio 2013). Senza contare che si sono ridotti del 38% rispetto alle già disastrose elezioni politiche di febbraio.

 Secondo arriva il quotidiano Libero, sostanziale controparte di destra del giornale di Marco Travaglio e Antonio Padellaro, che nel rammentare la sostanziale catastrofe leghista nelle regioni del Nord, sottolinea, nelle parole di Maurizio Belpietro, come: ”Solo pochi giorni fa il presidente di Confindustria avvisava politici e opinionisti del rischio che incombe sull’economia delle regioni più sviluppate. Per Squinzi la crisi economica potrebbe far esplodere il Nord, con le conseguenze che si possono immaginare in termini di Prodotto interno lordo perso e – perché no – di conflitti sociali innescati. […] La rabbia e il disagio hanno provato a indirizzarsi verso Grillo e ora potrebbero imboccare altre strade. E non è detto che siano migliori delle precedenti” (29/05/2013).

 Meno legata al risultato elettorale immediato e più attenta alle “cause profonde” dello stesso appare Barbara Spinelli che, sulle pagine di Repubblica, scrive: ”Lo Stato, la politica, i cittadini:il triangolo resta malato, corrotto, e se c’è chi si rallegra per la tenuta del PD (non tenendo conto del fatto che in queste elezioni lo stesso partito si è ridotto, a Roma, ad una quota del 20%, NdA) e la caduta di 5Stelle vuol dire che ha un rapporto storto con la verità. Il triangolo suscita non solo disgusto, ma voglia di altra politica. Nello Stato e nella politica gli elettori credono sempre di meno. Sono anche delusi da Grillo, dall’assenza di leader locali forti, ma non smettono il desiderio di partecipare, anche usando la lama dell’astensione. Sono impolitici? Sì, se la politica si esaurisce tutta nei partiti.[…]

  Se guardiamo le tre cose insieme (elezioni, referendum di Bologna, processo di Palermo), il Partito Democratico ha poco da festeggiare, e molto da rimproverarsi.[…] Localmente il PD ha apparati ferrei: ma apparati benpensanti più che pensanti, timorosi di apparire di sinistra. A Bologna non ha saputo ascoltare chi difende la scuola pubblica, minacciata mortalmente in tempi di penuria.[…] Un numero crescente di cittadini si associa dissociandosi, impegnandosi civilmente in modi diversi e inediti; sfiduciando lo Stato come è fatto e rifugiandosi nell’astensione […] Non meno di 5 – 8 milioni di cittadini si associano così. Queste forme di opposizione vedono quel che sembra sfuggire a chi ci governa: il crescente baratro che si è aperto fra l’orizzonte delle nostre aspirazioni e dei nostri diritti e le pratiche di governo.” (29/05/2013)

 Pur meno epifenomenica delle due precedenti, l’analisi della Spinelli resta ancorata alla superficie degli avvenimenti attuali che, però, affondano le radici in una più vasta crisi delle relazioni, sociali, economiche e politiche che caratterizzano l’attuale modo di produzione capitalistico. Crisi che non può essere letta soltanto dal punto di vista economico: con 3528 imprese fallite, soprattutto al Nord e in particolare nel Nord-Est, nel primo trimestre di quest’anno, con i 19 cali mensili consecutivi per la produzione industriale  e con i 56 miliardi di euro di ricavi in meno persi dalla manifattura italiana nel biennio 2012-2013 (dati tratti da Il Sole 24 ore del 30/05/2013).

 No, non si tratta solo di questo. Scrivevano Giorgio Cesarano e Gianni Collu, nel 1973: “Il capitale, come modo sociale di produzione, realizza il proprio dominio reale quando perviene a rimpiazzare tutti i presupposti sociali o naturali che gli preesistono, con forme di organizzazione specificamente sue, che mediano la sottomissione di tutta la vita fisica e sociale ai propri bisogni di valorizzazione […] Nella fase del dominio reale la politica, come strumento di mediazione  del dispotismo del capitale, scompare. Dopo averla ampiamente utilizzata nella fase di dominio formale, esso può liquidarla quando perviene, in quanto essere totale a organizzare rigidamente la vita e l’esperienza dei propri subordinati”(Apocalisse e rivoluzione, Dedalo Libri 1973, pag. 9).

 Privato, quindi, di una reale funzione di mediazione, lo strumento politico parlamentare  non ha più altra funzione, e non soltanto da oggi, che quella di organizzare la vita sociale secondo le esigenze dell’accumulazione capitalistica. Infatti là dove le leggi dell’accumulazione  regnano assolute nella loro forma più matura, manifestandosi attraverso il predominio del denaro e del profitto come unico fine e presupposto di ogni attività umana, la mediazione politica non ha più ragione di esistere e la forma politica non può più esprimersi che nella forma della dominazione e/o dello scontro di classe.

 Ora, nonostante i sussurri ammaglianti delle sirene parlamentari e i miti mediatici posti in essere dal bue borghese, la crisi è giunta a far saltare le apparenze sulle quali si reggeva lo spettacolino della rappresentanza politica, ad ugual livello, delle diverse classi sociali. Ovvero a rivelare che ciò che funziona per l’una delle parti in causa, non può assolutamente funzionare per l’altra. Semplificando: o si seguono le leggi dell’accumulazione e del profitto o si seguono le leggi e le necessità della vita e della specie. Tertium non datur.

 Non è la prima volta che tale questione si pone nel corso degli ultimi centocinquant’anni: dalla Comune di Parigi alla Rivoluzione Russa, dalle insurrezioni degli operai tedeschi successive alla prima catastrofe mondiale al 1968 e, ancor di più, al ’77, le lotte sociali e le rivolte destinate a cambiare la storia dei rapporti di forza hanno dovuto, saputo e potuto fare a meno della mediazione parlamentare. Anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che mai nessuna grande conquista  politica e sociale sia passata “realmente” attraverso l’azione elettorale e parlamentare. Al massimo, nel teatrino dell’emiciclo di Montecitorio ( o nei suoi surrogati), tali conquiste sono state sempre ratificate “al ribasso”. Per forza verrebbe da dire. Anche da quei partiti che si arrogavano il diritto  di rappresentare i lavoratori e le classi meno abbienti. I cui voti servivano, e servirebbero tutt’ora, soprattutto ad ingrassare le casse di quei partiti grazie ad un finanziamento pubblico basato  sulla percentuale di voti ottenuti.

 Per fare un esempio, basterebbe ricordare che i due principali referendum degli anni settanta (Divorzio e Aborto) vinsero non grazie alla propaganda del PCI (inesistente per non ferire l’anima cristiana del paese) o del Partito Radicale, ma soprattutto per la spinta che proveniva dalle lotte dal basso e che , pur riguardando salari, orari e scuole, finirono col trascinare anche la modernizzazione di un paese ancora imbalsamato dai Patti Lateranensi. Così come lo Statuto dei lavoratori e i Decreti Delegati (entrambi frutto dell’azione parlamentare) non costituirono che il pallido riflesso delle lotte operaie e studentesche di quegli anni.

 Negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione Russa il dibattito sul parlamentarismo animò vivacemente il dibattito interno alla nuova, e non ancora stalinizzata, Internazionale Comunista. Opponendo i fautori della partecipazione elettorale, e quindi parlamentare, ai fautori dell’astensionismo rivoluzionario. Da un lato il partito russo ( con Lenin e Zinov’ev in testa) e dall’altra i comunisti “di sinistra” occidentali (Gorter, Lukács, Bordiga).

 In entrambi i casi, però, al parlamentarismo e all’elettoralismo non era concessa alcuna validità, se non quella, per coloro che erano favorevoli, di essere occasione per pubblicizzare più ampiamente le posizioni politiche dei partiti rivoluzionari. Basti, per ora, qui leggere poche righe di uno dei difensori della partecipazione elettorale e  parlamentare, Gregorij Zinov’ev, a proposito della comparabilità tra l’esperienza della  lotta di classe e dei  consigli operai con il parlamento borghese.

 “ No, tre volte no. Essa è assolutamente incomparabile con i parlamenti esistenti, perché la macchina parlamentare incarna il potere concentrato della borghesia. I deputati, le camere, i loro giornali, il sistema di corruzione, i legami che dietro le quinte i parlamentari intrattengono con i capi delle banche, i loro rapporti con tutti gli apparati dello Stato borghese, sono altrettante catene ai piedi della classe operaia.[…] Solo i traditori della classe operaia possono cullare i proletari nella speranza di un sovvertimento sociale pacifico, mediante riforme parlamentari.[…] Siamo per la conservazione dei parlamenti democratici borghesi come forma di amministrazione statale? No, in nessun caso[…]  Siamo per l’utilizzazione di questi parlamenti per il nostro lavoro comunista? Sì, ma […] è necessario: 1) che il centro di gravità della lotta sia fuori del parlamento (scioperi, insurrezioni ed altre forme di lotta di massa); 2) che gli interventi in parlamento siano collegati a queste lotte; 3) che i deputati svolgano anche un lavoro illegale; 4) che agiscano su mandato del comitato centrale del partito e subordinandosi ad esso; 5) che nei loro interventi non si preoccupino delle forme parlamentari. […] Quello che vogliamo sottolineare è che la vera soluzione del problema si trova, in tutti i casi, fuori dal parlamento, nella strada” (G. Zinov’ev, Il parlamentarismo e la lotta per i soviet, Internationale Communiste n° 5, 1919).

 E se questo era uno degli “strenui” difensori della partecipazione alle elezioni e al parlamento… è fin troppo facile immaginare ciò che avevano da dire gli altri! Certo nessuno di loro si illudeva, come nessuno potrebbe oggi illudersi, che fosse o sia possibile raggiungere una maggioranza parlamentare difendendo e diffondendo posizioni antagoniste o rivoluzionarie. Infatti il cambiamento sociale non è dovuto ad un graduale accumulo di convinzioni politiche nuove nella mentalità della maggioranza dei cittadini, ma procede per balzi, per catastrofi improvvise, come avrebbe potuto dire René Thom, padre della moderna teoria matematica della morfogenesi.

 Questo è proprio ciò che inizia a succedere oggi. Magari non con i consigli operai o i Soviet, ma sicuramente nelle associazioni di cittadini e lavoratori che lottano per i diritti dei lavoratori e per il miglioramento delle condizioni di lavoro; per la difesa del  territorio e della salute, contro l’inquinamento, le ingiustizie e gli sprechi delle grandi opere inutili. Nei centri sociali e nelle associazioni studentesche che rivendicano più spazi e investimenti per la crescita culturale e politica dei giovani.

Saranno queste le forme di organizzazione sociale e politica del futuro? Forse, ma intanto stanno già facendo tremare i polsi di chi ancora ci governa. Anche soltanto con il diffondersi dell’astensionismo cosciente di chi non è più disposto a farsi beffare da imbonitori e saltimbanchi di ogni  tipo e colore. Disvelando così come il Parlamento, come l’urna elettorale, non sia più nient’altro che un’enorme scatola vuota. Con o senza le riforme istituzionali tanto demagogicamente auspicate e mai realmente avviate.

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