anidride carbonica (CO2) – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 24 Nov 2024 21:00:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La posta in gioco https://www.carmillaonline.com/2018/12/04/la-posta-in-gioco/ Tue, 04 Dec 2018 06:20:58 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=49967 di Alexik

You don’t need a weatherman to know which way the wind blows”. (Bob Dylan, Subterranean Homesick Blues.)

Sabato prossimo migliaia di persone marceranno contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per il diritto al clima. Scenderanno in strada a Parigi come a Torino, Padova, Melendugno, Venosa e Niscemi. L’appuntamento dell’otto dicembre, nato in Valsusa come anniversario della liberazione di Venaus e poi assunto come data simbolo dei movimenti contro la devastazione dei territori, quest’anno si interseca con le mobilitazioni internazionali per [...]]]> di Alexik

You don’t need a weatherman to know which way the wind blows”. (Bob Dylan, Subterranean Homesick Blues.)

Sabato prossimo migliaia di persone marceranno contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per il diritto al clima.
Scenderanno in strada a Parigi come a Torino, Padova, Melendugno, Venosa e Niscemi.
L’appuntamento dell’otto dicembre, nato in Valsusa come anniversario della liberazione di Venaus e poi assunto come data simbolo dei movimenti contro la devastazione dei territori, quest’anno si interseca con le mobilitazioni internazionali per la giustizia climatica, in contemporanea alla conferenza mondiale sul clima di Katowice.

La posta in gioco è alta: la difesa degli ecosistemi e degli equilibri idrogeologici della terra,  la difesa delle condizioni di vita di chi la abita, la difesa delle risorse pubbliche aggredite dalla speculazione privata.
Interessi  generali della società che i movimenti da sempre rappresentano, a dispetto di chi li accusa di nimbyismo.
Ma non si tratta solo di questo.
La drammaticità dell’emergenza climatica ha imposto prepotentemente un cambio di passo, un innalzamento degli obiettivi e delle parole d’ordine, perché è l’intero modello di sviluppo – di cui la logica delle Grandi Opere è un’ espressione – che sta portando il Pianeta al collasso.
O meglio: ciò che sta collassando sono le condizioni necessarie per la sopravvivenza di decine di migliaia di specie viventi, compresa quella umana.
Il Pianeta in realtà può continuare tranquillamente senza di noi, mentre la vita sulla Terra muterà le sue forme e abitudini, come già ha cominciato a fare1.

Che il tempo a nostra disposizione stia finendo ce lo ripetono, ormai da anni, centinaia di scienziati da tutto il mondo, e non hanno certo l’aspetto di millenaristi medievali.
Ce lo ripetono con frequenza crescente i venti che sfondano le nostre finestre, i fiumi di fango che invadono strade e case travolgendo cose e persone.
Altrove, lontano dai nostri occhi e dai nostri teleschermi, succede anche di peggio.
In Africa, nel 2017, il disastro climatico ha trascinato 39 milioni di persone di 23 paesi nell’insicurezza alimentare disseccando fonti d’acqua, pascoli e colture2.
In questo modo, affogando o crepando di fame, parte dell’umanità celebra l’innalzamento di 1°C della temperatura della Terra rispetto all’epoca preindustriale.

Meno di due mesi fa 224 scienziati, coautori dell’ultimo Rapporto dell’Intergovernmental Panel On Climate  Change3, ci hanno intimato di non superare la soglia di 1,5°C.
Non per porre fine, ma solo per limitare l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione e l’ipossia degli oceani, la crescita dei rischi per la salute, sicurezza alimentare, accesso all’acqua e ai mezzi di sussistenza per milioni di persone.

Alcuni loro colleghi ci avvertono che, anche restando al di sotto dei limiti fissati dall’Accordo di Parigi, è probabile l’avvio meccanismi irreversibili, un effetto domino impossibile da contenere4, in grado di riscaldare il Pianeta fino a 4- 5°C in più rispetto al periodo preindustriale.
Ci parlano della morte delle foreste, trasformate in steppe e savane.
Ci parlano del disgelo del permafrost, il ghiaccio perenne nei suoli delle regioni artiche, sotto al quale risiede un terzo del carbonio della Terra, immensi strati di sostanza organica accumulati da millenni.
Il disgelo l’offre in pasto ai batteri dei suoli, che la decompongono restituendola all’atmosfera sotto forma di Coe metano.
Sotto il Mar Glaciale Artico il permafrost racchiude centinaia di milioni di tonnellate di metano che, liberate dal calore, stanno tornando in superficie in quantità impressionanti5.
E  il metano genera un effetto serra 25 volte maggiore dell’anidride carbonica.

Devastanti le prospettive per gli esseri viventi.
Su 80.000 specie vegetali e animali all’interno di 35 “Zone Prioritarie” per la biodiversità, si prevede per il 2080 la scomparsa del 19% delle specie qualora l’innalzamento della temperatura si mantenga entro i 2°C rispetto al periodo preindustriale (cioè i limiti dell’Accordo di Parigi).
Nel caso di un innalzamento di 4,5°C l’estinzione riguarderebbe quasi il 50% in media delle specie, con picchi del 89% , soprattutto per chi, come gli anfibi, non sarà in grado di emigrare verso le aree ancora vivibili.6.

Non c’è bisogno di particolari studi per capire che, in questo contesto, agli umani il futuro riserva migrazioni epocali – di cui quelle d’oggi sono soltanto un assaggio – e conflitti crescenti. Mutuando le parole da Guido Viale, “un mondo pieno di guerre e conflitti per spartirsi le risorse residue7

Quanto siamo lontani dal punto di non ritorno ?
Possiamo discutere se ci vorrà qualche decennio in più o in meno, ma il percorso è quello descritto.
La temperatura terreste si sta riscaldando ad un ritmo di 0,17°C ogni dieci anni8, ed il livello dei gas serra in atmosfera non è mai stato così alto.
Le concentrazioni di gas climalteranti hanno raggiunto nel 2017 il loro massimo storico dai livelli preindustriali:  405.5 parti per milione per la CO2, 1859 ppm per il metano, 329.9 ppm per l’ ossido di azoto. Valori che rappresentano rispettivamente aumenti delle concentrazioni del 146%, 257% e 122%  rispetto a quelli  stimati nel 17509.

Davanti all’incombere di un’apocalisse, ci si potrebbe aspettare che anche le classi dirigenti più retrive corrano ai ripari con azioni di contrasto.
Così non è.
Lo vediamo ogni giorno nei territori, dove trivellazioni, fracking, costruzione di oleodotti e gasdotti, vengono considerate “opere strategiche”, imposte dagli Stati e difese manu militari.
Indifferente all’Accordo di Parigi ed agli allarmi lanciati dagli scienziati dell’IPCC, l’economia mondiale va da un’altra parte.
Al contrario che per i comuni esseri umani e per gli altri esseri viventi del Pianeta, la catastrofe è colta dal Capitale come un’opportunità, come dimostra la guerra silenziosa già da tempo in atto per accaparrarsi le risorse minerarie dell’Artide in disgelo10, o l’apertura di nuove rotte commerciali rese possibili dal graduale ritiro dei ghiacci11.

Quanto all’abbandono dei combustibili fossili, è interessante in proposito l’ultimo rapporto annuale dell’OPEC12.
Si tratta ovviamente di un documento di parte, redatto da chi i combustibili fossili è interessato a venderli e quotarli, con previsioni comunque da dimostrare. Ma sulla base di previsioni come queste si basano gli investimenti, le strategie delle multinazionali e le politiche degli Stati.
Il rapporto prevede, fra il 2015 e il 2040, un aumento della intera domanda primaria di energia di 96 milioni di barili di petrolio equivalenti  per giorno (mboe/d),  trainato soprattutto da India e Cina. Prevede che la domanda si rivolga in primo luogo al gas naturale e – nonostante l’aumento del peso percentuale delle energie rinnovabili – si aspetta un’ulteriore crescita in termini assoluti dell’estrazione e del consumo di petrolio e carbone.
Non vi è dunque all’orizzonte nessuna reale intenzione di invertire la tendenza e di ridurre drasticamente le emissioni climalteranti.

Il Rapporto OPEC  riporta i dati ONU sulla crescita demografica mondiale –  da 7,3 miliardi di persone sul pianeta del 2015 a 9,2 miliardi nel 2040, che nasceranno principalmente nei paesi in via di sviluppo.
Quasi due miliardi di persone in più con i relativi bisogni da trasformare in merce: è questo il contesto previsto per l’espansione, oltre che dell’estrattivismo energetico,  anche di quello minerario, agroindustriale e delle infrastrutture, sul quale oggi si misurano in termini di concorrenza spietata non solo i paesi dell’imperialismo classico, ma anche varie potenze su scala regionale (o aspiranti tali), e soprattutto la Cina, con il suo immenso potenziale di spinta verso la costruzione della “nuova via della seta”.
Su questa strada, che sta portando l’umanità in un vicolo cieco, si sono avviati tutti, al di là dell’ordinamento politico e dell’orientamento economico: democrazie e dittature, neoliberisti incalliti e socialisti di mercato.

Grava sui movimenti l’onere di fermare tutto questo. (Continua)


  1. Brett R. Scheffers, Luc De Meester, Tom C. L. Bridge, Ary A. Hoffmann, John M. Pandolfi, Richard T. Corlett, Stuart H. M. Butchart, Paul Pearce-Kelly, Kit M. Kovacs, David Dudgeon, Michela Pacifici, Carlo Rondinini, Wendy B. Foden, Tara G. Martin, Camilo Mora, David Bickford, James E. M. Watson, The broadfootprint of climatechange from genes to biomes to people, in “Sciences”, Vol. 354, 11 Nov 2016. 

  2. FSIN, Global Report on Food Crises 2018, marzo 2018, pp.201. 

  3. IPCC, Global Warming of 1,5°C, giugno 2018, pp. 792. 

  4. Will Steffen, Johan Rockström, Katherine Richardson, Timothy M. Lenton, Carl Folke, Diana Liverman, Colin P. Summerhayes, Anthony D. Barnosky, Sarah E. Cornell, Michel Crucifix, Jonathan F. Donges, Ingo Fetzer, Steven J. Lade, MartenScheffer, Ricarda Winkelmann, and Hans Joachim Schellnhuber, Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, PNAS,  14 Agosto 2018, 115 (33) 8252-8259. 

  5. Steve Connor, Vaste methane ‘plumes’ seen in Artic Ocean as sea ice retreats, Indipendent, 13 dicembre 2011. 

  6. Warren, J. Price, J. VanDerWal, S. Cornelius, H. Sohl, The implications of the United Nations Paris Agreement on climate change for globally significant biodiversity areas, in “Climate Change”, April 2018, Volume 147, pp. 395–409.
    Lo studio è riassunto in italiano nel rapporto WWF 2018: WWF, Il futuro delle specie in un mondo più caldo. Gli effetti del cambiamento climatico sulla biodiversità nelle zone prioritarie WWF, marzo 2018, pp. 24. 

  7. Guido Viale, Un cambiamento irreversibile, Comune-info, 16 ottobre 2018. 

  8. Will Steffen e altri. Op.cit. 

  9. World Meteorological Organization, WMO Greenhouse Gas Bullettin, n. 14, 22 novembre 2018, p. 9. 

  10. Roberto Colella, Geopolitica dell’Artico, tra risorse e interessi espansionistici, Huffingtonpost, 27 febbraio 2017. Nicola Sartori, La guerra silenziosa per controllare il petrolio dell’Artico, Outsidernews, 20 ottobre 2017. 

  11. Laura Canali, Le nuove rotte artiche, Limes, 13 giugno 2008. Francesco Sassi, Chi ci guadagna dalla nuova rotta dell’Artico, Wired, 8 ottobre 2018 

  12. OPEC, 2017 Annual Report, 2018, pp. 110. 

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Homo Sapiens, piante e CO2 https://www.carmillaonline.com/2017/09/21/homo-sapiens-piante-co2/ Wed, 20 Sep 2017 22:01:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40558 di Sandro Moiso

Luigi Mariani, Origini e viaggi avventurosi delle piante coltivate, Mattioli 1885 2017, pp. 90, € 9,90

L’agile, sintetico e, talvolta, problematico testo di Luigi Mariani, docente di Storia dell’agricoltura presso l’Università di Milano, può costituire un’interessante integrazione al testo di Nikolaj Ivanovič Vavilov sulle origini delle piante coltivate recensito qualche tempo fa proprio qui su Carmilla. Certamente tra le due pubblicazioni sono trascorsi almeno novant’anni, ma i riferimenti che l’autore fa, soprattutto all’inizio del testo, all’opera al genetista e botanico sovietico rende questa pubblicazione di Mattioli 1885 iscrivibile nella grande ricerca iniziata, ormai più di un secolo [...]]]> di Sandro Moiso

Luigi Mariani, Origini e viaggi avventurosi delle piante coltivate, Mattioli 1885 2017, pp. 90, € 9,90

L’agile, sintetico e, talvolta, problematico testo di Luigi Mariani, docente di Storia dell’agricoltura presso l’Università di Milano, può costituire un’interessante integrazione al testo di Nikolaj Ivanovič Vavilov sulle origini delle piante coltivate recensito qualche tempo fa proprio qui su Carmilla. Certamente tra le due pubblicazioni sono trascorsi almeno novant’anni, ma i riferimenti che l’autore fa, soprattutto all’inizio del testo, all’opera al genetista e botanico sovietico rende questa pubblicazione di Mattioli 1885 iscrivibile nella grande ricerca iniziata, ormai più di un secolo or sono, sull’interazione tra uomo, ambiente e sviluppo dell’agricoltura.

Il contributo dato da Mariani si fonda soprattutto sulle conoscenze metereologiche sviluppate nel corso del suo precedente insegnamento di Agrometereologia presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Milano e questo lo contraddistingue dall’opera di Vavilov citata,1 per l’ampio spazio dato, nella prima parte del testo, alla metereologia, alle correnti atmosferiche e all’importanza dell’anidride carbonica (CO2) per lo sviluppo della vegetazione sulla terra.

Anche se l’autore si concentra in particolare sull’Olocene, l’ultima fase del Quaternario che ha avuto inizio dai 10 agli 11.000 anni fa e che corrisponde grosso modo al Neolitico, il periodo in cui ha avuto inizio e si è sviluppata l’agricoltura, non manca di spingersi più indietro nel tempo fino a milioni di anni fa per rilevare i ripetuti periodi di riscaldamento e di glaciazione del pianeta che hanno di volta in volta favorito o rallentato lo sviluppo della vita sulla terra.

Utilizzando, fin dove è possibile, le serie storiche e i dati accertati e affidandosi, in altri casi, alle testimonianza degli scrittori antichi oppure dei testi mitologici, non ultima la Bibbia, Mariani riesce, in maniera convincente, a tracciare l’intricata interazione tra ere geologiche, modificazioni climatiche e successive attività umane.

Soprattutto prendendo a modello la vite da uva e la sua diffusione verso il Mediterraneo a partire dal Caucaso come case study , Mariani riesce a riunire tra di loro le comuni memorie mitiche del Diluvio Universale, appartenenti a popoli e culture estremamente diverse e lontane tra di loro, collegandole tutte al momento in cui l’innalzamento di circa 120 metri del livello dei mari e degli oceani ebbe luogo tra i 14.000 e egli 8.000 anni fa al termine dell’ultima grande glaciazione.

Sembra giusto parlare di “grande glaciazione” poiché nei secoli seguenti si alternarono periodi in cui secoli di siccità anticipavano e avrebbero poi seguito periodi di nuove, piccole glaciazioni. L’ultima delle quali, studiata in particolare dallo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie, sarebbe avvenuta tra la metà del XIV secolo e la metà del XIX.2 Tale periodo, legato probabilmente ad una minore attività del Sole e delle macchie solari,3 seguì infatti ad un periodo in cui sulle Alpi era possibile trovare vigneti fino ad un’altezza di 1250 metri slm, mentre ancora oggi l’altezza massima a cui è possibile rintracciare la viticoltura si aggira intorno agli 800 metri.

La vite coltivata (Vitis vinifera) afferisce al genere Vitis, le cui impronte fossili sono state reperite nel Nord Europa e risalgono al Terziario antico, intorno a 65 milioni di anni fa. Durante il Terziario recente, iniziato 23 milioni di anni fa, la separazione tra l’America e l’Eurasia favorì la speciazione degli antenati della vite, per cui in America e in Asia Orientale si registrò l’evoluzione di diverse specie mentre in Europa e Asia Occidentale si affermò un’unica specie, Vitis vinifera ssp. sylvestris, antenato selvatico della vita domestica.
Nel corso delle glaciazioni quaternarie (ultimi 2,5 milioni di anni) la zona mite a sud del Gran Caucaso fu un’importante zona rifugio per molte specie tra cui la vite. Ciò probabilmente promosse il consumo di uva selvatica da parte dei cacciatori- raccoglitori ponendosi all’origine della successiva valorizzazione di questa pianta da parte delle popolazioni neolitiche insediatesi in ambito sub-caucasico
4 Ecco fin dove si spinge la storia del bicchiere di vino che magari sta accompagnando chi legge queste poche righe.

Il libro di Mariani costituisce una lettura che, nonostante il numero limitato di pagine, farà fare al lettore un’incredibile ed emozionante cavalcata attraverso le culture, le vie (non ultima quella della Seta), i traffici, i contatti, le navigazioni e gli scambi che hanno accompagnato l’interazione tra Homo Sapiens e piante da coltura fin da prima della Rivoluzione Neolitica.
Come afferma l’autore, infatti, “la dispersione delle piante e dell’uomo nel nostro pianeta è un vero viaggio nel tempo5

Oggi siamo per lo più abituati a considerare che sia l’uomo ad «imporre» alle piante i caratteri «domestici» (dimensione, colore, sapore, etc.) ma un ruolo di rilievo può essere stato giocato anche dagli animali consumatori. Un esempio in tal senso è offerto dal melo, che nell’areale di origine (il Kazakistan) sarebbe stato selezionato dall’orso, il quale avrebbe scelto individui con grandi frutti, sapore dolce (accumulo di amido e poi di glucosio), un calendario di maturazione amplissimo e che si estende da luglio a novembre con varietà precoci e medie da consumare in estate e varietà molto tardive che si conservano fino a fine inverno per cui possono essere consumate all’uscita del letargo (le odierne mele invernali da cuocere). Il melo si sarebbe poi diffuso dal kazakistan verso occidente e verso oriente lungo la via della seta, grazie alla diffusione dei semi con le feci degli esseri umani e dei cavalli che si nutrivano di mele passando per il Kazakistan6

Ciò che rende invece il libro problematico, senza per questo renderlo meno interessante, è il fatto che l’autore sembra voler far dipendere l’attuale situazione climatica quasi esclusivamente dai fattori di lungo termine (ad esempio l’attività solare) e troppo poco dalle scelte fatte dall’uomo e dal modo di produzione vigente, anche là dove si afferma che “il trend di crescita delle temperature in atto dalla fine della piccola era glaciale è probabilmente influenzato dalle attività umane. In tal senso Ziskin e Shaviv, applicando un Energy Balance Model, hanno stimato che il 60% del trend crescente delle temperature globali osservato nel XX secolo è di origine antropica ed il 40% sarebbe di origine solare. Al riguardo si deve considerare che nel XX secolo il sole ha fatto registrare uno dei periodi di maggiore attività dalla fine dell’ultima glaciazione, tanto che per trovarne uno analogo occorre portarsi a oltre 8800 anni or sono e cioè all’inizio del grande optimum post-glaciale7

Gli altri due punti, ad avviso di chi scrive, discutibili riguardano l’eccessiva fiducia riposta nell’importanza dell’anidride carbonica per lo sviluppo delle piante, senza tenere sufficientemente conto dei danni provocati da questa a livello respiratorio per la specie umana, anteponendo, probabilmente involontariamente, la redditività degli investimenti nell’agricoltura alla salute. Come pure, sempre anteponendo l’aumento della produttività alle sue conseguenze, la fiducia riposta in quella che l’autore definisce come la decima rivoluzione tecnologica tra quelle che più hanno segnato la storia dell’agricoltura: quella genetica.

Per eccesso di entusiasmo, forse tipico degli ambienti universitari se si prendono ad esempio i suggerimenti dell’Università di Bari a proposito della coltura dell’ulivo nel Salento,8 le modificazioni genetiche introdotte industrialmente per aumentare la produttività (quasi mai la qualità) agraria, vengono messe sullo stesso piano delle modificazioni apportate sì dall’uomo sulle piante da coltura attraverso la loro domesticazione e selezione, dimenticando però che tale processo si è svolto nell’arco di secoli e millenni ed è stato sperimentato sempre a partire da areali ridotti prima di essere riconosciuto come valido, utile e non dannoso per l’applicazione successiva e vantaggiosa in altre aree coltivate.

Detto questo, il testo rimane di grande utilità per chi si interessi, non solo a livello professionale o di studio, di agricoltura, ambiente e dei rapporti che questi intrattengono con la specie umana di ieri, oggi e (speriamo) soprattutto domani.


  1. Nikolaj Vavilov, L’origine delle piante coltivate. I centri di diffusione delle diversità agricole, Pentàgora, Savona 2016  

  2. E. Le Roy Ladurie, Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno mille, Einaudi 1982 (prima edizione francese 1967)  

  3. Anche se attualmente non è noto nessun collegamento diretto tra basso numero di macchie solari e basse temperature terrestri (Radiative Forcing of Climate Change: Expanding the Concept and Addressing Uncertainties, National Research Council, National Academy Press, Washington, D.C., 2005)  

  4. pag.69  

  5. pag.7  

  6. pag.15  

  7. pp. 42-43  

  8. Cfr. https://www.carmillaonline.com/2017/09/03/guerra-agli-ulivi/  

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