Andrea Olivieri – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Tue, 04 Feb 2025 22:50:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Lotta di classe western https://www.carmillaonline.com/2024/02/27/lotta-di-classe-western/ Mon, 26 Feb 2024 23:01:36 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=81502 di Luca Cangianti

Louis Adamic, Dynamite! Storie di violenza di classe in America, Alegre, 2023, traduzione e cura di Andrea Olivieri, pp. 576, € 24,00 stampa, 14,99 ebook.

«Ho l’impressione che ci aspettino grandi cambiamenti in questo paese, e quando arriveranno probabilmente ci renderemo conto… che nessun cranio è stato rotto invano dal manganello di un poliziotto durante questa depressione, né una sola goccia di sangue è stata sparsa senza senso.» Così scriveva una conoscente a Louis Adamic, operaio emigrato negli Stati Uniti dalla Slovenia austroungarica, autodidatta e poi scrittore di discreta fama. In effetti il suo libro Dynamite! – uscito per [...]]]> di Luca Cangianti

Louis Adamic, Dynamite! Storie di violenza di classe in America, Alegre, 2023, traduzione e cura di Andrea Olivieri, pp. 576, € 24,00 stampa, 14,99 ebook.

«Ho l’impressione che ci aspettino grandi cambiamenti in questo paese, e quando arriveranno probabilmente ci renderemo conto… che nessun cranio è stato rotto invano dal manganello di un poliziotto durante questa depressione, né una sola goccia di sangue è stata sparsa senza senso.» Così scriveva una conoscente a Louis Adamic, operaio emigrato negli Stati Uniti dalla Slovenia austroungarica, autodidatta e poi scrittore di discreta fama. In effetti il suo libro Dynamite! – uscito per la prima volta nel 1931 – è prevalentemente una sequela di lotte sconfitte, ma, come ci ha insegnato Valerio Evangelisti, non inutili, «perché già la battaglia è liberazione».

Si parte dalla metà dell’ottocento con i Molly Maguires, una società segreta di minatori che non vedeva contraddizione alcuna tra l’assassinio di padroni e crumiri, e l’ossequio più sincero al cattolicesimo irlandese. Si prosegue con le orde anarchiche, radicali e socialiste provenienti dalle rivoluzioni europee represse nel sangue, tra bombe, bandiere rosse e nere, la Marsigliese gridata nelle rivolte di piazza e i primi goffi tentativi di organizzazione sindacale ancora imbevuti di esoterismo e di spirito didattico-moraleggiante. Si pensi ai Knights of Labor che cercavano di rendere gli operai gentiluomini inducendoli a smettere di bere. Nascono le prime agenzie specializzate in spionaggio e attività antisindacali, cui i lavoratori rispondono con la stessa moneta: i cecchini operai puntano le canne dei fucili sui sicari delle aziende, fanno esplodere le loro proprietà e negoziano facendo girare il tamburo delle proprie colt. Nel frattempo i cerimoniali dei Knights of Labor vengono soppiantati dal sindacalismo di mestiere «puro e semplice» dell’American Federation of Labor. «L’attitudine della Afl nei confronti della società», racconta Adamic «era, per molti aspetti, non dissimile da quella dei capitalisti. I dirigenti dei sindacati di categoria erano inclini a conquistare per sé stessi e per i loro membri tutto il possibile date le condizioni, ogni volta fosse possibile, attraverso ogni mezzo – inclusa la dinamite – che non implicasse gravi rischi per sé stessi e per i destini dell’organizzazione.» Un pugno «imbullonato» sulla faccia di un crumiro da parte di un «gorilla» costa cinquanta dollari, a New York e a Chicago dilaga la moda degli abiti concepiti per nascondere pistole e fucili, la criminalità organizzata viene ingaggiata per far avanzare le «negoziazioni». D’altra parte l’Afl non si fa scrupolo di aggredire sindacati concorrenti come gli Industrial Workers of the World – un’organizzazione operaia rivoluzionaria, strutturata lungo linee industriali, anziché di mestiere, che pratica l’azione diretta. «Nell’autunno del 1909 le autorità a Spokane incarcerarono tutti i relatori wobbly che tentarono di tenere comizi nelle strade. I sindacati degli Iww fecero resistenza e inviarono uomini e donne per tenere altri comizi, finchè più di cinquecento wobbly intasarono la prigione cittadina.» Un’altra volta, per fare approvare un provvedimento di emergenza che predisponesse alloggi e pasti gratuiti per gli indigenti, centinaia di wobblies (così venivano chiamati gli appartenenti a questo strano sindacato) si riversano su St. Louis mangiano e bevono a crepapelle nei vari ristoranti locali sostenendo che il conto vada spedito al sindaco. Nel frattempo passano gli anni, scoppia la rivoluzione in Russia, e i comunisti compaiono perfino negli Stati Uniti, ma quelli descritti da Adamic assomigliano poco allo stereotipo leninista e molto di più a un lavapiatti di sua conoscenza che per affermare i propri diritti versa taniche di kerosene nei barili di zucchero e piscia nei contenitori del caffè e del tè.

Nella nuova edizione critica di Andrea Olivieri – di cui si segnala anche Una cosa oscura, senza pregioDynamite! si è guadagnato due copertine e l’appartenenza incrociata sia alla collana Quinto tipo diretta da Wu Ming 1 che a quella Working Class diretta da Alberto Prunetti. Il motivo di questa scelta sta probabilmente nella pluralità dei volti esibiti dall’opera: reportage, inchiesta sociologica, ricostruzione storica, new journalism, pamphlet di denuncia, ma anche letteratura working class, hard boiled, memoir travisato in cui si mischiano fiction e non fiction. Adamic, senza dichiaralo, racconta in presa diretta eventi in cui non era presente; rompe il patto di fiducia con il lettore, ma il risultato non è un falso, ancorché il prodotto sia inaccurato. La narrazione, infatti, proprio grazie al suo carattere ibrido (o «colorito» come definì Evangelisti1) ne beneficia in profondità. Si prendano ad esempio alcune suggestive descrizioni di personaggi. Iniziamo con Eugene V. Debs, candidato socialista alle elezioni presidenziali nel 1900 e nel 1904: «alto, magro, un fanatico dalla voce gentile, di grande potere persuasivo, un messia infiammato da sentimenti per gli umili e gli oppressi». E ancora Big Bill Haywood, leader degli Iww: «una forza della natura, con la prestanza fisica di un bue, una testa enorme e una mascella tremenda. Duro, diretto, di resistenza immensa, insofferente davanti agli ostacoli, privo di prudenza, violento, pronto a battersi colpo su colpo, gran bevitore». E infine i sindacalisti dell’Afl: «Per lo più sono uomini di mezza età o anziani benestanti, conformisti, ben vestiti, ben rasati, dalle guance floride, dal doppio o triplo mento, con pance ampie solcate da catenelle d’orologio in oro e spillette sulla cravatta. Guidano belle macchine o viaggiano in taxi tra gli hotel, i migliori della città, e le sale dei congressi. Hanno mani soffici e grassocce, desiderose di stringere altre mani. Sono tipi spigliati, dai modi amichevoli e professionali.»

Quella che emerge da Dynamite! è una storia di conflitti di classe così violenti da non permettere più la partizione semplicistica tra buoni e cattivi. Se una differenza ancora c’è – e questo emerge chiaramente nel racconto di Adamic – è che la violenza dei proletari (piaccia o meno) è solo legittima, disperata ed estrema, difesa.


  1. Lo scrittore bolognese ha dedicato alla lotta di classe negli Stati Uniti i tre romanzi del Ciclo americano: Antracite, Mondadori, 2003; Noi saremo tutto, Mondadori, 2004, One big union, Mondadori, 2011. 

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Una storia partigiana https://www.carmillaonline.com/2023/08/01/una-storia-partigiana/ Tue, 01 Aug 2023 20:00:19 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=78073 di Marc Tibaldi

Claudio Bolognini, Stella Rossa. Una storia partigiana, Red Star Press, 2023, pagine 218, 16 euro

«La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento» scrive René Char in Fogli d’Ipnos, taccuino di appunti, riflessioni e poesie del periodo partigiano, uno dei suoi capolavori. Il testamento che ci hanno lasciato i partigiani non sta tanto – come vorrebbe certa retorica – nella Costituzione della Repubblica o nell’indignazione verso la non applicazione del suo spirito antifascista, ma nel vivificare i loro ideali e rivendicarli ogni giorno.

Ha fatto bene quindi [...]]]> di Marc Tibaldi

Claudio Bolognini, Stella Rossa. Una storia partigiana, Red Star Press, 2023, pagine 218, 16 euro

«La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento» scrive René Char in Fogli d’Ipnos, taccuino di appunti, riflessioni e poesie del periodo partigiano, uno dei suoi capolavori. Il testamento che ci hanno lasciato i partigiani non sta tanto – come vorrebbe certa retorica – nella Costituzione della Repubblica o nell’indignazione verso la non applicazione del suo spirito antifascista, ma nel vivificare i loro ideali e rivendicarli ogni giorno.

Ha fatto bene quindi Claudio Bolognini a risvegliare la memoria con “Stella Rossa. Una storia partigiana”, un romanzo emozionante. Un romanzo storico che ci racconta la vita della Brigata Stella Rossa e la strage di Marzabotto o – più correttamente – di Monte Sole, compiuta dai nazifascisti. 770 morti, tra cui 217 bambini, 132 anziani e 392 donne. Ma è anche un romanzo di formazione, infatti la storia della Brigata si intreccia con quella di Paolo, un ragazzo che fugge dal carcere di Bologna, quando i partigiani liberano i compagni prigionieri. Paolo si unisce alla Brigata, sulle montagne alle spalle di Bologna, dove conosce gli ideali antifascisti e dove si innamora di Elena.

Bolognini basa la ricostruzione storica della Stella Rossa su una solida documentazione (si veda la nutrita bibliografia storica in appendice al volume) e lascia spazio all’immaginazione per la storia d’amore e di formazione di Paolo. Ricostruzione però verosimile quella di Bolognini se si considera la sua pignola cognizione del territorio, della cultura materiale del popolo e della sua lingua, il dialetto emiliano-bolognese, tutti aspetti che emergono nella lettura del libro. Si potrebbe dire che Stella Rossa è anche un romanzo epico, dove la figura dell’eroe individuale, il comandante Lupo, è inestricabile da quella dell’eroe collettivo, il popolo.

Quella di Bolognini è una scrittura apparentemente semplice, che sa invece imbastire una trama di punti di vista diversi, come nei suoi romanzi precedenti – I ragazzi della barriera (qui) e I giorni della rivolta (qui) – il racconto, la struttura dei capitoli e i dialoghi sembrano adatti a trasformarsi nella sceneggiatura di un film. Ci si potrebbe chiedere se sia necessario scrivere nuovi romanzi sulla resistenza, considerate tutte le opere scritte in presa diretta o negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale (Calvino, Viganò, Fenoglio, Cassola, Vittorini …). Sì, è necessario perché oggi vediamo il passato con altri occhi, un’altra sensibilità.

Come ha fatto qualche anno fa anche Andrea Olivieri, in Una cosa oscura, senza pregio (qui), dove la storia del nonno partigiano si intreccia a quella di Louis Adamic, anche Bolognini ha un’arma in più nel magazzino della memoria, quella degli affetti: sua zia Loredana è stata una dei sopravvissuti alla strage e suo nonno Nello è stato partigiano della Stella Rossa. Rielabora così passato e presente, raccontando la storia indirettamente riflette sull’oggi, sugli ideali dei suoi antenati e sui suoi, sui nostri, perché è purtroppo sotto gli occhi di tutti – in Italia e nel mondo – la restaurazione reazionaria.

E se metodi e strategie del neofascismo sono diversi da quelli di un secolo fa – più subdoli – la necessità di ricercare nuove armi culturali di difesa e attacco è vitale, come non smetteva di ricordarci Valerio Evangelisti, che sosteneva una letteratura in contrapposizione alla colonizzazione dell’immaginario – e quindi anche della memoria – da parte dei media e della società dello spettacolo, ossia del nuovo capitalismo.
«Facciamo le nostre strade come il fuoco le faville. Senza mappa catastale», scriveva Char in Ritorno a Supramonte, per dare importanza all’avventura, alla scoperta, all’immaginazione. Senza mappa catastale, sì, ma con la memoria viva, come in Stella Rossa. Un romanzo come atto di resistenza.

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