Amsterdam – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 24 Apr 2025 16:16:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il nuovo disordine mondiale /17: storia breve di una débâcle inevitabile https://www.carmillaonline.com/2022/09/07/il-nuovo-disordine-mondiale-17-cronaca-di-una-debacle-annunciata/ Wed, 07 Sep 2022 20:00:05 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=73890 di Sandro Moiso

La peggior campagna elettorale di sempre, forse l’unica che nel giro di qualche settimana è riuscita a far passare il numero degli astenuti e degli indecisi dal 40 al 42%, oltre a nutrirsi del solito e farraginoso strumentario ideologico di bassa lega, sia a destra che a sinistra, ha rimpinguato il proprio verboso arsenale propagandistico di tutto quanto proviene dalle fake news che, come in ogni conflitto che “si rispetti”, riguardano la guerra in corso e le sue conseguenze militari, geopolitiche e, soprattutto, economiche.

Così, mentre Giorgia Meloni fa [...]]]> di Sandro Moiso

La peggior campagna elettorale di sempre, forse l’unica che nel giro di qualche settimana è riuscita a far passare il numero degli astenuti e degli indecisi dal 40 al 42%, oltre a nutrirsi del solito e farraginoso strumentario ideologico di bassa lega, sia a destra che a sinistra, ha rimpinguato il proprio verboso arsenale propagandistico di tutto quanto proviene dalle fake news che, come in ogni conflitto che “si rispetti”, riguardano la guerra in corso e le sue conseguenze militari, geopolitiche e, soprattutto, economiche.

Così, mentre Giorgia Meloni fa a gara con Enrico Letta nel tentativo di dimostrare di essere più servilmente atlantista dello stesso PD, il povero “ex-capitano” de noantri, si è visto messo alla berlina, sia dagli avversari che dagli alleati, per aver ribadito ciò che da mesi è possibile riscontrare sulla stampa economica internazionale e nazionale: ovvero che fino ad ora le sanzioni hanno danneggiato l’economia europea ancor più di quella russa e che la “serrata del gas” da parte di Gazprom e di Putin può costituire un pericoloso innesco per un incendio che potrebbe rivelarsi disastroso sia sul piano industriale che sociale.

Ma, prima che il genio giornalistico di Natalie Tocci accomuni chi scrive agli “utili idioti di Putin”1, proviamo a fare qualche passo indietro e, soprattutto, nella realtà. Partendo proprio dalla questione “gas”, inseparabile dalla condizione di esistenza fondamentale di un sistema che, non ci vuole un genio per capirlo, è sostanzialmente energivoro.

Tale passo, prima di ricondurci alla situazione creatasi a livello globale, come conseguenza della guerra in Ucraina, nel settore dei prezzi e dei rifornimenti di gas e idrocarburi, vede costretto l’autore di questo intervento a ricordare come l’avvento della Rivoluzione Industriale, alla metà del XVIII secolo, abbia visto un passaggio epocale dal consumo di energie che oggi si direbbero “rinnovabili “ (vento, acqua, animali e umane) a quello di un’energia che rinnovabile non era, ma che per il tramite della macchina a vapore prima e del motore elettrico o a scoppio poi, forniva alla nascente produzione industriale, e al suo modello di organizzazione sociale, una continuità e regolarità di utilizzazione che le altre non potevano fornire.

Vento, acqua, fatica dell’animale e dell’uomo dovevano infatti sottostare a limiti “naturali” (di carattere stagionale e di tempi di rinnovo) che la macchina a vapore e tutti i suoi derivati (fino all’uso dell’energia nucleare) non dovevano rispettare. Il vento poteva infatti essere troppo (nel caso della stagione invernale o degli urgani estivi) o troppo poco (come nel caso delle bonacce atlantiche, durante le quali una nave a vela poteva dover attendere per settimane il ritorno di condizioni di vento favorevoli) così come l’acqua che faceva funzionare mulini, macine oppure i primi telai meccanici. L’uomo e gli animali, per quanto messi alla catena per remare oppure far girare una macina oppure ancora per trainare strumenti agicoli di un certo peso (ad esempio aratri ed erpici), oltre a dover interrompere il lavoro per i suddetti limiti fisici naturali (si legga “fatica”), finivano comunque col consumare, per quanto in quantità minime nel caso di schiavitù e maltrattamenti connessi all’uso della forza animale, una parte del prodotto che contribuivano a creare.

Per capirci: gas, petrolio, energia elettrica non consumano il prodotto (ad esempio la farina) che concorrono a realizzare. Inoltre sono fonti di energia o energie sempre disponibili nella giusta quantità necessaria, sia di notte che di giorno, in inverno che in estate, senza forzose interruzioni. Inevitabile quindi che, per il “buon funzionamento” della macchina industriale capitalistica e i suoi ritmi produttivi, la scelta si indirizzasse sempre più verso il loro diffuso e devastante utilizzo.

Sistema che nel divenire “energivoro” ha finito col dar vita a una serie di conflitti sempre più intensi, ravvicinati e distruttivi, per l’appropriazione di materie prime di origine fossile che, se ai tempi di Marco Polo potevano costituire una semplice curiosità o una mercanzia tra le altre2, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e, in particolare, dal Primo macello imperialista diventano il premio di ogni guerra, allargata, coloniale e non3. Prova ne sia il fatto, qui citato a solo titolo di esempio, che la marcia delle truppe dell’Asse verso i territori sud-orientali dell’URSS, interrottasi forzatamente a Stalingrado, poco aveva di “ideologico”, ma molto di pratico vista la cronica fame di risorse energetiche e di petrolio della Germania. Cosa che aveva spinto Hitler a spostare un congruo numero dei tre milioni di soldati inviati sul fronte orientale con l’Operazione Barbarossa sul fronte del Caucaso; nel tentativo di appropriarsi sia delle regioni petrolifere là presenti che delle aree petrolifere incluse dai dominion inglesi in Iraq ed Iran. Come sia andata a finire ce lo dicono i libri di storia. Stesso discorso vale per la campagna d’Africa condotta con l’alleato Mussolini, alla ricerca della conquista o del mantenimento del controllo del petrolio libico e dell’interruzione dei traffici marittimi e commerciali inglesi dall’India e verso la stessa.

Ma è necessario interrompere qui il Bignami della storia del ‘900 e dei suoi devastanti conflitti, per tornare ai problemi attuali, che dimostrano, comunque, come tale secolo sia stato tutt’altro che breve e si prolunghi ancora nel nostro disastrato presente. Compresa la scarsa passione del capitalismo industriale per l’uso delle fonti energetiche alternative, nonostante la predicazione greenwashing dei media falsamente progressisti.

E visto che si parlava di Germania del Reich, proprio dalla (ex-?) locomotiva d’Europa occorre ripartire per la riflessione sulle sanzioni, e poiché il danno causato all’economia europea dalle sanzioni alla Russia e dal taglio delle forniture di gas sembra appartenere, all’interno della propaganda bellico-politica in cui siamo immersi, soltanto alle fake messe in campo dal Cremlino e dalla sua portavoce Maria Zakharova, torneremo al 30 marzo di quest’anno, quando il quotidiano tedesco «Handelsblatt», l’equivalente dell’italiano «Il Sole 24 Ore», scriveva:

L’industria tedesca ad alta intensità energetica avverte con urgenza il rischio di una possibile interruzione della fornitura di gas naturale russo. Anche il razionamento potrebbe portare a perdite di produzione, che avrebbero conseguenze per l’intera industria di trasformazione in Germania, spiegano ad esempio i manager dell’industria chimica. Laddove è necessario molto gas come fonte di energia e materia prima, le aziende sono minacciate di estinzione in caso di restrizioni.
Mercoledì, il ministro federale dell’Economia Robert Habeck (Verdi) ha annunciato il “livello di allerta precoce” del cosiddetto piano di emergenza gas, avvertendo così l’economia di un significativo deterioramento dell’approvvigionamento di gas. L’ industria che sarebbero più colpita da un’interruzione dell’offerta o dal razionamento è quella chimica che per Christian Kullmann è il “cuore dell’economia tedesca”. In questa frase Boss è contenuto un avvertimento: se non batte più, ha gravi conseguenze per tutte le industrie. E questo è uno scenario realistico in caso di fallimento delle forniture di gas all’industria4.

Per poi continuare il giorno successivo con un’intervista al Direttore delle poste tedesche, in cui si affermava:

Un embargo sarebbe devastante per la Germania e l’Europa, ha detto il manager in un’intervista a Handelsblatt. “Ci sarebbe la minaccia di un collasso di parti del nostro settore”.
Un tale passo non garantirebbe in alcun modo la fine della guerra in Ucraina. “Se ti indebolisci in modo massiccio, non vincerai”, ha detto Appel. Ha anche accolto con favore il fatto che il governo tedesco non stava saltando immediatamente su ogni questione nel conflitto ucraino, ma stava prendendo decisioni “con calma e chiarezza” […] Frank Appel teme un collasso di parti del settore in caso di boicottaggio e si oppone anche a un disaccoppiamento dalla Cina.5.

Mentre, sempre negli stessi giorni, «Die Welt», un altro importante quotidiano tedesco equivalente del «Correiere della sera» italico, occupandosi dell’inflazione, scriveva:

Un mese dopo lo scoppio della guerra, i tedeschi stanno vivendo uno shock storico dei prezzi: al 7,3%, l’inflazione a marzo è stata più alta che mai nella Germania riunificata. Secondo l’Ufficio federale di statistica, la vita nei vecchi Stati federali era aumentata così tanto solo nel novembre 1981.
[…] La Repubblica Federale ha registrato l’inflazione più forte nel dicembre 1973 con il 7,8 per cento. E questo segno potrebbe presto essere rotto se la guerra in Ucraina dura ancora più a lungo o la disputa energetica con la Russia si intensifica.
Perché è l’improvviso aumento del prezzo dell’energia che farà salire il tasso di inflazione nel 2022. “È principalmente energia, ma anche cibo, che ancora una volta si è rivelato un driver di prezzo. L’aumento di quasi il 40% dei prezzi dell’energia spiega più della metà dell’inflazione attuale”, afferma Sebastian Dullien, direttore dell’Istituto per la macroeconomia e la ricerca economica (IMK). […] “Non si prevede che i mercati dell’energia allenteranno le tensioni nei prossimi mesi: i prezzi all’ingrosso del gas e dell’elettricità indicano che l’energia domestica in particolare rischia di diventare ancora più costosa per i clienti finali”. Nel caso del carburante, c’è un certo sgravio, anche perché temporaneamente le tasse su di esso devono essere ridotte.
Tuttavia, queste riduzioni sono matematicamente troppo piccole per compensare l’aumento dei prezzi dell’energia delle famiglie nel tasso di inflazione. “Tutto sommato, l’inflazione rimarrà alta per il resto dell’anno”, è certo Dullien.
L’IMK ha aumentato le sue stime in risposta agli eventi. […] “Se l’energia dovesse diventare ancora più costosa, ad esempio in caso di interruzione della fornitura di energia russa, l’inflazione potrebbe essere di nuovo significativamente più alta”, afferma Dullien.
[…] E oggi non sono solo i prezzi dell’energia a guidare l’inflazione in questo paese. Ad eccezione degli affitti, l’intero carrello della spesa dei tedeschi sta diventando più costoso della media.
“Il rollover a tutti i settori possibili è in pieno svolgimento. Aggiungete a ciò i ricarichi aggiuntivi nei settori dell’ospitalità, della cultura e del tempo libero, una volta terminato l’attuale ciclo di restrizioni, ed è difficile immaginare che l’inflazione diminuirà in modo significativo nel prossimo futuro “, afferma Carsten Brzeski, capo economista di ING.
[…] Gli alti tassi di inflazione stanno mettendo sotto pressione la Banca centrale europea (BCE). Perché mentre gli economisti aumentano le loro previsioni di inflazione, tagliano le loro previsioni di crescita. Il Consiglio tedesco degli esperti economici ha più che dimezzato le sue previsioni di crescita economica quest’anno all’1,8%.
Nelle loro precedenti previsioni di novembre, gli esperti economici avevano promesso una crescita del 4,6% per il 2022. Una tale combinazione di stagnazione economica e alta inflazione (chiamata anche stagflazione) è temuta perché getta le autorità monetarie in un dilemma.
“Per la BCE, questo alto rischio di stagflazione nell’eurozona metterà sotto pressione la prevista normalizzazione della politica”, afferma Brzeski. Mentre la crescita è recessiva, almeno nella prima metà dell’anno, l’inflazione complessiva sarà significativamente più alta nel lungo termine.
In un tale contesto macroeconomico, l’attenzione della BCE sembra spostarsi dalla crescita all’inflazione. “Ma per quanto la BCE possa contribuire a far arrivare i container dall’Asia più velocemente e più a buon mercato in Europa o ad aumentare la produzione di microchip a Taiwan, non può porre fine alla guerra o abbassare i prezzi dell’energia”, afferma Brzeski.
Quanto sia profondo il dilemma è reso chiaro da un’altra cifra: quando l’inflazione in Germania era del 7,3 per cento, il tasso di interesse di riferimento fissato dalla Bundesbank era dell’11,4 per cento. In questo modo, le autorità monetarie volevano contrastare massicciamente ulteriori aumenti dei prezzi. Oggi, d’altra parte, il tasso di interesse di riferimento in tutta Europa è pari a zero.
Gunther Schnabl, professore di politica economica all’Università di Lipsia, critica la BCE. A differenza della Federal Reserve statunitense, l’istituzione di Francoforte ignora il fatto che la stabilità valutaria è minacciata a lungo termine.
[…] Secondo la sua stima, le radici sono più profonde che nella crisi attuale. “Indipendentemente dalla ragione dell’inflazione, la BCE deve agire per contenere i cosiddetti effetti di secondo impatto”, afferma l’economista.
Gli effetti di secondo impatto si verificherebbero se i sindacati chiedessero una compensazione salariale a causa delle pressioni inflazionistiche, che a loro volta costringevano le aziende ad aumentare i prezzi. “Tali spirali salario-prezzo osservate nel 1970 manterrebbero alta l’inflazione per lungo tempo. Ciò sarebbe rischioso a causa della crescita negativa e degli effetti distributivi dell’inflazione dei prezzi al consumo e degli asset” 6.


La citazione può apparire troppo lunga, ma è importante perché rivela come tutto quanto sta accadendo a livello europeo e italiano fosse ampiamente prevedibile fin dall’inizio del conflitto in Ucraina. Non solo, ma anche che i paletti per la risposta all’inflazione erano già stati messi dalla BCE, insieme alla necessità, per il capitale, di contrastare qualsiasi richiesta proveniente dai sindacati o da movimenti sociali auto-organizzati per aumenti salariali o aiuti di altro genere, non alle imprese, ma alle famiglie e ai lavoratori in difficoltà.

Ma anche su altri quotidiani europei, in quei giorni si sottolineavano le conseguenze, presenti e future, dei processi inflattivi messi in atto a partire dal conflitto e dalle politiche adottate dall’Unione Europea e dell’Occidente per “contrastarlo”. Ad esempio il quotidiano spagnolo «Cinco Días», sempre in data 31 marzo, scriveva:

L’inflazione si rivela sempre più come una tassa per i poveri e i lavoratori. I prezzi hanno iniziato a salire in Spagna a cavallo dell’estate del 2021, trainati principalmente dal prezzo dell’energia, con il quale l’IPC medio annuo ha chiuso lo scorso anno al 3,1% […]. Ma quello che sembrava un aumento molto congiunturale i cui effetti sarebbero scomparsi in primavera, secondo i primi calcoli degli analisti, è diventato un vero incubo per il paniere della spesa, a causa degli effetti della guerra in Ucraina, che ha già completato un mese.
I dati sull’inflazione anticipata pubblicati dall’Istituto Nazionale di Statistica (INE) per il mese di marzo, sono arroccati ad un tasso su base annua del 9,8%, molto vicino al livello psicologico delle due cifre, dopo un aumento mensile del 3%, che colloca questa cifra tra le più alte da quella registrata nel maggio 1985. Ci sono voluti 36 anni per vedere questa mancanza di controllo dei prezzi in Spagna, anche se tutto indica che questa escalation non si fermerà qui, in quanto potrebbe persino raggiungere due cifre a breve e persino superarle.
[…] Dietro questa evoluzione continuano a pesare fattori geopolitici esterni come la durata della guerra in Ucraina e la tensione nei prezzi di prodotti strategici come il petrolio o il gas, che distorcono completamente i prezzi della componente energetica, che si manifesta in aumenti dei prezzi di elettricità, combustibili e per effetto indotto cibo e bevande analcoliche. […] Da qui la continuità dei messaggi del governatore della Banca di Spagna per raggiungere un patto di reddito che mitighi questa escalation.
Il tasso sottostante, che misura l’evoluzione dei prezzi, eliminando i prodotti alimentari freschi ed energetici, ha raggiunto un tasso su base annua del 3,4% a marzo, aumentando di quattro decimi in più rispetto a febbraio. Un fatto che lungi dall’essere rassicurante sull’evoluzione futura, anticipa le tensioni rialziste nell’indicatore generale per tutti i prossimi mesi.
Lo tsunami a cui sono sottoposti i prezzi di tutti i prodotti del carrello ha come effetto più diretto sui cittadini una netta e sempre più profonda perdita di potere d’acquisto. […] Questo calo del potere d’acquisto è particolarmente sentito nei redditi salariali e nei risparmi delle famiglie e delle imprese.
Quindi è relativamente facile fare un’approssimazione quantificabile del denaro che potrebbe supporre questo impatto dell’escalation inflazionistica in questi redditi e che potrebbe essere di circa 70.000 milioni di euro di riduzione del potere d’acquisto di salari e depositi. Come ci si arriva?
La prima cosa che bisogna specificare per fare questo calcolo è quanto i prezzi siano diventati più costosi e per questo, la cosa più giusta è prendere non solo i dati del mese – in questo caso marzo, 9,8% – ma determinare quanto i prezzi sono aumentati in media negli ultimi dodici mesi. Ciò produrrebbe un aumento misurato dell’IPC che tocca il 4,9% tra aprile 2021 e marzo 2022.
Una volta calcolata questa domanda, vengono presi i dati sul reddito salariale inclusi nei dati dei conti nazionali trimestrali, anch’essi preparati dall’INE, e mostrano che la massa salariale annuale del paese ammonta a circa 600.000 milioni di euro. Tenendo conto che l’aumento salariale medio concordato nei contratti collettivi alla fine dello scorso anno per 8,3 milioni di dipendenti – che salirà a circa 10 milioni nel corso di quest’anno a causa dei ritardi nella registrazione dei contratti – è stato dell’1,47% e che finora quest’anno questo aumento supera leggermente il 2%, si potrebbe dire che questi lavoratori secondo l’inflazione media degli ultimi dodici mesi (che sfiora il 5%) stanno perdendo tra i 3 e i 3,5 punti di potere d’acquisto. Ciò si traduce in una perdita di potere d’acquisto compresa tra 18.000 e 21.000 milioni di euro.
Inoltre, le prospettive salariali non sono molto migliori e, nel migliore dei casi, se i datori di lavoro e i sindacati raggiungessero l’accordo pluriennale di accordi di cui stanno parlando, la raccomandazione di un aumento salariale per quest’anno sarebbe di circa il 3 per cento, in modo che di fronte all’incertezza di come si evolveranno i prezzi, se la spirale inflazionistica continua, quel piccolo miglioramento dei salari potrebbe essere azzerato già nel corso di quest’anno. Pertanto, la suddetta perdita vicina a 20.000 milioni di reddito salariale a causa dell’impatto dell’inflazione sarebbe possibile anche nella fascia bassa di perdite.
Il conto successivo è ancora più semplice, la Spagna ha poco più di un trilione di euro di risparmi depositati in conti correnti. Questo denaro non è praticamente remunerato, quindi l’impatto vicino al 5% sarebbe completo, riducendo un importo approssimativo a 50.000 milioni di euro della capacità di acquisto dei risparmi degli spagnoli. Con la somma di entrambi gli importi, si ottiene il suddetto costo di 70.000 milioni di reddito e risparmio salariale.
[…] Jakob Suwalski e Giulia Branz, analisti di Scope Ratings, prevedono entro il 2022 che il tasso di inflazione supererà il 5% “anche in uno scenario di graduale convergenza verso l’obiettivo della BCE del 2% entro la fine dell’anno”. Se lo scenario è quello di una continuazione delle pressioni sui prezzi, il tasso annuo sarebbe in media dell’8%. Ritengono che un rialzo dei tassi da parte della BCE non affronterebbe direttamente gli effetti inflazionistici7.

Si è continuato citando giornali stranieri e titoli di diversi mesi or sono proprio per dimostrare come quanto recentemente affermato sul peggioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione dell’Europa e dell’Italietta, sempre falsa e buonista, non appartenga ad un immaginario distorto dovuto soltanto alla abilità russa nel produrre disinformatja, ma alla realtà di ciò che era ampiamente prevedibile fin dall’inizio del confronto militare, economico e politico con la Russia di Putin. Non un imprevedibile svolto di una situazione altrimenti normale, ma una conseguenza “certificata” per tempo delle scelte operate a livello politico ed economico dalla UE e dagli USA.
I quali ultimi, con il loro ruolo nel settore del controllo, produzione e vendita del petrolio e del gas, non potevano mancare in questo excursus a ritroso. Come affermava infatti il «Financial Times», giornale notoriamente filoputiniano, nei primi giorni di aprile di quest’anno:

Prima la crisi finanziaria, poi la pandemia globale e adesso la guerra in Europa spingono i governi a cambiamenti inediti, che prima sembravano impensabili. L’ultimo in ordine di tempo è costituito dalla decisione degli Stati Uniti di attingere a 180 milioni di barili di greggio dalle loro riserve petrolifere strategiche: il più grande ricorso alle scorte nazionali mai avvenuto nella storia. Tuttavia, la reazione del mercato suggerisce che anche una mossa di così ampia portata potrebbe non essere sufficiente a ridurre la spirale dei prezzi del carburante come era nelle intenzioni di Biden.
[…] Un problema della decisione di Washington è che rischia di apparire come disperata, e quindi ottenere il risultato opposto di quello desiderato. Questi sei mesi di utilizzo delle riserve nazionali lasceranno le scorte petrolifere di emergenza più grandi del mondo ai livelli più bassi dal 1984, per di più in una fase in cui l’offerta di greggio è in una situazione di grave instabilità.
Questo milione di barili in più al giorno non basterà a risolvere la crisi, comunque. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha segnalato che la produzione russa potrebbe diminuire di tre milioni di barili al giorno, a causa non solo dell’embargo statunitense sul greggio e delle altre sanzioni stabilite dai Paesi occidentali, ma anche di quella sorta di “auto-sanzione” applicata indirettamente dagli acquirenti cominciano a rifiutarsi di comprare i prodotti russi. C’è anche il rischio che il prolungamento della guerra spinga definitivamente l’Ue a limitare i suoi acquisti di petrolio russo.
Biden ha anche rivelato un piano per fare pressione sui produttori statunitensi e spingerli a pompare di più, imponendo tasse su quelli che non trivellano dove hanno licenze sulle terre federali. Affermare che le scorte torneranno a essere riempite quando i prezzi scenderanno a 80 dollari al barile è un tentativo di fissare un prezzo minimo a lungo termine per il greggio più alto di quello degli scambi futures attuali. Ma gli addetti ai lavori ritengono che gli azionisti potrebbero cercare prezzi ancora più alti prima di portare i nuovi flussi a regime. Ci sono poi dei vincoli oggettivi all’aumento della perforazione americana da considerare, non da ultimo la carenza di materiali, mezzi e uomini per comporre le squadre addette al fracking (la perforazione idraulica delle rocce).
Se gli Stati Uniti intendevano scalare posizioni per diventare il produttore di greggio più importante del mondo, in realtà il loro annuncio potrebbe avere l’effetto di rinforzare ancora di più il peso dell’Opec. Secondo le stime, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti insieme avrebbero una capacità inutilizzata di oltre 2 milioni di barili al giorno. Ma il cartello mediorientale si è mantenuto prudente rispetto alla guerra e non ha dato seguito alla richiesta di Biden di aumentare l’offerta.
[…] La Casa Bianca affronta anche un altro dilemma. Biden ha cominciato il suo mandato assumendosi l’impegno di portare avanti una politica vigorosa sul clima, ma rischia di perdere entrambe le camere del Congresso alle elezioni di mid-term di novembre. Il balzo del 50% dei prezzi della benzina in un anno fa arrabbiare soprattutto gli elettori repubblicani8.

Escluso il fallimento dei rapporti tra USA e Opec, messo in risalto anche dal rifiuto degli ultimi giorni da parte dei principali produttori di gas e petrolio di incrementare l’offerta per abbassarne i prezzi9, e sconfitta la speranza di coinvolgere Cina e India nelle sanzioni alla Russia10 non è difficile vedere che quanto previsto dal Ministro Cingolani per affrontare la prossima crisi nell’autunno-inverno 2022/2023, non è affatto lontano da quanto prospettato dalla BCE o desiderato dagli USA. Indipendentemente dall’uso che farà di tutto questo la propaganda russa.

D’altra parte, va ancora qui ricordato che una parte degli aumenti del costo del gas è da attribuire alle manovre speculative in atto sul mercato di Amsterdam, tanto da far pensare, alla Commissione europea di mettere il Ttf olandese sotto il controllo dell’Esma (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati)11, confermando così l’analisi marxiana del fatto che «l’unico limite del capitale è il capitale stesso». In questo caso inteso non come controllo sulla libera definizione dei prezzi in Borsa, ma per l’intralcio che gli interessi del capitale finanziario e della rendita finiscono col creare alla produzione industriale, peggiorandone le condizioni incrementandone i costi.

Infine, per non fare troppo torto alla stampa nazionale, val la pena di ricordare che già in data 18 marzo 2022, poco più di venti giorni dopo l’inizio delle operazioni militari in Ucraina e delle prime decisioni prese in ambito europeo e atlantico, il «Sole 24 ore» titolava in prima pagina: Ocse: la guerra costa all’Ue l’1,4% del Pil. Dal neon al grano, l’Italia più esposta.

Mentre ancora pochi giorni or sono, poteva denunciare i paesi della Nato che guadagnano con la crisi del gas, dalla Norvegia agli Usa12. Sottolineando come gli Stati Uniti esportino in Europa il triplo di Gazprom e come la Norvegia abbia scalzato la Russia come primo fornitore. Ma non solo, poiché anche la Cina starebbe facendo affari d’oro rivendendo all’Europa Gnl, mentre la Russia ha visto aumentare i profitti sul gas nonostante, e forse grazie, le sanzioni13.

La ciliegina sulla torta del disastro l’ha messa però Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, che nel corso di un’intervista concessa a Rai News24 il 7 settembre ha esordito affermando seccamente: «Noi ormai siamo sconfitti».
Giustificando tale affermazione col fatto che se non ci sarà una “rcessione” i prezzi del gas e del petrolio, e perciò dell’energia, continueranno a crescere. Anche l’incremento dell’utilizzo delle centrali a carbone, ha continuato lo stesso Tabarelli, non porterà a decisivi miglioramenti, poiché non solo la maggior parte del carbone utilizzato in Italia proviene comunque dalla Russia, ma anche perché pur utilizzando le stesse al massimo si passerebbe da un 6 al 13% dell’energia elettrica prodotta. Concludendo poi col dire che, questo inverno, se la Russia continuerà a tagliare o azzerare le forniture di gas, si dovranno fare sacrifici da tempi di guerra e che, se non ci saranno significative riduzioni dei consumi e i prezzi continueranno a salire, ci saranno inevitabilmente chiusure di stabilimenti industriali e licenziamenti.

Ma allora perché sforzarsi di spiegare ad ogni costo che le cose «andranno bene», come nei primi giorni della pandemia per gli Italiani e gli Europei e male per i Russi14? Forse in grazia di un accordo stilato da Draghi con uno stato, l’Algeria, che è in attesa di entrare a far parte dei Brics e che nei giorni scorsi ha affiancato Russia, Cina, India, Corea del Nord e altri partner ancora nelle manovre militari Vostock 2022 tenutesi nelle vicinanze del Mar del Giappone?

Non è che tutta questa propaganda militar- parlamentare sia destinata soltanto a tenere buona quella parte di opinione pubblica che prima o poi sarà portata ad esplodere imprevedibilmente per le conseguenze coincidenti di pandemia, guerra, crisi ambientale ed energetica? E’ così che i governi dei migliori o dei peggiori, fa lo stesso, pensano di poter affrontare la crisi sociale, politica ed economica che inevitabilmente verrà? Con bonus ridicoli, ristori indirizzati solo alle aziende, la promessa della riduzione di un solo grado delle temperatura domestiche e il ritardo nell’accensione dei riscaldamenti privati e pubblici? Senza mai parlare seriamente dell’inevitabile disoccupazione e miseria che conseguirà a tutto ciò? Oppure, come è successo in questi ultimi giorni a Torino con la società Iren, accontentandosi di staccare il teleriscaldamento a coloro e ai condomini che sono già in difficoltà con il pagamento delle bollette arretrate15?

Speriamo di sì, a patto che chi rifiuta il nefasto modo di produzione attuale rinunci a qualsiasi illusione parlamentaristica e voglia tornare all’organizzazione dal basso e alla lotta di strada. In modo da poter rivendicare, ancora una volta con forza, come negli anni ’70: le bollette e la crisi le paghino i padroni!


  1. Si veda: Natalie Tocci, Lo Zar, le sanzioni e gli “utili idioti”, «La Stampa» 6 settembre 2022  

  2. Nel XIII secolo Marco Polo narrava di cammellieri che esportavano un liquido nero e puzzolente, da Baku, nella zona del Mar Caspio, una regione al centro di contese belliche fin dai tempi di Alessandro Magno. Una sostanza densa, non raffinata, esportata in tutto il Mediterraneo e fino a Baghdad, per essere usata come mezzo di illuminazione e come balsamo o unguento. Sostanza che in quella localita’ era particolarmente abbondante, fino al punto di sgorgare naturalmente dal terreno, formando autentici laghi.  

  3. Si veda in proposito: Daniel Yergin, Il premio. L’epica storia della corsa al petrolio, Biblioteca Agip, Sperling & Kupfer Editori, 1996  

  4. Livello di allerta precoce dichiarato: queste industrie sarebbero le più colpite da un congelamento della fornitura di gas. Le imminenti strozzature di approvvigionamento di gas stanno allarmando l’economia. Per molte aziende, un arresto delle forniture dalla Russia minaccerebbe la loro esistenza, «Handelsblatt», 30 marzo 2022  

  5. INTERVISTA A FRANK APPEL: Il capo delle poste avverte dell’embargo sul gas: “Se ti indebolisci in modo massiccio, non vincerai”, «Handelsblatt», 31 marzo 2022  

  6. Daniel Eckert e Holger Zschäpitz, Inflazione senza fine? Siamo intrappolati nella trappola dei tassi di interesse chiave, «Die Welt» 30.03.2022  

  7. JESÚS GARCÍA – RAQUEL PASCUAL CORTÉS, L’inflazione inghiotte 70 miliardi di euro di salari e risparmi in 12 mesi, «Cinco Días», 31 marzo 2022  

  8. Citato in Financial Times: effetto Ucraina, gli Usa vogliono diventare il primo produttore di petrolio, «il Fatto Quotidiano» 4 aprile 2022  

  9. Matteo Meneghello, L’Opec+ taglia la produzione, «Il Sole 24 ore» 6 settembre 2022  

  10. Sissi Bellomo, Sfida dell’India sul gas: noi con Mosca, «Il Sole 24 ore» 6 settembre 2022  

  11. Gas, la Ue vuole mettere la piattaforma Ttf sotto l’ombrello dell’Esma, «Il Sole 24 ore» 7 settembre 2022  

  12. Sissi Bellomo, Gas, emergenza ma non per tutti. Eldorado per alcuni paesi della Nato, «Il Sole 24 ore» 2 settembre 2022  

  13. Riccardo Sorrentino, In sei mesi l’Ue ha versato 85 miliardi alla Russia, «Il Sole 24 ore» 7 settembre 2022  

  14. Si veda ancora Natalie Tocci, cit., «La Stampa» 6 settembre 2022  

  15. cfr. PIER FRANCESCO CARACCIOLO, L’incubo di un inverno al freddo: a Torino boom di morosità nelle bollette e LODOVICO POLETTO, Termosifoni chiusi per morosità, la rabbia di Mirafiori contro l’Iren: “Questi rincari sono un salasso”, entrambi su «La Stampa», 8 settembre 2022  

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Hippie, di Paulo Coelho https://www.carmillaonline.com/2018/09/07/hippie-di-paulo-coelho/ Thu, 06 Sep 2018 22:01:11 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=48497 di Mauro Baldrati

La nave di Teseo, Milano 2018, pp 300 € 18

C’ero anch’io, dieci anni dopo, nel luglio 1971. Arrivammo in Piazza Dam, Loris Pattuelli ed io, dopo un lungo viaggio in autostop. Era una delle principali mete mondiali del turismo alternativo, come esordisce Paulo nell’incipit: “Nel settembre del 1970, due luoghi si contendevano il privilegio di essere considerati il centro del mondo: Piccadilly Circus a Londra e il Dam ad Amsterdam.”

Probabilmente Paulo è stato l’ultimo a vedere il Dam affollato di hippies, perché al nostro arrivo la piazza era [...]]]> di Mauro Baldrati

La nave di Teseo, Milano 2018, pp 300 € 18

C’ero anch’io, dieci anni dopo, nel luglio 1971. Arrivammo in Piazza Dam, Loris Pattuelli ed io, dopo un lungo viaggio in autostop. Era una delle principali mete mondiali del turismo alternativo, come esordisce Paulo nell’incipit: “Nel settembre del 1970, due luoghi si contendevano il privilegio di essere considerati il centro del mondo: Piccadilly Circus a Londra e il Dam ad Amsterdam.”

Probabilmente Paulo è stato l’ultimo a vedere il Dam affollato di hippies, perché al nostro arrivo la piazza era deserta. I ragazzi si erano spostati in massa nel Vondel Park, che si era trasformato in un immenso campeggio (senza tende, su questo la polizia cittadina non transigeva).

Per la verità la parola hippies è inadeguata, poiché il movimento aveva celebrato il proprio funerale tre anni prima, a San Francisco. Era diventato una moda, le imprese del settore sfruttavano la sua immagine nell’abbigliamento, nei gadget, nei trucchi. Il funerale era una dichiarazione di resa nei confronti del mercato, il quale avrebbe continuato a saccheggiare i loro stili senza curarsi delle proteste.

In realtà le cose non erano cambiate granché. Era stato dichiarato morto il movimento, ma gli hippies erano ancora vivi e vegeti, ancora giovani, ancora “sul pezzo”; e alcuni dei loro servizi pure. Paulo ci racconta una cena in un ristorante gratuito, finanziato da Gorge Harrison, un famoso hippy deluso, dopo lo scandalo del guru dei Beatles Maharishi Mahesh Yogi, che aveva tentato di sedurre (di stuprare?) Mia Farrow nel 1968. Ci informa sugli studi legali che cercavano di fare uscire di prigione i giovani arrestati per possesso di fumo. E non solo in Olanda, ma in molte città dell’Occidente. Ci descrive la musica, i colori sgargianti, i fiori dipinti sulle guance delle ragazze, gli abiti psichedelici, e i discorsi pazzi, perlopiù generati dall’LSD.

E soprattutto ci presenta il Magic Bus, l’ex scuolabus che partiva per Kathmandu.

L’abbiamo visto anche io e Loris, in Leidse Plein. Partiva il giorno dopo, e stavano completando la composizione dell’equipaggio. Noi eravamo stupiti, e anche un po’ intimiditi. Quelli erano dei professionisti, ragazzi “tosti” con la pelle cotta dal sole e dalle intemperie, capelli lunghi fino al sedere, chili di bracciali ai polsi, orecchini e collane, e storie, anni di “storie” in giro per il mondo, mentre noi eravamo dei turisti di campagna con un tempo limitato a disposizione.

Il Magic Bus funge da magnete catalizzatore per i due personaggi principali del libro: Karla, una ragazza olandese, hippy, bellissima. E’ anche delusa, e arrabbiata, perché teme di non sapere amare, nonostante un numero incalcolabile di amanti, quasi tutti ricchi, che la mantenevano. Karla ha detto basta, questo mondo l’ha schifata e vuole partire col Magic Bus verso Kathmandu. Cerca la pace, l’illuminazione e la luce, in una caverna sull’Himalaya. Ma non vuole viaggiare da sola.

Una “veggente” (un personaggio abbastanza diffuso nell’ambiente hippy, dove l’occultismo era molto popolare) le ha predetto che incontrerà il tipo giusto. Dovrà solo riconoscerlo.

Quel tipo è Paulo il brasiliano. Va detto che non è un hippy, anche se a sua volta è un professionista del viaggio globale. Viene da storie terribili. In Brasile gli adolescenti devianti non erano tollerati, proprio come una ventina di anni prima nella Germania nazista, dove venivano giustiziati. Ma anche se l’eutanasia non era praticata, Paulo, un ragazzo difficile che contesta tutto, la famiglia, la scuola, la cultura borghese, viene ricoverato due volte in manicomio, nel 1965 e 1966. E anche nel 1967, con l’elettroshock, perché voleva dedicarsi al teatro, considerato un esempio di pura follia nel Brasile dell’epoca.

Così, anche per sfuggire alla prospettiva di un nuovo ricovero, Paulo parte per un viaggio intorno al mondo, fino ad arrivare ad Amsterdam.

Proprio come l’altro Paulo, l’autore di questa auto fiction (molto auto e poco fiction). Lui stesso, in una postilla, dice che è tutto vero, ha solo cambiato i nomi e la cronologia dei fatti. Magari qualcuno dei personaggi che raccontano le loro storie li ha conosciuti da tutt’altra parte, poi li ha incollati in Hippie.

E anche i saggi, i guru, come il vecchio che vive misteriosamente in una sede di dervisci roteanti a Istanbul, depositari i quella cultura sufi che Paulo vuole assolutamente conoscere. Può averlo conosciuto in un altro viaggio, in un altro tempo. E’ anche così che funziona la narrativa.

Anche Paulo è un uomo che cerca. Vuole conoscere soprattutto la filosofia, il sé e il rapporto con l’Altissimo. Qui Coelho ha colto un aspetto importante del mondo hippy: il misticismo. La ricerca dell’Essere Supremo, una forma anarchica di religione materialista che fonde il Cristo dei cattolici con Krishna, col profeta mistico dei Sufi, con tutte le forme di meditazione che inseguono la Luce che pervade le creature, la terra, l’acqua, l’aria.

Questa ricerca occupa una parte importante del libro, attraverso i dialoghi, i racconti dei personaggi, e segue quella parallela dell’autore, un uomo devastato da esperienze negative che ha cercato un’ancora di salvezza nella conversione al cristianesimo, avventa nel 1981.

Ovviamente Paulo e Karla si incontrano, e come non potrebbero? Sono due creature in fuga e in cerca, riunite dalla previsione della veggente. Insieme esplorano Amsterdam, visitano una “Casa della luce nascente”, un ritrovo di tossici pazzi che teorizzano l’uso dell’eroina come mezzo di liberazione, passano una serata al Paradiso, la chiesa dismessa occupata dagli hippy che diventerà uno dei locali più famosi del mondo.

E infine il Magic Bus. Karla, con qualche artificio psicologico e i trucchi da esperta seduttrice, lo convince ad accompagnarla.

Sarà un viaggio avventuroso, con tanti personaggi narranti, le cui storie sono raccolte pazientemente dall’autore. Dopo varie vicissitudini, tra cui l’aggressione di una banda di motociclisti austriaci nazisti, arrivano ad Istanbul, la città sacra, caotica, punto di incontro tra Oriente ed Occidente.

E qui la lunga ricerca dei due eroi sembra raggiungere l’obiettivo. Forse non è proprio quello che desiderano, ma è comunque un obiettivo. D’altra parte chi siamo noi per decidere quello che ci riserva il destino, sembra dire ciò che si nasconde negli spazi bianchi della pagina? Il mondo non è a nostra disposizione, mentre lo è l’azione, la volontà di capire: il viaggio, il movimento, “la ricerca di una vita nuova, perché il tempo della cosiddetta civiltà occidentale è ormai scaduto.”

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The live adventures of Jimi Hendrix and Dennis Hopper – Il rito (2) https://www.carmillaonline.com/2013/07/18/the-live-adventures-of-jimi-hendrix-and-dennis-hopper-il-rito-2/ Wed, 17 Jul 2013 22:03:30 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=7221 di Mauro Baldrati

Amsterdam3[Riassunto della puntata precedente (qui): Jimi Hendrix e Dennis Hopper dopo un lungo viaggio in autostop sono arrivati nella “terra promessa”, Amsterdam, Piazza Dam , una delle capitali mondiali dell’underground. E’ il luglio 1970. Ma ciò che trovano li lascia senza parole: la piazza è deserta, occupata solo da spacciatori di eroina. Depressi e delusi, per fortuna vengono “salvati” da un pusher italiano, Gino, che li porta dove c’è “la gente”, il Vondel Park. E qui scoprono che Gino è attirato, ma anche spaventato, dal “rito”.]

Nuvole in viaggio

Jimi scrutò il cielo. Nuvole scure, minacciose. Nuvole [...]]]> di Mauro Baldrati

Amsterdam3[Riassunto della puntata precedente (qui): Jimi Hendrix e Dennis Hopper dopo un lungo viaggio in autostop sono arrivati nella “terra promessa”, Amsterdam, Piazza Dam , una delle capitali mondiali dell’underground. E’ il luglio 1970. Ma ciò che trovano li lascia senza parole: la piazza è deserta, occupata solo da spacciatori di eroina. Depressi e delusi, per fortuna vengono “salvati” da un pusher italiano, Gino, che li porta dove c’è “la gente”, il Vondel Park. E qui scoprono che Gino è attirato, ma anche spaventato, dal “rito”.]

Nuvole in viaggio

Jimi scrutò il cielo. Nuvole scure, minacciose. Nuvole in viaggio. In caso di temporale dovevano correre al ponte, per trovare un posto sotto l’arcata. Oppure dovevano procurarsi dei grandi fogli di plastica, come tutti. Intanto le parole di Gino gli ronzavano in testa.
“Gino, il rito. Non capisco. Quale rito?”
D’un tratto Gino balzò in piedi e iniziò a correre sul posto, furiosamente, gridando. Si fermò quando non aveva più fiato. Crollò di nuovo seduto, ansimando.
“Devo farcela! Voglio farcela! Perché sono così vigliacco? Voglio marciare verso il futuro. Voglio trovare la mia strada. Tutti dobbiamo trovarla.”

Trovare la strada? Jimi non era convinto. Lui voleva essere come una piuma, volare nel vento, poi trasformarsi in aquila, per controllarlo, il vento. Ma Gino sembrava travolto dal suo progetto. E questo era interessante.
Pura intensità.
Solo questo contava.

“Ma in cosa consiste il rito? A che serve? Dove ti porterà?”
“Non posso spiegartelo. Non capiresti. Però posso dirti dove mi porterà. E’ una iniziazione. Porta all’innocenza. La suprema innocenza. E quindi alla pace. Alla poesia pura.”
“Io non ho capito un cazzo” disse Dennis.
Una perfetta battuta degna di Dennis Hopper.
“Lo so” disse Gino. “E’ normale. Bisogna esserci. Bisogna vedere gli iniziati, parlare con loro. Sentire la loro pace. Condividere la loro felicità. Stasera c’è una iniziazione. Io sono invitato. Stanno valutando se sono pronto per il corso di preparazione. Io voglio essere pronto. Voglio andare.”
“Stasera?” disse Jimi. “Beh, Gino, saremo felici di accompagnarti.”

I Prankster-bus, la città della colpa

Jimi Hendrix, Dennis Hopper e Gino camminavano spediti per le strade che fiancheggiavano i canali. Le biciclette sfrecciavano, le auto procedevano lente. Rispetto alle altre città che avevano attraversato, Zurigo, Basilea, dove erano rimasti bloccati cinque giorni e quattro notti prima di trovare un passaggio, il traffico era modesto. Musiche di ogni tipo uscivano dalle finestre, dalle porte. Musiche amplificate debordavano dai pub e dai coffee-shop. Jimi riconobbe più volte White Rabbit, With a little help from my friends, Purple Haze, Willie the Pimp, Almost Cut My Hair, On The Road Again, Dear Mr Fantasy, White Room, altri pezzi che non conosceva. Più volte socchiusero delle porte e si affacciarono su stanze gremite, con gente che fumava, rideva, ballava. In una entrarono, si servirono di joint già preparati in una cassetta da frutta, li accesero tra i sorrisi di ragazze che li invitarono a restare.

In pochi minuti il tempo era cambiato. Ora splendeva un sole discretamente caldo. Jimi si sentiva euforico, pieno di energie e di aspettative. Finalmente si era lasciato alle spalle Mezzaluna. Non avrebbe passato il resto della sua vita in quel deserto. Poteva accadere di tutto, sarebbe finito in strada, nella miseria, piuttosto che sprofondare in quella palude. Non sapeva quali prospettive lo aspettavano. Non sapeva di quali risorse disponeva. Ma non importava. Avrebbe abbattuto i muri a calci. Lui era una happy rock, come il suo scrittore preferito, Henry Miller.
All’inferno, all’inferno.
Voglio essere scatenato, scatenato.
Così aveva scritto Anaïs Nin a Henry.

Amsterdam_busArrivarono a Leidse Plein. Si fermarono in contemplazione di due vecchi, grandi autobus completamente ricoperti di ghirigori sgargianti. Intorno ai due automezzi si affaccendavano ragazze e ragazzi con grandi borse e zaini. Molti ridevano, altri sembravano in attesa, taciturni e assorti.
“Questi sono gli autobus per Kathmandu” disse Gino.
Jimi e Dennis li guardarono strabiliati. Quei vecchi scassoni fino a Kathmandu? Ma quanto tempo impiegavano?
“Una settimana, circa, di viaggio ininterrotto. Con tre autisti che si alternano. Guardateli: molti di loro, secondo me quasi tutti, vanno a morire di eroina. Vanno a Kathmandu per questo. Oppure si illudono di andare per un altro motivo. Invece è la città della fine. E’ la città della colpa.”

Jimi e Dennis guardavano impietriti i ragazzi coi capelli lunghissimi, le barbe, le ragazze coi sandali, le gonne lunghe a fiori e stelline. Quella ragazza bionda, con la pelle nivea, bellissima: sarebbe morta nella antica città decrepita e lurida?

“Io non ci andrò mai. Io voglio spazzare via la colpa” disse Gino. “Io voglio ritrovare la bellezza. Voglio ritrovare la fiducia. Voglio ritrovare l’amore.” Un gesto brusco, definitivo. “Ma andiamo ora. Si sta facendo tardi.”

Il barcone sul canale

Arrivarono a un grande barcone ormeggiato sul canale Keizer. Sul ponte sventolava una bandiera bianca con un simbolo che a Jimi sembrò una fontana zampillante. Di fianco alla passerella un ragazzo con un completo di foggia orientale, di cotone bianco, controllava le persone che chiedevano di entrare. Sulla testa portava un voluminoso turbante bianco. Alcuni, che erano vestiti in maniera identica, venivano fatti passare senza controlli, gli altri esibivano un cartoncino, oppure passavano perché riconosciuti a vista. Regnava un’atmosfera rilassata, sulle facce erano stampati larghi sorrisi, gli sguardi sembravano ispirati. I ragazzi col turbante, che a Jimi pareva una grande pentola rovesciata, facevano inchini giungendo le mani. Erano soprattutto maschi, ma non mancava qualche ragazza. Sotto ai turbanti si intuivano le teste rapate a zero.

Quando toccò a loro Gino scambiò alcune battute in olandese. Il ragazzo sorrise, guardò Jimi e Dennis, annuì, poi stese un braccio invitandoli a passare.
Entrarono in una sala insolitamente vasta. Sulle sedie allineate erano sedute varie persone, in prima fila c’erano i ragazzi coi turbanti. Di fronte alle sedie era posizionato un piccolo palcoscenico con una robusta sedia al centro, vuota.

Presero posto nella terzultima fila, che era ancora libera. Jimi osservava i presenti. Era interessato soprattutto ai ragazzi col turbante. Sedevano ordinati, con la schiena eretta, e si muovevano con grande lentezza, con solennità. Anche se si alzavano in piedi non flettevano mai la schiena, non facevano gesti bruschi. Se dovevano guardare di lato, o alle spalle, torcevano il busto, non il collo. Le loro facce erano sempre sorridenti, anche quando stavano in silenzio, immobili. Anche Gino sorrideva, sembrava pervaso dalla stessa ispirazione che coinvolgeva tutti.

Dopo una breve attesa sul palco salì un ragazzo col turbante, che salutò e diede il benvenuto ai presenti, augurando a tutti “luce e pace”. Poi, dopo un breve mantra recitato in gruppo, che consisteva in tre sillabe: ah in crescendo, seguita da oh in calando e di nuovo ah in crescendo, presentò il Maestro.

Il Maestro irato

Entrò un orientale di età indefinibile, forse sui 50-60, di corporatura robusta, vestito con lo stesso completo bianco di cotone, ma senza turbante. La testa era rapata a zero. Prese posto su una sedia massiccia, coi braccioli, posizionata di fianco al palco. Il viso era privo di una espressione definita. Non rideva, ma non era neanche serio. Sembrava immerso in riflessioni lontane, su tematiche remote, in un altro tempo e in un altro spazio. Restò in silenzio per un paio di minuti, al centro di tutti gli sguardi, poi iniziò a parlare. Con una cadenza lenta, sommessa. In una lingua incomprensibile.

Jimi e Dennis ascoltavano, sembrava cinese, o tailandese. Nessuno traduceva. Tutti ascoltavano immobili, rapiti. Ma chi capiva?
“Gino, ma cosa dice?” chiese Jimi, sottovoce.
“Non lo so” rispose Gino, in un sussurro. “E’ tibetano.”
“Ma?! Nessuno traduce?”
“Non serve”.
“Come non serve?”
Una pausa. “Non è necessario. Basta ascoltare la voce. La sua modulazione. Senti la calma che infonde? La pace? L’amore?”
Jimi provò a sentire. A capire. Ma continuava a udire soprattutto una lingua incomprensibile.
Il discorso andò avanti per una ventina di minuti, nel silenzio più assoluto. Poi il Maestro tacque, e il ragazzo tornò sul palco.

“Ora il Maestro entrerà in uno stato di particolare concentrazione: Il Maestro irato!”

Tutti gli sguardi si concentrarono di nuovo sul Maestro. Che sedeva immobile, con lo sguardo fisso su un punto lontano. Poi, d’un tratto, avvenne un fenomeno straordinario: iniziò a rimbalzare sulla sedia. Mentre i ragazzi col turbante intonavano il mantra ah-oh-ah.

Jimi, incredulo, guardava quel corpo massiccio che sobbalzava. Si abbassò, per cercare di capire se sotto le natiche aveva delle molle. Come faceva a sollevarsi in quel modo? Non usava le gambe. Non saltava. A un certo punto spalancò la bocca e continuò a rimbalzare così, con la bocca spalancata. La faccia era una maschera furiosa.

[Continua. La terza e ultima puntata sarà pubblicata nella notte tra mercoledì 24 e giovedì 25 luglio]

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The live adventures of Jimi Hendrix and Dennis Hopper – Il rito (1) https://www.carmillaonline.com/2013/07/11/the-live-adventures-of-jimi-hendrix-and-dennis-hopper/ Wed, 10 Jul 2013 22:09:11 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=7106 di Mauro Baldrati

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Amsterdam, Vondel Park, luglio 1970

I due ragazzi erano seduti a gambe incrociate accanto a uno degli stagni di acqua scura popolati da grasse e pigre anatre. Mattina, era mattina. Circa le dieci. Si poteva dormire fino a tardi, era teoricamente possibile. Ma non esisteva il “tardi”, come non esisteva il “presto”. Per dire, la postazione delle percussioni, formata da un nucleo duro di bonghisti e da ragazze e ragazzi che si avvicendavano suonando strumenti vari, era attiva 24 ore [...]]]> di Mauro Baldrati

Amsterdam twiggy1ridAmsterdam_twiggy2ridAmsterdam twiggy3rid

Amsterdam, Vondel Park, luglio 1970

I due ragazzi erano seduti a gambe incrociate accanto a uno degli stagni di acqua scura popolati da grasse e pigre anatre. Mattina, era mattina. Circa le dieci. Si poteva dormire fino a tardi, era teoricamente possibile. Ma non esisteva il “tardi”, come non esisteva il “presto”. Per dire, la postazione delle percussioni, formata da un nucleo duro di bonghisti e da ragazze e ragazzi che si avvicendavano suonando strumenti vari, era attiva 24 ore su 24. Da quando Toni Rinaldi, 17 anni e un mese, detto Jimi Hendrix, e Dennis Locatelli, 17 anni e sette mesi, detto Dennis Hopper, erano arrivati da Mezzaluna, tre giorni prima, dopo un lungo viaggio in autostop, non si era mai fermata un secondo. Quando era “presto” e quando “tardi”?

Per esempio, quel sadhu immobile di fronte a loro: un ragazzo a torso nudo e in pantaloncini nonostante un venticello niente affatto temperato, seduto nella posizione del loto, con la barba che gli scendeva fino ai ginocchi: pensava che fosse “presto”? Chi lo stabiliva?
Pensare al tempo che scorreva per quel sadhu immobile come una scultura faceva letteralmente ribaltare dalle risate Jimi Hendrix. Fissava la barba nera, i capelli lunghi sulle spalle che svolazzavano sotto quella brezza insistente e rideva fino a svuotarsi i polmoni dell’ultimo centimetro cubo d’aria. Rideva fino a cadere di lato, dove continuava a ridere rivolto al cielo grigio, coperto di nuvole. Dennis Hopper rideva a sua volta, scrollando le spalle, con lunghi “sgrooff-sgroff”, come suo solito.

Jimi si alzò, si asciugò le lacrime col bordo del maglione. Guardò l’accampamento, che si stendeva per tutto il parco, centinaia, forse migliaia di ragazze e ragazzi provenienti da tutti i paesi europei, dall’America, dall’Australia, dal Canada. Molti erano seduti in cerchio, coi grandi chilum o i joint che giravano. Stava per precipitare di nuovo in un attacco di risa convulse, quando sentì un tocco sulla spalla. Si girò. Il faccione di Gino gli apparve come un pallone sgonfio, e subito attaccò a ridere. Si ribaltò all’indietro, giacque sulla schiena dove rimase per un tempo indeterminato.

“Ragazzi, avete fumato il mio marocchino, vero?” chiese Gino.
Il suo marocchino. Come si poteva resistere a una battuta del genere? Jimi dovette mettersi carponi, per riuscire a respirare.
Il suo marocchino.
Come dire il suo afgano.
O il suo libanese.

Gino era la loro guida, un amico e il loro pusher. Anche il loro salvatore, andava detto. Appena arrivati in città, dopo dodici giorni di autostop sotto il sole, sulle autostrade tedesche roventi, si erano subito diretti alla meta: Piazza Dam, uno dei centri mondiali del movimento underground, con Londra, San Francisco, Copenaghen. Era stata anche il ritrovo preferito dei Provos, il gruppo di riferimento di Dennis, che li aveva studiati come modello di provocazione creativa, di sberleffo al Potere. Si diceva che in Piazza Dam avessero suonato gratis i Jefferson Airplane, i Grateful Dead, Bob Dylan, seduto sulle gradinate con chitarra e armonica, e per una giornata intera era stata occupata dalla grande carovana comunitaria dei tedeschi Amon Düül. Lo scopo del viaggio era di entrare finalmente nel mondo. Nella storia.

Ma cosa avevano trovato?
Solo una piazza deserta, occupata da spacciatori di eroina, immobili e indifferenti intorno alla scultura bianca a forma di obelisco. Non credevano ai loro occhi. Ma dov’era finita la gente? Cosa era accaduto? Una guerra?

Mentre si aggiravano confusi, con una tristezza e una delusione cocente nel cuore, senza sapere che fare, né dove andare, erano stati avvicinati da un tipo che si era rivolto a loro direttamente in italiano. Lo avevano guardato sbalorditi: ma come aveva potuto riconoscere la loro nazionalità? Dennis sembrava davvero il grande attore e regista di Easy Rider, con quei baffi spioventi, e Jimi portava i capelli come il vero Jimi, sotto a un cappello nero col foulard colorato. Erano cotti dal sole, piegati sotto il peso dei grandi zaini militari. Eppure quel tipo non aveva avuto dubbi. “Volete del fumo buono?” aveva chiesto, affabile, accogliente. Certo che lo volevano! E quella voce amica era come una musica dopo il trauma. Aveva mostrato loro una pallina di nero, morbida, profumata. Si schiacciava con le dita. Stavano per pagare i 25 goulden quando un altro tipo si era avvicinato, iniziando subito una discussione animata in olandese con l’altro. Forse era volato qualche insulto, o minaccia, perché il primo si era allontanato scuro in viso, gesticolando col pugno chiuso.
“Quello era fuori zona” aveva detto il tipo, in un italiano perfetto. “Qui non si vende gomma”.

Gomma?

Sì, aveva detto, era un pusher di gomma, un “paccarolo”. Abbordava chi era appena arrivato e non sapeva nulla della città. Amsterdam ne era piena, occorreva fare molta attenzione. Poi aveva mostrato loro del “vero” fumo, marocchino sputnik e afgano di prima qualità. “Provatelo” aveva detto, “poi lo comprate se vi piace. L’altro vi avrebbe fatto venire un tremendo mal di testa.”
Avevano comprato il fumo, che si era rivelato davvero spaziale, e ne avevano approfittato per chiedere notizie. Ma dov’era la gente? Dov’era il mondo?
Gino, che era originario di Milano ma viveva ad Amsterdam da cinque anni, aveva spiegato che Piazza Dam era deserta dal 1968, dopo la “Death of Hippie”. Ora c’erano gli spacciatori neri e i turisti. La gente si era trasferita al Vondel Park.

E allora andiamo al Vondel Park perdio!

Niente sputnik stamattina?

“Allora? Niente sputnik stamattina? Sicuro?”
Nuove risate alla parola sputnik. Nuove cadute di Jimi sul prato. E Gino sempre calmo. “Allora avete preso un acido? Siete stati al porto dagli americani?” Jimi si immobilizzò per un attimo. E anche Dennis. L’LSD era nel progetto. Volevano, dovevano provarlo. Il ribaltamento della coscienza di Rimbaud, l’autore preferito di Dennis, come Jimi Hendrix lo era per Jimi. Nel deserto di Mezzaluna, il paese più infelice del mondo, era introvabile. Ad Amsterdam lo vendevano i marinai militari americani, tre gocce in una zolletta di zucchero. Si andava al porto, dove era alla fonda una portaerei, e i marinai arrivavano con le bottigliette. Venti goulden.
“Neanche l’acido?” disse Gino, fissandoli pensieroso. “Ma no. Impossibile. Qualcosa avete preso.”

Jimi guardava a turno il sadhu immobile, poi Gino, poi la faccia da grullo di Dennis Hopper, e si contorceva dalle risate. Si fermò solo quando passarono due poliziotti, che lo esaminarono con aria dubbiosa. Passavano un paio di volte al giorno, guardavano, si fermavano, ma non intervenivano mai, sia che fossero in atto fumerie di massa, sia che qualcuno in trip desse di matto, sia che qualche coppia facesse l’amore in pubblico. Intervenivano unicamente in caso di rissa violenta, oppure se qualcuno si azzardava a piantare una tenda. Le tende erano severamente vietate. Si rischiava il sequestro e, si diceva, il fermo.

Però quelle occhiate critiche dei due poliziotti fecero svanire ogni traccia di riso convulso in Jimi Hendrix. Si accasciò, esausto. Gino si guardò intorno, come se cercasse qualcosa, o qualcuno.

“Ho capito. Avete fatto colazione. Giusto?”
Jimi e Dennis, ora perfettamente seri, annuirono. Indicarono un banchetto dove si vendeva frutta, piatti di riso piccante, dolci, caffè.
“E avete mangiato una bella fetta di torta. Giusto?”
Jimi e Dennis, dopo un attimo di riflessione, annuirono di nuovo.
“Ok. Era uno space cake. E qui li fanno belli carichi”.

Space cake?

Amsterdam_spacecakeGino sospirò. “Sì, torta all’hashish, o alla ganja. La sostanza viene assorbita molto più intensamente rispetto alla combustione. Una bella colazione psichedelica, anch’io ogni tanto me la concedo. Fa partire la giornata col piede giusto. Voi però avete spallato. Avete scelto una fetta di grande formato. Una bomba.”
Jimi pensò alle fette di torta al cioccolato. Non ricordava le dimensioni. Però aveva ancora sulla lingua lo strano sapore ferroso. E ricordava la vibrazione che gli era salita in gola, poi lungo la schiena, per arrivare al cervello.
Space cake.
Fondamentale.

Intanto dalla postazione delle percussioni arrivavano dei suoni di fiati e di chitarre. Decisero di andare a curiosare. Si alzarono, girarono intorno allo stagno e raggiunsero lo spiazzo. Il gruppo era alquanto numeroso. C’erano cinque bonghisti, tutti neri, un suonatore di tabla, due chitarristi, un sax tenore, un baritono, un trombone, una tromba, tutti scatenati in una interminabile jam session.

Jimi Hendrix intanto sbirciava Gino. Si teneva la testa tra le mani. Aveva la schiena curva, sembrava oppresso, appesantito. Stava immobile come il sadhu. Ma un sadhu crollato. Un sadhu esangue. Un sadhu in agonia.
“E tu che hai fatto, Gino?” chiese Jimi. Nessuna risposta. Forse non aveva neanche sentito. Ripeté la domanda. Gino alzò il capo, mostrò una faccia scura, una faccia funebre. Lo space cake continuava a mandare scariche e ondate di calore, ma la faccia di Gino impediva qualunque scoppio di risa. “Non stai bene?”

C’era chiasso, i fiati pompavano note poderose, i bonghisti picchiavano duro, il tablista aveva dita come martelletti. La gente ballava, cantava. Mentre Gino era a terra. Jimi ebbe l’impressione che piangesse.
“Vieni, facciamo un giro” disse Jimi. Si alzò, lo prese per un braccio, l’obbligò ad alzarsi.

Tornarono al loro accampamento, dove avevano lasciato gli zaini e i sacchi a pelo, seguiti da Dennis, che si muoveva a scatti, guardandosi intorno frenetico, proprio come Dennis Hopper.
“Dai Gino, adesso tocca te. Stai male? Hai preso qualcosa?”
“No, è che… devo… decidermi.”
Jimi tacque, in attesa. Guardò davanti a sé e notò con un senso di allarme che il sadhu era sparito. Poi però si accorse che erano semplicemente girati al contrario. Ora si trovava alle loro spalle. Oppure si era spostato? Con la lievitazione?
“Sento il bisogno di decidermi” disse Gino, cupo. E’ come un richiamo al quale non posso resistere. Al quale non voglio resistere. Ma ho paura, lo confesso.”

Dennis lo guardava, accennava a un sorriso, poi diventava serio, scuoteva la testa. Si toccava la collana, ma da quando aveva una collana al collo? Aveva anche inforcato un paio di occhiali neri, uguali a quelli di Dennis Hopper.

“Paura? Di cosa?” chiese Dennis.
Sì, forse ora Gino stava piangendo. Si stropicciava gli occhi, respirava forte.
“Ho paura del… della storia. Ma la voglio. Voglio quella storia. Sento che mi chiama. Mi sta chiamando a gran voce. Mi sta dicendo che sono pronto. Eppure ne ho paura. Mi faccio rabbia da solo.”

Arrivò un joint, per mano di una ragazza bionda, coi capelli ricci, lunghissimi. Occhi azzurri, luminosi. Pelle chiarissima. Scandinava. Jimi accettò il joint ricambiando il sorriso. Era ottimo, un’altra botta che si combinava con lo space cake. Un altro attentato alla coscienza. Un altro sregolamento della mente. Jimi non voleva fermarsi. Mai. Voleva andare oltre.

“Perché hai paura Gino? E chi ti sta chiamando?”
Che domande buffe. Che questione buffa. Eppure la faccia di Gino non era buffa. Era spaventata, ma anche ispirata.
“Ho paura, Jimi Hendrix. Ho paura del… rito. Mi chiama. Io voglio essere nel rito. Voglio essere il rito. Ma. Ho paura. Di lui. Ho paura del rito.”

(Continua. La seconda puntata uscirà nella notte tra mercoledì 17 e giovedì 18 luglio, la terza e ultima nella notte tra mercoledì 24 e giovedì 25 luglio.)

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