Alta Velocità – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 21:00:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il grande nulla * https://www.carmillaonline.com/2020/02/04/il-grande-nulla/ Tue, 04 Feb 2020 22:01:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=57755 di Sandro Moiso

Qui mira e qui ti specchia, Secol superbo e sciocco, Che il calle insino allora Dal risorto pensier segnato innanti Abbandonasti, e volti addietro i passi, Del ritornar ti vanti, E proceder il chiami. (La ginestra – Giacomo Leopardi)

Mentre tutto il mondo sta bruciando, sia metaforicamente nelle lotte diffusesi su scala globale nel corso degli ultimi mesi sia materialmente dall’Australia all’Indonesia passando per le Canarie a causa degli incendi che stano devastando ogni angolo del pianeta, qui nel paese del grande nulla, dove il fascismo è nato e [...]]]> di Sandro Moiso

Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E proceder il chiami.
(La ginestra – Giacomo Leopardi)

Mentre tutto il mondo sta bruciando, sia metaforicamente nelle lotte diffusesi su scala globale nel corso degli ultimi mesi sia materialmente dall’Australia all’Indonesia passando per le Canarie a causa degli incendi che stano devastando ogni angolo del pianeta, qui nel paese del grande nulla, dove il fascismo è nato e non è mai morto, l’informazione mainstream, le frange superstiti di partiti ormai morti o in via di estinzione e anche alcuni siti che si vorrebbero antagonisti hanno esultato per la vittoria elettorale dell’”antifascismo”.
Una sorta di rivincita da campionato regionale su un avversario (le cui miserabili imprese politiche ed iniziative securitarie sono state già abbondantemente raccontate e vivisezionate sulle pagine di Carmilla da Alessandra Daniele) che come tattica elettorale, oltre al discorso securitario cucinato in ogni possibile salsa, ha avuto quella di baciare salumi e formaggi e andare a suonare i citofoni degli stabili di periferia, come un monello destinato prima o poi ad essere preso a sberle da qualche inquilino indispettito.

Ma si gongola anche qui e là per la vittoria del rappresentante di un partito che da anni ha fatto del mantenimento dell’ordine pubblico e della stabilità finanziaria la sua unica ragione di vita (e che senza vergogna sta al governo con chi ha precedentemente avvallato tutte le mosse di cui oggi il leader della destra è accusato). Si festeggia, inoltre, la scomparsa di un movimento (fondato da un comico e finito in farsa) nel quale molti dei critici odierni avevano precedentemente creduto, rivelando così, complessivamente, una cecità politica e una visione perbenista della realtà che non sa più assolutamente distinguere il grano dalla pula, la realtà dalla fantasia, il risotto dalla merda e, soprattutto, ciò che serve a liberare il pianeta e la specie dall’oppressione del modo di produzione più vorace e distruttivo che sia mai esistito.

Sì, cari lettori e compagni, perché ancora una volta non è stato l’antifascismo a vincere. Quello è stato sapientemente sbandierato da sardine e soci soltanto per nascondere il fatto che la scelta elettorale era tutta all’interno dello stesso campo.
Il campo giustizialista e securitario di chi suona ai citofoni e minaccia i migranti e quello di chi chiede un’identità digitale per accedere ai social e il daspo per chi non rispetta le regole del dialogo civile definite dall’ordine borghese.
Il campo della violenza organizzata delle squadre fasciste e delle ronde anti-migranti e della violenza di Stato che garantisce il dis/ordine pubblico nelle piazze e nei centri di detenzione attraverso la militarizzazione dei territori e del tessuto urbano.
Il campo della “giustizia” che reprime i sindacati di base e i lavoratori in lotta, i difensori della terra e delle comunità locali e sulla quale gli “antifascisti” vincitori non hanno nulla da dire, ma con il quale hanno molto da condividere (scusate se non ricordo, ma chi era il sindaco di Bologna definito lo sceriffo e a quale partito apparteneva?).

Il campo delle grandi opere inutili e dannose al Nord come al Sud (la prima dichiarazione della candidata del centro destra, dopo la vittoria in Calabria, ha riguardato la necessità di portare anche lì l’alta velocità ferroviaria, confermando così di fatto gli interessi della ‘ndrangheta nelle grandi opere, dalla Valsusa al resto del paese).
Il campo di chi reprime i migranti internandoli nei campi libici oppure negando loro lo sbarco sulle nostre coste oppure, ancora, trasformandoli in schiavi per il lavoro nero (soprattutto nell’edilizia e nei campi).
Il campo degli interessi incrociati tra aziende private, cooperative e finanza ed imprese edili di origine illegale.
Il campo dell’estrattivismo dichiarato, a favore delle trivelle nell’Adriatico e degli interessi dell’ENI.
Il campo di chi si affanna ad equiparare la violenza verbale a quella fisica, salvo poi voltarsi dall’altra parte quando i manganelli scendono pesantemente sulle schiene e sulle teste dei manifestanti contrari all’ordine esistente. Oppure di chi non sa cogliere nemmeno lontanamente l’enorme ingiustizia e la violenza insite nei licenziamenti individuali e di massa e nei rapporti di lavoro definiti dalle aziende, multinazionali o nazionali che siano, in nome del profitto e dell’estrazione selvaggia di plusvalore.
Il campo di chi non sta con le lotte, ma con gli imprenditori.
Il campo di chi si crede il mare, ma è soltanto una palude.

Ho sentito parlare di buon governo della regione “rossa”: certo il buon governo del capitalismo ben temperato di prodiana memoria1, in cui dalla collaborazione tra privato e pubblico può sorgere il “radioso avvenire” di una società capitalistica avanzata e magari green.
Il buon governo della triplice sindacale che vota favorevolmente per le grandi opere in nome del lavoro salariato e degli interessi delle azienda e delle coop rosse e bianche oppure, ancor meglio, della Nazione. Buon governo che, però, non sembra aver toccato o convinto tutti allo stesso modo (qui).

No, non è così che si vince il fascismo. Come già sapevano i migliori compagni comunisti, anarchici e antifascisti negli anni ’20 e ’30,2 la cui esperienza fu cancellata dalla controrivoluzione staliniana e dalla carneficina del secondo conflitto mondiale, il fascismo si batte soltanto vincendo sul capitalismo e superando proprio i limiti del dettato nazionale, aziendale, produttivistico e lavoristico su cui fonda il suo discorso. Di cui però gli attuali, momentanei, vincitori della schermaglia elettoralistica sono tra i migliori ed agguerriti rappresentanti.

Un vecchio comunista italiano, Amadeo Bordiga, affermava che chi vuol essere progressista dovrebbe avere almeno il coraggio di dichiararsi fascista, poiché proprio l’idea di progresso, tipica di questo modo di produzione oggi fallimentare in tutti i campi, fin dalle sue origini ha avuto come corollari il rafforzamento degli stati nazionali, il governo dei loro confini, lo sfruttamento in casa e fuori della manodopera schiavizzata nelle fabbriche e nei campi. Qualunque fosse il colore della pelle e a qualsiasi latitudine appartenessero gli imprenditori e i governanti.

Il capitalismo industriale è nato in carcere3 e il fascismo ne ha sempre esaltato le funzioni. Sia dell’uno che dell’altro.
Nazionalizzare le masse, questa la funzione del fascismo (il razzismo, che non può essere ridotto al solo anti-semitismo che è molto più antico, ne costituisce solo uno dei corollari, non il fondamento, poiché nacque con il colonialismo che avrebbe posto le fondamenta dell’attuale immondo modo di produzione)4. Rendere i cittadini tali in quanto orgogliosi del proprio (buon) governo e solidali con gli interessi del capitale e dell’imperialismo.
Non membri di una comunità umana, la marxiana gemeinwesen, di eguali sia dal punto di vista sociale che economico, ma partecipi di una comune fortuna di cui pochi, sempre meno visto che gli italiani più abbienti oggi detengono il 72% della ricchezza nazionale mentre a livello mondiale 26 individui possiedono la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale5, detengono i rubinetti e il patrimonio globale.

Esaltare il lavoro produttivo e la “vittoria” sulla Natura sono altri due aspetti immarcescibili del fascismo e sono entrambi, ullallà, derivati dall’idea di progresso figlia dell’Illuminismo ben pensante e moderato.
Atteggiamenti moderati nei rapporti politici tra le classi, ma smoderati nel consumo di risorse, territori, merci e forza lavoro. Tanto da dimenticare sempre più spesso, nell’attuale gozzovigliare alla tavola della shoa, che i lager nazisti come i gulag staliniani furono sempre e prima di tutto campi di lavoro forzato. In cui “naturalmente” milioni di individui di qualsiasi fede, etnia, nazione, genere ed età sarebbero morti prima di tutto per la fatica, la fame e le malattie. Esattamente come capita ancor oggi, a cielo aperto e senza SS a far la guardia, in tante, troppe parti del mondo.

Esaltare l’ordine e zittire le voci “altre”, contrarie oppure solo critiche del regime è l’altra pratica del Fascismo, che affonda però le sue radici in tutta la Storia di un mondo diviso in classi fin dall’avvento della proprietà privata e che fa delle maggioranze silenziose il proprio ideale di partecipazione politica. Esattamente come possono esserlo le folle che cantano inni patriottici e inneggiano alla figura del Capo nelle adunate di piazza a sostegno di un regime (o di un movimento che ha nel non aver nulla da dire sulla realtà delle contraddizioni economiche e sociali reali la sua unica arma di distrazione di massa).

Pesci in barile, citofonatori e mortadelle benedette non rappresentano dunque altro che le due facce di una stessa medaglia, di uno stesso ordine. Così come lo erano i 5 stelle di qualche anno fa (con l’unica differenza che oggi la rabbia non deve essere nemmeno manifestata o sussurrata, per rispetto del borghesissimo bon ton).
Non vale neppure la pena di far nomi in queste considerazioni, non per timore di denunce o intimidazioni, ma soltanto perché tutti questi miserrimi soggetti, che nascondono la realtà di contraddizioni e di lotte che ci circondano in ogni dove e che in alcuni casi si affannano a definire come “ondata di destra a livello mondiale” (mescolando insieme gilets jaunes e Orban, lotte sociali ed ignobili episodi di razzismo delle periferie che sono in subbuglio senza neanche comprendere appieno il perché) le lotte, spesso sanguinose, che si sviluppano in ogni dove, sono già destinati all’oblio anche se oggi, dando per un momento ragione a Andy Warhol, hanno avuto modo di brillare come meteore per un istante o ancor meno.

I tempi della Storia, invece, sono molto lunghi. Il capitalismo non è stato mai ben temperato se non sulla pelle di qualche popolo o continente dominato e sfruttato per qualche decennio. In questa fasulla modernità la sua anima resta fascista e oggi, ancora una volta, sia in Calabria che in Emilia Romagna, ha comunque vinto il nostro peggior nemico. Quello con cui non possiamo esser altro che in guerra. Perché il dovere di combatterlo ci apparterrà sempre.
Fino alla morte o alla vittoria.

Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch’io sappia che oblio
Preme chi troppo all’età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
(G. Leopardi – La ginestra)

* In omaggio a James Ellroy e alla sua nerissima e spietata Storia degli Stati Uniti dal secondo conflitto mondiale agli anni ’70. Una tecnica letteraria (l’abbinamento tra crimine e storia americana) perfetta per raccontare efficacemente la contemporaneità e i suoi sottoprodotti sociali, politici e culturali.


  1. Romano Prodi, Il capitalismo ben temperato, il Mulino, Bologna 1995  

  2. Si veda almeno Arthur Rosenberg, Il fascismo come movimento di massa. La sua ascesa e la sua decomposizione (1934), Circolo Internazionalista Francesco Misiano – Pagine Marxiste, 2019 che sarà recensito nei prossimi giorni su Carmillaonline  

  3. Si veda Michael Ignatieff, Le origini del penitenziario. Sistema carcerario e rivoluzione industriale inglese (1750-1850), Oscar Studio Mondadori, 1982  

  4. Per un’analisi delle origini del razzismo moderno e della cultura che lo ha fondato, basati entrambi tanto sull’ammirazione acritica della cultura greco-romana quanto sull’idea, mai dimostrata, dell’esistenza di una comune radice indoeuropea “bianca”, si veda Martin Bernal, Atena Nera, il Saggiatore, Milano 2011  

  5. “Alla fine del primo semestre del 2018 la distribuzione della ricchezza nazionale netta (il cui ammontare complessivo si è attestato, in valori nominali, a 8.760 miliardi di euro, registrando un aumento di 521 miliardi in 12 mesi) vede il 20% più ricco degli italiani detenere il 72% della ricchezza nazionale, il successivo 20% controllare il 15,6% della ricchezza, lasciando al 60% più povero appena il 12,4% della ricchezza nazionale. Il top-10% (in termini patrimoniali) della popolazione italiana possiede oggi oltre 7 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione.” (qui)  

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Una storia di inquisitori, culti ancestrali e No Tav https://www.carmillaonline.com/2019/08/28/una-storia-di-inquisitori-culti-ancestrali-e-no-tav/ Wed, 28 Aug 2019 20:45:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53951 di Sandro Moiso

Riccardo Borgogno, La valle degli eretici, Edizioni Tabor, Valsusa luglio 2019, pp. 336, euro 12

“Il priore del convento, il balivo del Castrum, i catari, i templari, il fantasma del castello, l’uomo selvatico, il sabba delle streghe…che storia!” Basterebbero già queste poche parole, dette da uno dei personaggi secondari del romanzo, per riassumere alcuni dei temi trattati nel testo di Riccardo Borgogno appena pubblicato dalle dizioni Tabor della Valsusa. Ma per averne un’immagine più esatta e completa occorrerebbe aggiungerne altre: culto di Diana, formaggi, Savoia, Escartoun, Poveri di Lione, [...]]]> di Sandro Moiso

Riccardo Borgogno, La valle degli eretici, Edizioni Tabor, Valsusa luglio 2019, pp. 336, euro 12

“Il priore del convento, il balivo del Castrum, i catari, i templari, il fantasma del castello, l’uomo selvatico, il sabba delle streghe…che storia!”
Basterebbero già queste poche parole, dette da uno dei personaggi secondari del romanzo, per riassumere alcuni dei temi trattati nel testo di Riccardo Borgogno appena pubblicato dalle dizioni Tabor della Valsusa. Ma per averne un’immagine più esatta e completa occorrerebbe aggiungerne altre: culto di Diana, formaggi, Savoia, Escartoun, Poveri di Lione, complotti e, soprattutto, Movimento No Tav.

Le edizioni Tabor, da sempre impegnate nella pubblicazione di testi e saggi riguardanti le culture e le resistenze montane non solo valsusine, esordiscono nella letteratura con un romanzo “popolare” in cui storia e tradizioni valligiane si mescolano con il presente e i suoi dilemmi. Sociali, culturali e politici. Un incrocio di percorsi, narrazioni (soggettive e corali), memorie e cronache antiche e moderne che il titolo riassume perfettamente.

Come l’autore fa ancora dire ad un altro personaggio, una libraia di Bussoleno:

Gli abitanti di questa valle hanno una lunghissima tradizione di autogoverno, fin dall’epoca dei primi insediamenti umani. Siamo gente orgogliosa, solidale e laboriosa. Contrari al progresso, come i sostenitori dell’Alta Velocità ci accusano di essere? Se ti guardi intorno noterai che abbiamo automobili, televisori, computer e cellulari, come tutti. Non è questo il punto. Il punto è che, da sempre, la gente di questa valle fa quadrato contro chi arriva e vuole imporsi. E non è neppure questione di un atteggiamento di chiusura che sarebbe tipico delle genti di montagna, come spesso si sente affermare da chi in realtà non conosce né queste genti né la montagna. Da queste parti, infatti, siamo accoglienti con il forestiero, ma non con chi viene qui per comandare. E’ successo prima con i Romani, poi con Re e Imperatori, ora con l’Alta Velocità. Inoltre, forse perché abbiamo avuto parecchie rogne con il potere, ci stanno simpatici i diversi, i ribelli, la gente strana. Per questo le eresie di tutte le risme qui attecchirono facilmente e i loro sostenitori trovarono rifugio. Inoltre, l’Alta Valle fa parte dell’Occitania, la terra dei catari, che il papa e il re di Francia di comune accordo sterminarono […] Gli inquisitori arrivavano da fuori, giudicavano e condannavano sulla base dei dogmi decisi a Roma o, nel periodo che ti interessa, ad Avignone. Di qui il sostegno agli eretici e ai dissidenti, i minoritari e i perdenti della storia.
Non a caso durane l’occupazione nazista, dalla Valsusa uscirono molti partigiani. Nel dopoguerra, poi, qui il PCI è sempre stato forte e, dopo il Sessantotto e l’”autunno caldo”, parecchi giovani della valle hanno militato nelle nuove organizzazioni, soprattutto Lotta Continua. Poi, a metà degli anni Settanta, vi erano ben radicate l’Autonomia, Prima Linea…[…] E così anche per l’Alta Velocità. Tu vieni nel mio territorio con la forza, e io mi oppongo con la forza. Non poteva essere diversamente in una valle con la tradizione dei partigiani prima e della contestazione degli anni Settanta poi. Quelli del TAV dovevano aspettarselo. Era il loro turno.1

La breve sintesi qui riportata può funzionare meglio di tante altre analisi per far comprendere le radici storiche, culturali e sociali di una lotta che va avanti ormai da più di trent’anni e che non sembra affatto destinata a demordere o concludersi.
Ma la lotta odierna della valle si intreccia, nelle vicende narrate da Borgogno, con l’omicidio, realmente avvenuto il 2 febbraio del 1365, dell’inquisitore generale Pietro Cambiano da Ruffia, nei pressi del convento dei frati minori di Susa, all’epoca ancora Segusia. Inquisitore dichiarato martire di Santa Madre Chiesa dopo che tale delitto fu attribuito, senza alcuna prova, ad una mano eretica o valdese.

E’ proprio attorno a questo omicidio che un giovane ricercatore, l’”eterno studente” come viene definito nel libro, Olimpio Vaglio, viene chiamato ad indagare da un piccolo editore ai fini di una nuova e curiosa pubblicazione. Attraverso questa ricerca lo spiantato indagatore del passato giungerà a stabilire un collegamento reale con diversi membri della comunità valsusina e del movimento contro l’Alta Velocità, ma anche uno ideale, attraverso i secoli, con i due altri veri protagonisti della vicenda: l’inquisitore stesso e Leonella da Gorzano, signora del luogo e donna emancipatissima che con Pietro da Ruffia riuscirà a stabilire un contatto personale ed intellettuale destinato a far traballare le convinzioni di un domenicano già di per sé poco propenso a dare ascolto ai messaggi più retrivi provenienti dai vertici della Chiesa e dai suoi servi più fanatici.

Il romanzo è ricco di personaggi, appartenenti sia all’epoca dell’omicidio che a quella attuale. Tra questi risaltano quelli di alcuni miserabili complottisti odierni, il cui ruolo sembra essere quello di riassumere l’effimera e superficiale immagine del “progresso” che il progetto dell’Alta Velocità sembra destinato a portare con sé, e di uno scrivano al servizio dell’inquisitore generale, Demetrio da Mondovì, autentica anima nera delle vicende medievali.
Altri omicidi, nel presente (2012) e nel passato (1364-65), faranno da corollario alla narrazione ma non è qui il caso di spingersi troppo oltre per non rovinare al lettore il piacere e la sorpresa della lettura.

Piuttosto ciò che va sottolineato è la presenza importante delle donne all’interno delle vicende, soprattutto in quelle ambientate nel Medio Evo. Quasi a voler ricordare una funzione sociale che la soppressione dei culti pagani e l’affermazione di principi religiosi e normativi cristiani hanno contribuito a rimuovere insieme alle comunità di cui erano invece una parte importante e decisiva. Così come, a distanza di secoli, è tornato ad essere nel movimento No Tav. Non a caso così vicino alle esperienze messe in pratica dalle comunità del Rojava curdo e dalle sue donne.

Riccardo Borgogno, nato nel 1954 a Torino, ha collaborato a lungo come sceneggiatore per diverse case editrici di fumetti e ha scritto diversi romanzi, l’ultimo dei quali era stato precedentemente segnalato anche qui su Carmilla.
E’ inoltre storico redattore di Radio Blackout per la quale conduce un programma di letteratura e scrittura: La perla di Labuan.


  1. R. Borgogno, La valle degli eretici, Tabor 2019, pp. 159-160  

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Il tunnel di Schrödinger https://www.carmillaonline.com/2019/03/10/il-tunnel-di-schrodinger/ Sun, 10 Mar 2019 22:00:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=51567 di Alessandra Daniele

“I nodi vengono al pettine, quando il pettine esiste” – Leonardo Sciascia

Il braccio di ferro tra Movimento 5 Stelle e Lega sul rinnovo dei Bandi del Buco per il TAV è stato brillantemente risolto da una geniale mediazione che viene incontro alle esigenze elettorali di entrambi. Il tunnel sarà realizzato, ma in un universo parallelo. L’entrata esisterà quindi soltanto a discrezione dell’osservatore: coloro che vorranno attraversarlo lo vedranno, per gli altri invece la montagna resterà intatta. Il TAI, Treno ad Alta Improbabilità, condurrà in un Green Universe dove Movimento 5 [...]]]> di Alessandra Daniele

“I nodi vengono al pettine, quando il pettine esiste” – Leonardo Sciascia

Il braccio di ferro tra Movimento 5 Stelle e Lega sul rinnovo dei Bandi del Buco per il TAV è stato brillantemente risolto da una geniale mediazione che viene incontro alle esigenze elettorali di entrambi.
Il tunnel sarà realizzato, ma in un universo parallelo.
L’entrata esisterà quindi soltanto a discrezione dell’osservatore: coloro che vorranno attraversarlo lo vedranno, per gli altri invece la montagna resterà intatta.
Il TAI, Treno ad Alta Improbabilità, condurrà in un Green Universe dove Movimento 5 Stelle e Lega sono al governo in Italia e in Europa fin dal secondo dopoguerra, e grazie alle loro politiche illuminate hanno riformato il continente rendendolo prospero, e impervio alle invasioni saracene. Qualsiasi fonte d’infiltrazione viene immediatamente sigillata con l’ambra gialloverde.
Sotto il vessillo pentaleghista la difesa è sempre legittima, e uno vale uno, purché sia maschio, bianco, e analfabeta.
Tutto il traffico internet è filtrato dalle piattaforme della Casaleggio, che garantiscono imparzialità ed efficienza.
Fame e povertà sono state eliminate per sempre dal Reddito di Cittadinanza, come certificano i dati biometrici inviati alla Casaleggio dai braccialetti elettronici che tutti coloro che lo ricevono devono portare sempre.
Le emissioni tossiche dell’Ilva vengono convogliate e smaltite in un pocket universe, una tasca sub-dimensionale fluttuante sulla periferia di Taranto. Quando sarà satura, si provvederà a fratturare il continuum spazio-temporale con le trivelle quantistiche per crearne delle altre.
L’economia italiana è la locomotiva d’Europa. Ovviamente una locomotiva ad alta velocità.
Giuseppe Conte ha garantito che il Green Universe potrà presto essere visitato, appena terminati i lavori di scavo quantistico del wormhole valsusino, ad opera della Fringe Division della TELT.
Alle insinuazioni dell’opposizione che questa dimensione parallela sia in realtà inesistente e del tutto immaginaria, il premier Conte ha risposto rivelando che è l’universo dal quale lui stesso proviene.

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Una perduta Età dell’Oro in Val di Susa https://www.carmillaonline.com/2018/06/25/una-perduta-eta-delloro-in-val-di-susa/ Mon, 25 Jun 2018 20:30:44 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46136 di Sandro Moiso

Matilde Dell’Oro Hermil, Roc Maol e Mompantero. Tradizioni, costumi, leggende (1892) / Mariano Tomatis – Davide Gastaldo – Filo Sottile, Il codice dell’oro. Sulle tracce del tesoro del Rocciamelone, Edizioni Tabor, Valle di Susa 2018, pp.130, € 10,00

Giunge in tempo per una rilassante e, allo stesso tempo, appassionante lettura estiva un testo double face delle valsusine e, come sempre, curatissime Edizioni Tabor. Testo double face che si rivela tale non soltanto per le due immagini e i due titoli che contraddistinguono di fatto i due lati della copertina [...]]]> di Sandro Moiso

Matilde Dell’Oro Hermil, Roc Maol e Mompantero. Tradizioni, costumi, leggende (1892) / Mariano Tomatis – Davide Gastaldo – Filo Sottile, Il codice dell’oro. Sulle tracce del tesoro del Rocciamelone, Edizioni Tabor, Valle di Susa 2018, pp.130, € 10,00

Giunge in tempo per una rilassante e, allo stesso tempo, appassionante lettura estiva un testo double face delle valsusine e, come sempre, curatissime Edizioni Tabor.
Testo double face che si rivela tale non soltanto per le due immagini e i due titoli che contraddistinguono di fatto i due lati della copertina e le due parti in cui è, specularmente, diviso e “rovesciato” il libro, ma anche per le differenti letture (che talvolta possono essere ben più di due) che dello stesso possono essere date.

Il tutto prende avvio dalla ristampa, una delle due parti del libro stesso, di un testo pubblicato per la prima volta nel 1892 e scritto da Matilde Dell’Oro Hermil, un’autrice che mescolava la ricerca, che oggi si direbbe antropologica, sui costumi e le tradizioni locali con la fascinazione per i culti misterici, le civiltà perdute e le sette e i segreti che ne sono derivati così di moda fin dalla seconda metà dell’Ottocento e che nel corso del secolo successivo avrebbero offerto lo spunto per le opere di Louis Pauwels e Jacques Bergier e a quelle di Peter Kolosimo, solo per citare alcuni degli autori “di genere” più famosi.

Il tutto prende spunto dall’indagine sulla presunte esistenza di una sorta di Età dell’oro sviluppatasi in Valsusa intorno ad una città, ora scomparsa ma di cui sarebbero rintracciabili rovine e testimonianze proprio sulle pendici del Rocciamelone, un tempo Roc Maol, autentico monte santuario e colossale (3.538 m.s.l.) che domina la bassa valle. Che verso Torino si chiude o si apre, a seconda della direzione di percorrenza, con un altro monte straordinariamente noto per i suoi misteri: il Monte Musiné, da sempre collegato, nell’immaginario non solo locale, a culti esoterici oltre che ad avvistamenti di UFO.

Mompantero, la località sul cui territorio sarebbero rinvenibili le tracce archeologiche oltre che mitiche di tale antica cultura, si trova oggi, anche se ancora danneggiata dal punto di vista naturalistico dagli incendi dell’autunno scorso, al centro di un territorio in cui si sono svolte sia significative battaglie della resistenza partigiana che della resistenza NoTav all’opera più devastante, inutile e costosa proposta, e non ancora mai veramente realizzata, da un keynesismo malato e corrotto nella sua più intima essenza.

Su questi aspetti culturali, storici e politici ci guidano i tre testi proposti da Tomatis, Gastaldo e Sottile che compongono l’altra “faccia” del libro e che svolgono molto bene il compito di coinvolgere il lettore nella sua lettura con la proposta di ipotesi, talvolta ludiche, talvolta politiche, talvolta storico-culturali, sempre estremamente interessanti.
Per tale motivo si è scelto qui di anticipare alcune pagine del testo di Tomatis: Il codice dell’oro.

“Sgombriamo il campo degli equivoci: Roc Maol e Mompantero non è una mappa del tesoro.E’ un libro di storia locale pieno di riferimenti magici. Tra le sue pagine, Matilde Dell’Oro Hermil ricostruisce frammenti del passato di Mompantero e della sua montagna – il Rocciamelone – senza troppo rigore metodologico; mescola evidenze archeologiche e voci leggendarie, discutibili etimologie ed elementi della tradizione esoterica, cronache medievali e allusioni astrologiche, magnetismo e alchimia; chiama all’appello imperatori e contadini, empirici e maghi, professori e ciarlatani, dai frati della Novalesa a Dante Alighieri, dalle streghe del Pampalù a Victor Hugo; traccia percorsi che tengono insieme fantasmi e folletti, UFO ante litteram e apparizioni sinistre. Coacervo di stimoli tanto variegati ed eterogenei, il libro sfugge a qualsiasi classificazione.1

Libera da ogni reverenza verso i miti eterni cui allude Hermil, un’escursione narrativa così concepita non attraversa solo borgate in pietra e boschi, ma ci fa scoprire storie minime e dimenticate, vicende marginali lontane dalla tronfia Storia delle Nazioni; è un percorso i cui protagonisti sono geni incompresi e minatori sudati, guaritori perseguitati e ossessi, folletti che si danno alla macchia e oscuri lanternisti: individui che sfuggiranno a qualsiasi controllo sinarchico, rifugiandosi negli anfratti segreti del territorio che nessuna tecnologia informatica sarà mai in grado di mappare. Paradossalmente, pur auspicando forme di governo discutibili, Roc Maol e Mompantero è uno straordinario catalogo di persone e luoghi resistenti a tali deliri.
Ma che la zona sia sensibile a dimensioni «altre» lo documentava già Goffredo Casalis nel 1842, scrivendo che i Panteremesi sono «propensi ai mali fatti delle streghe, dei vampiri, degli spiriti folletti». Propensione incoraggiata, negli ultimi anni, dal riemergere delle ostilità tra la Valsusa e Torino: la forza bruta della «città del Toro» si manifesta oggi con l’imposizione di progetti infra strutturali – primo fra tutti il Treno ad Alta Velocità – figli di una gestione irresponsabile dei beni comuni, della spesa pubblica e del territorio. A Mompantero e in tutta la Valsusa, la lotta contro le grandi opere inutili e imposte si gioca anche sul piano dell’immaginario: si chiama Giacu il leader della Resistenza gnomica contro il TAV. Da anni il folletto si materializza oltre le reti che proteggono il cantiere di scavo di Chiomonte, manomette le recinzioni e partecipa ad azioni di disturbo, gettando scompiglio tra le Forze dell’Ordine con il suono di un campanaccio […] Forte di un’identità multipla, riesce ad essere uno, nessuno e centomila – come nota preoccupato il sostituto procuratore Andrea Padalino nella sua requisitoria del 24 settembre 2014, citando un gruppo di Giacu, folletti della Val Clarea, [che] si materializza nel cantiere e sferra un attacco improvviso e veloce al cantiere, poi svaniscono nell’oscurità amica…”.2


  1. pag. 6  

  2. pp.23-24  

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Oltre i limiti dell’Occidente https://www.carmillaonline.com/2017/09/28/oltre-limiti-delloccidente/ Wed, 27 Sep 2017 22:01:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=40663 di Sandro Moiso

Peter Frankopan, LE VIE DELLA SETA. Una nuova storia del mondo, Mondadori 2017, pp.725, € 35,00

Per decenni, se non addirittura secoli, le ricostruzioni della storia del mondo trasmesse dalla scuola e dalla ricerca storica occidentale hanno fatto perno sul Mediterraneo e sull’Europa come centro di irradiazione della civiltà e del progresso umano. Facendo grazia giusto al Vicino Oriente e alla Mezzaluna fertile nel ricordare il loro contributo allo sviluppo dell’agricoltura e delle prime società statuali.

In realtà questa ricostruzione, sostanzialmente giudaico-cristiana e greco-romana nelle sue origini, è stata vieppiù rafforzata dalla conquiste imperiali messe in atto [...]]]> di Sandro Moiso

Peter Frankopan, LE VIE DELLA SETA. Una nuova storia del mondo, Mondadori 2017, pp.725, € 35,00

Per decenni, se non addirittura secoli, le ricostruzioni della storia del mondo trasmesse dalla scuola e dalla ricerca storica occidentale hanno fatto perno sul Mediterraneo e sull’Europa come centro di irradiazione della civiltà e del progresso umano. Facendo grazia giusto al Vicino Oriente e alla Mezzaluna fertile nel ricordare il loro contributo allo sviluppo dell’agricoltura e delle prime società statuali.

In realtà questa ricostruzione, sostanzialmente giudaico-cristiana e greco-romana nelle sue origini, è stata vieppiù rafforzata dalla conquiste imperiali messe in atto dalle potenze coloniali attraverso le quali si sono imposti, in patria e all’estero, non solo i principi economici del nascente e del successivo tardo-capitalismo, ma una visione del mondo e dei destini dell’uomo che ha fatto dell’Occidente il centro di irradiazione di civiltà, saggezza, giustizia, libertà e sviluppo economico.

Una visione deformata della storia degli ultimi cinque millenni che è servita sostanzialmente a giustificare il predominio prima europeo e poi statunitense sul mondo intero, di cui il white man burden ha costituito uno dei tanti corollari razzisti ed ipocriti; dimostrando così come le odierne “narrazioni tossiche” abbiano radici piuttosto lontane.

Da qualche tempo, però, l’ascesa di nuove potenze mondiali come la Cina e l’India (solo per citare le due più importanti) ha costretto anche la storiografia occidentale, ed in particolare anglo-sassone, a fare i conti con le nuove realtà emergenti e con le fasulle verità propinate nei corsi scolastici ed universitari per così tanto tempo.

Di questa nuova attenzione per una diversa storia del mondo è testimone il testo di Peter Frankopan, docente di Storia bizantina all’Università di Oxford, senior research fellow al Worcester College e direttore dell’Oxford Centre for Byzantine Research, uscito in lingua originale nel 2015 e pubblicato recentemente in Italia da Mondadori. Attenzione che testimonia in maniera evidente come la storia, e soprattutto la sua interpretazione, sia tutt’altro che immutabile e sia invece piuttosto influenzata dal variare delle condizioni socio-economiche e cultural-politiche che sono alla base della sua produzione.

Come afferma l’autore, citando un testo dell’antropologo Eric Wolf sui popoli senza storia: “La storia della civiltà comunemente e pigramente accettata è una storia in cui «l’antica Grecia generò Roma, Roma generò l’Europa cristiana, l’Europa cristiana generò il Rinascimento, il Rinascimento l’Illuminismo. L’Illuminismo la democrazia politica e la rivoluzione industriale. L’industria, unita alla democrazia, a sua volta ha prodotto gli Stati Uniti, dando corpo ai diritti alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.» Mi resi conto immediatamente che questa era proprio la versione che mi era stata raccontata: il mantra del trionfo politico, culturale e morale dell’Occidente. Ma questo resoconto era fallace; c’erano altri modi di guardare alla storia, modi che non implicavano di guardare al passato dal punto di vista dei vincitori della storia recente.”1

Il Mar Mediterraneo, con il suo significato di centro della Terra, e successivamente gli Oceani avevano finito col divenire il centro non solo dei traffici economici, ma anche dell’interpretazione della storia del mondo, fornendo così alle potenze talassocratiche 2 (Atene, Roma, Spagna, Olanda , Gran Bretagna e Stati Uniti) una giustificazione e un ruolo determinante nello sviluppo non delle, ma della civiltà.

In realtà il cuore del mondo, il Mediterraneo vero, era stato costituito per secoli dalle società e dalle civiltà che si erano sviluppate all’interno dell’enorme massa continentale costituita dal Vicino e Medio Oriente, dalla Russia, dall’altipiano iranico e dai territori desertici e/o montuosi che si estendevano dal Caucaso fino alla Cina e all’India, passando per l’Afghanistan e l’Himalaya.
Un’area emersa enorme che ancora oggi comprende quasi i due terzi della popolazione mondiale.

Ma che già millenni or sono aveva costituito il terreno sul quale si erano formate le prime civiltà urbane, i primi traffici internazionali con i conseguenti scambi non solo di merci e prodotti ma anche culturali e si erano incrociate le filosofie e le interpretazioni cosmologiche destinate a dar vita alle grandi religioni. Non solo monoteistiche.
Fu su questo ponte tra l’Est e l’Ovest che circa 5000 anni fa vennero fondate grandi metropoli, fu qui che le città di Harappa e Moenjo-daro, nella valle dell’Indo, fiorirono come meraviglie del mondo antico, con popolazioni che ammontavano a decine di migliaia di abitanti e strade che si connettevano in un sofisticato sistema fognario che non sarebbe stato uguagliato in Europa per migliaia di anni.3

E mentre oggi uno dei motivi che spingono a riflettere su quale sia stato per millenni il vero centro del mondo può essere una conseguenza della crescita economica cinese che rappresenta attualmente il 17% dell’economia mondiale, va ricordato che anche questa “recente scoperta” è semplicemente il frutto di una rimozione secolare del fatto che almeno fino agli albori del XVIII secolo proprio la Cina avesse costituito l’economia più importante del pianeta, rappresentando da sola, nel XV e XVI secolo, tra il 25 e il 30% dell’intera economia mondiale. Come è sintetizzato nella tabella pubblicata qui di seguito.

E’ chiaro che quell’economia, insieme a tutte le altre che la circondavano e ad essa erano correlate, aveva costituito il fondamento di traffici e aperture di via di terra che sarebbero poi andate sotto il nome di Via o vie della Seta,4 che per secoli avrebbero costituito il maggior canale di collegamento tra Est e Ovest.

La storia di queste vie è tracciata da Frankopan attraverso venticinque intensi e densissimi capitoli, ognuno caratterizzato da un tema centrale indicato nel titolo: La Via delle Fedi, La Via della Rivoluzione, La Via dell’Argento, La Via dell’Oro nero, La Via del Grano, La Via della Guerra e così via, soltanto per citarne alcuni. Sottolineando come “per secoli, prima dell’era moderna, i centri intellettuali di eccellenza a livello mondiale, le Oxford e le Cambridge, le Harvard e le Yale, non si trovavano in Europa o in Occidente, ma a Baghdad e Balkh, a Bukhara e a Samarcanda. C’era una buona ragione perché le culture, le città e i popoli che vivevano lungo le Vie della Seta si sviluppassero e progredissero commerciando e scambiandosi le idee, imparavano e prendevano a prestito gli uni dagli altri, stimolando ulteriori avanzamenti […] Il progresso era essenziale, come sapeva anche troppo bene, più di 2000 anni fa, uno dei sovrani del Regno di Zhao, nella Cina nord-orientale, a un’estremità dell’Asia. «Avere talento nel seguire le strade di ieri» affermava re Wu-ling nel 307 a.C. «non è sufficiente a migliorare il mondo di oggi.»5

Osservando meglio i territori di cui si occupa il libro ci si accorgerà come essi appartengano in gran parte a quello che è stato definito Heartland,6 un concetto geopolitico di grande importanza e che ha visto come corollario quello di un Rimland, costituito dalla fascia marittima e costiera che circonda l’Eurasia, divisa in 3 zone: zona della costa europea; zona del Medio Oriente; zona asiatica.

Affinché una delle tre zone periferiche, quella rappresentata dall’Europa Occidentale, assumesse la rilevanza storica che le è stata successivamente attribuita occorse che , verso la fine del XV secolo, nell’arco di sei anni fossero gettate, a partire dal 1490 e grazie ai viaggi di Cristoforo Colombo e Vasco da Gama, le basi di una radicale rottura del ritmo dei ben consolidati sistemi di scambio precedenti. “D’improvviso, da regione isolata e stagnante, l’Europa occidentale si trasformò nel fulcro di un sistema di comunicazione, trasporto e commercio in costante sviluppo, diventando il nuovo punto mediano tra Oriente e Occidente. L’ascesa dell’Europa scatenò un aspro scontro per il potere e il per il controllo del passato. Mentre i rivali si fronteggiavano, la storia fu riplasmata per dare risalto agli eventi, ai temi e alle idee che potevano essere utilizzati ei conflitti ideologici che divampavano di pari passo con la lotta per accaparrarsi le risorse e conquistare il dominio delle rotte marittime. […] La storia veniva distorta e manipolata per creare una martellante narrazione in cui l’ascesa dell’Occidente risultasse non soltanto naturale e inevitabile, ma la continuazione di ciò che era accaduto in precedenza.7

Questa lettura delle trasformazioni avvenute non solo a livello socio-economico, ma anche a livello di immaginario culturale suggerisce a chi legge anche un’altra osservazione: ossia che mentre sulla terra e sulle vie che occorre seguire per gli spostamenti sulla stessa si sono sempre dovute ricercare strategie destinate a rafforzare i legami tra gruppi, società ed individui affinché possano essere conseguiti risultati positivi e collettivi (l’altra ipotesi sarebbe quella della guerra permanente per modificare gli equilibri, ma questa impedirebbe lo sviluppo degli scambi e il miglioramento dei rapporti tra culture diverse e complementari), sul mare e sugli oceani finirà con l’affermarsi quel principio individualista ed egoistico di cui la guerra di corsa e la pirateria organizzati dagli stati, come già ben sapevano Adam Smith e Daniel De Foe, costituiranno la manifestazione più evidente e, allo stesso tempo insieme al traffico oceanico degli schiavi, la base per la rapina su cui si fonda la prima accumulazione capitalistica.
Proseguendo in tale riflessione si potrebbe, poi, aggiungere che il dominio dell’aria e dei cieli hanno infine portato all’estreme conseguenze tale distacco dai principi umani di condivisione e collaborazione, come i bombardamenti a tappeto sulle popolazioni civili, lontane e invisibili per l’occhio di chi uccide, e l’uso omicida dei droni ben dimostrano ancora e soprattutto oggi.

L’arco di parecchi millenni che il testo di Frankopan ricostruisce giunge fino ai nostri giorni e ai conflitti attuali e non evita di ricordare come la riflessione “storica” che ha dato il via allo studio sull’importanza passata delle vie della seta nasca proprio dalla crisi dell’Occidente e dal suo ruolo di dominio nel mondo. Giungendo a sottolineare come i conflitti attuali, che sconvolgono il pianeta e in particolare molti territori toccati dalle antiche vie, siano dovuti alla necessità di ridefinire chi governerà il futuro e le vie della seta che stanno tornando a tracciarlo.

Al di là infatti dell’autentico ciarpame ideologico che sembra motivare sia le iniziative dello Stato Islamico sia le altrettanto fasulle “guerre per la libertà e la democrazia” promosse dagli Stati Uniti in quell’area a partire dalla prima guerra del Golfo nel 1991, ciò che l’autore sottolinea è che: “Da molti punti di vista, la fine del XX secolo e l’inizio del XXI si sono rivelati disastrosi per gli Stati Uniti e l’Europa, impegnati nella loro fallimentare battaglia per mantenere la loro posizione nei territori di vitale importanza che collegano l’Est con l’Ovest. Ciò che è apparso evidente negli ultimi decenni è la mancanza di prospettiva dell’Occidente rispetto alla storia globale, ovvero rispetto al quadro complessivo, ai temi più vasti e agli schemi più ampi che sono in gioco nella regione. Nelle menti dei pianificatori, dei politici, dei diplomatici e dei generali, i problemi dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Iraq sembrano distinti, separati e soltanto vagamente connessi tra loro.8 Azzardando un paragone, si potrebbe dire che la “cura” occidentale per i problemi della regione riproduce l’approccio medico occidentale per la cura del corpo: curare la malattia oppure la singola parte malata senza preoccuparsi del resto del corpo e delle conseguenze che la cura potrebbe avere sullo stesso o su altre sue parti.

Ma c’è ben di più in gioco, al di là dei maldestri interventi occidentali in Iraq e in Afghanistan, o dei tentativi di esercitare pressioni in Ucraina, in Iran o altrove. Da est a ovest, stanno ancora una volta rinascendo le Vie della Seta […] Sono tutti segnali che indicano che il centro di gravità del mondo si sta spostando, per ritornare nel punto dove è stato per millenni.9
Per potere affermare ciò ci sono ragioni evidenti, al di là dello sviluppo economico cinese: prima di tutto le ricchezze naturali della regione. Per fare un unico e significativo esempio, basti pensare “che le riserve combinate di greggio sotto il mar Caspio ammontano, esse sole, quasi al doppio di quelle di tutti gli Stati Uniti.10

Ma ai giacimenti petroliferi di grandissima rilevanza che si estendono dal Kurdistan al Kazakistan e alla Russia, occorre aggiungere l’enorme bacino carbonifero del Dombass e la presenza diffusa di ingenti quantità di gas naturali, di cui soltanto il Turkmenistan controlla il quarto più grande giacimento del mondo: 20.000 miliardi di metri cubi stimati. Seguono poi i giacimenti auriferi.dell’Uzbekistan e del Kirghizistan, secondi soltanto al bacino del Witwatersrand in Sud Africa. Senza contare e senza stare ad elencare tutte le are ricche di materiali preziosi quali il berillio, il disprosio e tutte le altre “terre rare”, indispensabili per l’industria elettronica moderna, oltre all’uranio e al plutonio.

La terra riveste poi una grande importanza per l’agricoltura, in particolare nella steppa russa caratterizzata da una vasta presenza di chernozem (letteralmente “terra scura”), molto fertile e ricercata, che caratterizza, ad esempio, gran parte del suolo dell’Ucraina.
Le nuove Vie della Seta possono essere costituite anche dagli imponenti gasdotti ed oleodotti per il cui controllo già si combatte più o meno distintamente e che, in alcuni casi, sembrano seguire esattamente i percorsi degli antichi mercanti. Gasdotti ed oleodotti che non convergono più soltanto su un unico centro di sviluppo centrato ad Ovest, ma anche verso la Cina e l’India.

Proprio attraverso di essi “la Cina si garantisce forniture di gas per i prossimi trent’anni, per un valore di 400 miliardi di dollari per l’intera durata del contratto. Questa somma astronomica, da pagare parzialmente in anticipo, offre a Pechino la sicurezza energetica a cui ambisce, oltre che giustificare il costo del nuovo gasdotto stimato in 22 miliardi di dollari, e garantisce a Mosca libertà di manovra e ulteriore forza nei rapporti con vicini e rivali. Non sorprende, quindi, che la Cina sia stato l’unico stato membro del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite a non ammonire la Russia per le azioni intraprese durante la crisi ucraina del 2014; la fredda realtà del commercio reciprocamente vantaggioso è un argomento molto più convincente della politica del rischio calcolato dell’Occidente.11

E poi, naturalmente, vengono i trasporti. “La rete dei trasporti, proprio come quella dei gasdotti, si è spaventosamente estesa negli ultimi tre decenni. Importanti investimenti nelle ferrovie transcontinentali hanno già aperto linee per il traffico merci lungo gli 11.000 chilometri della ferrovia Yuxinou, che collega la Cina con un grande centro di distribuzione nei pressi di Duisburg, in Germania […] Treni lunghi quasi un chilometro hanno cominciato a trasportare milioni di computer portatili, scarpe, vestiti e altre merci non deperibili in una direzione, ed elettronica, pezzi di ricambio ed apparecchiature mediche nell’altra, in un viaggio che dura sedici giorni, molto più veloce della rotta marittima dai porti cinesi sul Pacifico.12 Per questo motivo, oltre che per un minor costo del lavoro nelle sue province occidentali, la Cina ha iniziato a spostare importanti aziende in prossimità di quella che un tempo costituiva “la Porta di Zungaria, l’antica porta di ingresso all’Ovest del paese, dalla quale passano oggi i treni moderni.13

Fermiamoci un attimo e comprenderemo perché questo testo, così affascinante nella sua descrizione del passato, è così utile per la comprensione del presente. Anche per chi si vuole opporre al modo di produzione attuale e ai suoi principi, poiché il centro del mondo si sta spostando e il parto non sarà facile.
L’heartland sta trionfando sulle passate potenze marittime e lo dimostra anche il fatto che le merci possano oggi spostarsi più velocemente al suolo che non sui mari, così come è stato invece negli ultimi cinque secoli. Forse questo può aiutarci a comprendere anche l’attuale crisi delle grandi compagnie dedite ai trasporti marittimi di cui si è parlato recentemente anche su Carmilla.14

Così come il fatto che dalla Germania la ferrovia, di cui si è parlato sopra, proseguirà per la Francia e Parigi, senza dover superare barriere montagnose, ci spiega l’attuale indifferenza francese nel progetto dell’alta velocità in Val di Susa e del suo mefitico ed inutile tunnel di 57 chilometri. Chiarendo, altresì, perché la Germania, ancora una volta, tornerà obbligatoriamente ad oscillare come centro di interesse tra Occidente ed Oriente, tra Europa e Stati Uniti da una parte ed Eurasia dall’altra. Suggerendoci infine che tutte le interpretazioni puramente ideologiche, sia di destra che di sinistra, entrambe antiquate, sono perfettamente inutili per affrontare la tempesta che sta arrivando.

Come afferma lo stesso Frankopan: “L’era dell’Occidente è a un crocevia, se non al capolinea. […] Il mondo intorno a noi sta cambiando. Stiamo entrando in un’era in cui il dominio politico, militare ed economico dell’Occidente comincia ad essere messo in discussione, provocando un senso di incertezza inquietante15 e “Mentre le forze dell’ordine sono impegnate in un costante gioco del gatto col topo con chi sviluppa nuove tecnologie miranti al controllo del futuro, la battaglia per il passato sta ugualmente assumendo un’importanza decisiva nella nuova epoca in cui stiamo entrando.16 Con buona pace di Trump e dei suoi recenti e minacciosi discorsi alle Nazioni Unite, non certo rivolti soltanto alla Corea del Nord, che rivelano l’apprensione con cui la nazione padrona dei mari guarda allo sviluppo delle nuove vie della seta.


  1. Frankopan, pp.5-6  

  2. dal greco θαλασσα, mare, e κρατος, potere 

  3. pp.7-8  

  4. Come le avrebbe definite verso la fine del XIX secolo un importante geologo tedesco, Ferdinand von Richthofen: Seidenstraße, Vie della Seta.  

  5. pag.10  

  6. L’ideatore del concetto di Heartland fu un generale e geopolitologo britannico, Sir Halford Mackinder, che la sottopose alla Royal Geographical Society nel 1904. Il termine derivava dal fatto che tale vastissimo territorio era delimitato ad ovest dal Volga, ad est dal Fiume Azzurro, a nord dall’Artico e a sud dalle cime più occidentali dell’Himalaya. Per Mackinder, che basava la sua teoria sulla contrapposizione tra mare e terra, l’Heartland costituiva il “cuore” di tutte le civiltà di terra, in quanto logisticamente inavvicinabile da qualunque talassocrazia. Teoria che egli condensava in una singola frase: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland; chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo; chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo». Cfr: https://www.carmillaonline.com/2015/09/16/vae-victis-germania-1-sulla-loro-pelle/  

  7. pag.11  

  8. pag.581  

  9. pag.582  

  10. pag.582  

  11. pag.589  

  12. pp.589-590  

  13. pag.590  

  14. cfr. https://www.carmillaonline.com/2017/08/10/uno-tsunami-planetario/  

  15. pp.593-595  

  16. pp.591-592  

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Fuori dal tunnel: cattivi e primitivi https://www.carmillaonline.com/2016/11/09/dal-tunnel-cattivi-primitivi/ Wed, 09 Nov 2016 22:00:39 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34410 di Sandro Moiso

venaus-aggressivi Marco Aime, Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella val di Susa, Meltemi editore 2016, pp.300, € 22,00

Alessandro Senaldi, Cattivi e primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione, Ombre Corte 2016, pp.214, € 18,00

Come scriveva Jean Baudrillard nel 2002, (Jean Baudrillard, La violenza del globale in Power Inferno, Raffaello Cortina Editore 2003, pag. 63) a dare scacco al sistema nel mondo attuale potranno essere soltanto specifiche particolarità che non costituiscono obbligatoriamente un’alternativa, ma che appartengono sicuramente ad un altro ordine. Si trattava, [...]]]> di Sandro Moiso

venaus-aggressivi Marco Aime, Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella val di Susa, Meltemi editore 2016, pp.300, € 22,00

Alessandro Senaldi, Cattivi e primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione, Ombre Corte 2016, pp.214, € 18,00

Come scriveva Jean Baudrillard nel 2002, (Jean Baudrillard, La violenza del globale in Power Inferno, Raffaello Cortina Editore 2003, pag. 63) a dare scacco al sistema nel mondo attuale potranno essere soltanto specifiche particolarità che non costituiscono obbligatoriamente un’alternativa, ma che appartengono sicuramente ad un altro ordine. Si trattava, per il filosofo, sociologo e semiologo francese “di uno scontro quasi antropologico tra una cultura universale indifferenziata e tutto ciò che, in qualsiasi campo, conserva qualche tratto di un’alterità irriducibile”.

Anche se queste parole erano state scritte a seguito di una riflessione sull’allarme suscitato dall’attacco alle Twin Towers nel settembre del 2001, col passare del tempo è diventato sempre più evidente che le interpretazioni dei conflitti sociali e di classe date nel corso del ‘900 non sono più in grado di per sé di spiegare le dinamiche sottostanti ai movimenti reali che si oppongono all’attuale modo di produzione e di dominio e, ancor meno, di determinarne tattiche e strategie.

E’ un intero sistema di categorie e di ideologie che è in qualche modo fallito.
Le promesse implicite nel modello di sviluppo proposto dal capitalismo, in tutte le sue varianti occidentali e asiatiche oppure liberali o stataliste, hanno dimostrato la labilità e la fallacia dei loro presupposti, finendo però col riversare il proprio fallimento anche su tutte quelle ideologie che pur facendo del capitalismo l’obiettivo delle proprie critiche hanno comunque finito con il non abbandonarne i presupposti paradigmatici e continuato a condividerne nell’immaginario lo stesso territorio politico. Inclusa gran parte del marxismo, sia eretico che ortodosso.

Lo sviluppo, l’ampliamento della produzione industriale, il benessere legato al consumo di massa, sia di servizi che di beni materiali o immateriali, non solo non sono stati alla reale portata di tutti, ma anche là dove, pur in forme diverse, più ci si è avvicinati a tale obiettivo (Europa, USA, Giappone), tali valori paradigmatici e condivisi hanno mostrato la loro fragilità temporale, la loro vacuità e la loro sostanziale dannosità, ideologica e ambientale, trasformando un sorriso di rassegnata soddisfazione nel sogghigno squarciato del Joker.

In altre parole: i presupposti dell’espansione capitalistica e delle sue meraviglie sono venuti a mancare o, per lo meno, hanno mostrato non solo come queste fossero destinate ad una cerchia sempre più ristretta di investitori/sfruttatori, ma anche come tale gioco al rialzo (più investimenti, più produzione, più ricchezza per tutti, più investimenti, etc.) non fosse altro che un mantra ipnotico e devastante per la maggioranza della specie umana, sia in termini di realizzazione individuale che sociale.

Insomma se la visione socialista del mondo, sia nella sua variante socialdemocratica e riformista che in quella rivoluzionaria, è in qualche modo superata, lo è non perché è fallito il socialismo reale o perché una miriade di partiti e formazioni di sinistra ed ultra-sinistra è stata progressivamente sconfitta e/o riassorbita dall’avversario, ma piuttosto per il fatto che il loro presupposto storico-politico non si discostava troppo da quell’idea di progresso, di organizzazione politica partitica e di sviluppo che condivideva con il nemico a partire fin dall’Illuminsimo e dalle due grandi rivoluzioni del XVIII: quella francese e quella industriale. Progresso e sviluppo senza fine e al di là di ogni confine.

Che con la globalizzazione economico-finanziaria sembravano aver raggiunto il loro apice, ma che, con le attuali vittorie, per non dire trionfi, dei cosiddetti populismi dalla Brexit a Trump,1 vedono invece detonare tutte le loro contraddizioni in maniera asimmetrica e nel cuore del sistema. Movimenti sismici che sembrano trasmettere onde telluriche sempre più vicine e apparentemente imprevedibili, destinate a frantumare le certezze sia dei sostenitori dell’espansione basata sulla speculazione finanziaria e bancaria (da Renzi alla Clinton2) che di un antagonismo sociale talvolta ancora radicato in un immaginario politico che, come nel caso di “Born In The USA” di Springsteen per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti appena conclusasi, giova ormai di più alla causa della conservazione che a quella del superamento dell’attuale modo di produzione.

Per tutti questi motivi l’alterità irriducibile di un movimento come quello No Tav sviluppatosi nella e a partire dalla val di Susa, ormai da più di 25 anni, non può essere facilmente irreggimentata nelle interpretazioni classiche della sociologia e delle ideologie politiche. Infatti, anche se la componente anti-capitalista e ambientalista è sicuramente forte, è altrettanto vero che molti altri aspetti (locali, individuali, storici, geografici e culturali solo per ricordarne alcuni) concorrono a determinarne le caratteristiche e la combattività.

Non a caso due delle più recenti ed interessanti opere uscite nel corso degli ultimi mesi sono state pubblicate una, quella di Meltemi, nella collana Biblioteca/Antropologia e l’altra, quella di Ombre Corte, nella nuova collana Etnografie. Scelte non tanto determinate dagli editori quanto dalle metodologie utilizzate e rivendicate dai due autori per analizzare la forza e la capacità di resistenza, sviluppo ed offensiva dimostrate dal tale movimento nel corso degli anni.

Entrambi i testi si pongono, infatti, in una dimensione altra rispetto alla semplice rievocazione dei fatti e delle lotte oppure della ricostruzione delle vicende politico-economiche che hanno portato alla scelta e all’autentica truffa della realizzazione di una linea ferroviaria ad alta velocità per il trasporto delle merci che proprio nella val di Susa doveva transitare.
Non siamo di fronte ad una semplice, per quanto ricca, oral history3 né, tanto meno, ad una appassionante ricostruzione della dialettica conflittuale venuta a realizzarsi tra lotte del Movimento e decisioni mafiose, imprenditoriali e governative.4

Una delle principali caratteristiche di tale movimento è infatti quella che vede, al di là delle simpatie e delle celebrazioni nei suoi confronti manifestatesi sia dentro che fuori i confini nazionali, il forte radicamento sociale e territoriale dei suoi militanti e delle loro ragioni porsi ben al di là dei normali limiti politici, sindacali, generazionali e di classe che hanno spesso determinato le caratteristiche dei movimenti del ’900.

Un movimento che non solo, come tutti i grandi rivolgimenti sociali della storia, ha prodotto una nuova cultura, nuovi valori, una nuova visione dei rapporti umani e politici, una nuova concezione di quelle che dovrebbero essere le scelte ambientali ed economiche, ma anche, e soprattutto, una irriducibile volontà di resistere per costruire una differente comunità umana.
Una comunità che oltre a riprendersi lo spazio intende, come afferma Wu Ming 1 in una delle più felici intuizioni del suo ultimo libro, riprendersi il tempo. Non poi, non dopo la fine della lotta e la vittoria, ma subito. Qui, ora e adesso. Dove spazio e tempo coincidono, come la fisica contemporanea ci ha da tempo avvisati.

fuori-dal-tunnel Come questo sia diventato possibile, nel corso dei venticinque anni di lotta in cui tale movimento si è dispiegato, non può essere soltanto una vecchia lettura politica a spiegarcelo; così l’antropologo Marco Aime, docente di Antropologia culturale presso l’Università di Genova, si sforza di penetrare il segreto di tale efficace resistenza creativa attraverso interviste e testimonianze raccolte sul campo che, più che elencare ancora una volta eventi e ragioni che hanno accompagnato e accompagnano tutt’ora la lotta, sono destinate a rivelarne l’intrinseca esperienza umana e comunitaria. Con i propri riti, le proprie narrazioni e le proprie riflessioni, individuali e collettive.

Scrive Aime: “A differenza dei movimenti di protesta del recente passato, quelli attuali non si costituiscono nella classica forma di partito, né cercano alleanze con i partiti esistenti, ma soprattutto, nella maggior parte dei casi, vengono avversati dai partiti istituzionali, tanto di destra quanto di sinistra. E’ il caso del No-Tav, ma anche di altre realtà antagoniste simili.
Se in passato un movimento di protesta veniva in qualche modo accolto da una parte politica e le sue rivendicazioni trovavano una sponda istituzionale, oggi non è così o almeno non lo è nella stessa misura […] Destra e sinistra, conservatorismo e progressismo, sono divenuti leggere sfumature di un modello pressoché consolidato, fondato sul profitto, che richiede un consenso generale di chi governa e in cui etica, ideali e valori non trovano più spazio. Come non trova più spazio riconosciuto la communitas […] La communitas in quanto anti-struttura ha il fondamentale compito di fungere da contrappeso al modello dominante. Quando tale contrappeso viene a mancare, il rischio è un senso di soffocamento, di oppressione tipico di una realtà mono-dimensionale, che progressivamente si chiude su se stessa […]Il caso della valle di Susa diventa allora paradigmatico di una comunità che propone un’alternativa e che la difende per oltre venticinque anni contro un fronte istituzionale quasi unanime formato da forze politiche tradizionalmente rivali tra di loro, ma accomunate da una identica visione che privilegia lo “sviluppo” e l’economia letti in un’ottica macro rispetto alle esigenze locali. Visto in una cornice più ampia il movimento no-tav esprime un disagio piuttosto diffuso nei confronti di un modello economico sempre più dominato da interessi ristretti, da una sempre minore redistribuzione e da un sempre maggiore attacco all’ambiente. Un disagio che il movimento è riuscito a organizzare in protesta e in proposta.
” (pp. 285-290)

Ecco allora che il titolo del testo, Fuori dal tunnel, ci dice molto, perché qui non si tratta più di analizzare ciò che accade nello scavo e per la realizzazione della “Grande opera di importanza strategica” ma, piuttosto, la proposta di uscita dal tunnel senza sbocco in cui l’attuale modo di produzione si è infilato, abbagliato soltanto dalle logiche del profitto e del dominio incontrastato.
Fuori dal tunnel , però, anche per l’attenzione che la vita comunitaria del Movimento merita, così come la meritano le riflessioni dei suoi militanti.

Io sono passato dal considerare il nemico e il combattere noi contro di loro a combattere me stesso, sono o il nemico, perché con le mie scelte e abitudini ho contribuito a creare il tessuto sociale per questo mostro che è nato e vive di vita propria nella totale indifferenza delle popolazioni, a causa di milioni di persone che hanno comportamenti che favoreggiano questa cosa5

Più volte, nelle conversazioni con attivisti No-Tav delle manifestazioni, mi sono sentito dire rasi del tipo: «In fondo ci si diverte anche». E questa è un’altra cifra caratteristica di questo movimento ed è un ulteriore dato che conferma la dimensione di communitas, perché l’ironia è una delle forme di comunicazione tipiche delle antistrutture. Gli scherzi, le battute, il sarcasmo hanno l’effetto di sovvertire la struttura dominante delle idee. «Il riso e gli scherzi, attaccando la classificazione e la gerarchia, sono ovviamente simboli atti a esprimere la comunità nel senso di rapporti sociali non gerarchizzati e indifferenziati» scrive Mary Douglas.6 Insomma, il burlone alleggerisce per tutti l’oppressività della realtà sociale, facendo piazza pulita del formalismo in generale.” ( pag. 157)

Come anche la lotta condotta da alcuni militanti contro i provvedimenti disciplinari presi nei loro confronti dalla Procura di Torino, e la vicenda di Nicoletta Dosio in particolare, ben testimoniano.
Rimane comunque il problema del tentativo in atto da parte delle istituzioni statali, forse unico nella storia delle lotte degli ultimi decenni in Italia, di criminalizzare un’intera comunità: quella della bassa val di Susa.

Osserva ancora Aime: ”Ogni conflitto nasce da una relazione ed è qui che nasce il pensiero relativista; dalla possibilità di conoscere ed eventualmente riconoscere la differenza. Laddove questo conflitto viene impedito o negato ci troviamo di fronte all’imposizione di un’unica verità dogmatica, che non prevede alternative, né spazi di traducibilità.
La mancanza di alternative possibili o ipotizzabili è a un tempo causa ed effetto di un’operazione di chiusura. Se ciò che pensiamo è il vero e l’assoluto, allora non esiste possibilità di declinarlo in altri modi, non sono possibili altri mondi, altre realtà. Pensando in questo modo, ci isoliamo da, impedendo l’accesso a chiunque sia portatore di cambiamento. Se poi quel qualcuno è tra noi, va espulso o messo a tacere.
” (pag.287)

cattivi-e-primitivi Proprio di questo aspetto repressivo di espulsione, reclusione e silenziamento del Movimento No Tav e dei suoi militanti si occupa invece il testo di Alessandro Senaldi edito da Ombre Corte. Ricercatore indipendente nel campo della sociologia della devianza e del mutamento sociale, impegnato nello studio criminologico dei movimenti sociali, l’autore, nell’affermare l’importanza scientifica del Movimento No Tav, dichiara che: “Il movimento in questione trova la sua particolarità nella sua storia e nei risultati raggiunti. Nato come movimento territoriale all’inizio degli anni novanta del secolo scorso, ha saputo cambiare pelle con il mutare del tempo, adattandosi alle diverse fasi che la storia gli imponeva e bloccando, di fatto, la realizzazione dell’opera. Dopo venticinque anni dalla sua «fondazione» il dato che ci viene consegnato è quello di un movimento ancora in salute, che non ha pari nel nostro paese per costanza e quotidianità di iniziativa. Proprio la sua intergenerazionalità lo rende particolarmente interessante, in quanto, col tempo, ha assunto un ruolo totalizzante nel contesto valsusino, implementando una propria pedagogia, dei propri miti, una propria storia, fino ad arrivare a vere e proprie pratiche mortuarie. Un movimento che orienta e accudisce le giovani generazioni, le fa crescere ed infine le conduce fino alla propria uscita dalla scena. Un movimento che si inscrive e sovrappone all’esperienza esistenziale dei singoli, arricchendola e fornendogli una nuova dimensione ontologica.” (pp. 7-8)

Per questi motivi si rivela particolarmente utile l’uso del metodo etnografico, proprio per analizzare sia le strategie e i discorsi messi in atto dalla compagine istituzionale per realizzare l’opera e fronteggiare il movimento che vi si oppone sia quelle messe in atto dalla controparte.
L’etnografia per Senaldi è una necessità: “La scelta del metodo etnografico è stata una scelta «dovuta». Quest’ultimo ha infatti peculiarità proprie, che ben si prestano allo studio dei diversi temi affrontati nella ricerca. Inoltre consente di muoversi con una certa libertà all’interno delle maglie strette del paradigma scientifico, in quanto respinge la formulazione rigida e preconcetta di teorie e fa procedere queste ultime di pari passo con la ricerca; favorisce peraltro l’impiego di un approccio trans-disciplinare che abbatte i confini tra aree di conoscenza.” (pp. 8-9)

Scelta che deriva oltre che dal percorso biografico e dalla militanza pluriennale all’interno del movimento No Tav del ricercatore, anche dal fatto che, come già affermava Danilo Montaldi,7 nel metodo etnografico “è possibile ritrovare espliciti fini «etico-politici». Questo perché «gli angoli visuali incidono in modo detrminante sulla rappresentazione, sulla narrazione e sulla creazione stessa della realtà».8 Questa considerazione è ben riferibile al caso della vicenda Tav, in cui vi sono almeno due divisioni diverse della «realtà dei fatti»: quella narrata dai diversi livelli di potere e quella del movimento che si oppone alla realizzazione dell’opera. La scelta metodologica è quindi determinata dalla necessità di fare emergere il punto di vista del movimento No Tav, le sue pratiche, le sue rappresentazioni e narrazioni; oltre che dall’occasione di «documentare l’esperienza di soggetti sociali trascurati dalla storiografia e dalla ricerca sociale».9 In sostanza «dar voce a chi voce non ha»”. (pag. 9)

Anche nel caso del testo edito da Ombre Corte, il titolo è rivelatore: Cattivi e primitivi. Due termini che riassumono inequivocabilmente l’immagine che i fautori delle Grandi Opere vogliono dare di coloro che a tali opere si oppongono.
Cattivi perché dannosi per gli interessi della Nazione e primitivi perché inadeguati e impreparati per le meraviglie della modernità. Tutto sommato un giudizio che accomuna i valsusini, ma anche tutta la storia dei movimenti di classe e anti-sistemici più radicali, a tutti quei popoli espulsi dalla Storia con la violenza della modernità.

La Storia, lo si sa, la scrivono i “buoni” e i “progressisti”; gli altri resteranno sempre tra i popoli senza storia o tra i vinti perché cattivi o inutili. Ma ciò che ha funzionato per secoli non è detto che debba funzionare obbligatoriamente ancora in futuro. Il mantra del cambiamento istituzionale, dal “Sì” al Referenduma alla TAV, ormai traballa insieme a tutto il sistema che li ha ideati e non ancora prodotti, mentre la partita è ancora tutta da giocare. Però su un campo di gioco e con regole totalmente differenti, come potrebbero dire i killer di Pulp Fiction ideati da Quentin Tarantino.

La ricerca di Senaldi si riferisce, principalmente, ad un periodo di osservazione e partecipazione ad iniziative, eventi, vita quotidiana, lavori e pratiche giornaliere riconducibile all’estate del 2013.
La parte centrale del mio lavoro è rappresentato da interviste non strutturate. Più precisamente ho raccolto delle «interviste in profondità» che cercavano di indagare la ricostruzione che gli attivisti danno dei dispositivi di controllo implementati, le dimensioni motivazionali e i mutamenti biografici e relazionali delle persone che partecipano alla lotta.” (pp. 9-10)

Grazie a tale metodo, ne deriva un coro di voci anonime, ma autentiche che delineano collettivamente le scelte, i discorsi e le strategie del movimento nel suo insieme. Fungendo così da perfetto contraltare al discorso e alle pratiche repressive istituzionali.
Non ci sono categorie di No Tav che non siano soggetti a tali pratiche poliziesche, e non si tratta di un provvedimento riguardante solo gli attivisti più duri. Durante la mia permanenza ho avuto modo di dialogare con alcuni attivisti appartenenti al gruppo «Cattolici della Valle», che, ridendo, mi hanno fatto notare come, essendo quelli che visitano più spesso il cantiere, andando a pregare lì ogni mattina, sono conseguentemente quelli più schedati e fermati dalle FF.OO. Qui […] pur essendo mantenute – soprattutto dal punto di vista pubblico – le pratiche discorsive di discernimento tra «buoni» e «cattivi», si assiste tuttavia a un evidente cortocircuito nel rapporto tra queste ultime e le pratiche del controllo poliziesco. Sarebbe a dirsi che nell’attacco a tutto campo delle tattiche antagoniste in questione, ritroviamo nuovamente la volontà di applicare una reductio ad unum del controllo ed estendere così lo status di non cittadini.” (pag.127)

Si dimostra in tal modo perché, così come gli antropologi che compiono ricerche sul campo in ambienti lontani dalle pratiche del mondo civilizzato oppure da quest’ultimo relegati al di fuori della legalità e del suo riconoscimento giuridico devono fare, oggi chi si occupa di lotte realmente antagoniste è altrettanto costretto a studiare il suo soggetto come “altro” dalla società che lo ha prodotto e che pur combatte, riportando il discorso su quella irriducibile, e andrebbe aggiunto inevitabile, alterità di cui si è parlato all’inizio di questa lunga recensione.

Alterità che, nonostante gli sforzi dello Stato e dei suoi galoppini mediatici ed ideologici, non può e non vuole essere relegata in una sorta di “riserva indiana”, come forse anche qualche benpensante democratico vorrebbe intendere la lotta No Tav nel suo contesto. Anche perché, nonostante gli sforzi imponenti, “Anche sul versante giuridico, come su tutti gli altri livelli, il dispositivo sembra però in affanno. La sensazione è che la compagine istituzionale stia, rispetto ai soli confini geografici della Valle, tentando l’applicazione casuale dei dispositivi di controllo disponibili, attraverso un procedimento che potremmo definire di «trial and error». Un procedimento per il quale – anche a seconda delle fasi evolutive della lotta – gli attori preposti al governo della popolazione e al suo controllo affiancano ai dispositivi volti al disciplinamento (accumulando saper sulla società) quelli miranti alla neutralizzazione e all’espulsione dei non cittadini, insieme a tattiche di polizia e giudiziarie che puntano invece alla deterrenza. Questo affanno, questo tentativo di usare tutti i mezzi possibili dimostra la difficoltà che la compagine istituzionale avverte nel controllare e leggere la conflittualità sociale.” (pag. 160) Che, aggiungerei, non vuole e non sa più leggere finendo col credere soltanto più nel proprio discorso: farsesco e fuorviante allo stesso tempo.

contrees Due ottimi libri, interessanti e documentatissimi, per comprendere e andare oltre le letture ormai “istituzionalizzate” di uno dei movimenti più vivaci ed innovativi della realtà europea contemporanea. Mi permetto però, e soltanto a questo punto, di suggerire che, per capire a fondo le trasformazioni in atto nelle lotte più significative, sarebbe necessario anche la traduzione in lingua italiana dell’inchiesta parallela condotta attraverso cinquanta interviste a militanti NO Tav italiani e ad altri cinquanta militanti francesi della Zad di Notre-Dame-des-Landes, prodotta ed edita dalle compagne e dai compagni del Colletivo Mauvaise Troupe: Contrées. Histoire croisées dela zad et de la lutte No TAV dans la Val Susa, Éditions de l’éclat 2016, pp.412


  1. Si veda in proposito il mio https://www.carmillaonline.com/2016/06/24/outsiders-vs-establishment/  

  2. Sulla scarsa credibilità elettorale e sull’inevitabile sconfitta della candidata democratica si veda ancora il mio https://www.carmillaonline.com/2016/05/02/donne-sui-tre-lati-della-barricata/  

  3. Come quella già efficacemente prodotta a cura del Centro sociale Askatasuna: A sarà düra! Storie di vita e di militanza no tav, DeriveApprodi 2013  

  4. Come nel caso dell’ultimo testo di Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve, Einaudi Stile Libero 2016  

  5. cit . in Aime, pp. 205-206  

  6. M. Douglas, Antropologia e simbolismo, il Mulino, Bologna 1985, pp. 76, 88  

  7. D. Montaldi, Militanti politici di base, Einaudi 1971  

  8. Gianfranco Carofiglio, L’arte del dubbio, Sellerio Editore 2007, pag. 15  

  9. Alessandro Dal Lago e Rocco De Biasi, Un certo sguardo. Introduzione all’etnografia sociale, Laterza 2002, pag.XXXII  

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Là nella Valle: 10 / Nero, bianco e verde https://www.carmillaonline.com/2013/10/22/la-nella-valle-10-bianco-nero/ Mon, 21 Oct 2013 23:00:08 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=9929 di Sandro Moiso

falcon_verde1 Visti dall’esterno, pensava l’agente De Gennaro, quei due sembravano fedelissimi di qualche club juventino. Vestito di nero e bianco, con il cappuccio e il manto nero dei domenicani, l’uno; bianco di capelli e avvolto in una toga nera l’altro. Che cazzo avessero da dirsi quei due non lo capiva, ma i loro sguardi erano torvi, cupi. Anche se a tratti gli occhi di entrambi mandavano scintille. Pericolosi come serpenti, tutti e due. Non restava che stare a guardare, anche se da quando era arrivato quel prelato così vecchio alcune cose erano cambiate. [...]]]> di Sandro Moiso

falcon_verde1
Visti dall’esterno, pensava l’agente De Gennaro, quei due sembravano fedelissimi di qualche club juventino. Vestito di nero e bianco, con il cappuccio e il manto nero dei domenicani, l’uno; bianco di capelli e avvolto in una toga nera l’altro. Che cazzo avessero da dirsi quei due non lo capiva, ma i loro sguardi erano torvi, cupi. Anche se a tratti gli occhi di entrambi mandavano scintille. Pericolosi come serpenti, tutti e due. Non restava che stare a guardare, anche se da quando era arrivato quel prelato così vecchio alcune cose erano cambiate. Non in meglio.

“Non si può tornare indietro” stava dicendo l’uomo dalla bianca criniera.
“Chi lo dice?” chiese l’altro.
“La Legge!”
“Quale? Quella di Dio o dell’uomo? Perché a nostro avviso fa una bella differenza…”
“Vostro… di chi?”
“Santa Madre Chiesa e il suo Pastore”
“Quello che avete rispedito in Argentina, nella Terra del Fuoco?*
“No, quello era solo una controfigura…”
“Una controfigura?”
“ Certo come l’attore che sostituì Winston Churchill in pubblico durante la seconda guerra mondiale o come quel Kagemusha sul quale Kurosawa fece un bellissimo film…”
“Non mi intendo di cinema straniero, mi piace solo ciò che piace al Vecchio…quindi solo cinema italiano. Quando si commuove Lui, mi commuovo anch’io. Se no, niente.”
“Già, le perenni lacrime di coccodrillo che caratterizzano le vostre massime autorità istituzionali..eh, eh!”
“Ma allora chi è quello che s’affaccia adesso alla finestra per la messa della domenica?”
“Quello vero! L’infallibile! Il nuovo Gregorio Magno! Il nuovo comandante dell’esercito cristiano nella lotta per il rafforzamento della Chiesa e dell’evangelizzazione!”
“Cioè quello vecchio, quello che c’era già prima?!”
“No, quello vero, l’ultimo. L’Argentino. Il castigamatti, il castiga-corrotti, il castiga-costumi, il castiga-pasticcerie, insomma…il CASTIGO DI DIO!”
“Ma quale lotta, ma quale castigo… se ad Assisi, durante la messa, ha persino benedetto il Premier .”
“No, come il suo omonimo medioevale, gli ha soltanto ricordato Sora Morte Corporale attraverso la dedica ai morti del Mediterraneo e, anche, che forse Lui e il suo governo avranno MOLTO bisogno di NOI!”
“Ma il Governo ormai ha i voti…”
“Se glieli diamo noi…lo ha capito anche l’altro, il Grande Peccatore!”
“Il Puttaniere?”
“Sì, ma adesso non è di lui che stiamo parlando”
“Già, stavamo parlando di grandi opere…”
“Del demonio!”
“Padre, mettete un freno alla vostra lingua…potreste pentirvene!”
“Io? Pentirmi? Di aver combattuto l’eresia…forse?”
“Gli eretici stanno in Valle, Padre! Terroristi, anarchici, ribelli, banditi!”
“Non sono loro che stanno traforando le montagne! Non sono loro che stanno profanando i luoghi in cui Erode venne a scontare le sue colpe!! Non sono loro che stanno cercando di riportare in superficie gli antichi demoni che Dio ha sprofondato agli Inferi!!!”
“Non mi direte che la Chiesa di oggi crede ancora a queste buffonate! Vero…?”
“No, ma sono simboli che ci servono…mentre invece non ci servono i vostri binari!”
“Perché?”
“Perché, in fin dei conti, sono duemila anni che procediamo lentamente, risolutamente e senza aver bisogno della vostra alta velocità e poi il rilancio del nostro potere potrebbe aver bisogno anche del vostro sacrificio!”
“E, per l’esattezza, il vostro potere di cosa altro ha bisogno? Di molotov e sabotaggi?”
“No, di consensi!”
“Quelli dei valligiani?”
“Di tutti! Noi rappresentiamo la nuova speranza, la moderna Rerum Novarum**, il rilancio della politica cattolica!”
“La vendetta di Andreotti…”
Il dominicano si ingobbì un po’ e si strofinò le mani.
“Anche…”
“E Mani Pulite…non siete più d’accordo con i principi di moralizzazione che avevano accompagnato quella grande operazione di rinnovamento istituzionale?”
“Abbiamo accondisceso…non potevamo fare altro. Avevamo le nostre colpe…ma i puttanieri al governo ce li avete messi voi!”
“Non io…”
“Però il vostro Torquemada fasullo, che quello vero mi perdoni l’insolenza, magari sì!”
“Ma come pensate di poter conquistare il consenso di quei senza dio…”
“Abbiamo convertito anche gli Unni…che volete che sia. Lasciateci il tempo necessario e toglietevi di torno…sarà tutto molto più facile. In fin dei conti abbiamo già scavalcato i Monti…”
” Vi siete forse uniti a black block e manifestanti?!”
“No, intendevo il Bocconiano, anzi il Boccalone…”
“Già – disse il canuto passandosi una mano sul volto – finito anche lui… E poi c’è quello scrittore… un ex estremista…”
“Sì, l’unico però che parla ancora con competenza di Sacre Scritture”
“E se noi non volessimo toglierci di torno?”
“Beh, le cose si complicherebbero un po’ e dovremmo mondarvi dai vostri peccati…”
“Quali?”
“ Quello dell’ipocrisia, soprattutto. Ex-comunisti che si fingono credenti ed ex-democristiani che fanno finta di non esserlo… tutti tra le braccia di Mammona. Dio che schifo!”
Allarmato, l’uomo dai capelli bianchi sgranò gli occhi “E come vorreste mondarci?”
“ Il contrappasso ci è stato sempre caro…”

La cosa stava andando per le lunghe e De Gennaro era risalito sulla Ford Falcon Verde*** che gli agenti argentini venuti in Italia si eran portati dietro. Quello che continuava a non capire era perché, durante quel giro per quelle contrade dell’Alta Italia, dopo aver caricato sul furgone carcerario alcuni parlamentari, diversi giornalisti, qualche sindaco, tecnici, un professore universitario in loden blu, mafiosi e trafficoni vari, dovessero continuare a portarsi dietro quell’altro autocarro. Carico di legna e di fascine. Ma nel frattempo Padre Eymerich era comparso sulla porta del palazzo e aveva fatto segno agli agenti di entrare.

* Riferimento agli avvenimenti contenuti nella puntata precedente: “Chiamate telefoniche

** Rerum Novarum è il titolo dell’enciclica sociale promulgata il 15 maggio 1891 da Leone XIII con la quale per la prima volta la chiesa cattolica prese posizione in ordine alle questioni sociali e fondò la moderna dottrina sociale cristiana. Compresa la possibilità per i cattolici di partecipare alla vita politica, soprattutto per impedire la diffusione degli ideali socialisti tra le masse diseredate.

*** Modello di automobile diventato tristemente famoso negli anni della dittatura argentina, quando veniva usato dagli agenti in borghese per prelevare e fare sparire gli oppositori politici.

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