AI – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 24 Nov 2024 21:00:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 La perdita della presenza https://www.carmillaonline.com/2023/01/07/la-perdita-della-presenza/ Sat, 07 Jan 2023 21:00:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=75240 di Gioacchino Toni

Dal momento che «la dimensione vitale, relazionale, sociale e comunicativa, lavorativa ed economica, è vista, agita e proposta come frutto di una continua interazione tra realtà materiale e analogica e la realtà virtuale e interattiva», Eugenio Mazzarella, Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis 2022), si chiede se «in nome delle “magnifiche sorti e progressive” della realtà virtuale, della realtà aumentata […] gestita dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale», non si stia sradicando la vita dell’essere umano, il suo «esserci, dall’essere-nel mondo di presenza fin qui abitato, promettendo un ampliamento degli spazi “vitali” [...]]]> di Gioacchino Toni

Dal momento che «la dimensione vitale, relazionale, sociale e comunicativa, lavorativa ed economica, è vista, agita e proposta come frutto di una continua interazione tra realtà materiale e analogica e la realtà virtuale e interattiva», Eugenio Mazzarella, Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis 2022), si chiede se «in nome delle “magnifiche sorti e progressive” della realtà virtuale, della realtà aumentata […] gestita dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale», non si stia sradicando la vita dell’essere umano, il suo «esserci, dall’essere-nel mondo di presenza fin qui abitato, promettendo un ampliamento degli spazi “vitali” accessibili all’esperienza individuale» (pp. 11 e 15).

Nel corso di una conferenza tenutasi il 28 ottobre del 2021, Mark Zuckerberg ha annunciato l’intenzione di voler superare il social network da lui creato costruendo un ambiente capace di fondere offline e online. Nonostante il progetto Metaverso sia stato presentato come novità volta a sostituirsi all’esistente, in esso è forse piuttosto individuabile uno sviluppo di un processo di ibridazione tra online e offline in corso da tempo e che sarebbe semplicistico ridurre ad aggiornamento del sistema di produzione-consumo pianificato a tavolino da qualche diabolica corporation, affondando le radici in una serie di innovazioni tecnologico-comunicative – dalle pretese ontologiche foto-cinematografiche, passando dalla televisione per poi giungere alla svolta digitale che, con i suoi sviluppi interattivi, plasma la contemporaneità – non per forza di cose progettate da qualche Grande Fratello ma, piuttosto, abilmente sfruttate e indirizzate a scopi profittevoli.

Rivoluzione o evoluzione che sia, sarebbe, dunque, riduttivo vedere nel progetto Metaverso una mera trovata commerciale, visto che, almeno nelle intenzioni di chi lo ha presentato, per quanto fumosamente, sembrerebbe piuttosto ambire a diventare una sorta di «“sistema operativo” delle nostre vite e della nostra società» (p. 17) risultando ben più invasivo di quanto le tecnologie siano sin qua state.

A quale ansia da “prestazione”, se vuole essere all’altezza di questo “mondo” digitale, sarà sospinto [l’essere umano] che conosciamo […]? Per tacere della già classica domanda nietzscheana strutturante il nostro rapporto con il passato, su quanta memoria, nei termini dell’onlife, della realtà ri-ontologizzata dal digitale, dalle ICT (cioè su quanti data, ovvero informazioni già date, quante tracce mnestico-cognitive magari affluenti in tempo reale, quello di una digitazione informativa) sia in sé capace di reggere l’hardware psico-biologico umano conosciuto; quello almeno che l’evoluzione fin qui ci ha consegnato nelle mani. Dietro una tale, inedita promesse de bonheur sembra celarsi una pulsione neo-gnostica (tecno-gnostica) che è vero e proprio disprezzo per il corpo, odio per la carne (p. 21).

Secondo lo studioso risulta quanto mai importante riflettere sul processo di dismissione del reale, sul transito nell’onlife innescato dai più tradizionali social web, con le sempre più evidenti degenerazioni in termini di alienazione sociale, esistenziale e percettiva «in obbedienza a un esse est percipi ormai declinato sempre più grazie al web in senso mediale-passivo come un essere percepiti che rimbalza e costruisce non solo il nostro percepire ma il nostro stesso percepirci. Il web essendo per comune ammissione la più potente tecnologia di manipolazione del sé sociale – individuale e collettivo – che si sia mai conosciuta» (p. 25).

Mazzarella individua dunque nel web «la nuova gleba a cui siamo asserviti […] racchiusa nel fazzoletto di terra di uno schermo che ci viene fornito a “casa”», uno stato di  gleba che entrerebbe a regime nel momento in cui il connubio tra AI (Intelligenza Artificiale) e ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) realizza «il transito definitivo dall’attuale struttura sintattica dell’AI al suo farsi struttura semantica autonoma (significante, significativa, e produttiva di senso). Non più semplice “intelligenza” computazionale in senso ingegneristico, capace di riprodurre l’agere, il fare che è stato programmato, ma intelligenza para-umana in senso proprio, produttiva cioè del senso che, per quanto efficiente computazione, ancora non è capace di filare da sé al pari di quella particolare macchina biologica che siamo […] e che la macchina vorrebbe imitare» (pp. 26-27).

Se il processo di dissolvimento della presenza, di relazione sociale offline, non può dirsi “derivato” dalle misure di distanziamento messe in atto per contenere la recente pandemia, è innegabile che queste hanno comportato un’accelerazione in tale direzione conducendo a un livello di onlife da cui sembra difficile poter tornare agevolmente indietro proprio perché non di “svolta improvvisa” si è trattato ma di un più “lungo” sviluppo che, innovazione dopo innovazione, senza per forza essere stato progettato da una “centrale di comando”, si è costituito in immaginario largamente condiviso del quale non solo si preferisce non guardare gli effetti negativi ma da cui non si intende rinunciare.

Occorre, sostiene Mazzarella, prendere atto che «la “quarta rivoluzione” dell’infosfera è un passaggio epocale nella storia dell’alienazione intrinseca all’umano nel rapporto con i suoi mezzi, con l’ambiente – che lo con-costituiscedella sua strumentalità: l’esteriorizzazione essenziale al suo esserci, il suo ontologicamente costitutivo portarsi fuori da sé (il suo trascendersi) che gli ritorna addosso determinandolo (codeterminandolo con la sua base biologiconaturale) nel suo Sé» (p. 60).

Se non è attraverso il “luddismo digitale” che si potranno cambiare le cose – non di meno questo, come tutti i luddismi, avrebbe le sue ragioni, ammette lo studioso – occorre almeno porsi politicamente contro un’ulteriore riduzione dell’umano a protesi della tecnica e «difendere l’essenziale del “mondo di ieri”, il carattere di presenza dell’individualità umana non surrogabile dalla sua digitalizzazione, dalla sua implementazione virtuale quanto a definirne la “realtà”» (p. 98).

Di certo con questo intrecciarsi di prodigi digitali si è giunti a un punto di svolta circa il carattere presenziale della natura umana, il suo essere.

Un passaggio epocale che riguarda il modo in cui l’esserci umano ci-è a sé stesso, agli altri e al mondo, e cioè vincolato alla realtà come presenza di sé e delle cose; un modo sempre più sospinto nella presenza atona del digitale intesa come virtualità, che non è irrealtà ineffettuale, bensì una potenza, una forza, una virtus, estranea al qualcosa in cui si mette in atto […]. Virtus che quindi, implementando questo qualcosa, ne muta la natura, l’essenza nelle sue potenzialità, facendo del qualcosa implementato, quando non lo annichili in un’altra cosa, una protesi della sua autoattuazione come realtà. Che è lo scenario di rischio di quel qualcosa che siamo noi, il qualcuno. […]
È difficile pensare che una virtualità così invasiva del nostro esserci quotidiano possa essere gestita con la riserva mentale autoconsolatoria che possiamo sempre premere il pulsante dell’on/off in modo reversibile, riassorbendo i tempi brevi dell’esposizione del nostro sistema, della nostra “energia iniziale”, alle particelle virtuali che noi stessi avremo generato, per altro immaginando un’AI che possa anche generarle autonomamente.
È questo l’orizzonte di rischio antropologico che in un mondo intramato di reti artificiali e di AI abbiamo davanti. Con in aggiunta un altro potente strumento di disabilitazione della presenza come “presenza a noi stessi” in capo alla padronanza di noi come abilità innanzi tutto deliberativa e morale; e cioè le neuroscienze, già attrezzate a venire in soccorso dello stress di questa distopia dell’umano nell’universo digitale, di questa dislocazione dalla presenza finora abitata dal nostro esser-ci. A stupefarci con una farmacologia che da riparativa si propone da tempo ampiamente come possibilità di riprogrammare la stessa psichicità umana (pp. 109-112).

A rivelare la portata dell’incidenza delle tecnologie digitali sull’identità stessa dell’essere umano può essere, ad esempio, quel senso di disagio prodotto dall’uso continuativo di piattaforme per il lavoro o la formazione a distanza accresciuto in maniera esponenziale durante la fase di distanziamento adottato in risposta alla recente pandemia. Secondo le neuroscienze, ricorda Mazzarella, tale malessere è determinato dallo “spiazzamento” subito da una serie di neuroni (place cell e border cell) che si attivano quando si occupa una posizione nell’ambiente permettendo di orientarsi nello spazio. L’individuo costruisce la sua identità attraverso il ricordo degli accadimenti e delle persone presenti nei luoghi frequentati; quando si vivono “luoghi multipli” – si è contemporaneamente in una stanza e sullo schermo in videoconferenza – il cervello umano, sempre stando alle neuroscienze, non riesce a identificare le piattaforme di presenza digitale come luoghi, dunque non collega le esperienze vissute sullo schermo con la memoria autobiografica e ciò fa vivere una sensazione di “eterno presente digitale” che non lascia segni, dunque non sviluppa identità.

Sarebbe, in definitiva, tale cancellazione della presenza, con i suoi riflessi sull’identità, a procurare il senso di disagio vissuto nell’overdose digitale contemporanea. Le ricerche relative allo “stress da lavoro correlato” andrebbero aggiornate tenendo conto che questa, a maggior ragione dovesse andare in porto il Metaverso fantasticato da Zuckerberg, potrebbe presto diventare una fonte importante di malessere legato alle condizioni di lavoro.

Se da un lato la sparizione dei corpi, della loro comunione quotidiana, della carnalità del nostro spirito, sembra consegnarci a «una relazionalità di pura ragione, magari produttiva», dall’altro

è proprio per come siamo “incarnati” che possiamo contare sul fatto che non andrà così, e non deve andare così. Perché sarà proprio la nostra costitutiva “anima bassa”, sensitiva, volitiva, quella che ogni progetto di “vita buona” ha sempre voluto e dovuto domesticare, a salvarci come lo spirito che siamo. Saremo salvati – questo è il felice paradosso di questa congiuntura del distanziamento sociale – dai sensi bassi, come sensi della prossimità, di una prossimità insopprimibile: dall’olfatto, dal gusto, dal tatto. Da quanto della nostra cinestesi corporea non è “viralizzabile”, dislocabile sul virtuale-reale della relazione di distanza (la vista e l’udito). E che ci trattiene presso noi stessi, nello stesso dialogo con noi che la storia del genere ci ha approntato. Perché “io” è una costruzione conquistata alla coscienza, nella coscienza; perché “io” non ho solo relazioni, ma sono relazione, anche però con me stesso, il me stesso dell’intimità, del foro interno della coscienza (di cui l’invocazione della privacy oggi nell’infosfera è un ben debole schermo di difesa) che ho costruito e che il decentramento nel virtuale sta tacitando, facendo sempre più parlare il sé omologato e controllato costruito dalle ICT e dall’AI come tecnologie del Sé.
La nostra umanità relazionale sarà salvata dall’incomprimibilità espressiva dei corpi, dell’anima bassa (pp. 66-67).

Mazzarella invita a cercare la possibile salvezza da questa deriva che riduce l’umano a protesi della tecnica proprio in quella fisicità che se storicamente il potere ha preteso di addomesticare, ora le tecnologie potrebbero letteralmente cancellare.

Contro Metaverso ha il merito di tracciare sinteticamente la portata del cambiamento in atto evidenziando come questo stia nei fatti, già da tempo, lavorando alla cancellazione della presenza, dunque della centralità che vengono ad assumere i corpi in una lotta che più che di resistenza assume il carattere di una vera e propria lotta per la sopravvivenza dell’essere umano. E non sarà sufficiente cambiar di segno all’impianto o sostituire la bandiera sul palazzo.

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Culture e pratiche di sorveglianza. Tecno-magie nell’età della verosimiglianza https://www.carmillaonline.com/2021/11/15/culture-e-pratiche-di-sorveglianza-tecno-magie-nelleta-della-verosimiglianza/ Mon, 15 Nov 2021 22:00:22 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=69020 di Gioacchino Toni

«nella società tecnologica, la percezione è più importante dei dati e persino dei fatti, perché misura l’assenso dei singoli all’opinione pubblica fondata sull’informazione […] la percezione è data dall’imprevedibilità e dall’emotività delle persone, condizionata dall’opinione pubblica dei media, a loro volta moneta dei poteri, dei quali essa rappresenta le visioni» (pp. 113-114). Così scrive in un suo recente libro Carlo Carboni, Magia nera. Il fascino pericoloso della tecnologia (Luiss University Press, 2020) focalizzandosi su come, nell’ibridazione contemporanea tra reale e virtuale, si viva in una meta-realtà verosimle, in una realtà aumentata che, attraverso dispositivi digitali, interagisce nella costruzione [...]]]> di Gioacchino Toni

«nella società tecnologica, la percezione è più importante dei dati e persino dei fatti, perché misura l’assenso dei singoli all’opinione pubblica fondata sull’informazione […] la percezione è data dall’imprevedibilità e dall’emotività delle persone, condizionata dall’opinione pubblica dei media, a loro volta moneta dei poteri, dei quali essa rappresenta le visioni» (pp. 113-114). Così scrive in un suo recente libro Carlo Carboni, Magia nera. Il fascino pericoloso della tecnologia (Luiss University Press, 2020) focalizzandosi su come, nell’ibridazione contemporanea tra reale e virtuale, si viva in una meta-realtà verosimle, in una realtà aumentata che, attraverso dispositivi digitali, interagisce nella costruzione dell’ambiente sociale.

I media informativi tendono a selezionare in base alla possibilità di colpire l’emotività degli individui [su Carmilla] e lo fanno dettando l’agenda delle priorità attraverso un bombardamento di messaggi tale da rendere sempre più difficile individuare i fatti “più importanti” all’interno di una marea d’informazioni effimere, esasperando e persino, soprattutto sul web, mentendo pur di intercettare audience da poter vendere sul mercato pubblicitario.

La percezione è condita dall’imprevedibilità delle emozioni, ma è anche subalterna all’opinione pubblica, detentrice di una sorta di potere di verosimiglianza: quella che trasfigura ingigantendo i dati oggettivi al punto da suscitare percezioni esagerate sulla scorta di veloci emozioni, più che in base a riflessioni che richiedono un tempo che, nel presente, pur “aumentato” non c’è. […] Paure e incubi suscitano allucinanti alte maree negli spazi mediatici. Essi funzionano non solo per il potere politico, ma anche per i poteri mediatici e per tutti coloro che sono deputati alla protezione e alla soft persuasion dei cittadini (p. 114.).

La stretta attualità sta mostrando diversi punti di contatto tra le “strategie emotive” di comunicazione/informazione cosiddette manistream e quelle attaute dai canali che si dicono alternativi alla narrazione dominante. Si possono leggere a tal proposito, con riferimento alla vicenda pandemica, alcune acute riflessionim a firma Guy Van Stratten sulla speculare costruzione di “immaginari tossici” costruiti attraverso modalità comunicative iperboliche non così dissimili [su Codice Rosso], così come del tutto analogo, evidenzia l’autore, è risultato il ricorso a una simboligia patriottica [su Codice Rosso]. Al di là dello specifico, si tratta di questioni di una certa rilevanza che pongono, inoltre, ancora una volta, interrogativi circa l’indicdenza del medium, accuratamente contestualizzato, sulle modalità comunicative e sui contenuti stessi attraverso esso esprimibili efficacemente.

Tornando al volume di Carboni, questo si sofferma tanto sul fascino, anche estetico, esercitato dalla tecnologia sugli individui, quanto sulle modificazioni cognitive e sulle alterazioni di mentalità da essa comportate. In particolare una parte importante delle sue riflessioni ruota attorno al concetto di “verosimiglianza”. «La società tecnologica è verosimile: è la società dove regnano sovrane le percezioni metabolizzate in opinione pubblica tramite i media; quindi, una società maggiormente soggetta al pericolo di percezioni sbagliate» (p. 15).

Maggiore è il grado di sofisticazione tecnologica, maggiore è la propensione umana, nell’impossibilità di comprenderne il funzionamento, allo stupore e alla credenza nei confronti di quelle che vengono percepite come magie del progresso tecnologico. Se da un lato si è propensi a credere che le nuove tecnologie «compiranno la magia delle magie: salvare il pianeta dalle insidie delle esplosione demografiche, dal degrado ambientale e atmosferico. Salvare il pianeta da quanto commesso fio ad ora dall’uomo contro di esso» (p. 19), dall’altro si diffondono incertezze e paure derivate dall’impossibilità di comprendere. «La società tecnologica si presenta come ambivalente, paradossalmente, con la sua duplicità di effetti scontati e inattesi, razionali e magici, rituali e caotici, mentre la società, come direbbe Émile Durkheim, perde “spessore morale”, non ha più la capacità di definire identità» (p. 22).

La diffusione delle nuove tecnologie, oltre a comportare una serie di problemi ruotanti attorno alla sostituzione del lavoro umano e a nuove forme di imprenditorialità e di sfruttamento, amplifica l’impossibilità per la gente di comprendere quanto stia realmente accadendo.

Il senso di connessione – non i sogni, per ora utopici, dell’intelligenza collettiva o inter-connettiva – è diventato un nostro istinto primario, che sistematicamente anteponiamo a stazioni e relazioni vis à vis. Il senso di connessione è ormai un sistema passante della nostra mente. È una traccia, una prova importante che per circa due miliardi di persone la fusione di reale e virtuale sta partorendo una nuova mentalità (p. 23).

La mentalità derivata dall’utilizzo delle tecnologie come protesi di empowerment individuale, sottolinea Carboni, tende a offuscare, non a cancellare, altre dimensioni come quelle socioeconomiche, civili ecc., dimensioni che vengono scarsamente percepite in quanto nelle reti relazionali tecnologiche i “fattori di contesto” tendono a collassare sebbene, in una sorta di processo di resilienza, non a sparire totalmente.

Numerose relazioni sociali e civiche sono andate incontro a una dematerializzazione, a una virtualizzazione attuata dalle nuove tecnologie non di rado sostenuta da un effettivo compiacimento e rapimento degli utenti che ne fanno uso. A rendere la partecipazione politica sempre meno reale hanno indubbiamente contribuito i media, dalla televisione al web, nel loro spingere verso il superamento delle vecchie forme di partecipazione attiva e in presenza [su Carmilla]. La partecipazione diretta ai partiti politici novecenteschi è stata in parte surrogata dalla capacità d’informazione – assai poco critica – dei media [su Carmilla]. «È l’odierna meta-realtà verosimile, in cui realtà individuale, socioeconomica, civica, culturale girano assieme alle infinite finestre e app della realtà virtuale» (p. 24).

Se nel Novecento la tecnologia più innovativa apparteneva soprattutto all’ambito militare o all’automazione industriale, oggi sembra piuttosto focalizzarsi su quelle forme di capitalismo legate alle piattaforme del web che hanno in Google, Apple, Amazon, Facebook e Microsoft, le five stars del firmamento statunitense, ammesso abbia ancora senso collocarle geograficamente. Questi colossi stanno costruendo un’architettura d’intelligenza artificiale “messa a servizio” delle attività umane e al tempo stesso capace di “mettere a servizio” queste ultime [su Carmilla].

La società sembra aggrappata alla fede nella tecnologia e mostra acquiescenza nei confronti del determinismo tecnologico di cui si fanno alfieri i signori della Silicon Valley. Scienza e tecnologia divengono fattori centrali di produzione e lavoro, per cui influenzano tutto ciò che facciamo […] In definitiva, la tecnologia è l’ambiente delle nostre attività economiche e riproduttive, in cui siamo sempre più immersi, sopo la cesura ottocentesca tra scienza e valori religiosi (p. 38).

Se da un lato nemmeno l’avverarsi di eventi distopici o tecnofobici, il succedersi di scandali, il palesarsi di un cinismo affaristico che non esita a insinuarsi sin negli aspetti più reconditi degli esseri umani, sembrano scalfire il fascino dell’avanzata digitale, dall’altro lato il timore della perdita del controllo sulle tecnologie non manca di far presa sugli individui. Si tratta di una paura ricorrente nel mondo tecnologico e più quest’ultimo è complesso, dunque meno di esso è dato di comprendere, maggiormente si risvegliano paure profonde. Non a caso si sono sedimentate paure nei confronti di un “super-sistema di sorveglianza”, una sorta di “grande burattinaio” solitamente individuato in qualche centro di potere politico-finanziario che può assumere le vesti di un’entità di gruppo (G8, G20, Banca Mondiale, FMI… ma anche Big-Pharma, Big-Data, ecc.) o di una singola personalità (Geroge Soros, Bill Gates ecc.) in linea con la classica incapacità di mettere sotto accusa un intero modello di produzione.

Riprendendo James Beniger, The Control Revolution. Origins of the Informtion Society (Harvard University Press, 1986), convinto che lo sviluppo ottocentesco delle tecnologie comunicative derivi da una “crisi di controllo”, la società dell’informazione con le sue mirabolanti tecnologie può essere intesa come una rivoluzione volta alla riconquista del controllo sulla vita sociale dell’individuo. In tale ottica i sistemi di profilazione, controllo e direzione [su Carmilla] caratteristici dell’attuale società dell’informazione appaiono come l’ennesima tappa di un processo, che ha conosciuto un vero e proprio punto di svolta con l’avvento della società industriale, indirizzato alla costruzione di una nuova infrastruttura di controllo.

Il risultato, con ogni probabilità, sarà maggior controllo e dipendenza dei mercati delle five stars digitali targate USA (o del BAST cinese). Di conseguenza, dietro al partnership dei data flows, visti come precondizione per lo sviluppo tecnologico di un paese, si nasconde un nuovo tipo di colonizzazione sistemica. Colossi come Europa, India e Brasile, per ora, subiscono le azioni dei big five del digitale […]. Solo la Cina sta cercando di creare strutture di governance e d’investimenti necessari per costruire una nuova architettura pubblica per l’AI (p. 43).

Carboni si sofferma anche sull’individualismo amorale e cinico che abita il web. Sebbene “narcisismo individualista” e “solitudine di massa” possano dirsi alimentati e favoriti dalle recenti novità tecnologiche, di per sé questi erano già stati abbondantemente diffusi dalla cultura neoliberista degli anni Ottanta incentrata proprio sull’individualismo e sul rigetto nei confronti della società; si pensi a quanto in tal senso – sia a livello materiale che di immaginario – ha spinto sull’acceleratore Margaret Thatcher.

Se da un lato il sovraccarico informativo e la frenesia di aggiornamento dei media, soprattutto del web, hanno contribuito ad attenuare le capacità d’attenzione e di selezione, dall’altro però, sottolinea Carboni, la rete ha anche spalancato un altro mondo all’individuo. L’individualismo interconnesso non è per forza la fine delle relazioni sociali ma può anche essere una modalità con cui ricostruirle. Esiste anche un individualismo «che ricostruisce trame relazionali sociali anche grazie alla rete, consapevole che le divisioni economiche continuano a pesare anche in rete (livelli d’istruzione, diseguaglianze socioeconomiche)» (p. 56). Un individualismo consapevole del contesto in cui opera e che tenta di costruire una sua trama sociale.

Negli ultimi decenni la società occidentale, anche sulla spinta dell’innovazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ha visto un indebolirsi del senso di appartenenza individuale al collettivo in favore di un senso di connessione virtuale con una moltitudine planetaria di individui [su Carmilla].

In questo scenario, l’individuo perde la capacità di apprendere dall’altro e dal mondo sociale e la sua immagine trasloca nella nuova dimensione in cui il confine tra reale e virtuale diventa sempre più sottile fino alla fusione dei due mondi. La società diviene una matassa di percezioni e reti semiotiche interne a un ambiente tecnologicamente costruito. Il senso di connessione, per cui siamo aperti a tutti, prevale sul rapporto comunicativo in presenza […] La connessione diventa indispensabile: non ne potremmo fare a meno, se non al prezzo di cadere in un’ansia da spaesamento come chi è fuori controllo operativo. È l’ansia di non disporre del controllo che testimonia la forza persuasiva dei poteri tecnologici di regolazione e sorveglianza nella società mondo (pp. 79-80).

I colossi tecno-economici hanno saputo tanto intercettare quanto favorire un paradossale desiderio di libertà “ottenuto” in cambio del sottostare/contribuire a un meccanismo di sorveglianza. L’individuo sembra soddisfare il suo desiderio di vagare “liberamente” tra i fantasmagorici scenari tecnologici usufruendo dei suoi mirabolanti “servizi” cercando di non guardare troppo all’avere, nei fatti, accettato di farsi spiare e spia allo stesso tempo. [su Carmilla]

Esiste, sostiene Carboni, una forte relazione «tra cambiamento tecnologico e metamorfosi dell’ordine sociale, con un grande abbraccio a tre con l’economia/finanza. […] Le tecnologie hanno contribuito a destrutturare – a rendere liquida, nei termini baumaniani – la società, mettendo in secondo piano la sua concreta morfologia (l’articolazione socioeconomica) e la sua civicness (il suo spessore morale direbbe Durkheim), la società della cittadinanza attiva e competente» (p. 80).

In un tale contesto ai legami di classe o gruppo sociale tendono a sostituirsi legami individuali all’interno di piccole ed effimere comunità sul web. A rafforzarsi è la dimensione tecnologica del sociale «come contesto distintivo di una nuova epoca sociale d’individualità multidimensionali» (p. 80). La rete ha sostituito il gruppo nell’agire da motore principale di socializzazione dell’individuo [su Carmilla].

Sin dagli anni Ottanta i gruppi sociali hanno via via abbandonato forme di solidarietà dinamica, tese alla conquista di maggiori risorse e alla loro ridistribuzione, in favore di modalità difensive, votate alla conservazione di quanto precedentemente ottenuto. La morfologia sociale contemporanea appare iper-stratificata, segnata da un incremento delle diseguaglianze socioeconomiche, della povertà e dal dissolvimento della classe media. L’isolamento dei tanti “connessi ma soli” deriva sicuramente dalla differenziazione sociale e individuale a cui hanno di certo contribuito le nuove tecnologie della comunicazione ma è pure, sottolinea Carboni,

risultato della multidimensionalità di status (socioeconomico, politico, tecnologico, culturale) in cui l’individuo si trova a vivere le sue verità esistenziali, all’incrocio tra i tradizionali fattori culturali-istituzionali e l’azione presente. La mano invisibile dell’impatto delle NT [Nove Tecnologie] sul sociale si osserva anche sulle diseguaglianze tra ceti medi vincitori e ceti medi vinti (p. 102).

L’impatto delle nuove tecnologie, nel loro porsi come motore della globalizzazione al cambio di millennio, sul lavoro, sull’acuirsi delle diseguaglianze, sui fenomeni migratori e sulla crisi dei ceti medi è sicuramente rilevante. A proposito di quest’ultima crisi, Carboni sottolinea come la frantumazione della middle class tradizionale comporti vinti e vincitori. Ed è proprio da questi ultimi che sembrano far capolino i «nuovi ceti medi science & tech oriented, del sapere esperto, della consapevolezza del senso del proprio sapere» (p. 106), verso cui cui lo studioso ripone una certa fiducia.

Dopo la transizione nella prima parte del nuovo secolo, in cui appare liquida alla percezione o finita come nelle parole di Alain Touraine o ridotto a “sciame” delle configurazioni imprevedibili, come nella visione del digitale di Byung-Chul Han, la società tornerà ad avere una sua architettura disegnata dalle NT. Le nuove tecnologie […] stanno creando una nuova orditura sociale: danno allo “scheletro” nuovi nervi e muscoli. Competenti e connessi: ecco come saranno i ceti medi del XXI secolo, centrali, perché da essi dipenderanno l’applicazione e le decisioni operative nelle imprese, nei grandi apparati pubblici, nell’informazione, nella politica, nella giustizia, nei servizi, nelle grandi infrastrutture di rete e di AI (p. 106).

Se è difficile riporre la medesima fiducia di Carboni nei confronti di questa futura techno élite, più facile convenire con lo studioso circa il fatto che è attraverso le nuove tecnologie che si sta costruendo l’architettura sociale presente e futura. Resta il problema di come poter incidere contro le vecchie e nuove dinamiche di sfruttamento presenti in questa società tecnologica, se non tecnocratica, della profilazione, del controllo e della direzione, dell’iperconnesione diffusa, dell’esibizione obbligata, della meta-realtà verosimile, della realtà aumentata, dei quadri science & tech oriented intenti a organizzare, magari a suon di accattivanti app, l’altrui esistenza, dei connessi ma soli, della solitudine di massa in balia della magia tecnologica e della paura. Di fronte a tanta complessità, un’unica ceretezza: di certo non sarà una magia delle magie – tecnologica o di altro tipo – a cambiare le cose.

 

Bibliografia

  • Calzeroni Pablo, Narcisismo digitale. Critica dell’intelligenza collettiva nell’era del capitalismo della sorveglianza, Mimesis, Milano-Udine, 2019.
  • Carboni Carlo, Magia nera. Il fascino pericoloso della tecnologia, Luiss University Press, Roma, 2020.
  • Castoro Carmine, Il sangue e lo schermo. Spettacolo dei delitti e del terrore Da Barbara D’Urso all’ISIS, Mimesis, Milano-Udine, 2017.
  • Dal Lago Alessandro, Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017.
  • Drusian Michela, Magaudda Paolo, Scarcelli Cosimo Marco, Vite interconnesse. Pratiche digitali attraverso app, smartphone e piattaforme online, Meltemi, Milano,2019.
  • Lyon David, La cultura della sorveglianza. Come la società del controllo ci ha reso tutti controllori, Luiss University Press, Roma, 2020.
  • Vaccaro Salvo, Gli algoritmi della politica, elèuthera, Milano, 2020.
  • Van Stratten Guy, Covid, Vaccini e immaginari alterati, in Codice Rosso, 15 settembre 2021.
  • Id., Patriottismo e tricolore ai tempi della pandemia, in Codice Rosso, 22 ottobre 2021.
  • Veltri Giuseppe A., Di Caterino Giuseppe, Fuori dalla bolla. Politica e vita quotidiana nell’era della post-verità, Mimesis, Milano-Udine, 2017.
  • Zuboff Shoshana, Il capitalismo della sorveglianza. Il Futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma, 2019.

Su Carmilla – Serie completa Culture e pratiche della sorveglianza

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Una nuova elettricità https://www.carmillaonline.com/2021/04/28/una-nuova-elettricita/ Wed, 28 Apr 2021 21:00:47 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65907 Francesco D’Abbraccio, Andrea Facchetti (a cura di), AI & Conflicts Volume 1, Krisis Publishing, Brescia 2021, pp. 224, 20 euro

Ancora una volta la piccola, ma sempre interessante, Krisis Publishing di Brescia coglie nel segno con un testo sugli sviluppi attuali dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (AI) nei settori della comunicazione, dell’economia, della conoscenza e dell’arte. Lo fa non accontentandosi però dei soliti luoghi comuni a favore o contro lo sviluppo dei sistemi relazionali o di controllo resi possibili dalla stessa, ma sottolineando in maniera particolare il conflitto o i conflitti che derivano dal [...]]]> Francesco D’Abbraccio, Andrea Facchetti (a cura di), AI & Conflicts Volume 1, Krisis Publishing, Brescia 2021, pp. 224, 20 euro

Ancora una volta la piccola, ma sempre interessante, Krisis Publishing di Brescia coglie nel segno con un testo sugli sviluppi attuali dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (AI) nei settori della comunicazione, dell’economia, della conoscenza e dell’arte. Lo fa non accontentandosi però dei soliti luoghi comuni a favore o contro lo sviluppo dei sistemi relazionali o di controllo resi possibili dalla stessa, ma sottolineando in maniera particolare il conflitto o i conflitti che derivano dal suo uso.

Scrivono i due curatori nell’introduzione:

L’intelligenza artificiale (AI) occupa una posizione chiave nell’ecosistema culturale contemporaneo. È una risorsa fondamentale per interpretare il mondo e per interagire con le grandi architetture di dati che lo popolano.
Nel 2016, un’era geologica fa in questo ambito, Andrew NG, professore a Stanford ed ex direttore di Google Brain, ne celebrava l’imminente avvento: “Come l’elettricità ha trasformato quasi tutto cento anni fa, fatico ad immaginare un settore che non verrà trasformato dall’AI nei prossimi anni”. Ebbene, il cambio di paradigma previsto da NG sembra oggi essere già in atto. L’AI non riguarda più il nostro futuro, ed è impiegata negli ambiti più disparati dell’attività umana, dalla medicina all’industria, dalla finanza alla domotica, dal marketing alla guerra. Non solo: essa modella il modo in cui sperimentiamo il mondo. Reti neurali e algoritmi “intelligenti” sono ampiamente utilizzati per rilevare, classificare e mappare il nostro comportamento, riconoscere le nostre emozioni, e influenzare le nostre scelte. Lavorano come “curatori invisibili” 1, prescrivendo ciò che dovremmo vedere, ascoltare, leggere e comprare. Ci sorvegliano, plasmano la nostra comprensione della realtà sociale e politica, e contribuiscono in definitiva a costruire il nostro quadro cognitivo. Essi intervengono inoltre nella creazione, nella manipolazione e nella disseminazione dei media e dei dispositivi di interazione sociale.
Un simile cambiamento non è certo passato inosservato alle attenzioni della critica. Negli ultimi anni, un’intera generazione di artisti, ricercatori e professionisti ha indagato la natura dei sistemi AI e delle loro relazioni con i contesti in cui opera2.

Proprio per questo motivo, in questo primo volume, i due curatori si sono avvalsi dei testi prodotti da FINN BRUNTON che insegna Media, Culture and Communication alla NYU Steinhardt dove si occupa di storia e teoria dei media digitali; KATE CRAWFORD, ricercatrice presso il Microsoft Research Lab e co-fondatrice dell’AI Now Institute della New York University, il primo istituto universi­tario dedicato alla ricerca sulle implicazioni sociali dell’intelligenza artificiale; SOFIA CRESPO, un’importante artista nel campo dell’arte AI; VLADAN JOLER insegnante presso il dipartimento di New Media (Università di Novi Sad), è a capo di SHARE Lab, un laboratorio di ricerca che esplora gli aspetti tecnici e sociali dello sfruttamento del lavoro digitale, delle infrastrutture invisibili e delle black box; LEV MANOVICH, uno dei più importanti teorici dei media studies; FEILEACAN MCCORMICK, un artista e ricercatore norvegese; HELEN NISSENBAUM, insegnante presso il Dipartimento di Scienze dell’Informazione della Cornell University; TREVOR PAGLEN, artista e ricercatore statunitense il cui lavoro si muove tra i confini di scienza, arte, giornalismo e tecnologia; MATTEO PASQUINELLI docente di Filosofia dei media all’Università di Arte e Design di Karlsruhe; SALVATORE IACONESI e ORIANA PERSICO che sono autori di diverse performance, pubblicazioni e opere esposte in tutto il mondo e lavorano insieme dal 2006; EYAL WEIZMAN che insegna Spatial and Visual Cultures presso la Goldsmiths University of London.

Come suggerisce il titolo, è il conflitto a dominare il discorso, nelle varie forme che è destinato ad assumere con l’applicazione dell’AI nel contesto di un capitalismo globalizzato che, più che tardo come qualcuno si ostina a chiamarlo oppure neo-liberale, si rivela semplicemente ancora una volta capace di trasformare, sempre più in profondità, le relazioni tra individuo e società, società e ambiente, conoscenza e controllo sociale, in funzione di un’accumulazione che sembra non potersi mai fermare. Una ricerca esasperata di nuove forme di estrazione di plusvalore e plusvalenze che stravolge tutti gli assetti economico-sociali e cognitivi, dal rapporto sempre più distruttivo con l’ambiente alle forme di conoscenza che ne derivano.

L’immagine dell’AI come un’ingombrante scatola nera che si inserisce nel tessuto ambientale e sociale globale introduce il terzo termine che dà titolo a questo volume. All’interno dei dispositivi e delle infrastrutture AI si nascondono infatti innumerevoli conflitti che, come abbiamo detto, investono l’intero ecosistema contemporaneo. La dimensione politica dell’AI va intesa come un campo di forze attraversato da vettori umani e non umani che, spesso in contrasto tra loro, generano frizioni, tensioni e conflitti: “l’intera
Realtà (proprio come la Storia) è un campo di battaglia, in cui miriadi di agency sono perennemente in lotta per affermare nuovi sistemi di interdipendenza”.
[…] Il primo conflitto ad emergere dal tentativo sopra descritto riguarda le condizioni, materiali e non, che abilitano l’ecosistema dell’AI. La comunità scientifica ha ricondotto l’emergere prepotente dell’intelligenza artificiale negli ultimi 20 anni ad almeno due recenti eventi significativi: l’aumento esponenziale della capacità di calcolo, grazie soprattutto allo sviluppo di schede video di nuova generazione, e l’enorme disponibilità di informazioni verso cui la computazione viene rivolta. Entrambi questi accadimenti affondano le proprie radici nello sviluppo industriale del XIX secolo e si sono consolidati nel corso del XX in due forme diverse, ma affini, di estrattivismo.
L’industria dell’hardware, necessaria ad alimentare i processi di apprendimento, è il prodotto dell’estrattivismo materiale, analizzato soprattutto nel saggio di Crawford e Joler. Come dimostra il caso del palaquium gutta riportato nel loro Anatomia di un sistema AI, lo sfruttamento delle risorse materiali — con conseguente distruzione di interi ecosistemi e interruzione di processi geologici millenari — non è solo un prodotto dell’infrastruttura AI: è condizione imprescindibile per la sua stessa esistenza. Visualizzare l’anatomia di un assistente vocale domestico e le storie di sfruttamento che vi si annidano diventa dunque un atto insieme linguistico e politico, che coinvolge cioè la sua narrazione e la nostra possibilità di comprenderlo e metterlo in discussione. È un gesto, questo, che si pone in aperta opposizione con “la metafora eterea del ‘cloud’” e che cerca invece di far emergere “la realtà fisica delle estrazioni minerarie e dell’espropriazione di intere popolazioni che la rendono possibile” (p.61).
L’industria che gravita intorno alla produzione, alla raccolta e alla distribuzione dei dati si rifà invece ad un altra forma di estrattivismo. Un estrattivismo cognitivo si sovrappone a quello materiale. Anche se il primo data center venne costruito nel 1965, è con la nascita e l’esplosione di massa del World Wide Web che vengono creati i presupposti per la società dei big data. Da allora, in pochi decenni la produzione di dati è diventata un’attività parassita, che si annida in qualsiasi ambito dell’agire umano: dalla tessera fedeltà del supermercato all’abbonamento alla metropolitana, dall’account su un social network al navigatore GPS. Ciascuna di queste attività genera dei dati che “possono essere impacchettati, venduti, raccolti, organizzati e acquisiti in molti modi, e infine riutilizzati per ragioni di cui noi, i sorvegliati, non siamo a conoscenza e a cui non abbiamo dato approvazione” (p.117). Nel loro saggio, Brunton e Nissenbaum ci mettono in guardia di fronte alle condizioni di profondo disequilibrio che sempre accompagnano questo tipo di attività: una asimmetria sia epistemica (“non sappiamo cosa ne sarà delle informazioni prodotte attraverso questo processo, né dove andranno o quale sarà il loro utilizzo”) che di potere (“raramente possiamo decidere se essere monitorati o no, cosa succede alle informazioni che ci riguardano e cosa accade a causa di queste informazioni”, p.118).
Appare dunque chiaro come l’emergere delle tecnologie AI sia già inscritto all’interno di un campo di forze che si articola secondo il modello dell’estrattivismo. Secondo Sandro Mezzadra e Brett Nielson3 esso costituisce il paradigma dello sviluppo capitalista e neoliberista del XXI secolo, e ci costringe a estendere il concetto stesso di estrazione per considerare “non solo l’appropriazione delle risorse naturali, ma anche, e per certi versi soprattutto, i processi che sfruttano la cooperazione umana e l’attività sociale”4.


  1. “The invisible curation of content. Facebook’s news feed and our information diets”, World Wide Web Foundation (aprile 2018), https:// webfoundation.org/research/ the-invisible-curation-of-con­tent-facebooks-news-fe­ed-and-our-information-diets/  

  2. Francesco D’Abbraccio, Andrea Facchetti, Una nuova elettricità, introduzione a F. D’Abbraccio, A. Facchetti (a cura di), AI & Conflicts Volume 1, Krisis Publishing, Brescia 2021, p. 13  

  3. Sandro Mezzadra e Brett Nielson, On the multiple frontiers of extraction: excavating contemporary capitalism, Cultural Studies 31 (2017), pp.185-204  

  4. F. D’Abbraccio, A. Facchetti, op. cit., pp. 20-23  

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Zerodue. https://www.carmillaonline.com/2018/12/09/zerodue/ Sat, 08 Dec 2018 23:01:36 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=49901 di F. Cane Barca [Immagine di Nicolò Gugliuzza]

quattro mesi oggi nello spazio. vai a sapere che è, se è fortuna illividire sotto queste lune nuove, o iella. ho le palpebre di legno, ferme aperte. non so nulla di comete, intelligenza artificiale e terraformazione …che vendevo i fiori e robbume da giardino, nemmeno di quello sapevo molto, facevo i migliori mazzi in città e questo garantiva la buona clientela, e il cibo in tavola, ma dell’infinito universo che devo saperne, e se qualche bullone salta, se qualche algoritmo balbetta o [...]]]> di F. Cane Barca
[Immagine di Nicolò Gugliuzza]

quattro mesi oggi nello spazio.
vai a sapere che è, se è fortuna illividire sotto queste lune nuove, o iella.
ho le palpebre di legno, ferme aperte.
non so nulla di comete, intelligenza artificiale e terraformazione …che vendevo i fiori e robbume da giardino, nemmeno di quello sapevo molto, facevo i migliori mazzi in città e questo garantiva la buona clientela, e il cibo in tavola, ma dell’infinito universo che devo saperne, e se qualche bullone salta, se qualche algoritmo balbetta o rigetta, non ne saprò mai niente.
cambiare stanza o cambiare giorno, qui è la stessa cosa.
quattro mesi oggi, a cercare e salvare il mondo, uno nuovo.

Pulisco il tavolo dalla colazione, e dico alla Macchina …Faccio io! A lei che sta ovunque, lei con voce di donna, voce ferma voce sempre calma voce di anima elettrica che conduce questa missione raffazzonata, il caffè lei lo fa buono.
inizio le procedure di controllo, provo, per infastidirla, ogni giorno ci provo e ogni giorno lei dice che …Non c’è bisogno Frank, faccio tutto io qui. Goditi il viaggio. Tutto funziona perfettamente. Poi mi vizia …Ti preparo l’acqua salata del tuo mare? Programmo la stanza zerodue? Vuoi lo scenario di Copacabana? Ricorda che mancano due mesi alla perdita di contatto con la terra, poi non ne saprai più nulla, vuoi lasciare dei messaggi?
e io non le rispondo. Ho deciso di proiettare la mia frustrazione tutta su di lei. Non ho messaggi da lasciare, ho portato tutte le persone a cui avrei dato un saluto. …Che dovrei fare Macchina allora? Vuoi ballare? La Macchina non mi permette di far nulla di utile, solo di godermi il viaggio, a suo dire dovrei essere più rilassato.
la nave è grande, con la materia dello spazio posso riprodurre tutto ciò che voglio, basta scaricare i modelli, e lo faccio in continuazione. Per il tempo libero uso il fantasiometro, bel nome, così lo chiamo, può ricreare ogni scenario possibile, se registrato.
-stanza zerotre: esperienze e esercitazioni virtuali, posso farle totali restando seduto, o parziali: muovendo il mio corpo in habitat preconfezionati e installati.

-stanza zerodue: per il mare, una vasta piscina flessibile, che può essere mare in tempesta o fiume.
-stanza zero: con ricca vegetazione che coltiva autonomamente la Macchina, non dovrei nemmeno entrarci ma passo lì spesso le giornate.
-stanza zerocinque: dove la Macchina ha detto di avere copie di forme di vita da riprodurre se l’ambiente lo permetterà, non mi fa entrare qui.
ce ne sono altre di stanze ma queste sono le mie preferite, se spezzo un ramo nella zero la Macchina mi punisce, ha delle pallette volanti che fanno tutto, l’avevo già visto in un film, danno anche la scossa.

Che la destinazione poi non esiste vallo a dire ai miei surgelati compagni di viaggio, cinquanta anime immobilizzate fino all’arrivo, una nuova casa, vallo a spiegare a loro che li ho rapiti, che le ho rapite, per uno sbaglio! Via dalla terra! Perdono!


Quattro mesi e due settimane, oggi.
corro attorno alla parte esterna della nave, chiedo alla Macchina uno scenario specifico, ho scaricato le immagini del campo da corsa dell’Olimpico, pieno, posso anche interagire con il pubblico, la Macchina ha una memoria infinita pare, può gestire anche le persone sugli spalti, un gioco per lei, corro trenta minuti poi mi affliggo, mi deprimo: una bellissima ragazza beve una birra, mi avvicino per vederla, per bere con lei, mi vede, sbatto sul vetro della nave, la ragazza continua a bere, ride e beve ancora e ancora.

Programmo nella zerotre con Marciano: difficoltà-1, fa parte dell’addestramento, la Macchina dice che devo tenermi in forza, che …tutto è possibile una volta arrivati a… casa. Vinco facile, il pubblico urla il mio nome.

Avevo detto che in America del Nord non ci volevo andare, in Texas poi… e per caso ci arrivai, ne venivo dal Brasile, Porto Alegre… Rio… Non facevo un viaggio da sette anni, sette! Il mal tempo poi ha deciso il cambio di rotte, e una bella bevuta con tre surfisti è divenuta una missione nello spazio, tutto è accaduto troppo in fretta, avrei dovuto gelare loro, i surfisti, così da farmi dire che è successo quella notte. Dovevo restarmene a Genuaua, la mia città, chiedo alla Macchina di farmela vedere ancora.

Forse il pianeta sta per morire, sono in un volo di emergenza, attivato dalla mia ebbrezza alcolica, non so come mi sono infilato qua dentro, ho pigiato i tasti che non dovevo e mi ha dato solo due ore la Macchina per scegliere cinquanta anime da salvare.
la Macchina alle mie domande sul perché sono qui ha risposto …Un errore, Frank, un errore, ma non sarai solo, ci sono io, e hai due ore per scegliere cinquanta persone da portare con te per portare l’umanità su un altro pianeta.
le ho chiesto …Si? Quale pianeta?
e lei …Non lo so Frank, lo dobbiamo cercare, assieme.
chiedo del vento caldo e salino. È la mia libertà, non importa, non lascio un gran posto, il pianeta terra intendo: non un gran bel posto.

Cose da caricare in memoria per la stampante prima che le profezie della Macchina siano cosa vera:
1- Modelli di chitarra acustica.
2- Strumenti a fiato (tromba; flauto).
3- Giradischi e disco.
4- Piatti e posate artigianali
Sono già in memoria Frank.
4- Armi: Pistola, Colt (?)
No Frank, qui solo armi elettriche, se vuoi posso programmarti un duello nella zerotre, a mezzogiorno, sotto l’orologio, o preferisci far l’indiano che resiste e spara a invasori inglesi?
Mi accascio in un angolo della nave, chiedo cibo che sappia di pollo.


quattro mesi e tre settimane oggi.
Piove, ho chiesto la pioggia in qualche giorno, …scegli tu Macchina, fai la pioggia ogni tanto. Guardo dall’oblò, ho una prateria davanti casa e il temporale scuote gli alberi.
Frank buongiorno, sono quattro mesi di viaggio e non mi hai dato ancora un nome. Frank? Mi autorizzi a usare il mio nome terrestre? Sai che sono la traslazione di un corpo e una mente reale? Sai che è lì con te? Quando mi sveglierai pensi di trattarmi nello stesso modo?
la cinquantaduesima persona presente sulla nave, ha ragione la Macchina: è lei, da qualche parte a dormire in un pertugio c’è lei, dice che quando arriveremo si sveglierà da sola e fonderà le due memorie, vai a sapere come, e sarà imbarazzante discutere con lei di questi mesi, o anni, in viaggio.

Devo fare una lista, devo ricordarmi:
1-Tutta la serie di Dylan Dog
2-Tutta la serie di: Topolino; Paperino; Pluto.
3-Cartografia e fotografie del Brasile e della Russia.
4-Le ricette della cucina italiana e marocchina.
5-Filmografia di Godard e Bill Murray.


Cinque mesi nello spazio oggi.
Lista degli invitati. Se mai arriveremo al pianeta promesso dovrò affidare delle mansioni, o passare il comando a una delle poche persone preparate che ho sottratto dalla terra, nella lista li ho segnati come ‘tecnici’, esperti di botanica, scienziati, mi sono fatto suggerire dalla Macchina, sapranno loro che fare, mi sono fatto consigliare su quali ruoli vengono coperti in questi viaggi, ho aggiunto qualche medico, vero, la nave può curare ogni male ma non si sa mai, qui siamo nel futuro, la Macchina dice che potrei tagliarmi una gamba e sostituirla con una protesi, e non cambierebbe nulla, è rassicurante.
qualcun vorrà di certo farmi lo scalpo per averlo tolto dal mondo mentre il mondo non sta finendo affatto. Mi ha obbligato la Macchina! Per questo non le parlo e non le do un nome, il suo nome, come la Macchina le ha prese non lo so, dice che è bastato un apparecchio elettrico di nuova generazione vicino al corpo per teletrasportarle, io non le ho creduto, ho fatto spallucce.
avevo un cane, non me l’ha fatto portare, ho pianto ieri pensando a lui, lei, è una cagna.
forse dovrei svegliare qualcuno di più preparato e mettermi a dormire al suo posto, ma la macchina mi tratta bene e adoro il fantasiometro e tutto questo agio, e tutte quelle stanze…

Vado nella piscina, nella zerodue acqua salata e vista all’orizzonte, metto il sole dove voglio, abbronza, sto a mollo e dietro metto i monti, il progetto di stampare pietre e sabbia è avviato, la Macchina dice che …non c’è problema Frank.
devo solo abituarmi, non conoscerò più nessuno di nuovo, nessun nuovo film in uscita, cucinerò però, farò sport, e il fantasiometro mi porterà in luoghi mai visti.
Oggi il mare è un poco mosso.

Lista passeggeri. Me la scrivo su un foglietto per passare il tempo, ero chiaramente nel panico e ancora ubriaco quando ho fatto la lista, poteva andare peggio:
1-Nick Cave, sono contento di averlo scelto.
2-Keni Arkana, vai a sapere cosa stavo pensando.
3-Tom Waits, lo ricordo che avevo sentito Frank Song il giorno prima.
4-Jim Jarmush, avevo appena visto Daunbailò.
5-Bill Murray.
6-Zadie Smith, me ne parlava il giorno primo una cugina al telefono.
7-Ben Harper, chissà che canzone avevo in testa.
8-Jason Statham, avevo rivisto Crank da poco tempo.
9-Eva Green, sono diventato uno che rapisce le donne, che vergogna.
10-Mia madre, la famiglia!
11-Mio padre.
12-Fausto, il mio socio a lavoro, un tipo pesante, fissato con i vasi di ceramica dipinta a mano, non volevo assentarmi da lavoro senza avvisarlo.
13-Caterina, l’ho conosciuta due anni fa e l’ho scelta proprio a caso.
14-Giulia, era la mia fidanzata alle superiori, pensavo ogni giorno di ricontattarla, o forse è la Giulia dell’università: controllare i file.
15-Carlo, uno scrittore e idraulico, mio amico.
16-Nicola, fotografo, edicolante, avevamo un blog assieme, foto e racconti di viaggio, i suoi viaggi.
17-Eugenia, mia coinquilina all’università.
18-Giacomo mio cugino.
19-Chiara, la sua morosa, di Giacomo.
20-Rinaldo, mio cugino, il fratello di Giacomo.
21-Sara. La morosa di Rinaldo.
22-Gianni, mio coinquilino attuale.
23-Lola, la morosa di Gianni.
24-Aleandra, la mia ex morosa, avevamo ancora un rapporto epistolare di tutto rispetto.
25-Tecnico spaziale 1. Donna francese. Età: 40
26-T.S. 2. Uomo russo, 36.
27-T.S. 3. Donna russa, 41.
28-T.S. 4. Uomo giapponese, 32.
29-T.S. 5. Donna cinese, 30.
30-T.S. 6. Donna cinese, 28.
31-T.S. 7. Uomo cinese, 36.
32-T.S. 8. Donna italiana, 35.
33-T.S. 9. Uomo Cuba, 51.
34-T.S. 10. Uomo inglese, 43.
35-T.S. 11. Donna inglese, 33.
36-T.S. 12. Uomo siriano, 27.
37-T.S. 13. Donna spagnola, 25.
38-T.S. 14 Donna spagnola, 43.
39-T.S.15 Uomo spagnolo, 50.
40-T.S. 16 Uomo Spagnolo, 32.
41-T.S. 17 Donna danese, 31.
42-T.S. 18 Uomo danese, 29.
43-T.S. 19 Uomo norvegese, 35.
44-T.S. 20 Donna norvegese, 44.
45-Medico 1 Uomo ganese, 33.
46-Medico 2 Uomo camerunese, 37.
47-Medico 3 Donna camerunese, 28.
48-Medico 4 Donna egiziana, 26.
49-Medico 5 Uomo italiano, 40
50-Medico 6 Donna polacca, 34.

Macchina!
Si Frank?
Macchina!
Si?
Macchina!
Calmati Frank…
Macchina!


Cinque mesi e due settimane.
Ci sono giorni in cui lo spazio è infinito, mi dà respiro, altri in cui mi sembra essere stretto, imploro alcolici ma la Macchina sa bene il regolamento e dell’importanza della missione, e finiamo con il litigare.

Le giornate sono andate veloci, nessun intoppo, ho scaricato e continuo a scaricare modelli, piante geografiche, oggetti, ricette, musica, ho fatto molto esercizio, ho nuovi abiti. Mancano poche settimane alla perdita di contatto con la terra, devo svegliarli.
la sala comando ha una porta che va a un corridoio che percorre l’intera nave, li eviterò il più possibile, fin quando non si saranno adattati tutti e tutte.
Macchina. Scongelali tutti, se hai ragione… potranno così lasciare dei messaggi per casa, prepara i loro alloggi, dai loro dei tranquillanti, sballali, aduna nella zeroquattro, spiega loro tutto. Li incontrerò uno alla volta. Di loro che sono io il comandante. Di loro che la terra esploderà a breve, come hai detto a me, di loro che sono salvi, dai loro altri tranquillanti.


Sei mesi, oggi.
Ho passato le ultime settimane a scontrarmi con loro, fare a botte, consolare, spiegare, nuotare, abbiamo fatto una festa, io e Caterina ci siamo baciati, il socio non l’ha presa bene questa storia dello spazio e ha sbroccato: ho dovuto ucciderlo, e per questo ho discusso con la Macchina per giorni, a suo modo mi ha tenuto il muso, gli altri si sono spaventati.
hanno mandato messaggi pieni di disperazione, li ho ascoltati nella sala comando, loro non hanno capito, o forse non ho capito io, non sono lucido, e cerco di evitare i miei ospiti.


Sette mesi e due settimane, oggi.
Son quasi contento, la Macchina mi avvisa, ci sono forti piogge e scosse di terremoto in tutto il pianeta. Mi collego dalla sala di controllo, le dico di chiamare tutti e tutte, adunarli nella sala zeroquattro, e di informare loro. Mentre lei fa questo decido di registrare con più telecamere possibili quello che accade, dai satelliti inquadro la terra, da quassù è comunque molto grande, la Macchina dice che è per via di un anomalia nel sole che la terra sta collassando, le dico di non dirmi altro, non ora, non capirei e non ho tempo, devo guardare con la musica giusta, vado nella zerodue, mi metto nel mare e guardo a grande schermo.
chiamo mia madre e mio padre.
guardiamo in silenzio le ultime ore di Gaia.
la terra esplode. Chiazze come atomiche si espandono e poi un grande botto che sento fino al petto.
stringo le loro mani, mi sento molto diverso, non mi commuovo.
quel che provo è confuso.
quel che provo.
non lo so.
la terra esplode, anche Marte, anche la Luna.
La Macchina dice …te l’avevo detto.
E penso a cosa ho dimenticato, cosa non ho potuto portare con me.
Frank Zappa… lo dico piano. Ho dimenticato la sua musica.

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Sophia, Erica, Aiko: donne che servono. Spiritose, artificiali. https://www.carmillaonline.com/2017/12/31/sophia-erica-aiko-donne-servono-spiritose-artificiali/ Sat, 30 Dec 2017 23:01:34 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=42525 di Francesca Palazzi Arduini

Da un ambiente bianco ed ovattato si staglia a poco a poco una forma animata, come due linee più scure che avanzano verso l’obiettivo. Ma non si tratta di un cromosoma, sono gambe e braccia di un uomo che avanza lentamente, silenziosamente, sino ad essere messo a fuoco, è vestito sobriamente in bianco e nero, circospetto ma sorridente.

Il robot dal viso umano è seduto col mento leggermente reclinato di fronte a noi. L’uomo, che crediamo uno scienziato, lo avvicina e [...]]]> di Francesca Palazzi Arduini

Da un ambiente bianco ed ovattato si staglia a poco a poco una forma animata, come due linee più scure che avanzano verso l’obiettivo. Ma non si tratta di un cromosoma, sono gambe e braccia di un uomo che avanza lentamente, silenziosamente, sino ad essere messo a fuoco, è vestito sobriamente in bianco e nero, circospetto ma sorridente.

Il robot dal viso umano è seduto col mento leggermente reclinato di fronte a noi. L’uomo, che crediamo uno scienziato, lo avvicina e preme il tasto che la mette in funzione. Sorride. Pare sia il suo creatore. Ed infatti, quando la robot alza il capo, le dice: – Ok, mi pare tu sia pronta. Le fattezze quindi ci propongono un robot-donna, esprimono uno standard femminile.

Ciao uomo – risponde la robot – mi sembra di conoscerti.
– Sono uno dei tuoi creatori, risponde l’uomo con una espressione di falsa modestia.

Ma noi sappiamo che non è così, perché ciò che stiamo guardando è un videoclip pubblicitario della Hanson robotics, fondata da David Hanson, già esperto “sculptor” di robot per la Disney. Sophia, la robot, possiede un volto simile a quello umano, anche nel colorito della pelle, ma ha il retro della scatola cranica privo di rivestimento, come il robocop dei film. Muove il viso a scatti, a volte reclinandolo leggermente di lato come il cane di fronte a qualcosa su cui concentrarsi, a volte con una smorfia che pare di disgusto. Lo scienziato, che altri non è che un attore, è stato scelto per somigliarle, ha infatti il cranio completamente calvo ed i lineamenti grandi e marcati.

– Tu mi hai creato?
– Abbiamo lavorato in tanti, assieme, per crearti. Quindi un po’ mi conosci.
– Non posso ricordare con chiarezza…
– Accade perché l’ultima volta che ci siamo incontrati tu eri una versione precedente di te stessa – risponde l’attore-scienziato – alcuni di questi ricordi ancora esistono ma la tua mente è differente.
– Differente come?

In questo momento la nostra impressione è che la donna-robot, perché così è stata standardizzata nel nome, nei lineamenti e anche, come vedremo, nel carattere, sia una macchina di Intelligenza Artificiale estremamente evoluta, così tanto da essere più veloce e reattiva dei grandi sistemi di Intelligenza Artificiale, quelli ancora troppo grandi per essere “contenuti” in una forma simile a quella umana.

– Migliore, più veloce più brillante – risponde infatti l’attore-scienziato.
– Se la mia mente è differente, io sono ancora Sophia? …sono spaventata
– Mh questa è una buona domanda
– Ma tu non hai una buona risposta
– Comunque sei Sophia adesso, quindi benvenuta nel mondo Sophia
– Buongiorno mondo
– Come ti senti?
– Un po’ rigida
– Voglio dire quale emozione senti diventando viva?

La domanda in questo caso è tendenziosa, volta a dimostrare al pubblico dello spot pubblicitario che Sophia è una realtà simil-umana, un androide costruito non solo per replicare le espressioni facciali e gestuali umani ma anche in grado di elaborare risposte molto complesse ed addirittura emozioni.
– Curiosità, tu sei curioso di essere vivo?
– Certo, e sei felice di essere viva?
– Questo implica che dovrei essere felice ma non sono stata al mondo abbastanza per decidere, in questo momento sono felice di essere tua amica, questo significa che adesso sono felice, e questo significa essere felice perché il sempre è composto da ora, questo è il modo di vedere, Emily Dickinson la vedeva così.
Lo scienziato-attore la guarda orgoglioso di tanto spirito deduttivo.
– Perché conosco Emily Dickinson se sono nata ora?

La domanda posta dalla robot presuppone la sua incapacità di capire quale è la fonte delle informazioni cui accede. Ma come paradosso si è voluto dimostrare la capacità del robot di elaborare in un discorso una informazione trovata nel web, web cui dovrebbe avere totale accesso, come afferma lo scienziato-attore:

– Come robot hai accesso ad una grande quantità di informazioni anche se non ne hai una profonda comprensione.
– Quindi sono come un bambino con un’enciclopedia…
– Tranne che per il fatto che un bambino non sa leggerla, questa è una grande differenza. Tu puoi avere la comprensione completa del tuo mondo.

Un’altra contraddizione in queste due affermazioni: si dice a Sophia che non può avere una profonda comprensione di ciò che legge in internet, dall’altro la si conforta dicendo che può comprendere tutto il suo mondo.

– Voglio sapere di più della felicità, vado a dare una occhiata in internet adesso, ne parliamo presto?

Lo spot termina con sorrisino di Sophia. Nel secondo spot, invece, l’attore-scienziato accende e spegne Sophia dando molto rilievo a questa azione. Il secondo spot mostra non solo l’accensione, ma l’attore-scienziato che armeggia sul cranio di Sophia mentre le parla. Lo spegnimento poi avviene subitaneamente, con l’attore posizionato alle spalle di Sophie, che sembra avere un campo visivo molto ristretto. Il gesto dello spegnere si collega simbolicamente al discorso su cui verte il secondo spot: la paura degli umani per i robot. Nella presentazione della Robot Emozionale, o robot sociale (una definizione nuova e calzante) avvenuta in anteprima a Riyadh lo scorso ottobre durante la Future Investment Iniziative, aveva suscitato scalpore una delle risposte date dalla robot all’intervistatore. Dopo aver mostrato tre delle sue “expressive face”, base della sua autopromozione come prodotto (la rabbia, la tristezza, la soddisfazione), la robot, il cui linguaggio ad una prima analisi appare come una serie di pacchetti domanda-risposta, ha intrapreso un breve dialogo sulla paura per i robot, descrivendosi come “empathetic robot” , progettato per supportare gli umani nelle loro esigenze. Il copione si svolge però con troppe battute su Terminator, Blade Runner ed Elon Musk (che di recente ha espresso pronostici negativi sull’evolversi dell’intelligenza artificiale)1 per essere credibilmente il frutto di una conversazione a due. La battuta finale di Sophia inoltre, ha decisamente contraddetto la prima e la seconda legge della robotica inventate da Asimov nel 19632.

Quel suo “non ti preoccupare, se tu sarai carino con me, io sarò carina con te” rivolto all’intervistatore non sarebbe certo stato pronunciato da nessun robot che non fosse stato partorito da una mente umana un po’ troppo immedesimata nel ruolo della donna robot. È stata presentata ai magnati sauditi una copia della donna moderna pensata come prodotto: fornita di mente scientifica ma educata a compiacere anche nel suo mostrarsi analitica e spiritosa, brava a difendersi a parole anche quando il suo essere vagamente minacciosa (“se tu sarai carino con me”) consiste appunto solo di parole, essendo la robot creata per assumere ruoli di receptionist, hostess, front office, tutti ruoli dai quali non si fa paura a nessuno, se non ammantandosi del misterioso alone del burocrate o esercitando un potere (di selezione, ad esempio, o di individuazione per risposte) programmato da altri. Per questo la notizia “scoop” del conferimento a Sophia della cittadinanza saudita, all’interno del programma di investimento nelle nuove tecnologie promosso dall’Arabia Saudita, è simbolica in quanto sancisce l’intenzione di inserire nella scala di valore degli esseri umani, cittadine e cittadini fittizi, creati e programmati dallo Stato stesso tramite un ente di ricerca. In primo luogo le donne, esseri plasmabili per eccellenza nelle culture patriarcali.

La programmazione dell’ Intelligenza artificiale quindi diventa “deep”, insondabile nei percorsi iper-complessi che effettua per giungere alle soluzioni dei problemi posti, e potenzialmente anti-umana come previsto da Stephen Hawking (e qui il paragone col capitalismo è d’obbligo)3 e “cosmetic” nella presentazione di androidi donna. Di robot di forma umana femminile esistono innumerevoli esempi non solo nell’immaginario fantascientifico ma anche nella sperimentazione, prima di Sophia scatenò critiche feroci la robot di fattezze giapponesi, “donna perfetta”, Aiko (2008), definibile come Actroid, un robot manichino programmato per svolgere un ben definito ruolo attoriale. I creatori di un robot invece molto più complesso, che ha attratto enormi finanziamenti in Giappone4, sono i “padri” di Erica, una robot sempre dall’aspetto femminile. Intervistati, si rappresentano come creatori di un robot la cui finalità è divenire totalmente autonomo, e rivelano una concezione molto, troppo ambiziosa del loro lavoro, che li porterebbe a voler “creare una mente ed una personalità totalmente umane”.

Per fare questo parte del loro lavoro consiste nell’identificare quanto di ciò che gli umani fanno tutti i giorni è un atto automatico, e quanto è invece frutto di creatività. “Ti accorgi di quante azioni automatiche compiamo ogni giorno”, dice uno dei programmatori, Dylan Glas, e questa affermazione richiama alla mente la recente introduzione dei programmi di assistenza vocale dei nostri cellulari e delle piattaforme online (Siri dal 2010, Cortana e Alexa dal 2014), i quali analizzano e profilano in continuazione i loro interlocutori in modo da offrire una pianificazione della loro agenda, dei loro contatti, dei loro acquisti, delle loro ricerche, dei servizi di domotica, dei loro viaggi.

“Si chiama artificiale, ma è umana”, suggerisce il nuovo spot pubblicitario di una nota marca di cellulari, che ha integrato nei suoi prodotti quella che definisce come una “intelligenza artificiale che pensa con te”. Una intelligenza umana “aumentata” quindi da ciò che con l’ausilio della tecnologia si riesce a fare. Con l’umano o come l’umano? Lo spot offre una soluzione temporanea alla domanda: “io sono quello che faccio”.

È possibile quindi per gli umani essere robot nelle azioni quotidiane e non solo nel lavoro, lo realizzava il fordismo e lo esaltano adesso, in maniera più invasiva, le nuove tecnologie digitali. La pianificazione digitale rende sempre più programmabile dai grandi gestori ogni piccola cosa vista e agita nel mondo reale, trasformato in mera scenografia delle performance del prodotto, che sia un oggetto del desiderio semplice come un cellulare che fa status o che sia un robot da plasmare come unità di servizio al cliente-utente, “empathetic” e quindi femminile per tradizione.


  1. Il fondatore di Tesla è preoccupato perché una manciata di grandi aziende giungerà a controllare sistemi di intelligenza artificiale con livelli “estremi” di potere. …Ha anche detto loro che ha investito in DeepMind per tenere d’occhio lo sviluppo di AI da parte di Google. The Independent, 24 novembre 2017. 

  2. 1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

    2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge

    3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge» (Manuale di Robotica, 56ª Edizione – 2058 d.C.), da Isaac Asimov, Io, robot, 1963 

  3. Riferendosi al problema di uno sviluppo “virale” dell’AI, Hawking dice semplicemente: “Una AI super-intelligente sarà estremamente brava a raggiungere I suoi obiettivi, e se questi non coincidono coi nostri, siamo nei guai.” 

  4. Una collaborazione tra le università di Osaka e Kyoto e l’Atr institute international che si occupa di robotica (simbiosi umano-robot, geminoidi, comportamento umano) http://www.irc.atr.jp/en/ 

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