Agip – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 24 Nov 2024 21:00:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il prezzo del petrolio/4 https://www.carmillaonline.com/2014/11/14/prezzo-petrolio4/ Fri, 14 Nov 2014 00:00:55 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18720 di Alexik

2013 Dec - Odioama[A questo link il capitolo precedente.]

[Nei giorni scorsi un’orda razzista ha assaltato il centro di accoglienza di Tor Sapienza, che ospitava anche profughi nigeriani. Li  hanno accusati di portare il “degrado”. Nessuno degli artefici del pogrom si è mai chiesto quanto degrado si nasconda dentro un pieno di benzina.]

“Il petrolio è anche in profondità. Quando abbiamo provato a issare le reti il colore dell’acqua è diventato nero … e con le reti é salito anche l’odore del greggio … Quando ci siamo avviati con la barca era [...]]]> di Alexik

2013 Dec - Odioama[A questo link il capitolo precedente.]

[Nei giorni scorsi un’orda razzista ha assaltato il centro di accoglienza di Tor Sapienza, che ospitava anche profughi nigeriani. Li  hanno accusati di portare il “degrado”. Nessuno degli artefici del pogrom si è mai chiesto quanto degrado si nasconda dentro un pieno di benzina.]

“Il petrolio è anche in profondità. Quando abbiamo provato a issare le reti il colore dell’acqua è diventato nero … e con le reti é salito anche l’odore del greggio … Quando ci siamo avviati con la barca era come navigare nel petrolio… il greggio copriva tutto, a perdita d’occhio”1 (Sunday Ayoyo, Odioama, 8 dicembre 2013).

L’onda nera è arrivata dal mare. A Odioama (Nigeria/Bayelsa State), un villaggio Ijaw fra il fiume St. Nicolas e l’Oceano Atlantico, vivono prevalentemente di pesca… o almeno vivevano fino al novembre 2013, quando l’oceano si è tinto di nero. La marea velenosa fuoriuscita dagli impianti dell’Agip di Brass ha stroncato la loro fragile economia, che non si era ancora ripresa dal disastro di due anni prima, provocato dalla falla di un oleodotto della Shell.

Marzo 2014. Ikarama-Kalaba: perdita da un oleodotto dell'Agip nel Taylor Creek.

Marzo 2014. Ikarama-Kalaba: perdita da un oleodotto dell’Agip nel Taylor Creek.

Ma nello Stato del Bayelsa le comunità che hanno maggiormente “beneficiato” della modernità portata dall’Eni sono sicuramente Kalaba e Ikarama, dove gli spandimenti di greggio o semilavorati dalle condutture dell’Agip registrano una frequenza impressionante. Sul territorio di Kalaba passano le tubazioni che portano il greggio dal pozzo “Taylor Creek A” fino ad Oshie. L’oleodotto attraversa il fiume, passa fra le case, le strade, gli stagni, le fattorie.  “Abbiamo subito più di 30 spandimenti di petrolio da quando l’Agip ha installato i suoi oleodotti. Io conosco un solo caso in cui l’Agip abbia pagato i danni” (Roman Orukali, Kalaba, 2 luglio 2012)2.

Nelle cronache del Bayelsa ogni volta si ripete lo stesso scenario di distruzione e disperazione. Si ripete la rovina dei raccolti irrorati a petrolio, raccolti che erano costati così cari: tanti giorni di cammino per procurare le sementi, tanta terra da dissodare a mano sotto il sole, tanta fatica per sopravvivere annullata in un attimo, tanta angoscia per aver perso tutto. Viene distrutto il lavoro delle donne:

“Le nostre fattorie sono state inondate di petrolio o bruciate senza alcuna compensazione. Io stessa ho dovuto abbandonare la mia fattoria più grande, e conosco altre 12 donne della comunità che hanno dovuto fare lo stesso. Tutto questo ci ha scoraggiate a continuare a coltivare, e anche i nostri mariti non vanno più a pesca. Gli spandimenti di petrolio hanno reso inutilizzabili le nostri fonti di acqua pulita e gratuita, compreso il Taylor Creek, perché hanno inquinato in modo persistente ogni specchio d’acqua della comunità. Quest’anno abbiamo visto i pesci morti galleggiare sul fiume e sui nostri stagni” (Ovia Joe, Kalaba, gennaio 2012)3.

Aprile 2014. Kalama: falla in un oleodotto dell'Agip,

Aprile 2014. Kalaba: falla in un oleodotto dell’Agip,

Il rendimento della mia terra  è basso, pochi i prodotti per il mercato a causa degli spandimenti continui. Vivo nell’infelicità perché coltiverò la terra per mesi, fino a quando  uno spandimento di petrolio non distruggerà tutto ciò per cui ho lavorato, senza che il governo o la compagnia  facciano niente. A parte questo, non abbiamo nessun beneficio in termini di strade, infrastrutture, impiego. È la  quinta volta che una perdita di petrolio compromette i miei sforzi, senza alcun compenso o bonifica.  Al massimo arrivano e chiudono la falla scortati da militari armati pesantemente. Quest’ultimo incendio mi ha gettato nel panico, ho pensato solo a cercare i miei bambini. Non ho più denaro. Voglio che loro [l’Agip]  vengano a pulire, che impieghino i nostri giovani e insegnino alle donne altri mestieri, finché non potremo tornare a vivere di agricoltura. Non abbiamo ancora denunciato l’incidente a nessuna autorità, c’è una voce in giro che la compagnia si sta mobilitando per arresti di massa” (Tina Alibi, Kalaba, agosto 2012)4.

“Noi coltiviamo ogni anno questa terra, e andiamo a comprare le sementi di yam molto lontano da qui. Ma puoi vedere che con questo spandimento i miei sforzi e il mio lavoro sono stati vani Io non ho un altro lavoro, io dipendevo dall’agricoltura e dalla pesca per vivere5 (Mary Gold Nwanlia, Kalaba, settembre 2014).

Nelle cronache del Bayelsa, ogni volta si ripete lo stesso copione di incuria e disprezzo, perché le falle vengono lasciate aperte per giorni, o addirittura per settimane, ampliando il danno ecologico a dismisura prima che una squadra di manutenzione intervenga a chiuderle.

Luglio 2014. Kalaba: perdita da un oleodotto dell'Agip.

Luglio 2014. Kalaba: perdita da un oleodotto dell’Agip.

Secondo un testimone la perdita è iniziata il 7 febbraio, ma dopo quattro giorni era ancora lì. L’Agip ha mandato diversa gente a controllare, ma è venuta a guardare e poi se ne è andata, lasciando allargare la falla sotto la pressione del greggio6  (Kennet Ibinabo, Egbebiri, febbraio 2014).

Noi abbiamo chiamato l’Agip lo stesso giorno, il 27 maggio, ed informato la compagnia della falla nell’oleodotto. È stupefacente che, nonostante li avessimo avvertiti subito, non si siano mossi fino al 6 giugno7.  (Michael Joseph, Okpotuwari, giugno 2014)

Questa perdita è cominciata il mese scorso [agosto 2014] e noi abbiamo subito informato la compagnia. Ma non era così grave come è ora. Pensavamo che l’Agip si sarebbe mobilitata per venire a investigare e chiudere, ma non sono venuti fin ad ora” (Samuel Oburo, 15 settembre 2014)8.

Luglio 2014. Kalaba-Ikarama: perdita da un oleodotto dell'Agip.

Luglio 2014. Kalaba-Ikarama: perdita da un oleodotto dell’Agip.

Strane cose poi succedono ai verbali di ispezione: “La perdita dall’oleodotto dell’Agip è iniziata il 20 marzo e ha continuato a nebulizzare fino a quando la compagnia non è venuta a chiuderla il 5 aprile…. Loro hanno registrato sul verbale della JIV  che la perdita era iniziata il 3 aprile, per uno spandimento di cui li avevamo avvisati il 20 marzo. Nulla è stato fatto per pulire o evitare che il greggio continuasse a diffondersi. Così ha continuato a spargersi nel lago e deve aver ormai raggiunto Masi, il lago successivo. Ha inquinato oltre 100 stagni, distruggendo la vita acquatica. Se ti avvicini puoi vedere i pesci morti. Puoi vedere le trappole per i pesci, che hanno dato da mangiare alle famiglie, hanno permesso di mandare i loro figli a scuola e di costruire le loro case, ma tutti questi diritti vengono negati nel momento in cui il greggio si spande nel fiume9 (Joe Orukali, Kalaba, 23 giugno 2014).

A volte l’intervento delle squadre di manutenzione dell’Agip aumenta la gravità del disastro: “Ci hanno informati che c’era della gente in tuta da lavoro nella boscaglia, così siamo andati a controllare. Abbiamo visto un militare e 16 addetti della Nigerian Agip Oil Company con una saldatrice, un estintore e un po’ di detersivo, mentre cercavano di bloccare il punto di fuoriuscita. Durante la saldatura il fuoco è partito da una scintilla e ci ha circondati. Siamo scappati tutti in direzioni diverse, lasciando bruciare l’incendio senza nessun intervento di estinzione10 (Nature Nyekefamo, Kalaba, 15 agosto 2012). Da questa descrizione risulta evidente come la squadra dell’Agip non avesse nè le capacità né le attrezzature antincendio necessarie per quel tipo di intervento.

Settembre 2014. Kalaba: falla nelle condutture dell'Agip.

Settembre 2014. Kalaba: falla nelle condutture dell’Agip.

Né l’Agip, né lo Stato predispongono squadre addestrate ed equipaggiate per gli interventi di emergenza negli abitati vicini agli oleodotti. E’ la popolazione stessa che deve provvedere a mettersi in salvo. A Egbebiri (Bayelsa State), nel febbraio scorso, il greggio in forma gassosa fuoriuscito da un oleodotto dell’Agip ha reso l’aria velenosa ed esplosiva. Ad evacuare la zona ha dovuto pensarci il  caposquadra di un cantiere lì vicino: “Questa perdita ha reso insicura l’intera area. Il gas è velenoso, e non posso esporvi gli operai11.

In compenso, in mancanza di vigili del fuoco o addetti alle emergenze, lo Stato del Bayelsa ha inaugurato in maggio il corpo dei ‘Bayelsa Volunteers’, 1.100 “volontari” pagati (si … è un po’ una contraddizione in termini) per combattere il “crimine dei sabotaggi, dei furti di petrolio” e servire da  scorta armata degli addetti delle multinazionali12.

Benché si tratti di giovani del Bayelsa, la loro irruzione in comunità diverse da quelle di provenienza viene vissuta come un atto intimidatorio. A volte, in caso di incidenti agli oleodotti, i “Bayelsa Volunteers” rappresentano l’unica presenza istituzionale assieme ai soldati.

Settembre 2014. Kalaba: fuga di gas da condutture dell'Agip.

Settembre 2014. Kalaba: fuga di gas da condutture dell’Agip.

Sono arrivati di soppiatto il sei giugno per chiudere la falla. Si, di soppiatto, perché non hanno informato in nessun modo la comunità del loro arrivo… Sono arrivati con un soldato e con alcuni membri dei “Bayelsa Volunteer”. Non c’era nessun rappresentante del NOSDRA, o del ministero dell’ambiente o nessun altra delle parti interessate all’ispezione. Ho chiesto personalmente al caposquadra dell’Agip perché fossero venuti senza nessun rappresentante del governo. Si è messo a ridere, e mi ha detto che solo i “Bayelsa Volunteer” girano con l’Agip13 (Michael Joseph, Okpotuwari, giugno 2014). Nessuna ispezione pubblica, quindi, su questo incidente, che sarebbe rimasto sotto silenzio se la comunità non avesse avvertito gli attivisti dell’Environmental Rights Action (ERA).

Teoricamente ad ogni spandimento di petrolio dovrebbe seguire un processo di investigazione (JIV) alla presenza dei rappresentanti delle comunità colpite, dei funzionari della National Oil Spill Detection and Response Agency (NOSDRA), del Ministero dell’Ambiente e del Dipartimento delle risorse petrolifere. Risulta chiaro dalle testimonianze come le comunità siano escluse dalle ispezioni e le istituzioni assenti. In pratica la compagnia si ispeziona da sola, redige una sorta di  autocertificazione, cioè un verbale striminzito di un paio di pagine dove può dichiarare quello che le pare sulla data di inizio della perdita di greggio, sui volumi di inquinanti versati, sulle cause della rottura dell’oleodotto14. In questo modo non ha nessuna difficoltà a sottovalutare il danno arrecato e ad addebitare l’incidente ad un sabotaggio, piuttosto che alla corrosione degli oleodotti, alla scarsa manutenzione, ai guasti degli impianti.

Settembre 2014. Kalaba: perdita da un oleodotto dell'Agip.

Settembre 2014. Kalaba: perdita da un oleodotto dell’Agip.

Durante l’assemblea ordinaria del 2013, l’Eni ha affermato che “la Nigeria è il Paese con la più elevata incidenza di spill [spandimenti], causati per la quasi totalità da atti di sabotaggio e bunkering [furti di petrolio]”15.

Nel rapporto “Bad information. Oil spill investigations in the Niger Delta” Amnesty International commenta così queste affermazioni: “Nel 2012  si è raggiunta l’incredibile cifra di 474 spandimenti derivanti da operazioni dell’Agip, comparati con i 207 della Shell. L’Agip attribuisce la maggioranza degli spandimenti ai sabotaggi ma non fornisce assolutamente nessuna informazione a supporto. Comunque, un numero così alto di spandimenti, qualunque ne sia la causa, è indifendibile… Amnesty International ha chiesto all’Agip informazioni sull’età delle sue infrastrutture…. Dei 14 oleodotti menzionati, più della metà è stata costruita negli anni ’70, e quattro hanno 40 anni… Questo  rapporto … suggerisce che la compagnia non abbia il controllo delle operazioni nel Delta del Niger. Nessuna compagnia può difendere più di 400 fuoriuscite di petrolio all’anno dando la colpa a sabotaggi e furti16.

Settembre 2014. Kalaba: perdita da un oleodotto dell'Agip.

Settembre 2014. Kalaba: perdita da un oleodotto dell’Agip.

Il “sabotaggio” è la formula magica per colpevolizzare le comunità colpite. Serve ad addossargli la responsabilità dell’incidente. È una sorta di criminalizzazione collettiva che prescinde completamente da una qualsiasi inchiesta seria finalizzata all’accertamento dei fatti. È una forma di intimidazione preventiva verso le popolazioni danneggiate. Della serie: “se tu mi accusi di averti creato un danno, io ti accuso di averlo provocato allo scopo di chiedermi il risarcimento”. Ovviamente, se la “colpa” dell’inquinamento è della comunità, non gli spetta nemmeno la bonifica.

“Una volta che attribuiscono la causa dello spandimento al sabotaggio, alla comunità non arriva nessun indennizzo” (Idoniboye Nwalia, Kalaba, febbraio 2013)17.

Qualche rara volta appellarsi al sabotaggio per l’Agip è stato palesemente impossibile, come nel caso della marea nera di Odioama.  Odioama ha ricevuto a titolo di risarcimento ben 24 milioni di naira18. Con la quotazione del naira a 0.0048 Euro la cifra stratosferica equivale a 115.200,00 Euro. Ma la maggior parte delle comunità rischia di aspettare per anni dei soldi che non arriveranno mai. Le tattiche di stallo dei legali delle compagnie petrolifere producono contenziosi lunghissimi, che si perdono facilmente nelle disfunzioni del sistema giuridico nigeriano19.

E dire che le modalità di gestione dei contenziosi sono migliorate rispetto a 15 anni fa. Nel 1999 le comunità del clan Ekebiri (Bayelsa State) chiesero all’Agip il risarcimento per i danni causati in trent’anni di spandimenti di petrolio. L’Agip rifiutò, e il 17 aprile di quell’anno le comunità risposero chiudendo per protesta due collettori. Il giorno dopo l’Agip si presentò con una scorta militare. I soldati aprirono il fuoco sui giovani disarmati e sui capi villaggio di Ekebiri. Spararono per 40 minuti uccidendo otto persone. Due capi villaggio vennero arrestati.20.

Oggi è più facile che le rivendicazioni e le proteste si arenino nelle aule di tribunale. Nel 2009 una ONG nigeriana portò in giudizio il governo e sei multinazionali del petrolio, fra cui l’Eni, per le violazioni dei diritti umani e per l’inquinamento petrolifero del Delta. Per le compagnie la corte si dichiarò in difetto di giurisdizione, ma alla fine del 2012 il governo nigeriano venne condannato21. La sentenza non ebbe effetti pratici.

A quanto pare, vale anche in Nigeria quanto sostenuto di recente dal nostro premier  a sostegno dell’Eni: “Aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo a uno scoop di mettere in crisi dei posti di lavoro o a un avviso di garanzia citofonato sui giornali di cambiare la politica aziendale di un Paese” (Matteo Renzi, Camera dei deputati, 15 settembre 2014)22. (Fine)

Nota: nella foto di apertura un pesce morto durante la marea nera a Odioama, novembre 2013. Tutte le foto sono tratte dai rapporti dell'Environmental Rights Action.

  1. ERA, Field report n. 346: Agip spill from Brass terminal spreads to Odioama and environs, 8 dicembre 2013. 

  2. ERA, Field Report #304: Fresh oil spills along Agip pipeline pollute Kalaba environment, 2 luglio 2012. 

  3. ERA, Field Report #304: Fresh oil spills along Agip pipeline pollute Kalaba environment, 2 luglio 2012. 

  4. Era, Field Report 314: Poor clamping methods ignites inferno in Kalaba community, 15 agosto 2012. 

  5. ERA, Field Report #285: Fresh Spill from Agip Facility ruins Ponds, Farmlands in Kalaba community, 16 gennaio 2012. 

  6. Kennet Ibinabo, Leaking Agip’s oil well sacks Bayelsa community, 11.Feb 2014 

  7. ERA, Field Report 358: Attempt to siphon crude oil from Agip pipeline causes spill in Okpotuwari, 24 giugno 2014. 

  8. Oil Spill: Kalaba C’ty Sends SOS To Agip, Federal, Bayelsa Oil Spill: Kalaba C’ty Sends SOS To Agip, FederalGovts To Help Plug Leakage, 15 settembre 2014. 

  9. ERA, Field report #357: Agip falsifies date of spill, abandons site for 66 days, 23 giugno 2014 

  10. Era, Field Report 314: Poor clamping methods ignites inferno in Kalaba community, 15 agosto 2012. 

  11. Kennet Ibinabo, Leaking Agip’s oil well sacks Bayelsa community, 11.Feb 2014 

  12. Bayelsa recruits over 1000 youths into state volunteers; to complement security agencies in curbing crime, oil theft, security breaches in communitiesBayelsa New Media Team, 28 aprile 2014. Igoniko Oduma, Dickson inaugurates 1,100 youths as ‘Bayelsa Volunteers, Daily Indipendent, maggio 2014. 

  13. ERA, Field Report 358: Attempt to siphon crude oil from Agip pipeline causes spill in Okpotuwari, 24 giugno 2014. 

  14. Sui verbali redatti dall’Agip: Amnesty International, Bad information. Oil spill investigations in the Niger Delta, 2013, pp. 33/35 e p. 70. 

  15. Assemblea Ordinaria di Eni SpA, 10 maggio 2013. Risposte a domande pervenute prima dell’Assemblea ai sensi dell’art. 127-ter del d.lgs. n. 58/1998

  16. Amnesty International, Bad information. Oil spill investigations in the Niger Delta, 2013, p. 6, 58 e 65. 

  17. ERA, Field Report329: Multiple points spew crude oil along Agip Pipeline in Kalaba, 28 febbraio 2013. 

  18. ERA, Field report #366 :Minister’s Unannounced visit to Agip Base in Bayelsa a Mere Publicity Stunt, 29 ottobre 2014

  19. Stakeholder Democracy Network, Towards a new oil spill compensation mechanism for Nigeria,  14 ottobre 2014. 

  20. Cyril I. Obi, The changing forms of identity politics in Nigeria under economic adjustment. The case of the oil minorities movement of the Niger Delta, Nordiska Afrikainstitutet, Research report n. 19, 2001, pp. 84/85. 

  21. Court of Justice of The Economic Community of West African States, judgment n° ECW/CCJ/JUD/18/12, 14 dicembre 2012. 

  22. Mario Portanova, Corruzione, Renzi alla Camera attacca i pm su Eni: “Avviso di garanzia citofonato”, Il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2014. 

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Il prezzo del petrolio/3 https://www.carmillaonline.com/2014/10/22/prezzo-petrolio3/ Tue, 21 Oct 2014 22:30:22 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18188 di Alexik

Okpai. Abitazioni vicino alla IPP. Foto: Luca Tommasini 2011.[A questo link il capitolo precedente.]

Kwale e Okpai (Nigeria/Delta State) sono comunità Ndokwa al centro della concessione Eni OML 60. Sui loro territori gravitano una grande stazione di flusso ed una centrale a gas per la produzione di energia elettrica, l’Independent Power Plant (IPP).

Per questi impianti l’Agip si era impegnata con un memorandum del 2000 ad attuare azioni compensatorie verso le comunità ospitanti. Undici anni dopo lo stato di attuazione [...]]]> di Alexik

Okpai. Abitazioni vicino alla IPP. Foto: Luca Tommasini 2011.[A questo link il capitolo precedente.]

Kwale e Okpai (Nigeria/Delta State) sono comunità Ndokwa al centro della concessione Eni OML 60. Sui loro territori gravitano una grande stazione di flusso ed una centrale a gas per la produzione di energia elettrica, l’Independent Power Plant (IPP).

Per questi impianti l’Agip si era impegnata con un memorandum del 2000 ad attuare azioni compensatorie verso le comunità ospitanti. Undici anni dopo lo stato di attuazione dell’accordo era il seguente: “Si sono impegnati ad assumere personale delle comunità, però hanno messo sotto contratto solo due persone. Si sono impegnati a pagare un affitto per la terra occupata, ma dal 1987 ad oggi non abbiamo visto un soldo”1.

L’affidabilità dell’Agip è diventata ormai proverbiale in tutta la nazione Ndokwa, così come la sua promessa di illuminare con l’energia elettrica prodotta ad Okpai le comunità residenti nel raggio di 50 chilometri. Al completamento dell’impianto IPP, dei 480 megawatt prodotti 450 presero la strada delle regioni dell’est, 30 vennero utilizzati dall’Eni stessa, mentre le comunità attorno alla centrale continuarono a rimanere al buio2. Beh, in realtà non proprio al buio … visto che l’Agip provvede ad illuminare Kwale 24 ore su 24 con le torce del gas flaring.

I resti del centro medico di Okpai

I resti del centro medico di Okpai. Foto: Luca Tommasini, 2011.

Oltre alla luce, non si può poi dire che l’Agip faccia mancare l’acqua. Per la costruzione della centrale di Okpai vennero prelevate dal letto del Niger grandi quantità di sabbia, e a questi scavi gli abitanti imputano il cedimento delle sponde. Una volta franato l’argine, la piazza del mercato e le case intorno sono state inghiottite dal fiume, il centro medico distrutto3.

Ma a dispetto di questi dettagli, l’IPP di Okpai rimane il fiore all’occhiello delle politiche verdi dell’Eni in Nigeria. L’impianto ha ricevuto dalla United Nations Framework Convention on Climate Change  lo status di “progetto qualificato a generare crediti di carbonio”, come previsto dal Protocollo di Kyoto. In pratica l’Agip viene premiata con “certificati verdi” (CER), perché utilizza nell’IPP una parte del gas prodotto dalle sue perforazioni petrolifere invece di convogliarlo verso le torce del gas flaring4.
A nulla vale obiettare che il gas in torcia non dovrebbe proprio finirci, perché il gas flaring è formalmente vietato dalla legge nigeriana: l’ Associated Gas Reinjection Act del 1979 aveva fissato infatti al 1° gennaio 1984 il limite ultimo per porre fine a tale pratica. Il validatore del progetto ha già risposto che è vero, la legge c’è, ma visto che tutti se ne fottono è come se non ci fosse5. Pertanto l’Agip va premiata, anche se continua a produrre milioni di tonnellate di CO2 convogliando in torcia il gas a Kwale, Ogbainbiri, Akri, Obama, Ebocha, Oshie6, alla faccia di Kyoto e di tutto il Protocollo.

Del resto anche lo Stato nigeriano, che in teoria dovrebbe essere il garante delle sue stesse leggi, guadagna bei soldi dal gas flaring intascandone le penali. Nel 2012 l’Agip ha pagato penali per circa 682.000 $, di cui nulla è arrivato alle comunità colpite7.

L’Independent Power Plant di Okpai doveva servire anche a spegnere le torce della vicina Kwale. Lo sosteneva anche l’ex A.D. Paolo Scaroni all’assemblea generale dell’Eni del maggio 2011:  “A Kwale sono installate 6 torce di gas flaring, ma dal 2005, quando fu commissionato l’impianto di Okpai, il gas flaring è stato sensibilmente ridotto. Lo “Zero gas flaring” alla stazione di flusso di Kwale è pianificato per giugno 2011”.

Gas flaring a Kwale. Foto: Luca Tommasini 2011.

Gas flaring a Kwale. Foto: Luca Tommasini 2011.

Lo “zero gas flaring” di Kwale possiamo verificarlo anche noi nella foto accanto, scattata nel settembre 2011. L’autore, Luca Tommasini, accompagnava una delegazione di ONG. Questo è il loro report: “Quello che rimane evidente è il chiarore delle enormi fiamme del gas che l’Agip continua a bruciare a cielo aperto nel centro di raccolta e processamento di Kwale. Fiamme alte decine di metri e che, come le altre di Ebocha, fanno un rumore assordante8.  “Gli abitanti di Kwale e Okpai testimoniano che la costruzione dell’IPP non ha ridotto il flaring, che continua 24 ore al giorno, e loro continuano a soffrire dello stesso impatto di prima. La mancanza di controlli ambientali e cure mediche lascia le comunità prive di assistenza istituzionale… la maggior parte delle malattie non sono registrate ufficialmente. I tetti delle case di Okpai e del piccolo insediamento vicino all’IPP sono corrosi dalle piogge acide, che sono cadute continuamente negli ultimi anni”9.

Ormai l’annuncio della fine del gas flaring a Kwale è diventato una sorta di tradizione che si ripete anno dopo anno ad ogni nuova assemblea dell’ Eni. L’unica cosa che cambia è la data, ogni volta spostata in avanti. Attualmente l’ultima promessa è quella di “azzerare entro il 2017 i volumi di gas connessi all’estrazione del greggio e bruciati in torcia” in tutta la Nigeria10. Solo 33 anni in ritardo rispetto ai termini previsti dalla legge nigeriana, e senza nessun cenno alle bonifiche dei territori devastati, ai risarcimenti per le popolazioni colpite, alle cure per chi di questa devastazione muore.

Ma sarebbe ingeneroso ridurre l’attività nigeriana dell’Eni agli inquinanti delle torce, alla carta straccia degli accordi o alla corruzione di politici e militari. Ci sono settori in cui la nostra industria petrolifera si dimostra all’avanguardia, superando di gran lunga i risultati della più agguerrita concorrenza. Per esempio, nonostante l’Agip in Nigeria operi in un territorio molto più ristretto di quello della Shell, gli spandimenti di petrolio dai suoi oleodotti sono praticamente il doppio.

Tabella

E’ successo lunedì … ero andata a controllare le trappole per i pesci.  Tutti nella comunità sanno che è la mia principale fonte di sopravvivenza, perché non ho figli che si prendano cura di me. Quando ho raggiunto l’area attorno all’oleodotto ho sentito come un rumore nell’acqua. Mi sono avvicinata con la canoa e ho visto il petrolio greggio che ribolliva, spandendosi lungo la corrente. Quando mi sono avvicinata alle trappole,  l’intera zona, dove io ed altre donne della comunità andiamo a pescare, era ricoperta di petrolio”.

Settembre 2013: perdita da un oleodotto dell'Agip nel fiume Ikebiri .

Settembre 2013: perdita da un oleodotto dell’Agip nel fiume Ikebiri .

La testimonianza è di Oron Peter, un’anziana della comunità Ijaw di Ikeinghenbiri (Bayelsa state). Non è la prima volta che succede. L’Agip costruì l’oleodotto che passa sotto il fiume Ikebiri nel 1993, e in seguito vi innestò una seconda linea. “C’è già stata una perdita, in passato, nella congiunzione fra le due linee, causata da un errore di una squadra di lavoro. – dice Marshal Amabebe Josiah, presidente del Ikeinghenbiri Community Development Committee – La nostra comunità ha chiesto più volte all’Agip un risarcimento danni, ma la compagnia non ha voluto sentire ragioni. Poi c’è stata un’altra perdita che l’Agip non ha potuto negare. Ci ha dato dei  materiali di soccorso, ma fino ad oggi si è rifiutata di pagare i danni alla comunità e ai singoli. Piuttosto ci ha portati in tribunale.11.

A Emago (Rivers State) il 22 gennaio 2011 dopo la falla nell’oleodotto è divampato l’incendio. L’Agip riuscì a spegnere le fiamme dopo cinque giorni, ma non completamente. Le colonne di fumo continuarono ad alzarsi per diverso tempo. Fuoco e petrolio hanno distrutto campi, fattorie, boscaglia, ma soprattutto hanno contaminato il fiume, l’unica fonte d’acqua.

Puoi vedere quanto casa mia sia vicina al fiume inquinato. E noi viviamo lì con i bambini, davanti a quel veleno giorno dopo giorno. Non è facile, soprattutto se non hai possibilità alternative per vivere, usare l’acqua, respirare. Non è la prima volta che sperimentiamo l’inquinamento petrolifero nel fiume, ormai sarà la decima volta. La compagnia coinvolta non è mai è venuta a ripulire”.

Febbraio 2011 - Perdita da impianto Agip ad Emago.

Febbraio 2011 – Perdita da oleodotto Agip ad Emago.

L’anno scorso ci sono state diverse perdite di petrolio nel nostro territorio. I nostri mezzi di sopravvivenza sono stati seriamente colpiti … Nei fatti, stiamo morendo. L’anno scorso abbiamo perso dei bambini in questa comunità, come risultato dell’inquinamento della nostra unica fonte d’acqua. Sono morti molti bambini con gli stessi sintomi: problemi gastrici”.

“Uno degli aspetti più fastidiosi è la modalità di risposta dell’Agip. La compagnia ispezionerà il luogo con uomini in uniforme militare o con giovani armati, chiuderà la falla e scomparirà fino a quando un’altra perdita non ripeterà il rituale. Non inviteranno mai la nostra gente a presenziare alle ispezioni per accertare le cause dello spandimento, né ritorneranno per bonificare l’ambiente”.12.

Gli stessi scenari, le stesse situazioni si ripetono di continuo nel Delta del Niger, costringendo la vita quotidiana ad adattarsi al disastro ambientale permanente. (Continua)

Nota: La foto di apertura è di Luca Tommasini: abitazione nei pressi della centrale IPP di Kwale- Okpai.

  1. Dichiarazione di Francis Obegbo, in:  Luca Manes, Elena Gerebizza, Il Delta dei veleni. Gli impatti delle attività dell’Eni e delle altre multinazionali del petrolio in Nigeria, Allegato al numero 133 di Altreconomia, dicembre 2011, p. 14. 

  2. Eni SpA, Assemblea degli azionisti Eni –  Domande dell’azionista Osayande Omokaro, Environmental Rights Action Nigeria, 5 maggio 2011. Eni SpA, Assemblea Ordinaria. Risposte a domande pervenute prima dell’Assemblea ai sensi dell’art. 127-ter del d.lgs. n. 58/19981. Domande pervenute dall’azionista Fondazione Culturale Responsabilità Etica (titolare di 80 azioni), 10 maggio 2013 

  3. Luca Manes, Elena Gerebizza, Op. cit., p. 16. 

  4. UNFCCC, CDM – Executive Board, Project design document form. Recovery of associated gas that would otherwise be flared at Kwale oil-gas processing plant, Nigeria, luglio 2004, p. 62. 

  5. Det Norske Veritas, Validation report. Recovery of associated gas that would otherwise be flared at Kwale oil-gas processing plant, Nigeria, Report no. 2006-0813, p. 6. 

  6. L’elenco delle località con torce attive è tratto da: Eni SpA, Assemblea Ordinaria. Risposte a domande pervenute prima dell’Assemblea ai sensi dell’art. 127-ter del d.lgs. n. 58/19981. Domande pervenute dall’azionista Fondazione Culturale Responsabilità Etica (titolare di 80 azioni), 10 maggio 2013, p. 19. 

  7. Idem. 

  8. Luca Manes, Elena Gerebizza, Op.cit. p. 14. 

  9. CEE Bankwatch Network, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Environmental Rights Action, Les Amis de la Terre, The Corner House, The reality behind EU “energy security”. The case of Nigeria, novembre 2011, p.8 

  10. Celestina Dominelli, L’ Eni porta a zero il “gas flaring”, Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2013. 

  11. Environmental Rights Action, Field report n. 342, 18 settembre 2013 

  12. Le testimonianze di Fubi Robin, J.O. Walters-Imodo, Adiembo Nwadighi Maestepen, sono tratte da: Environmental Rights Action, , Field report n. 259, 8 aprile 2011; Environmental Rights Action, Field report n. 255, 4 febbraio 2011 

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Il prezzo del petrolio/2 https://www.carmillaonline.com/2014/10/07/prezzo-petrolio2/ Mon, 06 Oct 2014 22:16:33 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17822 di Alexik

A bird flies near the roaring column of flame.[A questo link il capitolo precedente.]

“L’aria è calda e secca, prende alla gola. Le fiamme bruciano giorno e notte, lasciano cicatrici sulla terra e sulla mia pelle. Vesciche secche mi ricordano che avrei dovuto mantenere le distanze. Mentre continua a bruciare attraverso un’altra alba, mi chiedo, quante altre saranno sfigurate prima che il fuoco si sazi. (G. Gilliam, Oshie flare)

“Le torce del gas flaring sono ovunque nella regione del delta del Niger, ma poche sono drammatiche [...]]]> di Alexik

A bird flies near the roaring column of flame.[A questo link il capitolo precedente.]

“L’aria è calda e secca, prende alla gola. Le fiamme bruciano giorno e notte, lasciano cicatrici sulla terra e sulla mia pelle. Vesciche secche mi ricordano che avrei dovuto mantenere le distanze. Mentre continua a bruciare attraverso un’altra alba, mi chiedo, quante altre saranno sfigurate prima che il fuoco si sazi. (G. Gilliam, Oshie flare)

“Le torce del gas flaring sono ovunque nella regione del delta del Niger, ma poche sono drammatiche come l’Oshie flare, di proprietà della compagnia petrolifera italiana Agip”. (C.Hondros, The price of oil)

Quando l’Agip arrivò ad Akaraolu (Nigeria/Rivers State) nel 1972, gli abitanti danzarono in suo onore. La compagnia petrolifera avrebbe costruito una nuova stazione di flusso, e soprattutto la strada di accesso all’impianto: un miglioramento notevole per i trasporti e i commerci con i paesi vicini. Ma nessuno degli emissari dell’Agip diede al Consiglio degli Anziani una definizione chiara di “gas flare”, o li mise in guardia sui potenziali effetti sul villaggio.

Nessuno gli disse che “gas flare” significa bruciare in atmosfera il gas prodotto dalle perforazioni petrolifere, quando l’investimento per convogliarlo, liquefarlo o ripomparlo nel sottosuolo viene ritenuto troppo oneroso.

Akaraolu. Foto: Chris Hondros 2003.

Akaraolu. Foto: Chris Hondros 2003.

Nessuno gli disse che non avrebbero più visto il buio, che non avrebbero più dormito, che avrebbero dovuto gridare per parlarsi, che l’aria sarebbe diventata rovente. Nessuno gli disse che gli sbalzi di pressione del flusso del gas che alimenta la fiamma fanno tremare la terra e crepare i muri delle case.

Da quando è stata eretta l’Oshie flare, una torcia alta 300 piedi, i 2.000 abitanti di Akaraolu non hanno più conosciuto la notte: quando il sole tramonta, ci pensa l’Oshie flare a soppiantarne la luce col suo bagliore, ad offuscare le stelle.

Greg Campbell, giornalista freelance, descriveva così la situazione nel 2001:  “Le temperature possono superare le massime giornaliere da 10 a 30 gradi, e diventano mortali se ci si avvicina troppo alla fiamma. …..Nel raggio di 200 yarde le palme sono marroni e fragili, e l’acqua è troppo calda per la vita dei pesciGli abitanti dicono che il calore e il rumore allontanano la fauna selvatica …. e che anche i suoli sono danneggiati, e producono ogni anno raccolti di cassava e patate sempre più magri. Le donne abortiscono con maggior frequenza per lo stress e il calore … e gli uomini pisciano sangue, una patologia non diagnosticata che gli abitanti attribuiscono alla fiamma … L’inquinamento corrode i tetti di zinco. Molti edifici, inclusa la scuola, hanno buchi rugginosi spalancati sui tetti, che trasformano le stanze in docce durante i sei mesi della stagione delle piogge. Ironicamente, la torcia brucia energia in atmosfera davanti ad un villaggio che non ha la corrente elettrica… C’è un solo generatore ad Akaraoulo, e funziona quando c’è la benzina per alimentarlo1.

Dagogo Joel. Foto: Chris Hondros 2003.

Dagogo Joel. Foto: Chris Hondros 2003.

Prima di andare a morire in Libia anche Chris Hondros, fotoreporter di guerra, documentò gli “effetti collaterali” dell’Oshie flare: “Il braccio di Dagogo Joel venne bruciato dall’Oshie flare quando era bambino. La torcia, adiacente ad Akaraolu, il villaggio di Joel, ogni tanto vomita liquidi in fiamme nelle campagne, e così ha bruciato il braccio di Joel che stava pescando con suo padre”.

“Il paese è schiacciato da una completa povertà, nonostante i milioni di dollari del petrolio che sgorga dalla sua terra ogni anno2.

Alla fine degli anni ’90, dopo aver richiesto invano l’attenzione dell’Agip e del governo, gli abitanti di Akaraolu hanno provato a ribellarsi occupando la strada che porta all’impianto. L’attenzione in questo caso è arrivata in fretta, sui blindati dei reparti antisommossa. Gli uomini di Akaraolu sono rimasti in galera per mesi. Ora, nelle interviste raccolte da  Patrick Naagbanton per Sahara Reporters, sembra prevalere la rassegnazione:

Nel corso degli anni Eunice ha guidato diverse proteste pacifiche contro la compagnia petrolifera italiana. Le proteste volevano costringere l’azienda a fornire loro l’acqua, un centro medico e altre infrastrutture di base. Ha detto che si era stancato di lottare perché non hanno ottenuto nulla dalla società o dal governo…  Segni di frustrazione e rabbia erano molto visibili sul suo volto”.

Il reportage di  Naagbanton del settembre 2013 continua descrivendo le condizioni di degrado, inquinamento, militarizzazione:

Akaraolu. Foto: Chris Hondros, 2003.

Akaraolu. Foto: Chris Hondros, 2003.

La strada stava cadendo a pezzi, rendendo così il tragitto poco confortevole. Avevamo percorso circa due chilometri, quando un enorme camion militare ha accelerato verso di noi in senso opposto. L’uomo in moto era spaventato… mi ha consigliato di non parlare con loro perché così non ci avrebbero uccisi… Stavano tornando dalla stazione di flusso Agip di Akala-Olu alla loro base per farsi sostituire da un’altra squadra

Ad un chilometro dalla comunità i cartelli “Restricted Area. Vehicles not allowed” sono dappertutto, fra la strada ed i terreni fertili. E’ pieno di condutture disseminate tutt’intorno. Due grossi tubi, uno dei quali vomita costantemente nuvole di fumo nero, mi hanno portato al villaggio di Akala-Olu

La notte di Akala-Olu cade dall’atmosfera come una piaga. I tre pesanti generatori utilizzati per la produzione di petrolio, la turbina e la fiamma selvaggia provocano un inquinamento acustico shoccante e rilasciano un calore senza precedenti”.3

La stessa situazione viene descritta da un abitante ad Al Jazeera: “Quando piove beviamo gas, e la comunità di Akaraolu vive sotto il fuoco. Il mondo intero deve sapere che la comunità di Akaraolu sta vivendo nel fuoco, sta vivendo in servitù per colpa dell’Agip4.

Torce dell'Agip a Ebocha. Foto: Luca Tommasini, 2011.

Torce dell’Agip a Ebocha.
Foto: Luca Tommasini, 2011.

A Ebocha, un paese di agricoltori e pescatori in territorio Ogba, nella regione del Rivers State, l’Agip cominciò ad estrarre petrolio nel 1970. Quarant’anni dopo queste sono le testimonianze degli abitanti:

“Prima vivevamo in un paradiso che ci forniva tutto quello di cui avevamo bisogno, adesso le cose continuano a peggiorare, l’ambiente si deteriora e la povertà è in aumento”.

Ora nemmeno con tre o quattro semine riusciamo a far fronte ai nostri bisogni. Basta vedere che prima per raccogliere la cassava dovevi tagliarla, ora le radici sono così piccole e avvizzite che si può prendere con le mani senza fare il minimo sforzo5.

La maggior parte di questi oleodotti – dice Dandy Mgbenwa, del Community Development Committee – è qui da più di 30 anni, per questo necessita di urgenti riparazioni perché le perdite sono dappertutto. Ci sono più di 100 falle fra Ebocha e l’Orashi River. In cento metri puoi contare sei perdite, che hanno causato l’ultimo incendio. L’incendio è il risultato della perdita dall’oleodotto che va dal campo petrolifero di Obiafu all’impianto di Obi-obi, una perdita che è rimasta lì per un sacco di tempo, molto vicina alla strada usata dalle donne per andare nei campi e al mercato. Uno dei veicoli che trasportano le donne, passando sul petrolio è uscito di strada. L’autista é morto e i passeggeri sono rimasti feriti. L’Agip deve sostituire subito queste tubazioni”6.

Ebocha gas flare. Foto: George Osodi 2007.

Ebocha gas flare. Foto: George Osodi 2007.

All’ingresso del paese, le torri dell’Agip bruciano, da più di 40 anni e per 24 ore al giorno, il gas di scarto dell’estrazione del greggio. Come ad Akaraolu, avvicinandosi alle torce il calore e il rumore si fanno insopportabili. Il rumore impedisce il sonno, e il fetore di idrocarburi prende allo stomaco.

La gente che abita in quell’area, quando viene qui, dice di avere un bruciore interno … e che non dorme per il rumore…. Dicono ogni volta che è come se la casa dovesse esplodere”, racconta Anthonia Chioma, dell’ Ebocha-Egbema’s General Hospital. “Puoi sentire il rumore da qui … è come qualcosa che sta cadendo dall’alto7.

Il gas flaring produce tonnellate di CO2, monossido di carbonio e metano, provoca la ricaduta sul villaggio di particolato tossico: composti organici volatili, biossido di zolfo, anidride solforosa, metalli pesanti, benzene, toluene, xylene, idrocarburi policiclici aromatici, nero fumo. La Canadian Public Health Association ha inventariato 250 tossine prodotte dal gas flaring, praticamente l’intero repertorio delle nocività: cancerogeni, mutageni, teratogeni, tossici per il sistema nervoso, per il cuore e per i filtri del corpo8. La pioggia di Ebocha li raccoglie e diventa corrosiva. Rovina tutto, acidifica e inaridisce i suoli9, distrugge i tetti di lamiera, figuriamoci i polmoni e la pelle degli umani.  Gli effetti hanno un ampio raggio e arrivano anche nelle comunità vicine di Mgbede, Okwizi, Agah, Ekpeaga.

I suoli di Ebocha sono intrisi di metalli pesanti: nichel, vanadio, cadmio, rame e piombo che bioaccumulano negli organismi di piante e animali entrando nella catena alimentare10. Anche l’acqua è inquinata, la pesca è diventata impossibile. Una ricerca pubblicata lo scorso giugno rileva nelle acque del fiume Ebocha una concentrazione di nichel superiore ai limiti FEPA per l’acqua potabile, e notevoli livelli di idrocarburi policiclici aromatici (12,4 μg/l, cioè 124 volte superiore al valore di parametro UE per l’acqua potabile), con prevalenza di benzo (b) fluorantene e benzo (1,2,3-cd) pirene11.

Ebocha. Selina Eta e la piccola Justice all'età di 14 mesi.  Justice ha sofferto dalla nascita di crisi respiratorie. Foto: Edmund Sanders, 2007.

Ebocha. Selina Eta e la piccola Justice all’età di 14 mesi. Justice ha sofferto dalla nascita di crisi respiratorie.
Foto: Edmund Sanders, 2007.

A Ebocha il dottor Elekwachi Okeyla addebita al gas flaring la dimensione epidemica delle affezioni respiratorie (bronchite e l’asma) e oftalmiche12, così come Elder Dandy, coordinatore dell’Host Community Network: “Ieri abbiamo tenuto due funerali di persone decedute in maniera prematura, d’altronde le malattie della pelle e quelle respiratorie, nonché le morti dei neonati dopo il parto, sono ormai una costante13. “Da quando è iniziato il gas flaring – dice Tom Chukwudi, segretario dell’ Ebocha Council of Chiefs – ha cominciato a causare molte deformità14.

La vicinanza alle torce provoca l’aumento delle temperature corporea, disidratazione, ipertensione, affezioni renali, disturbi del ciclo sonno/veglia, alterazioni del metabolismo dei lipidi15.

Quanto agli effetti cancerogeni, i dati raccolti dal reparto oncologico di Port Harcourt, riferiti a comunità del Delta esposte alle stesse nocività di Ebocha, chiamano in causa direttamente la Shell e l’Agip per l’eccesso di tumori all’apparato riproduttivo (maschile e femminile), al fegato e all’apparato gastrointestinale16.

Ovviamente tutto questo all’Eni non risulta. Rispondendo alla denuncia di Amnesty International sulla situazione a Ebocha, la compagnia sostiene che “al momento non abbiamo nessuna evidenza in merito ai problemi di salute causati dal gas flaring. Questa è la prima lamentela che riceviamo, e non ne abbiamo mai ricevute da altre comunità che vivono vicino al gas flaring”. E ancora: “Le lamentele riguardo agli impatti negativi sulla salute non sono supportate da nessuna statistica medica17. Forse perché su Ebocha non esistono statistiche mediche, o perchè la maggior parte dei malati sfugge ad ogni possibile rilevazione, visto che non ha i mezzi per curarsi e non accede ai servizi sanitari. A Ebocha molte famiglie vivono con meno di 100 naira (0,50 euro) al giorno, in un territorio dove l’Eni estrae ogni giorno  50mila barili di petrolio.

Comunque, dal tenore della risposta. sorge il dubbio che l’Eni non legga neanche i propri documenti interni, che parlano di “effetti del gas flaring a lungo termine e irreversibili”, e di un impatto significativo di tale pratica a livello di inquinamento atmosferico, acustico e termico18. Evidentemente è un po’ distratta. Del resto non le risulta neanche che il gas flaring ad Ebocha continui ad esistere.

Durante l’assemblea del 5 maggio 2010, i vertici del gruppo assicuravano agli azionisti di aver completato con successo il progetto “Gas Ebocha Early Recovery” per per il recupero e la compressione del gas19. La stessa versione è leggibile nel pamphlet propagandistico ENI for 2012, dove si attribuisce particolare rilievo al “progetto di “Ebocha gas Recovery” che ha comportato il flaring down della stazione nel 2010”.

Torce dell'Agip a Ebocha. Foto: Luca Tommasini 2011.

Torce dell’Agip a Ebocha. Foto: Luca Tommasini 2011.

Peccato che gli abitanti di Ebocha non se ne siano accorti. Non se ne è accorto il fotografo Luca Tommasini, che nel settembre 2011 ha filmato le torce mentre continuavano a bruciare allegramente (guarda il suo documentario “Oil for nothingqui), e nemmeno i ricercatori dei dipartimenti di chimica delle Università di Lagos e Kwararafa, che nel 2014 hanno misurato ad Ebocha gli effetti del gas flaring sul PH della pioggia. Lo studio ha rilevato come “i campioni raccolti in luoghi e tempi differenti mostrino un significativo livello di acidità che causa danni alle proprietà e alle colture”, acidificando i suoli e abbattendone la flora batterica20. Intervistati nel corso della stessa indagine, gli abitanti di Ebocha continuano caparbiamente ad affermare che “il gas flaring gli sta rovinando la vita e togliendo i mezzi di sussistenza”. (Continua)

Nota: La foto di apertura è di Chris Hondros: A bird flies near the roaring column of flame.


  1. Greg Campbell, That giant, roaring, gas torch next door,The Christian Science Monitor, 1 maggio 2011; Greg Campbell, The Price of a Barrel of Oil, The Earth Times 14 maggio 2001;  Greg Campbell,  No amount of crying extinguishes a single flare in Niger Delta, Africaservice, 8 giugno 2001 

  2. C.Hondros, The price of oil 

  3. Patrick Naagbanton, A Night in Akala-Olu Fire, Part 2, Part. 3, Sahara Reporters, 16 e 17 settembre 2013. 

  4. Nigeria’s gas flaring: complaints of pollution and illness,Al Jazeera English, 4 luglio 2010. 

  5. Luca Manes, Elena Gerebizza, Il Delta dei veleni. Gli impatti delle attività dell’Eni e delle altre multinazionali del petrolio in Nigeria, Allegato al numero 133 di Altreconomia, dicembre 2011, p. 32. Le testimonianze riportate sono frutto della missione sul campo realizzata nel settembre 2011 dalla Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, da The Corner House, e da CEE Bankwatch Network, con l’aiuto del Environmental Rights Action. 

  6. Environmental Rights Action, Field Report #243 : Agip pipeline leaks gas in Ebocha Community22 ottobre 2010 

  7. Ofeiba Quist-Arcton, Gas Flaring Disrupts Life in Oil-Producing Niger Delta, National Public Radio, 24 luglio 2007. 

  8. Canadian Public Health Association, CPHA resolution n. 3 2000: Gas flaring

  9. Nwaogu, L.A., G.O.C. Onyeze, Environmental Impact of Gas Flaring on Ebocha-Egbema, Niger Delta, Nigeria Journal of Biochemistry and Molecular Biology, 25(1), pp. 25/30. 

  10. Osuji, L. C., and C. M. Onojake, Trace heavy metals associated with crude oil: A case study of Ebocha-8 oil-spill-polluted site in Niger Delta, Nigeria, Chemistry & Biodiversity. 

  11. Ujowundu, C. O., Ajoku C.O. Nwaogu L. A., Belonwu, D. C., and Igwe K.O., Toxicological Impacts of Gas flaring and Other Petroleum Production Activities in Niger-Delta Environment, Journal of Advances in Chemistry, Vol. 10, n. 2, giugno 2014, pp. 2297/2304 

  12. Charles Piller, Edmund Sanders , Robyn Dixon, Gates Foundation money works at cross purposes, Los Angeles Times, 7 gennaio 2007.  

  13. Luca Manes, Elena Gerebizza, op. cit. p. 10 

  14. Ben Ezeamalu, Decades of gas flaring is harming Nigerians, Premium Times, 17 maggio 2014. 

  15. S. Iwuji, J.N. Egwurugwu, Nwafor A., Effects of prolonged exposure to gas flares on the lipid profile of humans in the Niger Delta region, Nigeria, 2013. Egwurugwu, Jude Nnabuife, Nwafor Arthur,  Prolonged exposure to oil and gas flares ups the risks for hypertension,  American Journal of Health Research, 2013; 1(3): 65-72. 

  16. R. N. P. Nwankwoala and O. A. Georgewill, Analysis of the occurrence of cancer and other tumors in Rivers and Bayelsa States, Nigeria from december 1997 – december 2000, African Journal of Applied Zoology and Environmental Biology, 2006, Vol. 8, pp. 48/33. 

  17. Amnesty International, Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta, 2009, p. 36. 

  18. NAOC, Environmental Impact Assessment of Idu field further development project by Nigerian Agip Oil Company, settembre 2005. 

  19. Assemblea degli azionisti Eni – 5 maggio 2011. Domande dell’azionista Osayande Omokaro, Environmental Rights Action Nigeria

  20. Ayejuyo O. Olusegun, Biobaku C. Babajide, Osundiya M. Olubunmi, Achadu O. John, The impact of gas flaring and venting in Nigeria and management options: a case study of oil producing areas, Journal of Biodiversity and Environmental Sciences (JBES), Vol. 4, No. 2, p. 27-36, 2014. 

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Il prezzo del petrolio https://www.carmillaonline.com/2014/09/28/prezzo-petrolio/ Sat, 27 Sep 2014 22:10:46 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17611 di Alexik

George Osodi Nigeria1I politici li uso come i taxi: mi faccio portare dove voglio. Io pago la corsa”.

Mi suona particolarmente attuale questo vecchio adagio di Enrico Mattei, ora che l’AD dell’ENI Claudio Descalzi si ritrova indagato per una nuova maxi-tangente da 200 milioni di dollari, destinata ad “agevolare” l’acquisto della concessione del giacimento nigeriano “Opl-245”.

Oltre a Descalzi, nominato qualche mese fa da Renzi ai vertici dell’Ente Nazionale Idrocarburi, l’inchiesta coinvolge anche gente ben più navigata – come l’ex AD dell’ENI Paolo Scaroni e il [...]]]> di Alexik

George Osodi Nigeria1I politici li uso come i taxi: mi faccio portare dove voglio. Io pago la corsa”.

Mi suona particolarmente attuale questo vecchio adagio di Enrico Mattei, ora che l’AD dell’ENI Claudio Descalzi si ritrova indagato per una nuova maxi-tangente da 200 milioni di dollari, destinata ad “agevolare” l’acquisto della concessione del giacimento nigeriano “Opl-245”.

Oltre a Descalzi, nominato qualche mese fa da Renzi ai vertici dell’Ente Nazionale Idrocarburi, l’inchiesta coinvolge anche gente ben più navigata – come l’ex AD dell’ENI Paolo Scaroni e il faccendiere Luigi Bisignani . Gente che si è fatta le ossa ai bei tempi di tangentopoli, e nonostante le condanne è sempre rimasta al potere1. Ma presenta un curriculum di tutto rispetto anche il principale beneficiario nigeriano della stecca, quel Dan Etete che fu ministro del petrolio durante la dittatura del generale Sani Abacha, e che poco prima della destituzione, come “trattamento di fine rapporto” si autoassegnò gratuitamente (in società con Abacha junior) la concessione dell’ “Opl-245”, il più grande giacimento off shore della Nigeria.

Per capire di che soggetti stiamo parlando basta ricordare che fu Sani Abacha, al potere in Nigeria dal 1993 al 1998, a disporre l’impiccagione di Ken Saro Wiwa e di altri 8 militanti del MOSOP (Movement for the Survival of Ogoni People). Queste le istruzioni dell’epoca per l’esercito nigeriano: “Operazioni della Shell ancora impossibili in mancanza di uno spietato intervento militare che consenta un’agevole ripresa dell’attività commerciale… Raccomandazioni: azioni di distruzione durante raduni MOSOP che giustificano l’intervento dell’esercito. Eliminare gli obiettivi in tutte le comunità e a ogni livello di potere, in particolare i soggetti più attivi all’interno dei vari gruppi2.

Dan Etete

Dan Etete

Difficile pensare che Dan Etete, all’epoca ministro del petrolio, non fosse corresponsabile di tutto questo. Ecco, l’ENI paga la stecca a questa gente qui.

E non parlo dell’inchiesta di oggi (per carità … c’è la presunzione di innocenza), ma dei tempi in cui la TSKJ – una joint ventures partecipata dalla Snam, dalla francese Technip e dalla statunitense KBR/Halliburton – si occupò sistematicamente di corrompere i vari regimi nigeriani succedutisi dal 1994 al 2004, per ottenere l’appalto della costruzione del gassificatore di Bonny Island. In totale militari e politici nigeriani, fra cui Sani Abacha, Dan Etete, e i successivi presidenti Abdulsalami Abubakar e Olusegun Obasanjo, si spartirono in quell’occasione $180 milioni, in cambio di contratti alla TSKJ per sei miliardi di dollari.

L’appalto andò a buon fine, e l’ENI riuscì pure ad assicurare all’Agip una fetta della gestione successiva dell’impianto di compressione del gas. Perciò, se avete dei dubbi su chi abbia interesse a riempire il suolo italico di degassificatori, ora potrete chiarirvi le idee.

La maximazzetta di Bonny Island ha già avuto i suoi strascichi giudiziari in Nord America3, Francia4, e finalmente qui da noi, con la condanna della Saipem/Snam (difesa dall’avvocato, nonchè ex ministro della giustizia, Paola Severino) a 600.000 euro di multa e 2,4 milioni di risarcimento alla Nigeria 5. L’Eni se la sarebbe dunque cavata relativamente a buon mercato se avesse dovuto fare i conti solo con la legge italiana. Peccato per lei che gli stessi fatti fossero oggetto di inchiesta negli USA, dove per evitare la condanna ha dovuto sborsare soldi grossi: 240 milioni di dollari al U.S. Department of Justice e 125 milioni alla Securities and Exchange Commission6 (la Consob americana).

Questo per aver introdotto interferenze nelle sacre leggi del mercato danneggiando la concorrenza con metodi sleali …non certo per aver sostenuto e consolidato il potere di un branco di macellai sanguinari.

Concentrarsi solo sull’aspetto corruttivo, astratto dal contesto, è un esercizio fuorviante. Le tangenti sborsate da tutte le corporations petrolifere, per quanto onerose, rappresentano la “giusta mercede” pagata ai vari regimi nigeriani per l’accondiscendenza dimostrata di fronte allo stupro della propria terra e per i servizi resi in termini di repressione dei movimenti popolari.

Ogoniland.

Ogoniland.

Da più di 40 anni, dall’inizio delle estrazioni, le popolazioni del Delta del Niger sono sprofondate in un inferno industriale, che ha distrutto le foreste, i campi, le acque del fiume, tutti i loro mezzi di sussistenza, per lasciarsi dietro solamente fame, malattie, miseria e morte. E violenza, tanta violenza.

Impossibile contare tutti gli eccidi subiti da quella gente, nel corso delle lotte per l’ambiente e per la vita, da parte dell’esercito e dei reparti speciali della polizia nigeriana.

“Nel luglio 1981 oltre 10.000 abitanti di Rukpokwu, nell’area di Pourt Harcourt, bloccarono l’accesso a cinquanta pozzi della Shell di Agbada. Contemporaneamente gli abitanti di tre villaggi Egbema occupavano la seconda più importante installazione petrolifera dell’Agip, espellendone i lavoratori e fermando la produzione per tre giorni. Gli Egbema protestavano contro la mancata assunzione di indigeni, la mancata elettrificazione e fornitura d’acqua nei villaggi e perché fosse garantita scolarizzazione ai bambini. La rivolta fu sedata dalla polizia antisommossa….

Nel 1987 gli abitanti di Iko, un’isoletta di pescatori in Adoniland, organizzarono una marcia pacifica di fronte agli impianti della Shell a cui, già da anni, chiedevano un risarcimento e la restituzione del diritto all’acqua e all’ambiente pulito. I reparti speciali della polizia arrivarono a bordo di motoscafi della Shell, attaccarono il villaggio uccidendo due persone e distruggendo decine di abitazioni….

Nel 1990, a Umuechem, nella zona degli Igbo, una comunità vessata dalle continue confische di terre da parte della Shell organizzò una manifestazione di protesta: I reparti speciali fecero un massacro: ottanta persone furono uccise, centinaia le case distrutte, tutti gli animali ammazzati” .

Ogoniland

Ogoniland

Da allora fu un crescendo. Negli anni ’90 la dittatura di Sani Abacha scatenò contro gli Ogoni in rivolta un’inaudita violenza, inviando provocatori a fomentare “scontri etnici” che causarono centinaia di morti, torturando e impiccando le avanguardie del movimento, disponendo l’occupazione militare dell’Ogoniland, l’incendio dei villaggi, lo sterminio degli abitanti. Reagiva così, il regime militare, a un movimento che spaventava per estensione, capacità organizzativa e politica, tale da costringere la Shell a sospendere le attività sul territorio.

Gli Ogoni non furono le uniche vittime di Abacha. Nel maggio 1998 più di cento ragazzi di 42 villaggi dell’Ilajeland occuparono una piattaforma della Chevron per protestare contro la devastazione ambientale. Bola Oynbo, un attivista che era presente, racconta: “Non ci aspettavamo quello che poi seguì. I soldati saltarono giù in fretta (da quattro elicotteri guidati da piloti stranieri della Chevron) sparando. Sparavano come fossero stati in guerra. Sparavano dappertutto. Trenta giovani vennero feriti, due uccisi. Anche coloro che cercavano di soccorrere quelli che stavano morendo furono colpiti”.

Il successore di Abacha sul podio della dittatura, Abdulsalami Abubakar, si distinse per il massacro di Warri. Nel dicembre 1998 giovani provenienti da 500 villaggi della nazione Ijaw si erano incontrati a Kaiama per discutere su come riprendere nelle mani il proprio destino. Il documento finale, la “Dichiarazione di Kaiama”, chiamava tutti i popoli del Delta del Niger all’unità e alla lotta comune contro la devastazione ambientale, la rapina delle risorse, l’occupazione militare. Il Consiglio giovanile Ijaw esigeva il ritiro dei soldati e l’interruzione dell’attività delle compagnie petrolifere in tutto il territorio dello Ijawland entro il 30 dicembre. Quel giorno a Warri una grande manifestazione pacifica venne attaccata dai soldati. “Oltre duecento persone vennero uccise, altre vennero torturate e trattate in modo disumano; molte altre vennero arrestate; ragazzine di dodici anni vennero torturate e violentate”. “Poi ci furono i saccheggi, gli stupri e le esecuzioni sommarie. Duecento persone Ijaw subirono l’amputazione di un arto, soprattutto mani e braccia” .

Massacro di Odi.

Massacro di Odi.

Il regime di Abdulsalami Abubakar fu breve ma intenso: “ai primi di gennaio i militari attaccarono sparando a vista due villaggi, Opia e Ikenian, i morti e i dispersi si contarono a decine. Questa volta le lance da cui sbarcarono e da cui proveniva la richiesta di intervento provenivano dall’americana Chevron. Pochi giorni dopo, altri ragazzi venivano uccisi dai soldati, ma questa volta nei pressi di un impianto dell’Agip” .

Nel maggio ’99 in Nigeria arrivò finalmente la democrazia (!!!), le libere elezioni videro il prevalere di Olusegun Obasanjo, che alla presidenza dello Stato nigeriano volle subito distinguersi dai suoi predecessori …. per intensità dell’eccidio nell’unità di tempo: nel novembre di quell’anno, infatti, provvide a far radere al suolo la città di Odi, causando 2000 morti in un solo giorno. Obasanjo si dimostrò poi capace anche di stragi meno pretenziose, come quella dell’ottobre 2000, quando 10 manifestanti vennero uccisi durante una protesta contro l’Agip7.

Abacha, Abubakar, Obasanjo….. si, proprio quelli sul libro paga della Snam.

Visti i risultati delle mobilitazioni pacifiche, non provoca particolare stupore il fatto che la metodologia di lotta delle popolazioni del Delta del Niger abbia subito nel tempo una notevole revisione. Revisione di cui anche l’ENI (così come le altre compagnie) ha dovuto, suo malgrado, prendere atto:

La "revisione": militante del MEND.

La “revisione”: militante del MEND.

23/01/06 – Assaltata una piattaforma dell’Agip nel Delta del Niger. 24/01/06 – Uomini armati camuffati da poliziotti assaltano la tesoreria dell’impianto Agip di Port Harcourt. Svaligiano la banca interna e lasciano 11 morti (9 agenti di sicurezza). 8/03/06 – L’oleodotto dell’Agip che collega Tebidaba al terminal di Brass viene fatto esplodere con una carica di dinamite. L’ENI stima una perdita di 13.000 barili al giorno. 11/05/06 – Sequestro lampo di tre dipendenti della Saipem, sembra per l’opposizione della comunità di Boguma al passaggio di un oledotto. 13/07/06 – Due esplosioni danneggiano stabilimenti Agip. 26/07/06 – Occupata una stazione di pompaggio dell’Agip a Ogboimbiri. Dodici persone, fra soldati e dipendenti Agip sono tenuti in ostaggio. L’azione è condotta da giovani della comunità locale che chiedono il rispetto di un memorandum disatteso dall’Agip sull’assunzione di giovani del posto e la promozione di programmi di sviluppo della comunità. 24/08/06 – Tre dipendenti Saipem vengono rapiti davanti al complesso del gruppo italiano a Port Harcourt. 04/10/06 – Abbordaggio contro un convoglio di sei battelli dell’Agip diretti a Brass. 28/10/06 – Occupata la stazione di pompaggio dell’Agip di Clough Creek. 06/11/06 – L’irruzione di un gruppo armato presso la stazione Agip di Tebidaba-Brass blocca la produzione di 50.000 barili al giorno. L’occupazione continua per vari giorni da parte della popolazione locale che tiene in ostaggio una trentina di addetti. Vogliono il risarcimento dei danni causati al territorio dalle perdite di petrolio dalle condutture. 12/11/06 – Riassaltato e rioccupato per un giorno l’impianto dell’Agip di Clough Creek. 22/11/06 – Abbordaggio della nave-piattaforma Mystras, gestita dalla Saipem, al largo di Port Harcourt. Rapiti un tecnico italiano e 6 lavoratori stranieri. Un blitz delle forze dell’ordine provoca 4 morti, fra cui un ostaggio britannico. L’italiano rimane gravemente ferito.7/12/06 – Rapiti 3 tecnici petroliferi italiani e un libanese in una stazione di pompaggio dell’Eni nella zona di

Militante del MEND.

Militante del MEND.

Brass. L’azione è rivendicata dal MEND (Movement for the Emancipation of the Niger Delta) 21/12/06 – L’irruzione di un gruppo armato presso la flow-station Agip di Tebidaba blocca la produzione di 40.000 barili al giorno. 3/05/07 – Assaltata una piattaforma off shore dell’Agip. Sequestro lampo di sei dipendenti. 5/05/07 – Attaccato un terminal dell’Agip. 8/05/07 – L’attacco di tre impianti costringe l’Agip a tagliare la produzione di 98.000 barili al giorno. 14/05/07 – Rapito vicino a Port Harcourt il responsabile dell’Ufficio Risorse Umane dell’Agip. 17/06/07 – Viene occupata la stazione di pompaggio Agip di Ogbaimbiri dopo una strage di civili da parte di una pattuglia dell’esercito di guardia all’impianto. Quattro giorni dopo un blitz provoca 12 morti fra gli occupanti. Il Times of Nigeria accusa le guardie private dell’ENI. 8  27/09/07 – Guerriglieri travestiti da soldati attaccano una piattaforma dell’Eni. Nel conflitto a fuoco muore un tecnico Saipem, altri due vengono portati via per un paio di settimane. 26/10/07 – Attacco del MEND alla piattaforma Mystras. Sei dipendenti vengono sequestrati per 4 giorni. 8/01/08 – Attacco all’Agip e alla Shell di Buruturo, accusate dai residenti di sversare liquami tossici. 21/01/08 – Incendiato un oleodotto dell’Agip. 13/04/08 – Incendiate due installazioni petrolifere Agip nell’area di Beniboye. 17/07/08 – Salta in aria un oleodotto dell’ENI. 24/07/08 – Rapiti per quattro giorni 5 tecnici Saipem. 07/09/08 – Arrembaggio ad una nave dell’Agip. Un marinaio ucciso e uno rapito. 8/07/09 – Il MEND rivendica il sabotaggio di un oleodotto dell’Agip. 16/03/11 – Il MEND rivendica l’esplosione di una bomba nella stazione di pompaggio dell’Agip di Clough Creek. 04/02/12 – Il MEND rivendica il sabotaggio di un oleodotto dell’Agip nello Stato di Bayelsa. 13/04/12 – Il MEND rivendica la distruzione di un pozzo e di un condotto dell’Agip. 27/07/12 – Il MEND attacca un trasporto di petrolio Agip al largo della costa dello Stato di Bayelsa. Un marinaio ucciso. 30/12/12 – Il MEND attacca una chiatta Agip nel Rivers State, 20/03/14 Attacco del Mend ad oleodotto e gasdotto Agip ad Ikarama9.

Data la frequenza e continuità degli attacchi potrebbe sorgere il dubbio che la multinazionale nostrana in Nigeria abbia fatto incazzare più di qualcuno. E qualche incazzatura è plausibile l’abbia destata dalle parti di Akaraolu, Ebocha, Kalaba, Ikarama, Ikienghenbiri, Odioama, Kale, Okpai, Okashikpa,  tutti luoghi che stanno pagando a caro prezzo la “modernità” portata dall’ENI. (Continua)


  1. Scaroni inaugura la sua carriera tangentizia in qualità di amministrato delegato della Techint. Nel 1992 viene arrestato nell’ambito di Mani Pulite per una grossa mazzetta al PSI, che doveva servire ad assicurarsi un appalto da parte dell’Enel. Patteggia un anno e 4 mesi, e come premio nel 2002 …. viene promosso ai vertici dell’Enel, cioè il destinatario dell’atto corruttivo. Finisce sotto inchiesta per l’inquinamento della centrale Enel di Porto Tolle, la Cassazione ne riconosce la responsabilità penale, ma i reati si sono prescritti. Nel frattempo passa a dirigere l’ENI, dove colleziona un avviso di garanzia per una presunta tangente pagata ad esponenti del governo algerino allo scopo di favorire la controllata Saipem e la stessa Eni in appalti da 11 miliardi di dollari. Il nome di Luigi Bisignani viene trovato nell’ ’81 negli elenchi della P2 in casa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi. Secondo gli inquirenti non è un iscritto qualsiasi, ma un reclutatore, un “colonnello”. Nel 1994 viene arrestato nel corso dell’inchiesta Enimont. E’ lui – ai tempi responsabile delle relazioni esterne del gruppo Montedison e fiduciario di Andreotti – ad aprire presso lo Ior il conto dove transiterà una parte della “madre di tutte le tangenti”, in viaggio verso le fauci ingorde dei principali esponenti del pentapartito. Per l’affare Enimont si becca una condanna a due anni e sei mesi e l’espulsione dall’Ordine dei giornalisti. Nel 2007 viene coinvolto nell’inchiesta Why Not sull’attribuzione illecita di commesse pubbliche e fondi europei, e quattro anni dopo nell’ambito dell’inchiesta sulla P4, viene accusato di aver instaurato un “sistema informativo parallelo” finalizzato alla “illecita acquisizione di notizie e di informazioni, anche coperte da segreto, alcune delle quali inerenti a procedimenti penali in corso nonché di altri dati sensibili o personali al fine di consentire a soggetti inquisiti di eludere le indagini giudiziarie ovvero per ottenere favori o altre utilità”. Vanta amicizie altolocate (Gianni Letta e Lamberto Dini furono suoi testimoni di nozze), entrature all’ENI, alla RAI e nei Servizi. 

  2. Manoscritto di Paul Okuntimo, capitano del Rivers State Internal Security Force dell’esercito nigeriano, scritto in data 5 Maggio 1994, pubblicato su Harpais, Giugno 1996, e in Naomi Klein, No Logo, Baldini & Castoldi, Milano, 2000, pag. 466. 

  3. Nel 2009 il dipartimento di giustizia americano, in base al Foreign Corrupt Practices Act, ha condannato la Halliburton/KBR e i suoi funzionari al pagamento di $ 1,7 miliardi, coinvolgendo nello scandalo anchel’ex vice presidente USA Dick Chaney, che ai tempi della corruzione ricopriva la carica di AD dell’ Halliburton. Vedi: Halliburtonwatch, Halliburton and Nigeria: A Chronology of Key Events in the Unfolding Bribery Scandal. Elisha Bala-Gbogbo , Nigeria files charges against Dick Cheney, Halliburton over bribery case, Bloomberg.com, 8 dicembre 2010. 

  4. Nicholas Ibekwe, Halliburton bribe: Paris court sentences Technip executives for bribing Nigerian officials, Premium Times, 1 febbraio 2013. 

  5. Angelo Mincuzzi, Corruzione in Nigeria, Saipem condannata a Milano. Confiscati 24,5 milioni, Il Sole 24 Ore,11 luglio 2013. 

  6. U.S. Securities and Exchange Commission, Securities and Exchange Commission v. ENI, S.p.A. and Snamprogetti Netherlands, B.V., Case No. 4:10-cv-02414, S.D. Tex. (Houston)

  7. Le informazioni sui massacri sono tratte da: Daniele Pepino, Delta in rivolta. Pirateria e guerriglia contro le multinazionali del petrolio in Nigeria. Suggerimenti da una insurrezione “asimmetrica”, Porfido, 2009, p. 142;  Oil Change International, All for Shell: A brief history of the struggle for justice in the Niger Delta, p. 8. 

  8. «Giovedì 21 giugno 2007- scrive il Times of Nigeria- su richiesta della oil Company [cioè l’Eni], forze armate della Sicurezza, che sembra che lavorino per il gigante petrolifero italiano, hanno attaccato e ucciso 12 giovani Ijaw di Ogboinbiri che stavano protestando contro la criminale uccisione dei loro parenti, avvenuta la settimana prima da parte delle forze armate». Sulla questione è stata presentata un’interrogazione parlamentare

  9. L’elenco, che si limita alle azioni contro l’ENI tralasciando i numerosi attacchi alla Shell, Chevron, Exxon, ecc., è tratto da: Daniele Pepino, Delta in rivolta. Pirateria e guerriglia contro le multinazionali del petrolio in Nigeria. Suggerimenti da una insurrezione “asimmetrica”, Porfido, 2009, p. 142; Wikipedia alla voce MEND; rassegna della stampa italiana e nigeriana. 

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